RITENUTO IN FATTO 1. Nel corso di un giudizio, promosso da – già titolare di rendita ragguagliata al 14 per cento di inabilità lavorativa, in conseguenza di un precedente infortunio sul lavoro verificatosi prima dell’entrata in vigore del decreto legislativo 23 febbraio 2000, n. 38 (Disposizioni in materia di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, a norma dell’art. 55 della legge 17 maggio 1999, n. 144) – nei confronti dell’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali (INAIL) per il conseguimento delle prestazioni assicurative dovute per un successivo infortunio sul lavoro subìto il 31 maggio 2001, in esito al quale era residuata una menomazione della sua integrità fisica pari al 4,5 per cento, come tale inferiore al minimo indennizzabile ai sensi dell’art. 13 del citato d. lgs. n. 38 del 2000, il Tribunale di Pisa, rilevato che il secondo e terzo periodo del sesto comma di quest’ultimo articolo non consentono di procedere ad una valutazione complessiva dei postumi conseguenti ad infortuni o malattie professionali disciplinati dal citato decreto legislativo con quelli conseguenti ad infortuni o malattie professionali verificatesi o denunciate prima dell’entrata in vigore del medesimo decreto, ha sollevato, con ordinanza del 24 febbraio 2004, questione di legittimità costituzionale delle citate disposizioni, per violazione degli artt. 3, secondo comma, 38, secondo comma, e 76 della Costituzione. Quanto alla dedotta violazione dell’art. 76 Cost., lamenta il rimettente che il legislatore delegato ha superato i limiti della delega di cui all’art. 55 della legge 17 maggio 1999, n. 144 (Misure in materia di investimenti, delega al Governo per il riordino degli incentivi all’occupazione e della normativa che disciplina l’INAIL, nonché disposizioni per il riordino degli enti previdenziali): mentre questa affidava al Governo il preciso compito di estendere l’oggetto dell’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, ricomprendendovi la copertura del rischio “danno biologico”, fermi restando i livelli di sicurezza sociale fino ad allora garantiti, di fatto si è realizzato un vero e proprio “intervento demolitore” del meccanismo già prefigurato dall’art. 80 del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 (Testo unico delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali) tutte le volte in cui – come nel caso in esame – la percentuale di inabilità riportata nell’infortunio successivo non sia idonea né a garantire un ristoro capitalizzato, perché inferiore al 6 per cento, né un incremento della rendita. Quanto alla denunciata violazione dell’art. 38, secondo comma, Cost., osserva il rimettente che la previsione della franchigia di indennizzo da parte del legislatore delegato non è conforme al parametro evocato risolvendosi in una vera e propria ablazione del diritto ad ottenere i «mezzi adeguati alle esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria» Secondo il giudice a quo, anche il parametro dell’eguaglianza tra cittadini risulterebbe leso dalla norma censurata, potendo accadere che, per patologie identiche, si abbiano trattamenti diversi, a seconda che la loro coesistenza si ponga a cavallo tra il vecchio e il nuovo regime, ovvero esclusivamente nel nuovo. In particolare, restano irragionevolmente penalizzati quei lavoratori le cui inabilità ricevono trattamento dalle due discipline, mentre per gli altri il meccanismo di calcolo è unicamente quello indicato dall’art. 80 del testo unico, riformulato nell’art. 13, comma 5, della legge n. 38 del 2000. 2. Identica questione di legittimità costituzionale è stata sollevata – con riferimento alla medesima norma ed ai medesimi parametri costituzionali – dal Tribunale di Trieste con ordinanza del 21 novembre 2005, nel corso di un giudizio promosso da, già titolare di una rendita per “broncopatia” ragguagliata al 15 per cento di inabilità lavorativa, nei confronti dell’ INAIL, per il conseguimento delle prestazioni assicurative dovute in dipendenza di una patologia asbestosica, di origine professionale, produttiva di un danno biologico nella misura del 5 per cento, denunciata in data posteriore al 25 luglio 2000. In aggiunta alle argomentazioni già esposte dal Tribunale di Pisa, il rimettente osserva che il d.lgs. n. 38 del 2000 non ha modificato affatto il principio generale in tema di assicurazione antinfortunistica secondo cui, ove gli infortuni o le malattie si verifichino in tempi diversi, non si procede a più rendite, ma se ne eroga una sola, al fine di valutare globalmente la riduzione dell’attitudine lavorativa sulla base di un apprezzamento unitario di tutti gli esiti invalidanti, e ciò tanto nel caso in cui l’ulteriore evento lesivo abbia una valenza autonoma ai fini della costituzione della rendita, quanto nel caso in cui esso non raggiunga la soglia invalidante; principio che trova applicazione anche quando l’inabilità sia derivata in parte da infortunio sul lavoro e in parte da malattia professionale (art. 132 del d.P.R. n. 1124 del 1965). 