N. R.G. 2132 / 2021
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Tribunale di Brescia SEZIONE SECONDA
Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. NOME COGNOME ha pronunciato la seguente
SENTENZAN._4550_2024_- N._R.G._00002132_2021 DEL_08_11_2024 PUBBLICATA_IL_08_11_2024
nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 2132 / 2021 promossa da:
(C.F. P.I. ), in persona del legale rappresentante pro tempore, con il patrocinio degli avv.ti NOME COGNOME del foro di Siena e NOME di Nola del foro di Napoli e dom. presso lo studio RAGIONE_SOCIALE (già (C.F. ; P.I. ), in persona del legale rappresentante pro tempore, con il patrocinio degli avv.ti e dom.ri NOME COGNOME e NOME COGNOME entrambi del forno di Brescia CONVENUTA
CONCLUSIONI
Le parti hanno concluso come in atti.
L’attrice come da note scritte del 22.5.2024:
“Voglia il Tribunale di Brescia, contrariis reiectis:
1) in tesi ed in via principale, accertare e dichiarare, in relazione ai contratti indicati in narrativa, la nullità della clausola n. 12 del Contratto per l’erogazione di servizi di manutenzione degli impianti di allarme e videoregistrazione a circuito chiuso comprensiva della fornitura dei relativi materiali e pezzi di ricambio;
della clausola n. 12.1 del Contratto per la fornitura di trasloco e facchinaggio;
della clausola n. 15 del contratto relativo alla fornitura del servizio di manutenzione dei mezzi forti in dotazione alle società del gruppo bancario “Unione di Banche Italiane”, ai sensi dell’art. 9 l. 192/1998; 1.1) per l’effetto, condannare al pagamento in favore dell’attrice dell’indennizzo per le spese, i lavori eseguiti e il mancato guadagno, nelle forme del risarcimento dell’interesse negativo e positivo, secondo quanto previsto dall’art. 1671 c.c., di Euro 2.500.000,00 o nella diversa, maggiore o minore somma, che risulterà di giustizia o che il Giudice vorrà stabilire anche in via equitativa. 2) ancora in via principale, accertare e dichiarare il danno all’immagine commerciale/ reputazionale e per perdita di chance commerciale in capo al 2.1) per l’effetto, condannare la convenuta al risarcimento del danno all’immagine commerciale/reputazionale e per perdita di chance in favore dell’attrice pari alla complessiva somma di Euro 400.000,00 o nella diversa maggiore o minore somma che risulterà di giustizia o che il Giudice vorrà stabilire anche in via equitativa;
3) in ipotesi ed in via subordinata, accertare e dichiarare l’illegittimità del recesso esercitato da per contrasto con gli artt. 1175 e 1375, c.c. con riferimento ai tre contratti oggetto di causa;
3.1) per l’effetto, accertare e dichiarare la responsabilità per inadempimento di con condanna della medesima al risarcimento del danno in favore dell’attrice per la complessiva somma di Euro 2.500.000,00 o nella diversa maggiore o minore somma che risulterà di giustizia o che il Giudice vorrà stabilire anche in via equitativa.
In ogni caso con vittoria di spese, competenze ed onorari del giudizio”.
La convenuta come da note scritte del 22.5.2024:
“Voglia l’Ill.mo Tribunale di Brescia, contrariis reiectis, così giudicare:
nel merito, in via principale:
previe tutte le declaratorie del caso, respingere, per le ragioni di cui in atti, le domande formulate dalla nei confronti della , in quanto infondate, indimostrate ovvero con ogni migliore o differente formula;
in via istruttoria: ferme le produzioni documentali già rese nell’interesse della , ci si oppone a tutte le istanze istruttorie per l’ammissione delle quali la RAGIONE_SOCIALE
dovesse ancora insistere;
in ogni caso:
con vittoria del compenso professionale e delle spese di vertenza”.
Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione Con atto di citazione ritualmente notificato, il con. a r.l. citava in giudizio (ora deducendo di aver stipulato con la stessa tre distinti contratti:
1) in data 21 ottobre 2014, contratto di appalto per la fornitura di trasloco e facchinaggio con decorrenza immediata dal perfezionamento per una durata indeterminata;
2) in data 6 giugno 2018, rinnovo del contratto di appalto per l’erogazione di servizi di manutenzione degli impianti di allarme e videoregistrazione a circuito chiuso comprensiva della fornitura dei relativi materiali e pezzi di ricambio, con decorrenza dal 1° gennaio 2018 al 31 dicembre 2020, con tacito rinnovo annuale;
3) in data 1 gennaio 2019, contratto relativo alla fornitura del servizio di manutenzione dei mezzi forti in dotazione alle società del gruppo bancario “Unione di Banche ItalianeRAGIONE_SOCIALE, con decorrenza dal 1 gennaio 2019 al 31 dicembre 2021, con tacito rinnovo annuale.
Deduceva, inoltre, che mentre il secondo e il terzo contratto a tempo determinato contenevano una clausola di tacito rinnovo, il primo contratto stabiliva, alla clausola n. 12, il reciproco diritto di recesso delle parti da intimarsi con preavviso di 30 giorni, senza la previsione di una causa di giustificazione e/o un indennizzo.
Precisava l’attrice che con riferimento a tutti e tre i contratti la comunicazione di disdetta inviata dalla convenuta (quanto al primo contratto con comunicazione del 27 novembre 2020;
quanto al secondo con comunicazione del 30 ottobre 2020;
quanto al terzo con comunicazione del 27 novembre 2020) era da ritenersi illegittima per avere la società posto in essere una condotta abusiva consistita nell’essersi approfittata della condizione di dipendenza economica della società attrice.
In particolare, la clausola 12 del primo contratto;
la clausola 12.2 del secondo e la clausola 15 del terzo, non prevedevano, in deroga all’art. 1671 c.c., la corresponsione di alcuna somma, a titolo di ristoro, a favore della parte che subiva il recesso, né la sussistenza di un giusto motivo per dar corso alla disdetta/recesso.
Deduceva inoltre che, sussistendo alcuni indici sintomatici della c.d. dipendenza economica della attrice rispetto alla convenuta, le disdette/recessi inviati dalla convenuta erano da considerarsi:
invalide ed illegittime in quanto indeterminate, prive di indicazione specifica del motivo dell’esercizio della disdetta, comunque non provato.
Erano altresì contrarie a buona fede in considerazione della condotta tenuta dalla convenuta nelle fasi precedenti al recesso, tenuto conto che la società aveva espressamente manifestato l’intenzione di proseguire il rapporto, anche mediante la sottoscrizione di un accordo di riservatezza della durata di due anni (doc. 9);
l’attrice sosteneva costi per dotarsi di mezzi, strumenti e personale per garantire la fornitura in favore della convenuta;
durante i rapporti pregressi di durata rilevante non erano mai state sollevate contestazioni di sorta.
Evidenziava infine che l’attrice aveva subito un danno economico ingente da ristorare mediante il riconoscimento in suo favore del corrispettivo economico previsto contrattualmente oltre alle spese subite per materiali e mezzi, nonché per il mancato guadagno per perdita di possibili clienti.
Chiedeva al Tribunale adito l’accertamento della nullità delle clausole di recesso/disdetta contenute nei contratti inter partes, con conseguente diritto al risarcimento del danno subito ed anche del danno di immagine commerciale/reputazionale, nonché per perdita di chance commerciale.
In subordine, l’accertamento della violazione del principio di correttezza e buona fede ex art. 1175 cc con risarcimento del danno.
Instaurato il contradditorio, si costituiva la società ora , la quale deduceva che nel caso in esame erano carenti gli elementi per ritenere violato l’art. 9 L. n. 192/1998.
Precisava, in particolare, che non sussisteva alcun abuso di dipendenza economica tra le due imprese in vigenza del rapporto contrattuale, né, di conseguenza, abuso o inadempimento da parte dell’impresa asseritamente dominante, né danno causalmente collegato all’abuso della asserita dipendenza.
Rilevava inoltre, in concreto, che parte attrice in ragione della fungibilità dell’attività prestata aveva un vasto bacino di clientela sia nell’abito pubblico che privato;
il fatturato della società era in espansione (da circa € 2.000.000,00 nel corso dell’anno 2015 ad oltre € 4.000.000,00 nel corso dell’anno 2019);
non vi era stato alcun abuso da parte della convenuta che si era limitata a rispettare le previsioni contrattuali anche con riferimento alle modalità e tempistiche di disdetta e recesso;
alcun danno era stato arrecato all’attrice che veniva contestato anche nel quantum.
