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Abbandono del posto di lavoro

Abbandono del posto di lavoro, totale distacco dal bene da proteggere, idoneità dell’inadempimento del lavoratore a pregiudicare le esigenze di prevenzione proprie del servizio svolto.

Pubblicato il 01 September 2018 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

TRIBUNALE DI ROMA

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il giudice ha pronunciato la seguente

sentenza n. 3592/2018 nel procedimento R.G. promosso

DA

XXX elettivamente domiciliato presso l’Avv. che lo rappresenta e difende

– opponente –

CONTRO

YYY in persona del legale rapp.te p.t. elettivamente domiciliato presso l’Avv.

che lo rappresenta e difende

– opposta –

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE

Con ricorso ex art. 1, c. 47 e 48, l. 92/12 il ricorrente ha contestato la legittimità del licenziamento disciplinare irrogatogli in data 10.8.16 dalla YYY, chiedendo al Giudice di ordinare la sua reintegrazione nel posto di lavoro ed assumere i provvedimenti risarcitori del caso; a fondamento della domanda – lo si rileva in estrema sintesi – dopo avere descritto la condotta oggetto di contestazione disciplinare (consistita nell’abbandono del posto di lavoro nei termini descritti dalla nota aziendale del 4.8.16, alla cui lettura si rinvia, per brevità), ha sostenuto che la risoluzione del rapporto sarebbe illegittima per difetto di proporzionalità, per insussistenza della giusta causa con riferimento alla gravità della condotta posta in essere, per insussistenza della lesione del rapporto fiduciario, per inapplicabilità all’ipotesi in esame del licenziamento in tronco ex ccnl. di settore.

Si è costituita in giudizio la società resistente, che ha sostenuto l’infondatezza della domanda, chiedendone il rigetto.

In data 6.7.17 il Giudice ha respinto il ricorso, come da provvedimento allegato in questa sede.

Con il ricorso in esame il XXX ha proposto opposizione avverso l’ordinanza di cui sopra, sostanzialmente sulla base delle medesime considerazioni di cui al ricorso di I fase.

La società convenuta si è costituita in giudizio ribadendo la piena legittimità del licenziamento impugnato.

Esaurita la fase istruttoria, svoltasi solo su base documentale, la causa è stata trattenuta in decisione.

L’opposizione è infondata e va respinta.

Non vi è motivo per discostarsi dalla pronuncia resa in data 6.7.17 dal giudice di I fase.

Si osserva in primo luogo che il ricorrente, oltre a ribadire le censure avanzate in I fase, lamenta che in quella sede il Giudice non avrebbe considerato le circostanze di tempo, di luogo e climatiche che hanno caratterizzato la condotta contestata; censura altresì la mancata audizione dei sommari informatori.

Va sul punto rilevato che il fatto materiale contestato al XXX in sede di procedimento disciplinare (allontanamento dal luogo di lavoro prima della fine del turno di guardia) può ritenersi pacifico tra le parti; osserva correttamente parte convenuta che quanto all’onere probatorio relativo all’asserita sussistenza dell’esimente indicata dal lavoratore (l’asserito malore), gravante sul XXX, le dichiarazioni rese dallo stesso in sede di interrogatorio libero sono risultate (e ritenute) contraddittorie e contrastanti con i documenti in atti.

Le circostanze che XXX avrebbe dovuto provare sono il riferito malore fisico mentre si trovava a prestare servizio da solo e l’impossibilità di contattare la centrale operativa; ma lo stesso ricorrente ha dichiarato che nel corso del fatto contestato era solo (anche perché ove fossero stati presenti altri non sarebbe stato efficacemente sostenibile che egli fosse impossibilitato a contattare la centrale operativa); va quindi condivisa e qui ribadita la scelta del Giudice di I fase, che ha ritenuto di decidere la causa senza istruzione testimoniale.

Il ricorrente non ha sollevato censure di illegittimità del licenziamento sotto il profilo formale.

Nel merito dei fatti contestati, si rileva: 1) il 3.8.16 XXX era addetto al servizio di sorveglianza armata presso la sede ****, con orario 8.00-19,30 (docc. 11 e 12); 2) con nota di contestazione degli addebiti del 4.8.16 YYY ha comunicato: “(…) Ella, in data 03/08/2016, presso la sede (…) *** (…) *** ove Ella è incaricata al servizio di presidio di piantonamento fisso con orario di lavoro dalle ore 8,00 alle ore 19:30, senza aver avvisato la Centrale Operativa e contrariamente alle disposizioni di servizio ricevute, abbandonava il posto di lavoro con largo anticipo rispetto all’orario di fine turno servizio e (…) lasciava chiuso, all’interno dello stesso, un dirigente (…) quest’ultimo, trovandosi in tale situazione, alle ore 19,00 circa, non riscontrando la Sua presenza presso lo stabile e trovando la struttura chiusa, è stato costretto a contattare l’Ospedale Santo Spirito in Sassia al fine di chiedere soccorsi ed ottenere la riapertura del sopracitato stabile che si trovava incustodito e privo di presidio. Nell’evidenziare la gravità e l’irresponsabilità del suo comportamento che oltre a creare un grave danno d’immagine alla ns. società, costituisce un grave inadempimento rispetto alle consegne e mansioni ad Ella affidate, ed una gravissima infrazione alla disciplina inerente al rapporto di lavoro, La invitiamo a fornire giustificazioni in merito”.