3. In entrambi i giudizi si è costituito l’INAIL, concludendo per l’infondatezza della questione sotto tutti i profili prospettati. Con riferimento al denunciato eccesso di delega, l’Istituto osserva che i princípi e criteri direttivi enunciati dalla legge di delegazione vanno ricostruiti tenendo conto della disciplina complessiva e delle finalità che ispirano la delega, laddove il rimettente si è riferito alla sola lettera s) dell’art. 55, comma 1, della legge n. 144 del 1999, avulsa dal suo contesto. Nel caso di specie, la complessiva revisione del sistema di indennizzo prima vigente si poneva come imprescindibile presupposto logico-giuridico per il razionale esercizio della delega, al fine di evitare che una operazione meramente additiva producesse eccessi di indennizzo in alcuni casi, o vuoti di tutela in altri. Ad avviso dell’Istituto previdenziale, la norma impugnata, a differenza di quanto previsto dall’art. 74 del testo unico del 1965, che poneva a fondamento del diritto alla rendita la perdita dell’attitudine al lavoro, commisura le prestazioni indennitarie al grado di accertata menomazione dell’integrità psico-fisica. D’altra parte, diverse sono anche le conseguenze – sotto il profilo della misura, della tipologia e dell’oggetto delle prestazioni indennitarie – delle distinte tipologie di postumi permanenti prese in considerazione dai due regimi. Ne consegue che la situazione del soggetto colpito da due eventi lesivi ricadenti in diverso regime, e quindi portatore di inabilità disomogenee, non è sovrapponibile a quella del soggetto che sia stato colpito da più eventi lesivi ricadenti nello stesso regime. 4. Si è costituito in giudizio uno dei due ricorrenti, Giorgio Filippi, il quale ha condiviso in pieno le motivazioni addotte dal Tribunale di Trieste. 5. E’ intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, invocando la declaratoria di inammissibilità, o, comunque, di infondatezza della questione. L’Avvocatura erariale rileva che i nuovi criteri di calcolo degli indennizzi per inabilità permanente connessi al danno biologico non sono affatto confrontabili con quelli previsti dalla precedente normativa. L’unificazione delle inabilità – secondo l’interveniente – può avvenire solo a parità di parametri di calcolo e, conseguentemente, per eventi verificatisi in vigenza della nuova disciplina. Secondo l’Avvocatura, lungi dall’eccedere l’ambito della delega, la norma impugnata si inquadra armonicamente nel nuovo sistema caratterizzato da una rimodulazione delle rendite e dell’ammontare dei premi che sono stati ricalibrati in vista della risarcibilità del danno biologico, scelta questa del tutto ragionevole e come tale insindacabile della Corte costituzionale. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. I Tribunali di Pisa e di Trieste, con due ordinanze di identico contenuto, sollevano questione di legittimità costituzionale – in riferimento agli artt. 3, secondo comma, 38, secondo comma, e 76 della Costituzione – dell’art. 13, comma 6, secondo e terzo periodo, del decreto legislativo 23 febbraio 2000, n. 38 (Disposizioni in materia di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali a norma dell’art. 55, comma 1, della legge 17 maggio 1999, n. 144), nella parte in cui non consente di procedere ad una valutazione complessiva dei postumi conseguenti ad infortuni sul lavoro o malattie professionali verificatisi o denunciati prima della data di entrata in vigore del decreto ministeriale 12 luglio 2000 (Approvazione di «Tabella delle menomazioni»; «Tabella di indennizzo danno biologico»; «Tabella dei coefficienti»; relative al danno biologico ai fini della tutela dell’assicurazione contro gli infortuni e le malattie professionali) e di quelli intervenuti dopo tale data. Secondo i rimettenti, la disposizione censurata violerebbe sia l’art. 76 Cost., per aver ecceduto i limiti fissati dalla legge di delega; sia l’art. 38, secondo comma, Cost, perché, attraverso l’introduzione di franchigie di indennizzo, avrebbe pregiudicato il diritto dell’assicurato ad ottenere i mezzi adeguati alle esigenze di vita in caso di infortunio o malattia professionale; sia l’art. 3, secondo comma, Cost., per aver irrazionalmente previsto, per medesime patologie conseguenti all’attività lavorativa, trattamenti diversi, a seconda che esse si manifestino a cavallo fra il vecchio e il nuovo regime, ovvero solo nel nuovo. 2. In via preliminare, dev’essere disposta la riunione dei giudizi aventi ad oggetto la medesima questione. 