Chiedeva pertanto al Tribunale di Brescia il rigetto delle domande attoree.
Concessi su richiesta delle parti i termini di cui all’art. 183, 6 comma, c.p.c., la causa veniva rinviata per l’ammissione dei mezzi istruttori.
Ritenuto di non dare ingresso alla prova orale, la causa veniva rinviata per la precisazione delle conclusioni.
All’udienza del 22 maggio 2024 il Gi tratteneva la causa in decisione sulle conclusioni rassegnate dalle parti, con concessione dei termini per il deposito di memorie conclusionali e di replica.
*** La convenuta eccepisce l’inammissibilità ed inutilizzabilità della seconda memoria conclusionale depositata in data 22 luglio 2024 dalla difesa di parte attrice.
Risultano invero in atti due distinte memorie conclusionali (depositate il 20 e il 22 luglio 2024), redatte dai due diversi difensori della parte e di contenuto non sovrapponibile.
Secondo l’insegnamento della Suprema Corte:
“La presenza in giudizio di più difensori della stessa parte non autorizza i medesimi a moltiplicare gli atti tipici previsti dalla legge per la difesa dell’assistito, in quanto il potere di compiere l’atto si riferisce al diritto della parte di difendersi e contraddire, che è unico anche se la parte è assistita da più avvocati.
Pertanto, il deposito della comparsa conclusionale ad opera di un difensore consuma il diritto della parte di compiere l’atto, che non può essere, quindi, duplicato dall’altro difensore della parte stessa, anche a tutela del diritto di difesa della controparte, la quale nutre la legittima aspettativa che la prima comparsa abbia esaurito le difese dell’avversario e che ad essa soltanto occorra rispondere con la memoria di replica” (cfr n. 21472/2012).
In aderenza a tale principio, consegue che nel caso in esame va tenuta in considerazione soltanto la memoria depositata per prima (20 luglio 2024).
Ora, a tale memoria risultano allegati alcuni documenti (allegato n. 1, 2 e 3).
Ferma la mancanza da parte attrice di istanza di rimessione in termini, la produzione del primo documento (provvedimento n. 28289 del 14 luglio 2020 dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato) è da considerarsi tardiva, atteso che la pubblicazione del documento è precedente alle preclusioni istruttorie;
quanto all’allegato 2 si tratta della sentenza pronunciata dalla Corte di Appello di Milano tra l’attrice e (datata 9 giugno 2021), quindi di formazione successiva alle preclusioni istruttorie (e in ogni caso trattasi di sentenze pubblicate), così come il documento n. 3 (datato 7 marzo 2024), costituito da una dichiarazione unilaterale attestante la sussistenza di finanziamenti concessi a parte attrice.
*** Nel merito, le domande attoree sono infondate e devono essere rigettate.
Sostiene l’attrice che il comportamento posto in essere dalla convenuta costituisca abuso di posizione dominante sanzionato dall’art. 9 della legge n. 192/98 in tema di contratto di subfornitura, per aver la convenuta sciolto i tre contratti in essere con l’attrice in forza di clausole di recesso/disdetta da considerarsi illegittime, tenuto conto:
dell’assenza di un termine di preavviso o della incongruità del termine di preavviso di trenta giorni;
della mancanza, in deroga all’art. 1671 c.c., della previsione di corresponsione di alcuna somma, a titolo di ristoro;
dell’insussistenza di un giusto motivo per dar corso alla disdetta/recesso;
della mancanza per l’attrice di reperire alternative sul mercato.
Al contrario, secondo la tesi della convenuta, alcun abuso veniva posto in essere in quanto la società si era limitata a rispettare le previsioni contrattuali anche con riferimento alle modalità e tempistiche di disdetta e recesso.
