REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
La Corte di Appello di Bari – Sezione per le controversie in materia di lavoro, previdenza e assistenza – composta dai Magistrati:
ha emesso la seguente
SENTENZA n. 2397/2022 pubblicata il 04/01/2023
nella controversia iscritta nel R.G. al numero sopra indicato;
TRA
– XXX
-Appellante-
E
– ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE – I.N.P.S., in persona del l.r.p.t., con sede in Roma, rappresentato e difeso dagli avv.ti -Appellato- ***
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Con sentenza definitiva n. 240/2020 resa in data 21.01.2020, il Tribunale del lavoro di Foggia ha accolto parzialmente la domanda proposta da XXX e – dichiarato il diritto del medesimo a percepire l’indennità di disoccupazione agricola per l’anno 2016 e per 102 giornate – ha condannato l’Inps al pagamento in suo favore della somma di € 2.146,90, oltre accessori con la decorrenza di legge.
1.1 Il Tribunale ha ritenuto, in sintesi, che la richiesta degli ANF non potesse trovare accoglimento, in quanto priva di qualsiasi allegazione, essendosi la parte limitata ad allegare al ricorso un prospetto illustrativo degli importi reclamati e non avendo, comunque, fornito prova degli elementi costitutivi della prestazione invocata (familiari a carico e situazione reddituale).
Ha osservato, inoltre, che tale lacuna non poteva essere supplita « né da quanto dichiarato in sede amministrativa dall’interessato, né dalla mancata contestazione dell’Inps sul punto, (essendo strettamente collegata, la non contestazione, alla puntuale allegazione di parte ricorrente)».
La sentenza ha, infine, disposto l’integrale compensazione delle spese di lite, in ragione sia del parziale accoglimento della domanda, sia della «circostanza che la domanda introduttiva del (…) giudizio avrebbe potuto essere proposta unitamente a quella relativa al riconoscimento del diritto all’iscrizione per il medesimo anno, per cui sono state domandate le prestazioni previdenziali».
2. Avverso detta sentenza ha interposto appello il XXX, con ricorso depositato in data 29.06.2020, criticando la tesi sostenuta dal giudice di primo grado e chiedendo l’accoglimento della propria domanda.
L’INPS ha resistito al gravame con apposita memoria.
Con ordinanza del 06.10.2022, la Corte ha disposto l’acquisizione della sentenza emessa dal Tribunale di Foggia n.5126/2018, con la quale è stato riconosciuto il diritto dell’OTD all’iscrizione per l’anno 2016 per 102 gg. e del certificato di stato di famiglia dell’appellante, risalente all’epoca della presentazione della domanda amministrativa.
Acquisiti i documenti prodotti dalle parti nonché il fascicolo del giudizio di primo grado, all’odierna udienza – previa trattazione della controversia tempestivamente disposta per iscritto, ai sensi dell’art. 221, 4° co., d.l. 19 maggio 2020, n. 34 (Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da Covid-19), convertito, con modificazioni, in l. 17 luglio 2020, n. 77 – si è svolta la camera di consiglio fra i Magistrati del Collegio composto in base alla tabella della Corte, dopodiché si è proceduto alla pubblicazione del dispositivo in forma cartacea mediante deposito in Cancelleria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
3. Con il primo motivo l’appellante lamenta la violazione degli artt. 2 del d.l. n. 69 del 1988 e 115 c.p.c., censurando la sentenza gravata nella parte in cui ha respinto la domanda diretta ad ottenere la condanna dell’Inps al pagamento degli assegni per il nucleo familiare, in ragione della ritenuta mancanza di prova dei prescritti requisiti.
Deduce che l’Ente previdenziale nulla aveva eccepito in ordine ai presupposti per l’erogazione di detta prestazione, evidenziando altresì che il ricorso di prime cure era corredato dalla domanda di disoccupazione agricola per il 2016 e che in essa erano indicati il numero dei componenti del nucleo familiare ed i dati reddituali.
3.1 Il motivo è fondato.
A ben vedere, il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, come fondatamente lamentato in sede di gravame, richiama espressamente la domanda amministrativa datata 13 marzo 2017.
In essa sono contenute le prescritte autocertificazioni in ordine ai componenti del nucleo familiare (il coniuge ***: v. sezione 2/6) ed alla situazione reddituale sia del richiedente che del familiare (v. sezione 4/6).
Nel conteggio inserito a pag. 3 dell’atto introduttivo, inoltre, questi elementi sono stati puntualmente richiamati, giacché in esso si fa riferimento sia al “coniuge a carico” sia agli importi dei redditi dichiarati per il 2016.