3. La questione non è fondata. 3.1. Quanto al denunciato eccesso di delega, va rilevato, in via generale, che i princípi e criteri direttivi enunciati dalla legge di delegazione vanno ricostruiti tenendo conto del complessivo contesto normativo e delle finalità che hanno ispirato il provvedimento. Peraltro, l’art. 76 Cost. non impedisce l’emanazione di norme che rappresentino un coerente sviluppo e, se del caso, anche un completamento delle scelte espresse dal legislatore delegante (sentenze n. 198 del 1998 e n. 117 del 1997). In questa ottica, dev’essere considerato l’art. 55 della legge 17 maggio 1999, n. 144. Esso, nel delegare il Governo ad emanare uno o più decreti legislativi al fine di ridefinire taluni aspetti dell’assetto normativo in materia di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, ha indicato, alla lettera s), tra i principi ed i criteri direttivi, la previsione, nell’ambito del sistema di indennizzo e di sostegno sociale, proprio del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 (Testo unico delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), «di un’idonea copertura e valutazione indennitaria del danno biologico, con conseguente adeguamento della tariffa dei premi». Orbene, considerato che l’originario sistema di calcolo dell’indennizzo per inabilità permanente erogato dall’Istituto, configurato dal d.P.R. n. 1124 del 1965, era modellato su parametri mutuati dal tradizionale meccanismo di calcolo del danno patrimoniale, l’attuazione della delega, con l’introduzione della categoria del danno biologico nell’ambito indennitario, non poteva non comportare una profonda revisione del sistema complessivo delle prestazioni economiche da inabilità permanente. Mentre, infatti, nel precedente sistema l’INAIL erogava prestazioni economiche riferite all’attitudine al lavoro che di fatto già comprendevano, in parte o per intero, il danno biologico, la nuova disciplina copre esplicitamente tale danno all’art. 13, precisando che «le prestazioni per il ristoro del danno biologico sono determinate in misura indipendente dalla capacità di produzione del reddito del danneggiato» (art. 13, comma 1). Il d.lgs. n. 38 del 2000, in coerente attuazione della delega, considera i rapporti della nuova normativa con le situazioni pregresse disciplinandoli compiutamente. E’ chiaro, quindi, che così facendo il legislatore non ha ecceduto i limiti della delega, ma ha solo dato ad essa uno sviluppo coerente. 3.2. Quanto alla dedotta violazione dell’art. 3 Cost., è sufficiente osservare che la separata considerazione degli eventi lesivi ricadenti sotto la disciplina dell’art. 13, rispetto a quelli pregressi, è conseguenza di una ragionevole scelta discrezionale del legislatore e quindi rispettosa del principio di eguaglianza. L’obiettiva differenza dei parametri valutativi e delle conseguenze indennizzabili richiedeva un’articolazione che tenesse conto delle diversità ed al tempo stesso non lasciasse, nell’ambito di ciascuno dei diversi regimi, alcun vuoto di tutela (sul punto si veda la sentenza n. 71 del 1990, concernente la legittimità della mancata valutazione complessiva di più inabilità permanenti contratte in settori lavorativi diversi, rispettivamente industriali e agricoli, e ciò proprio in considerazione delle difformità esistenti nei due settori in termini sia di presupposti del rapporto assicurativo, sia di obblighi contributivi, nonché di criteri di valutazione della efficacia invalidante delle menomazioni fisiche in ciascuno dei contesti lavorativi). La ragionevolezza della norma censurata va affermata con riferimento non soltanto alle opzioni di fondo poste a base del nuovo sistema, ma anche alla particolare disciplina, dettata dalla norma medesima, per le menomazioni preesistenti rispetto a quelle intervenute dopo l’entrata in vigore del nuovo sistema. In ordine a quest’ultimo aspetto, compatibile con il principio dettato dall’art. 3, secondo comma, Cost. deve considerarsi la diversa disciplina riservata agli eventi lesivi ratione temporis, atteso che il fluire del tempo costituisce elemento di per sé idoneo a differenziare le situazioni soggettive (v. ex plurimis, sentenza n. 342 del 2006). Giova rammentare, del resto, che questa Corte, nel decidere una fattispecie analoga a quella in esame, ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 14 del decreto legge 22 maggio 1993, n. 155 (Misure urgenti per la finanza pubblica), convertito, con modificazioni, dalla legge 1° giugno 1993, n. 243, nella parte in cui individua, con decorrenza dal 1° giugno 1993, ai fini del riconoscimento del diritto a prestazioni e del calcolo della rendita da infortunio sul lavoro o malattia professionale in