In diritto si rammenta che, secondo la giurisprudenza, l’art. 9 della legge n. 192/1998 vieta l’abuso da parte di una o più imprese dello stato di dipendenza economica in cui si trovi nei loro confronti un’impresa cliente o fornitrice:
situazione che va ravvisata allorché l’una sia in grado di determinare nei confronti dell’altra un eccessivo squilibrio di diritti e di obblighi, tramite l’imposizione di condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose o tramite l’interruzione arbitraria delle relazioni commerciali in atto, anche in considerazione della difficoltà, per la vittima dell’abuso di reperire sul mercato alternative soddisfacenti (cfr. Cass. civ. n. 16878/2014).
L’abuso di dipendenza economica di cui all’art. 9 della legge 192/1998 è nozione indeterminata, il cui accertamento postula l’enucleazione della causa concreta della singola operazione che il complessivo regolamento negoziale realizza, secondo un criterio teleologico di valutazione, in via di fatto, della liceità dell’interesse in vista del quale il comportamento è stato tenuto.
La dipendenza economica, invero, è la “situazione in cui un’impresa sia in grado di determinare, nei rapporti commerciali con un’altra impresa, un eccessivo squilibrio di diritti e di obblighi.
La dipendenza economica è valutata tenendo conto anche della reale possibilità per la parte che abbia subito l’abuso di reperire sul mercato alternative soddisfacenti”.
Quanto all’abuso, la norma afferma che esso può consistere “nel rifiuto di vendere nel rifiuto comprare, nella imposizione condizioni contrattuali ingiustificatamente gravose o discriminatorie, nella interruzione arbitraria delle relazioni commerciali in atto”.
Il confine tra comportamento “lecito”, anche se gravoso per la controparte, e comportamento “vietato” passa dunque per l’accertamento, in via di fatto, della liceità dell’interesse in vista del quale il comportamento è stato tenuto.
Per questa via, l’atto abusivo può essere privato della sua efficacia o comportare reazioni risarcitorie;
e, tuttavia, ciò non è dato allorché, pur avendo in una relazione contrattuale una parte tenuto condotta non idonea a salvaguardare gli interessi dell’altra, “tale condotta persegua un risultato lecito attraverso mezzi legittimi” (cfr. n. 10568/2013; Cass. n. 8567/2012).
Nell’applicazione della norma è pertanto necessario:
1) quanto alla sussistenza della situazione di “dipendenza economica”, indagare se lo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti sia “eccessivo”, essendo il contraente che lo subisce privo di reali alternative economiche sul mercato (p. es., perché impossibilitato a differenziare agevolmente la propria attività o per avere adeguato l’organizzazione e gli investimenti in vista di quel rapporto);
2) quanto all’“abuso”, indagare la condotta arbitraria contraria a buona fede, ovvero l’intenzionalità di una vessazione perpetrata sull’altra impresa, in vista di fini esulanti dalla lecita iniziativa commerciale retta da un apprezzabile interesse dell’impresa dominante (quale, p. es., modificare le proprie strategie di espansione, adattare il tipo o la quantità di prodotto, o anche spuntare migliori condizioni), mirando la condotta soltanto ad appropriarsi del margine di profitto altrui (cfr. Cass. n. 1184/2020). Al terzo comma del citato art. 9 legge n. 192/1998 è sancita la nullità di ogni patto, attraverso il quale si realizzi l’abuso di dipendenza economica; ne segue, altresì, il risarcimento del danno (cfr, Cass. S.U. n. 24906/2011).
L’art. 9 della legge n. 192/1998 circoscrive le condotte abusive, pur in presenza dei concetti indeterminati che compongono le fattispecie, ma che, appunto, devono essere interpretate e rese concrete dagli interpreti nell’individuazione delle condotte fattuali che integrano violazione del divieto, e non, invece, il legittimo esercizio del diritto d’impresa economica.
L’ordinamento, invero, tutela la libertà d’impresa, anche di quella dominante:
ma ciò, sino al punto in cui essa non usurpi il profitto che, secondo l’iniziale regolamento negoziale, avrebbe dovuto competere alla controparte imprenditoriale, in quanto il comportamento tenuto dall’impresa dominante sia privo di un senso oggettivo e non si possa giustificare sulla base delle necessità dell’impresa, vuoi di tipo economico, vuoi di tipo industriale.
La dipendenza economica non è illecita di per sé;
lo diventa quando la società più forte ne abusi, imponendo alla società più debole proprie condizioni contrattuali penalizzanti.
