Repubblica Italiana
In nome del popolo italiano
CORTE DI APPELLO DI ROMA
SEZIONE CONTROVERSIE LAVORO, PREVIDENZA E ASSISTENZA OBBLIGATORIA
La Corte, composta dai seguenti magistrati:ha pronunciato, mediante lettura del dispositivo, all’udienza del 14/05/2021 la seguente
SENTENZA n. 2016/2021 pubbl. il 19/05/2021
nella controversia in materia di lavoro in grado di appello iscritta al n. del Ruolo Generale Affari Contenziosi dell’anno 2019 vertente
TRA
XXX , YYY , ZZZ, KKK , JJJ , QQQ , PPP rappresentati e difesi come in atti dall’Avv.
APPELLANTE
E
OOO SPA rappresentati e difesi come in atti dall’avv.
APPELLATO
Oggetto: appello avverso la sentenza 9061/2018 pubblicata in data 22/11/2018 Conclusioni: come da scritti difensivi
Fatto e diritto
Con ricorso in appello avverso la sentenza in oggetto riportata i dipendenti ZZZ, XXX, YYY, KKK, JJJ, QQQ e PPP chiedevano accertarsi la inefficacia , nei loro confronti, della disdetta unilaterale degli accordi aziendali istitutivi e regolativi delle indennità ERS, ERG, dell’indennità mensile e dell’indennità base mensile per essere, essi, dissenzienti rispetto agli accordi abrogativi e , invece, aderenti ad organizzazione sindacale non firmataria ; chiedevano per l’effetto accertarsi il diritto al riconoscimento delle indennità illegittimamente soppresse con la condanna di OOO ai relativi pagamenti. Censuravano la sentenza laddove , pur riconoscendo la inapplicabilità del nuovo accordo , aveva escluso che sussistesse la prova del carattere peggiorativo degli accordi sopravvenuti rispetto alla disciplina previgente . Chiedevano disporsi CTU contabile al fine della verifica del carattere peggiorativo degli accordi sopravvenuti .
Costituitasi in giudizio, OOO spa contestava la fondatezza delle domande, di cui chiedeva il rigetto con la conferma dell’impugnata sentenza .
Gli appellanti censuravano la decisione di primo grado, lamentando che il Tribunale avesse erroneamente motivato, laddove , pur avendo ammesso , in via di principio , che i nuovi accordi sindacali non potevano applicarsi ai ricorrenti, in quanto non iscritti ad un’organizzazione sindacale stipulante, anzi iscritti ad una organizzazione espressamente dissenziente, aveva affermato che mancasse la prova del trattamento deteriore .
MOTIVI DELLA DECISIONE
In via preliminare va evidenziato – in continuità con altre precedenti pronunzie di questa Corte sullo stesso thema decidendum – che, ai sensi dell’art. 36 Cost., i minimi retributivi previsti dal contratto collettivo esprimono entrambi i principi costituzionali della sufficienza e della proporzionalità.
Pertanto, tutto ciò che viene previsto in eccedenza rappresenta solo lo specifico risultato dell’attività sindacale, conseguito mediante variabili “rivendicazioni” e “piattaforme” oggetto di specifiche trattative per il rinnovo dei contratti collettivi di qualsiasi livello, nell’esercizio di quell’attività sindacale garantita in termini di libertà dall’art. 39 Cost.
Il fatto che indennità mensile, indennità base mensile ed elemento di riordino salariale (ERS) prima fossero voci corrisposte in misura fissa, mentre con l’accordo sindacale aziendale in esame sono state abolite e contestualmente reintrodotte come voci legate all’effettiva presenza in servizio, con un’alterazione della loro natura, è del tutto irrilevante. Infatti, come è noto, le scelte di autonomia collettiva sono insindacabili da parte del giudice, anche e soprattutto in virtù del ricordato principio costituzionale di libertà sindacale (art. 39 Cost.), che comprende pure quello di libertà di attività sindacale, a sua volta riferibile alla scelta, riservata in via esclusiva alle organizzazioni sindacali, dei contenuti da dare alla trattativa e quindi al contratto collettivo da stipulare in un determinato momento storico ed in un determinato contesto economico-produttivo.
Ed allora, nel complessivo disegno di riordino della “giungla” retributiva dei dipendenti OOO, le parti sociali hanno voluto ristrutturare le voci retributive e legarle in ogni caso alla presenza in servizio. In tale ottica, unita a quella del conseguimento di un risparmio di spesa per il personale, la clausola 6) dell’accordo sottoscritto in data 27.6.14 , oggetto della presente impugnativa, è valida.
Con quest’ultima, infatti, validamente si tiene conto del fatto che taluni dipendenti godevano di trattamenti individuali di miglior favore, per cui solo rinunziando a questi ultimi, con la procedura ex art. 2113 ult. co. c.c., avrebbero acquistato il diritto alle voci ERA 2 ed ERA2.