Tale condotta – riportata nella lettera di licenziamento del 10.8.16 (doc. 5) – consiste nell’avere il XXX abbandonato la postazione di servizio cui era addetto con rilevante anticipo rispetto alla fine del turno, lasciandola incustodita e senza avvertire la Centrale Operativa, e chiudendo dentro gli uffici un dirigente dell’azienda, impedendogli di uscire. Il ricorrente era addetto al servizio di piantonamento presso l’***, da effettuarsi da una guardia particolare giurata (armata e in divisa) nelle ore diurne fino alle 19,30 dal lunedì al venerdì, e fino alle 14,00 sabato e domenica (docc. 6 e 17); il servizio doveva svolgersi solo presso tale sito, mentre non risulta che XXX dovesse prestare servizio presso la portineria o gli uffici della stessa ***, presso cui esiste un presidio di vigilanza non armata, gestito da società diversa dalla resistente (***).

Il lavoratore cerca di giustificare l’allontanamento dal posto di guardia riferendo del malore che lo avrebbe colpito, dovuto al caldo, alla divisa “con protezione antiproiettile e armamento di dotazione” e al lungo orario lavorativo; riferisce anche di non aver potuto avvertire la centrale operativa non avendo mezzi a disposizione.

Osserva condivisibilmente la convenuta che tali deduzioni appaiono scarsamente credibili, atteso che la divisa estiva delle guardie giurate è approvata dalla Questura di Roma e che la natura del servizio svolto all’interno di un ufficio pubblico, dopo l’orario di chiusura, non richiede di indossare il giubbotto antiproiettile; il XXX ha inoltre dichiarato di essersi allontanato dalla postazione di servizio usando la propria automobile, il che appare difficilmente compatibile con il riferito malore e con l’affermazione resa nell’interrogatorio libero “avendo addosso un’arma avevo paura di sentirmi male”; tant’è, che correttamente il Giudice di I fase rileva che non appare logico porsi alla guida di un veicolo quando si ha timore di un mancamento o di un giramento di testa; neppure risulta che il ricorrente abbia ipotizzato di chiamare un’ambulanza.

La convenuta ha riferito – e ciò non è stato contestato – che presso la *** cui il lavoratore è stato addetto era ed è presente un telefono fisso a disposizione della vigilanza (nr. ***); e che in base al Regolamento di esecuzione del TULPS, al Regolamento della Questura di Roma ed alle Consegne per l’effettuazione del servizio di piantonamento presso la **** (doc. 6), la guardia deve essere armata e collegata con la centrale operativa dell’Istituto e deve verificare, prima dell’inizio del servizio, l’efficienza dell’arma e degli apparati radio-rice-trasmittenti.

Il ricorrente ha poi dichiarato che il cellulare personale era scarico anche di batteria: ma lo stesso è stato certamente contattato su tale cellulare dall’operatore della centrale operativa **** (doc. 9).

Neppure è contestato che il dirigente *** non abbia potuto lasciare l’edificio perché XXX aveva abbandonato la postazione ed aveva chiuso dall’esterno gli ingressi; *** è riuscito a contattare la portineria dell’Ospedale Santo Spirito, ove era presente l’addetto *** (doc. 7), che ha contattato l’addetto alla sorveglianza armata del Pronto Soccorso dello stesso Ospedale, *** (doc. 8), dipendente della resistente, che ha a sua volta contattato la Centrale Operativa per comunicare l’accaduto; l’operatore *** ha ricevuto la segnalazione (doc. 9) e ha contattato XXX sul suo cellulare, invitandolo a ritornare alla sua postazione per far uscire il dirigente; durante tale telefonata il ricorrente ha detto a Scandolara di essersi allontanato perché le addette alla pulizia degli uffici *** gli avevano detto che all’interno della sede non era rimasto alcuno (doc. 8); risulta poi dal verbale di servizio del *** per *** (doc. 7) che alle 19,25 *** era ancora chiuso dentro lo stabile ***, atteso che lo stesso lo aveva ricontattato per avvisare che nessuno era ancora intervenuto per aprirgli.

Se ne trae che XXX ha lasciato il posto di lavoro almeno trenta minuti prima della fine del suo turno (cfr. sempre doc. 7) senza avvisare la centrale operativa, presumibilmente ipotizzando che nessuno se ne sarebbe accorto.