In questa sede è stato prodotto il certificato di stato di famiglia del XXX all’epoca della presentazione della domanda amministrativa, che conferma la composizione del nucleo familiare nei termini indicati nel ricorso introduttivo.
3.2 Si tratta di circostanze di fatto mai contestate in prime cure – e neppure in questo grado – da parte dell’Inps, sul quale incombeva l’onere di prendere posizione non solo sulle circostanze espressamente allegate in sede di ricorso, ma anche sul contenuto della documentazione prodotta e richiamata nell’atto introduttivo a supporto della domanda odierna, trattandosi di documenti a suo tempo inoltrati allo stesso Istituto.
È opportuno aggiungere che il conteggio relativo agli assegni non è stato oggetto di alcuna censura da parte dell’Istituto previdenziale, sicché la somma ivi indicata (ossia 557,76 euro) deve ritenersi del tutto pacificamente spettante all’assicurato.
4. A mezzo del secondo motivo, il XXX denuncia l’erroneità della sentenza nella parte in cui ha disposto la compensazione integrale delle spese, oltre che per il parziale accoglimento della pretesa, in ragione anche della circostanza che la parte avrebbe potuto proporre il ricorso volto ad ottenere la prestazione unitamente alla domanda finalizzata a conseguire l’affermazione del diritto del lavoratore agricolo all’iscrizione del proprio nominativo negli elenchi anagrafici del comune di residenza.
L’appellante ha giustificato la propria scelta di instaurare due distinti giudizi alla stregua – per un verso – delle differenze strutturali e funzionali tra le controversie e – per altro verso – della differente regolamentazione legislativa dei rimedi amministrativi avverso i provvedimenti, rispettivamente, di cancellazione dei braccianti agricoli dagli elenchi anagrafici e di diniego nei loro confronti dell’indennità di disoccupazione agricola; ha aggiunto che egli, in prime cure, aveva tutti i requisiti per ottenere l’indennità di disoccupazione agricola e che, soltanto, in un momento successivo, ovverossia con la pubblicazione degli elenchi di variazione, era intervenuta la cancellazione telematica del suo nominativo, cui era seguita l’impugnazione giudiziale.
4.1 Il motivo è infondato.
5. La tesi dell’appellante è che, per la diversità dei tempi e dei termini, anche decadenziali (centoventi giorni dal provvedimento definitivo di disconoscimento o cancellazione per l’accredito delle giornate lavorative; un anno, ai sensi dell’art. 47 del d.p.r. n. 639/70, per il pagamento delle prestazioni temporanee), egli sarebbe stato costretto a coltivare le azioni in maniera autonoma.
Sennonché questa interpretazione della parte attrice postula la necessità di entrambe le controversie e configura una dicotomia che, a ben vedere, non sussiste.
E’ vero che l’iscrizione negli elenchi nominativi dei lavoratori agricoli costituisce una situazione giuridica abilitante, che è autonomamente tutelabile in sede prima amministrativa e poi giudiziaria; ma è pure vero che, circa la consistenza del numero delle giornate e, quindi, del monte contributivo del lavoratore agricolo, è ammissibile l’accertamento incidentale da parte del giudice adito per il pagamento di una prestazione (Cass. 15.7.2005, n. 14994).
In altre parole, non vi è antecedenza logico-giuridica della controversia avente come oggetto l’accredito delle giornate disconosciute o cancellate rispetto alla controversia concernente l’indennità di disoccupazione, malattia o maternità; tanto che quest’ultima non deve essere sospesa in attesa dell’esito dell’altra e, pendendo i due processi dinanzi allo stesso giudice, se ne dovrebbe disporre la riunione, ai sensi dell’art. 151 disp. att. c.p.c.
Così acclarata l’autosufficienza di ciascuna controversia avente come oggetto le prestazioni spettanti al lavoratore agricolo, ne deriva che, ove questi si orienti per la previa introduzione della controversia finalizzata al mero accertamento e all’accredito delle giornate, da un lato, tale iniziativa processuale è ammissibile ed è sorretta dall’interesse di stabilizzare la consistenza del conto assicurativo, in vista di qualsiasi successiva prestazione previdenziale, dall’altro, però, non risulta censurabile la compensazione delle spese processuali disposta dal giudice della seconda controversia, cioè quella finalizzata al pagamento di una indennità, in considerazione della medesimezza dell’unico motivo di contrasto fra le parti in entrambe le cause.