In conformità a plurimi precedenti di questa Corte ( tra gli altri v. sent. n. 1056/2019), che si richiamano ex art. 118 disp. att. c.p.c., deve rilevarsi che il punto 6) dell’accordo sindacale del 27.6.2014 non viola né l’art. 2077, co. 2^, c.c. (secondo cui le clausole individuali più favorevoli ai lavoratori, che trovano fonte nel contratto individuale, possono essere modificate solo consensualmente dalle parti) né l’art. 1372 c.c. (secondo cui il contratto può essere sciolto solo per mutuo consenso o per le altre cause previste dalla legge): l’assegno ad personam riconosciuto individualmente agli appellanti non è stato in alcun modo intaccato dal predetto accordo, tanto è vero che continuano a percepirlo, non avendo consentito a sottoscrivere la transazione contenente la rinunzia ad esso in cambio del riconoscimento delle nuove indennità ERA1 ed ERA2.
Per contro, diversamente da quanto opinato dagli appellanti si controverte nella presente fattispecie di voci retributive accessorie, che fuoriescono dall’ambito della garanzia di sufficienza e di proporzionalità ex art. 36 Cost. ed altresì dall’ambito della garanzia di tutela della professionalità, sul punto nient’affatto incisa.
In definitiva, le parti sociali hanno compiuto una valutazione di sostanziale equivalenza fra i trattamenti individuali di miglior favore già in atto e le voci ERA1 ed ERA2, sicché è stata lasciata ai singoli lavoratori la seguente scelta: o mantenere i primi e non acquistare i secondi, oppure rinunciare ai primi e così acquistare i secondi. Peraltro, opinando il Collegio diversamente dal Tribunale nella presente fattispecie, in tema di successione nel tempo fra contratti collettivi sono ammissibili pure modifiche in peius per i lavoratori, con il solo limite dei diritti quesiti, sicché il lavoratore non può pretendere di mantenere un diritto derivante da una clausola collettiva non più esistente, atteso che questa non si incorpora nel contratto individuale, ma opera dall’esterno come fonte regolatrice del rapporto di lavoro, concorrente con la fonte individuale; pertanto le precedenti disposizioni collettive non sono suscettibili di essere conservate secondo il criterio del trattamento più favorevole ex art. 2077 c.c., che riguarda il diverso rapporto fra contratto collettivo e contratto individuale (Cass. n. 13960/2014); l’unico limite è quello dei diritti quesiti, da intendere come diritti già entrati nel patrimonio del lavoratore, come ad esempio i corrispettivi di prestazioni già rese, e non anche quelle situazioni future o in corso di consolidamento, che sono autonome e suscettibili come tali di essere differentemente regolate (Cass. n. 3982/2014); l’applicabilità in via generale dei nuovi accordi non viene contestata neppure dai lavoratori , che tuttavia deducono che, in quanto aderenti alla SUL , organizzazione che non aveva sottoscritto tali accordi ed anzi aveva manifestato il suo dissenso, nei loro confronti non poteva essere applicata tale disciplina; ma ciò è proprio quanto avvenuto, atteso che OOO spa, nei loro confronti, non ha riconosciuto le nuove voci retributive ERA1 ed ERA2, introdotte proprio dai nuovi accordi sindacali aziendali. Peraltro l’accordo “in sede protetta” ex art. 2113, ult. co., c.c. è previsto dall’accordo sindacale aziendale al fine di realizzare una valida rinunzia a trattamenti di miglior favore, previsti dal contratto individuale, altrimenti irrealizzabile sul piano della validità giuridica; come contropartita si riconosce l’acquisto, nei confronti del datore di lavoro, dei diritti alle voci retributive accessorie ERA1 ed ERA2. Dunque le reciproche concessioni – tipiche della transazione ex art. 1965 c.c. – vi sono: il dipendente rinunzia all’assegno ad personam e sul datore di lavoro sorge in tal modo l’obbligo di pagare ERA1 ed ERA2, dalle quali, altrimenti, sarebbe esonerato. Tale meccanismo non integra alcuna illiceità funzionale.
Infatti, la causa dell’accordo sindacale aziendale in esame non è illecita, in quanto, al contrario, essa persegue interessi meritevoli di tutela: riordino del sistema retributivo, razionalizzazione della spesa per il personale, conseguente migliore monitoraggio del costo del lavoro ed un possibile risparmio di spesa. Peraltro, l’attribuzione delle voci ERA1 ed ERA2 è sì condizionata alla rinunzia all’assegno ad personam, ma tale condizione è stata apposta non dal datore di lavoro, bensì dall’accordo sindacale aziendale, per perseguire interessi meritevoli di tutela. Dunque nessuna causa illecita è ravvisabile.
L’appello è dunque infondato e pertanto va rigettato.