L’onere della prova di tali presupposti resta a carico dell’attore che invochi le tutele ex art. 9 della legge n. 192/1998 (cfr Cass. n. 1184/2020).
Nel caso in esame, non è in contestazione che le parti abbiano stipulato tre diversi contratti:
in data 21 ottobre 2014 1;
in data 6 giugno 2018 2 e in data 1 gennaio 20193 (doc. 5,6 e 7 convenuta) e che successivamente la convenuta abbia inviato all’attrice altrettante comunicazioni di recesso/disdetta:
quanto al primo contratto in data 27 novembre 2020;
quanto al secondo in data 30 ottobre 2020 e quanto al terzo in data 27 novembre 2020 (doc. 9, 10 e 11 convenuta).
Va premesso, che risulta prodotta dalla stessa attrice sentenza pronunciata in data 9 giugno 2021 dalla Corte di Appello di Milano tra l’attrice ed altro soggetto giuridico ) che tratta un caso analogo a quello in esame (doc. 2 conclusionale).
1 contratto di appalto per la fornitura di trasloco e facchinaggio con decorrenza immediata dal perfezionamento per una durata indeterminata;
2 contratto di appalto per l’erogazione di servizi di manutenzione degli impianti di allarme e videoregistrazione a circuito chiuso comprensiva della fornitura dei relativi materiali e pezzi di ricambio, con decorrenza dal 1° gennaio 2018 al 31 dicembre 2020, con tacito rinnovo annuale;
3 contratto relativo alla fornitura del servizio di manutenzione dei mezzi forti in dotazione alle società del gruppo bancario “Unione di Banche Italiane”, con decorrenza dal 1 gennaio 2019 al 31 dicembre 2021, con tacito rinnovo annuale.
Sia in primo che in secondo grado la domanda attorea di accertamento della illegittimità del recesso esercitato dalla parte convenuta per asserito contrasto con gli artt. 1175 e 1375 c.c. è stata rigettata.
Con specifico riferimento al recesso la Corte meneghina ha affermato che:
“(…) il Tribunale, dopo aver escluso che il recesso fosse avvenuto in modo improprio, ha aggiunto che <>.
Rileva, inoltre, la Corte che non è fondato sostenere che <> (…) anche perché l’art. 1667 c.c., di per sé, non impone alcun termine di preavviso, mentre è pacificamente consentito alle parti <> (Cass. 29.1.2003 n. 1295).
Ma soprattutto, evidenzia la Corte, che tale clausola è stata espressamente sottoscritta dalle parti nel contratto e, quindi, accettata dal ivi prevista la clausola relativa i 30 giorni di preavviso prima di effettuare il recesso”.
Tale impostazione viene condivisa anche da questo Giudice.
Anche nel caso in esame infatti le clausole di recesso/disdetta (n. 12; n. 12.2 e n. 15) dal rapporto contrattuale risultano espressamente sottoscritte dalle parti e pertanto accettate dalla società attrice.
Ne consegue che non può dirsi che il recesso/disdetta dai contratti in essere tra le parti sia avvenuto in modo improprio, ma nel rispetto di quanto previsto contrattualmente.
Tanto premesso, va poi esaminata la documentazione in atti, tenuto conto che secondo la prospettazione attorea prima dello scioglimento del rapporto contrattuale la stessa avrebbe affrontato costi e spese specifiche in previsione della sua prosecuzione;
mentre, all’esito, avrebbe subito una diminuzione dei ricavi, oltre alle difficoltà di reperire sul mercato alternative difficoltà, tutti indici di dipendenza economica da parte della convenuta.
Va evidenziato che a pagina 32 della “Relazione sulla gestione del bilancio al 31.12.2020” (doc. 14 convenuta) in effetti risulta una diminuzione di fatturato della società rispetto all’anno precedente di € 941.448,00, che tuttavia viene specificamente attribuita “all’emergenza epidemiologica causata dal virus covid-19”.
Risulta inoltre che:
“le spese di servizio anche per quest’anno sono state contenute e rappresentano essenzialmente quelle necessarie per il funzionamento della società”.