5.1 Tanto più che, nel caso di specie, l’attenta disamina degli atti di causa smentisce l’assunto dell’appellante in ordine alla sopravvenienza della cancellazione rispetto all’introduzione del giudizio finalizzato ad ottenere l’indennità di disoccupazione agricola, per la quale ha dedotto che era in possesso di tutti i requisiti prescritti dalla legge.
Risulta, di contro, che il giudizio avente ad oggetto la cancellazione delle giornate di lavoro in agricoltura e la conseguenziale richiesta di reiscrizione negli elenchi anagrafici risulta iscritto al ruolo ad un numero precedente (n. 522/2018 r.g.) rispetto a quello assegnato al presente giudizio in primo grado (n.3421/2018 r.g.) e che l’accoglimento della domanda volta ad ottenere la prestazione temporanea oggetto di causa è dipesa proprio dall’accoglimento della domanda finalizzata a conseguire l’iscrizione del XXX negli elenchi nominativi intervenuto con la sentenza emessa dal Tribunale di Foggia in data 25 settembre 2018 (v. sent. n. 5126/2018). Pertanto, nel momento in cui la parte ha promosso l’autonomo giudizio per il pagamento della prestazione, l’accertamento del presupposto indispensabile – ossia l’iscrizione negli elenchi per l’anno in questione – era ancora in contestazione sub judice, essendo pacificamente la sentenza di accertamento del diritto, allegata dal ricorrente, sopravvenuta in corso di causa, circostanza che giustifica e sorregge la decisione del primo giudice in punto di spese.
Nella citata pronuncia si precisa che il ricorrente aveva appreso che le giornate di lavoro originariamente riconosciute dall’Inps erano state successivamente disconosciute tramite la consultazione del secondo elenco nominativo trimestrale di variazione del 2017 (si trattava, dunque, dell’elenco pubblicato nel mese di settembre del 2017).
5.2 Per di più, non risultando che contro la cancellazione XXX abbia proposto ricorso alla commissione provinciale ai sensi dell’art. 11, comma 1, della l. n. 375 del 1993, il termine di 120 giorni per la proposizione della domanda giudiziaria volta ad ottenere l’iscrizione (v. art. 22 del d.l. n. 7 del 1970, conv. in l. n. 83 del 1970) ha iniziato a decorrere il 31.10.2017, ossia trascorso il termine di 30 giorni dalla scadenza dei trenta giorni successivi alla comunicazione del provvedimento di iscrizione, cancellazione o mancata iscrizione, con scadenza in data 28.02.2018.
Quanto alla domanda di disoccupazione, dopo aver inutilmente presentato la domanda di disoccupazione il 13.03.2017, XXX (insieme ad altri lavoratori), trascorsi inutilmente 120 giorni (ossia con la formazione di silenzio-rifiuto ex art. 7 della l. n. 533 del 1973), ha presentato ricorso al comitato provinciale mediante lettera raccomandata del 16 ottobre 2017 recapitata il giorno 19 dello stesso mese.
Trascorsi, quindi, ulteriori 90 giorni dal silenzio-rigetto (v. art. 46, comma 6, della l. n. 88 del 1989), quindi, dal 17.01.2018 ha iniziato a decorrere il termine annuale per la proposizione del ricorso all’autorità giudiziaria.
5.3 È chiaro, dunque, che la parte ben avrebbe potuto esperire congiuntamente le due azioni, giacché al momento della formazione del provvedimento definitivo sulla richiesta di pagamento dell’indennità di disoccupazione non era ancora scaduto il termine decadenziale di 120 giorni di cui all’art. 22 del d.l. n. 7 del 1970 per la proposizione della domanda di reiscrizione negli elenchi nominativi dei lavoratori agricoli.
Ancorché i due giudizi avessero un diverso petitum, è indubbio che la causa petendi era la stessa (ossia aver prestato attività lavorativa e aver diritto all’iscrizione negli elenchi anagrafici dei lavoratori agricoli nell’anno 2016), sicché risulta irragionevole la scelta della parte di intraprendere, entro un così breve arco temporale, due distinte azioni.
Tale comportamento, contrario anche alle regole di lealtà e probità (art. 88 c.p.c.), si è tradotto in un inutile dispendio di attività processuali e, di fatto, ha avuto il solo risultato di esporre l’Inps a un maggior aggravio di spese.