Con il primo motivo gli appellanti denunziano infatti l’erroneità della motivazione, laddove il Tribunale da un lato ha ammesso in via di principio che i nuovi accordi sindacali non possono applicarsi ai ricorrenti, in quanto non iscritti ad un’organizzazione sindacale stipulante, anzi iscritti ad una espressamente dissenziente; dall’altro ha affermato erroneamente che mancasse la prova del carattere deteriore del nuovo trattamento retributivo . E’ ben vero che la giurisprudenza di legittimità ha affermato che gli accordi sindacali aziendali hanno efficacia erga omnes, con l’unica eccezione di quei lavoratori che, aderendo ad organizzazioni sindacali diverse, ne condividano l’esplicito dissenso dall’accordo, potendo essere vincolati da un accordo separato (Cass. n. 6044/2012; Cass. n. 10353/2004);
Tuttavia dovendosi escludere l’applicazione dei predetti nuovi accordi, gli appellanti avevano diritto solo a mantenere i trattamenti individuali e gli assegni ad personam già in godimento, ciò che è proprio quanto avvenuto. Nella successione di contratti collettivi nel tempo sono infatti legittime le modificazioni in peius, con l’unica salvezza dei diritti quesiti, nella specie non configurabili.
Gli appellanti lamentano l’omessa considerazione del fatto che, comunque, la regola della legittimità di previsioni peggiorative da parte del nuovo contratto collettivo si applica sul presupposto dell’applicabilità soggettiva del precedente e del nuovo contratto collettivo. Assumono che, invece, nel caso in esame il nuovo accordo sindacale aziendale non è applicabile nei loro confronti, in quanto essi non sono iscritti ad alcuna organizzazione sindacale stipulante, ed anzi risultano iscritti ad un’altra organizzazione espressamente dissenziente.
Il motivo è inidoneo a determinare la riforma della sentenza impugnata.
Con i nuovi accordi sindacali sono stati espressamente abrogati gli accordi precedenti.
Quello che gli odierni appellanti non percepiscono più, a seguito del predetto accordo sindacale, sono le vecchie indennità mensile, indennità base mensile, elemento di riordino salariale, indennità quadro con incarico di posizione, indennità di presenza, indennità di ristrutturazione, le quali sono state sostituite dalle nuove voci ERA1 ed ERA2. Pertanto, non si è in presenza di una clausola individuale più favorevole modificata da un accordo sindacale aziendale, bensì di un accordo sindacale aziendale che ha modificato un accordo precedente, sopprimendo alcune indennità accessorie alla retribuzione base ed introducendone di nuove, subordinate alla presenza di alcune condizioni.
In definitiva, le parti sociali hanno compiuto una valutazione di sostanziale equivalenza fra i trattamenti individuali di miglior favore già in atto e le voci ERA1 ed ERA2, sicché è stata lasciata ai singoli lavoratori la seguente scelta: o mantenere i primi e non acquistare i secondi, oppure rinunciare ai primi e così acquistare i secondi.
Non può d’altronde ritenersi che il datore di lavoro sia obbligato a mantenere applicabile il precedente accordo sindacale, perché è da escluderne l’applicabilità a tempo indefinito, in quanto la stipula del nuovo accordo sindacale implica un nuovo equilibrio degli interessi collettivamente intesi e comunque nei nuovi accordi aziendali è espressamente prevista l’abrogazione di quello precedente. Diversamente opinando si produrrebbe il blocco di ogni nuova contrattazione anche ad opera di un sindacato di modeste dimensioni. Gli appellanti possono invocare non l’applicazione del precedente accordo sindacale, ma solo la tutela dei diritti quesiti, ma le indennità accessorie e gli altri istituti rivendicati dai lavoratori sono diritti non quesiti e , in quanto previsti da precedenti accordi aziendali e non da contratti individuali, non possono essere esclusi dall’incidenza della nuova contrattazione collettiva aziendale. Diritti quesiti – e quindi intangibili dal nuovo accordo collettivo aziendale – sono i trattamenti individuali e gli assegni ad personam, che correttamente OOO spa ha continuato ad erogare;
Le considerazioni di cui sopra assorbono ogni altro motivo di gravame, dispensandone il collegio dall’esame e determinano l’integrale rigetto dell’appello.
Le spese del grado vanno posti a carico del soccombente, liquidate nel minimo in considerazione della serialità della tipologia di controversia
Occorre dare atto — ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, che ha aggiunto il comma 1-quater all’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115
— della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte dell’appellante, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la impugnazione integralmente rigettata
P.Q.M.
Rigetta l’appello. Condanna gli appellanti al pagamento delle spese di lite in favore dell’ appellato liquidate in complessivi euro 1888,00 oltre iva , cpa e spese generali al 15%. Si dà atto che sussistono le condizioni oggettive richieste dall’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115/2002 per il versamento dell’ulteriore importo del contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.
Il Presidente
La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di
Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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