Con riferimento alla diversificazione dell’attività è precisato che:
“anche per l’anno 2020 il ha mantenuto gli stessi standard competitivi nel proprio settore di mercato e si è ulteriormente inserito nel settore delle telecomunicazioni e fibra ottica, per diversificare l’attività del Più in particolare, con riguardo alla diversificazione dell’attività della società attrice nel mercato, risultano:
acquisizione di commesse nel settore delle telecomunicazioni e ponti radio;
nel settore delle ferrovie per telecamere, fibre ottiche, impianti videosorveglianza;
rinnovo contratto subappalto con Monte Paschi Siena sino al 2024;
rinnovo di tre anni del contratto con Banca Nazionale del Lavoro per sicurezza attiva e passiva allarmi;
collaborazione con per manutenzione per tvcc e allarmi in vari siti in ambito nazionale;
accreditamento presso di ulteriore riconoscimento di categoria merceologica attraverso conseguimento certificazione ISO 27001.
In un tale contesto, la prospettazione di parte attrice di aver subito costi ed esporsi direttamente collegati alla attività oggetto dei contratti sciolti con la convenuta, nonché della impossibilità per l’attrice di reperire alternative sul mercato è risultata sfornita di prova.
Gli asseriti costi sostenuti, peraltro solo genericamente indicati nella perizia di parte (doc. 7 attrice), non possono nemmeno dirsi direttamente riconducibili alla attività prestata dall’impresa con esclusivo riferimento ai contratti oggetto di causa, tenuto conto che la società aveva in essere al 31.12.2020 diversi contratti con varie realtà imprenditoriali a livello nazionale.
Anche a voler prendere in considerazione il contenuto del documento 3 prodotto dall’attrice soltanto in sede di comparsa conclusionale, e datato 7 marzo 2024, di provenienza unilaterale, lo stesso non consente di ritenere che i finanziamenti citatati, peraltro non provati documentalmente, siano stati accesi quale conseguenza diretta della cessazione dei rapporti contrattuali con la convenuta.
Dalla lettura delle relazioni ai bilanci successivi alla interruzione dei rapporti commerciali inter partes risulta una situazione di espansione dell’impresa attrice nel mercato e la diversificazione dell’oggetto delle attività e dei servizi prestati in favore di importanti società (Banca ***, ***, Oltre ai dati esaminati nel bilancio, la stessa attrice produce in allegato alla seconda memoria istruttoria fatture emesse nei confronti di altri soggetti giuridici per i servizi prestati, diversi dalla società convenuta, ad ulteriore dimostrazione del fatto che vi erano ulteriori contratti in essere tra l’attrice e altre società oltre a quelli per cui è causa. In concreto, non sussistono elementi idonei dai quali è evincibile né l’illegittimità del recesso/disdetta posto in essere, nè la sussistenza di alcuno degli indici di dipendenza economica della società attrice rispetto alla convenuta.
Va pertanto escluso che nella specie ricorrano gli estremi dell’abuso di posizione dominante.
Tanto premesso, la domanda attorea di invalidità delle clausole di recesso/disdetta non può essere accolta, con conseguente rigetto della domanda risarcitoria.
In ogni caso, con specifico riferimento alla quantificazione del danno di € 2.500.000,00, non è provato che gli eventuali costi sostenuti dall’attrice (investimenti specifici in termini di personale, attrezzature, corsi di formazione), peraltro non compiutamente allegati, siano causalmente collegati alla interruzione dei rapporti inter partes, tenuto conto dell’esistenza di plurimi contratti in essere con altre società.
Ancor meno fondata è la domanda risarcitoria per preteso “danno di immagine commerciale/reputazionale”, non documentato al di là di affermazioni del tutto generiche con riguardo all’ipotizzata difficoltà di reperire partner commerciali4, peraltro smentita all’esito dell’analisi documentale, laddove risulta che l’attrice avesse in essere contratti con diverse realtà imprenditoriali a livello nazionale non solo al momento del recesso, ma anche negli anni successivi.
In definitiva, la domanda principale svolta dall’attrice va rigettata.
Va poi esaminata la domanda svolta in subordine dall’attrice per l’asserita violazione dei principi di correttezza, buona fede e abuso del diritto da parte della convenuta al momento del recesso/disdetta dei contratti in essere.