agricoltura, condizioni e parametri diversi da quelli previsti dalla precedente normativa (ordinanza n. 108 del 2002). Dalla rilevata legittimità costituzionale della delimitazione temporale dell’applicabilità dell’art. 13, discende la non contrarietà a Costituzione del sesto comma della stessa disposizione nella parte in cui non prevede la possibilità di unificazione dei postumi di eventi ricadenti sotto il regime del d.P.R. n. 1124 del 1965 con quelli di eventi disciplinati dall’art. 13 del d. lgs. n. 38 del 2000. La scelta del legislatore trova spiegazione nella oggettiva impossibilità – nel caso contemplato dalla norma impugnata – di considerare unitariamente i postumi permanenti disomogenei, essendo valutati, gli uni, in termini di riduzione dell’attitudine al lavoro, e gli altri, in termini di menomazione dell’integrità psicofisica, con criteri necessariamente diversi tra loro (cfr. le tabelle allegate al d.P.R. n. 1124 del 1965, e le tabelle delle menomazioni per gli eventi disciplinati dall’art. 13 del d.lgs. n. 38 del 2000). 3.3. Quanto all’art. 38 secondo comma, Cost., si deve osservare che esso rimette alla discrezionalità del legislatore la determinazione dei tempi, dei modi e della misura delle prestazioni sociali sulla base di un razionale contemperamento con la soddisfazione di altri diritti, anch’essi costituzionalmente garantiti, e nei limiti delle compatibilità finanziarie. Del resto, l’assicurazione contro gli infortuni e le malattie professionali non è ispirata al criterio della piena socializzazione del rischio, giacché il d.P.R. n. 1124 del 1965 circoscrive l’ambito della sua operatività in relazione sia all’aspetto oggettivo, che a quello soggettivo (sentenze n. 17 del 1995 e n. 310 del 1994). In tale prospettiva l’adeguatezza della tutela assicurata dal d.lgs. n. 38 del 2000 dev’essere valutata tenendo presente l’innovazione legislativa nel suo complesso. Sotto questo aspetto non può negarsi che la nuova disciplina è migliorativa rispetto al precedente regime, prevedendo essa non solo l’abbassamento del grado minimo indennizzabile dall’11 per cento al 6 per cento, ma anche l’estensione della copertura a tipologie di danni prima non contemplate, oltre ad una maggiore personalizzazione dell’indennizzo. Parimenti non contrastante con il parametro costituzionale in esame, appare la disciplina particolare della valutazione delle inabilità preesistenti all’entrata in vigore del nuovo regime, in occasione di un nuovo infortunio o di una nuova malattia professionale. In caso di evento lesivo posteriore al 25 luglio 2000 preceduto da altra menomazione già indennizzata, il nuovo sistema assicura una prestazione aggiuntiva ove la lesione posteriore sia di grado superiore al 5 per cento. In questa ipotesi, l’assicurato, oltre all’indennizzo in capitale o rendita, spettante ai sensi dell’art. 13 del d.lgs. n. 38 del 2000, continuerà a percepire la rendita corrisposta ai sensi della disciplina precedente; rendita alla quale si applicheranno tutti gli istituti giuridici già previsti dal testo unico del 1965 (revisione, rivalutazione, quote integrative). Se invece, la menomazione precedente non sia stata indennizzata, il danno biologico sopravvenuto sarà rapportato non all’integrità psico-fisica completa, ma a quella ridotta per effetto della preesistente menomazione. Da un simile quadro complessivo risulta dunque che la tutela approntata dal nuovo sistema non configge con il canone costituzionale invocato. 3.4. In conclusione, la separata considerazione degli eventi lesivi ricadenti sotto la disciplina dell’art. 13, rispetto a quelli pregressi, costituisce una logica conseguenza di una razionale scelta discrezionale del legislatore, nel pieno rispetto degli artt. 76, 3 e 38 Cost., fondata sull’obiettiva differenza dei parametri valutativi e delle conseguenze indennizzabili ed articolata in modo tale da non lasciare, nell’ambito di ciascuno dei diversi regimi, alcun vuoto di tutela (si veda la sentenza n. 71 del 1990). PER QUESTI MOTIVI la Corte Costituzionale riuniti i giudizi, dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 6, secondo e terzo periodo, del decreto legislativo 23 febbraio 2000, n. 38 (Disposizioni in materia di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali a norma dell’art. 55, comma 1, della legge 17 maggio 1999, n. 144), sollevata, in riferimento agli artt. 3, secondo comma, 38, secondo comma, e 76 della Costituzione, dal Tribunale di Pisa e dal Tribunale di Trieste con le ordinanze in epigrafe. Sentenza della Corte Costituzionale n. 426 del 19 dicembre 2006
La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di
Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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