5.4 Né depone in senso favorevole all’appellante il fatto che la fattispecie in disamina sia ratione temporis sottoposta al regime di cui all’art. 92 cod. proc. civ., sì come risultante dalle modifiche recate dal decreto legge n. 132/2014, atteso che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 77/2018, ha allargato le maglie della regola della compensazione delle spese processuali, reputandola legittima, oltre che nel caso della soccombenza reciproca, anche nelle ipotesi di assoluta novità della questione trattata, di mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti o nelle ipotesi di sopravvenienze relative a questioni dirimenti ed in quelle di assoluta incertezza che presentino la stessa, o maggiore, gravità ed eccezionalità delle ipotesi tipiche espressamente previste dall’articolo 92, comma 2, cod. proc. civ..
In tal modo è stata sostanzialmente rinvigorita la portata della clausola generale previgente, che consentiva la compensazione giudiziale delle spese processuali a fronte di quelle “gravi ed eccezionali ragioni” nel cui novero, ad avviso di questa Corte, devono senz’altro farsi rientrare le condotte di abuso dello strumento processuale.
Al riguardo è sufficiente richiamare quanto statuito dalla Suprema Corte, anche rispetto alle fattispecie sottoposte, ratione temporis, alle modifiche di cui al D.L. n. 132/2014, in tema di equa riparazione ai sensi della L. n. 89 del 2001 ma alla stregua di un principio generale che si attaglia perfettamente all’ipotesi in disamina e che consente di sanzionare con la reductio ad unum delle spese processuali le condotte di abuso dello strumento processuale analoghe a quella di cui è causa [nel caso specifico i giudici di legittimità hanno affermato che la condotta di più soggetti che contemporaneamente presentino distinti ricorsi con identico patrocinio legale, dando luogo a cause inevitabilmente destinate alla riunione, in quanto connesse per l’oggetto ed il titolo, si configura come abuso del processo, contrastando con l’inderogabile dovere di solidarietà che impedisce di far gravare sullo Stato debitore il danno derivante dall’aumento degli oneri processuali, e con il principio costituzionale della ragionevole durata del processo, avuto riguardo all’allungamento dei tempi processuali derivante dalla proliferazione non necessaria dei procedimenti; hanno aggiunto che tale abuso non è sanzionabile con l’inammissibilità dei ricorsi, non essendo illegittimo lo strumento adottato ma le modalità della sua utilizzazione, ma impone, per quanto possibile, l’eliminazione degli effetti distorsivi che ne derivano e, quindi, “la valutazione dell’onere delle spese come se il procedimento fosse stato unico fin dall’origine” (Cass., Sez. 1^, n. 10634/2010), reputando del tutto giustificata la disposta compensazione perché, nonostante i procedimenti non fossero stati riuniti, tuttavia egualmente era stato consumato un abuso del processo che non poteva che essere rilevante al momento della liquidazione delle spese (così Cass. Sez. 2, Ord. n. 20834 del 2017)].
5.5 Del resto, diversamente opinando, si permetterebbe un sistematico raddoppio di costi processuali a carico e in danno dell’ente gestore, che è l’effetto negativamente valutato dal Tribunale del lavoro di Foggia e sotteso alla formula utilizzata nella sentenza impugnata per legittimare la pronuncia ex art. 92, 2° co., c.p.c.
— 6. Alla luce delle esposte considerazioni, in definitiva, l’appello dev’essere accolto per quanto di ragione e, per l’effetto, in parziale riforma della sentenza impugnata, dichiarato il diritto di XXX ad ottenere gli assegni per il nucleo familiare per l’anno 2016, l’Inps va condannato al pagamento in favore del medesimo della somma di 557,6 euro, oltre interessi nei limiti di legge, resta assorbita ogni altra questione.
Si conferma nel resto l’impugnata sentenza.
Le spese di entrambi i gradi di giudizio devono essere compensate sia per le ragioni in
precedenza enunciate in ordine alla indebita duplicazione dei giudizi sia in considerazione del parziale accoglimento del gravame.
P.M.Q.
La Corte di appello di Bari, sezione lavoro, definitivamente pronunciando sull’appello proposto da XXX, con ricorso depositato in data 29.06.2020 avverso la sentenza emessa dal Tribunale del lavoro di Foggia in data 21.01.2020 nei confronti dell’INPS, in persona del l.r.p.t., così provvede:
1) accoglie l’appello per quanto di ragione e, per l’effetto, in parziale riforma della sentenza impugnata, dichiara il diritto di XXX a percepire gli assegni per il nucleo familiare per l’anno 2016;
2) condanna l’Inps a pagare in favore dell’appellante la somma di €. 557,76 euro, oltre accessori come per legge;
3) compensa integralmente tra le parti le spese di entrambi i gradi di giudizio;
4) conferma, nel resto, l’impugnata sentenza. Così deciso in Bari, il 19 dicembre 2022.
Il Presidente
Il G.A. Estensore
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Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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