4Pag. 15 citazione:
“Gli altri attori commerciali potrebbero, infatti, essere indotti a ritenere che l’interruzione delle suddette relazioni commerciali sia dovuta ad un inadempimento, ad una negligenza o, comunque, ad una non esatta esecuzione delle prestazioni da parte di , con conseguente danno all’immagine commerciale di quest’ultima”.
A tal proposito, va ribadito che le modalità di attuazione di recesso/disdetta dai contratti venivano stabilite su accordo delle parti.
In specie, non risulta che le parti abbiano previsto la sussistenza di uno o più specifici motivi per poter recedere dal vincolo contrattuale, con la conseguenza che le motivazioni addotte dalla convenuta nelle comunicazioni di interruzione del rapporto non incidono al fine della valutazione se lo scioglimento del rapporto sia intervenuto o meno secondo buona fede.
Era pertanto nelle facoltà della convenuta esercitare unilateralmente il diritto di recedere dal contratto, senza preavviso o con preavviso di 30 giorni, non ancorato ad alcuna specifica condizione.
Con riguardo all’abuso del diritto va richiamato il principio giurisprudenziale della Suprema Corte:
“Si ha abuso del diritto quando il titolare di un diritto soggettivo, pur in assenza di divieti formali, lo eserciti con modalità non necessarie ed irrispettose del dovere di correttezza e buona fede, causando uno sproporzionato ed ingiustificato sacrificio della controparte contrattuale, ed al fine di conseguire risultati diversi ed ulteriori rispetto a quelli per i quali quei poteri o facoltà furono attribuiti.
Ricorrendo tali presupposti, è consentito al giudice di merito sindacare e dichiarare inefficaci gli atti compiuti in violazione del divieto di abuso del diritto, oppure condannare colui il quale ha abusato del proprio diritto al risarcimento del danno in favore della controparte contrattuale, a prescindere dall’esistenza di una specifica volontà di nuocere, senza che ciò costituisca una ingerenza nelle scelte economiche dell’individuo o dell’imprenditore, giacché ciò che è censurato in tal caso non è l’atto di autonomia negoziale, ma l’abuso di esso” (cfr Cass. n. 20106/2009).
Nel caso in esame, per le ragioni sopra esposte, non è emerso che l’attrice abbia subito uno sproporzionato ed ingiustificato sacrificio all’esito dello scioglimento dei rapporti contrattuali con la convenuta (la documentazione in atti rivela una diversificazione nel mercato e la sussistenza di ulteriori contratti in essere con altre società a livello nazionale sia al momento del recesso che successivamente), né è stato dimostrato in concreto che la facoltà di recesso/disdetta sia stata esercitata per finalità diverse da quelle per le quali essa era stata pattuita. In un tale contesto, il recesso/disdetta della convenuta non può dirsi avvenuto in violazione dei principi di buona fede e correttezza, né di abuso del diritto.
Pertanto, anche tale domanda non può essere accolta con conseguente assorbimento della richiesta risarcitoria.
Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate in € 10.860,00, oltre rimborso forfettario (15%), cpa ed iva, in applicazione dei parametri forensi, valore indeterminato complessità media.
In proposito, si precisa che ai fini della determinazione dello scaglione degli onorari di avvocato per la liquidazione delle spese di lite a carico della parte la cui domanda di pagamento di somme o di risarcimento del danno sia stata rigettata, “il valore della causa, che va determinato in base al “disputatum”, deve essere considerato indeterminabile quando, pur essendo stata richiesta la condanna di controparte al pagamento di una somma specifica, vi si aggiunga l’espressione “o di quella maggiore o minore che si riterrà di giustizia” o espressioni equivalenti, poiché, ai sensi dell’art. 1367 c.c., applicabile anche in materia di interpretazione degli atti processuali di parte, non può ritenersi, “a priori” che tale espressione sia solo una clausola di stile senza effetti, dovendosi, al contrario, presumere che in tal modo l’attore abbia voluto indicare solo un valore orientativo della pretesa, rimettendone al successivo accertamento giudiziale la quantificazione” (Cassazione civile sez. I, 26/04/2021, n.10984).
Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone:
Rigetta le domande attoree Condanna l’attrice a rimborsare alla parte convenuta le spese di lite di lite, che si liquidano come in parte motiva.
Brescia, 6 novembre 2024
Il Giudice NOME COGNOME
La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di
Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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