Si rileva d’altra parte che dirimente nel senso della ricostruzione dell’effettiva intenzione del XXX di lasciare il luogo di lavoro prima della fine del turno, nella convinzione di non essere scoperto, risulta la copia della trascrizione della telefonata intercorsa tra lo stesso e l’addetto alla centrale Scandolara allegata al fascicolo di parte convenuta, che evidenzia i veri motivi che hanno determinato il ricorrente all’abbandono del posto di lavoro; il contenuto di tale conversazione induce ad escludere che XXX sia stato effettivamente afflitto dal malore qui invocato quale esimente: tant’è che lo stesso, riferendosi presumibilmente alle addette alle pulizie, dichiara “Lo sanno che alle sette me ne devo anna’”, con ciò lasciando evidentemente intendere che quella di lasciare il servizio prima della fine del turno (alle 19.30) fosse ormai un’abitudine ed un fatto notorio; comunque nel corso di tale telefonata, infarcita di bestemmie ed improperi che appaiono di per sé difficilmente compatibili con lo stato di malore qui sostenuto, non compare alcun riferimento del lavoratore alla necessità di allontanarsi per un accertamento medico urgente; il che appare tanto più inconsueto, considerato che una comunicazione in tal senso (se relativa ad una circostanza effettiva) sarebbe stata la cosa più istintiva, ragionevole ed opportuna al fine di giustificare il disservizio in corso.

Considerato che “in tema di licenziamento per giusta causa è onere del datore di lavoro dimostrare il fatto ascritto al dipendente, provandolo sia nella sua materialità, sia con riferimento all’elemento psicologico del lavoratore, mentre spetta a quest’ultimo la prova di una esimente” (Cass. 4368/09)”, e che l’abbandono del posto di guardia risulta provato nei termini sopra descritti, resta onere del lavoratore provare la sussistenza di un’esimente rispetto alla condotta inadempiente, cioè l’asserito malore che lo avrebbe costretto a lasciare il posto di lavoro senza avvisare alcuno, peraltro, per sua stessa dichiarazione, al fine di recarsi in farmacia, e non, come sarebbe stato logico, in ospedale.

Prova in tal senso non risulta raggiunta, così che possono ritenersi dimostrate la sussistenza del fatto contestato, la sua antigiuridicità e la sua rilevanza disciplinare.

Quanto alla proporzionalità della sanzione rispetto alla condotta attribuita, è sufficiente rilevare che l’art. 101 ccnl. aziende vigilanza privata (doc. 14), nella descrizione esemplificativa dei comportamenti che costituiscono giusta causa di licenziamento, prevede anche espressamente l’abbandono del posto di lavoro, condotta coincidente con quella posta in essere dal XXX; comunque, ai sensi della stessa disposizione, il licenziamento per giusta causa “si applica nei confronti del lavoratore che commetta una mancanza che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto di lavoro”.

Ne consegue che può ritenersi che il rapporto di fiducia con il lavoratore sia cessato, anche considerata la particolarità della prestazione lavorativa svolta dal ricorrente (guardia giurata armata in servizio di vigilanza); tanto più – sottolinea la convenuta – in un luogo delicato quale il ***, in cui vengono conservati e quotidianamente somministrati a tossicodipendenti farmaci, frequentato da utenti che normalmente stazionano ininterrottamente nei dintorni e possono porre in essere comportamenti tali da rendere necessario l’intervento della vigilanza armata.

Il XXX ha abbandonato la postazione da vigilare, lasciandola priva di sorveglianza, senza neppure avvertire alcuno, tantomeno la centrale operativa, come sarebbe stato suo dovere (cfr. Norme generali di comportamento delle GPG, doc. 13).

La giurisprudenza ha ripetutamente chiarito che per la configurabilità dell’ipotesi di abbandono del posto di lavoro è richiesta nel comportamento del dipendente una duplice connotazione (Cass. 15441/16): 1) sotto il profilo oggettivo l’abbandono si indentifica con il totale distacco dal bene da proteggere, cioè la dismissione della condotta di protezione, come avvenuto nel caso di specie; va a tal fine considerata “l’idoneità dell’inadempimento del lavoratore a pregiudicare le esigenze di prevenzione proprie del servizio svolto. La stessa durata nel tempo della condotta contestata deve essere apprezzata non già in senso assoluto ma in relazione alla sua possibilità di incidere sulle esigenze del servizio (…). Tale apprezzamento, poi, deve essere compiuto con giudizio ex ante, relativo al momento dell’inadempimento e non già ex post, alla luce del concreto verificarsi dei fatti, che resta del tutto estraneo alla sfera di intervento e controllo del dipendente”; 2) sotto il profilo soggettivo “1’abbandono richiede un elemento volontaristico consistente nella semplice coscienza e volontà della condotta di abbandono, indipendentemente dalle finalità perseguite (e salva la configurabilità di cause scriminanti)”.

Tanto basta per concludere nel senso della legittimità del licenziamento in contestazione.

Alla luce delle considerazioni che precedono si deve concludere nel senso dell’infondatezza dell’opposizione.

Le spese di lite seguono la soccombenza.

Tali le ragioni della decisione di cui al dispositivo.

P.Q.M.

rigetta il ricorso; condanna il ricorrente alle spese di lite, liquidate in euro 4.100,00, oltre accessori.

Roma, 7.5.18 Il Giudice

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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