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Codice Civile
Codice Penale

Addizionali provinciali all’accisa sull’energia elettrica

Il Tribunale accoglie la domanda di un utente per la ripetizione di importi indebitamente versati al fornitore di energia elettrica a titolo di rivalsa per addizionali provinciali all’accisa, dichiarate incompatibili con la normativa comunitaria. Viene riconosciuto il diritto dell’utente alla restituzione delle somme, pur non essendo parte diretta del rapporto tributario. Il Tribunale ribadisce la distinzione tra il rapporto tributario tra fornitore ed Erario e quello civilistico tra fornitore e utente, affermando la giurisdizione del giudice ordinario sulla domanda di ripetizione dell’indebito.

Pubblicato il 18 August 2024 in Diritto Civile, Diritto Tributario, Giurisprudenza Civile

N. R.G. 8041/2022

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO di BOLOGNA
SECONDA
SEZIONE CIVILE
Il Tribunale, nella persona del Giudice Dott.ssa NOME COGNOME ha pronunciato la seguente

SENTENZA N._2285_2024_- N._R.G._00008041_2022 DEL_02_08_2024 PUBBLICATA_IL_05_08_2024

nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 8041/2022 promossa da:
(C.F. ), con il patrocinio dell’Avv. NOME COGNOME e dell’Avv. NOME COGNOME contro (C.F. ), con il patrocinio dell’Avv. COGNOME NOME COGNOME

CONCLUSIONI

Il Procuratore di parte attrice ha precisato le conclusioni come da foglio depositato telematicamente:
“Voglia l’Ill.mo Sig. Giudice adito, contrariis reiectis, così giudicare:
in via principale e nel merito:
accertato il diritto di alla restituzione in proprio favore delle somme indebitamente corrisposte ad a titolo di addizionale provinciale sulle accise sull’energia elettrica per gli anni 2010 e 2011, condannare quest’ultima società, in persona del suo legale rappresentante pro tempore, alla restituzione in favore di dell’importo di euro 52.808,55, o del diverso maggiore o minore importo che risulterà dovuto, oltre interessi legali dal 23 gennaio 2020 al saldo.
In ogni caso con vittoria di spese, competenze ed onorari tutti della presente procedura”.

Il Procuratore di parte convenuta ha precisato le conclusioni come da foglio depositato telematicamente:
“Voglia l’Ill.mo Tribunale di Bologna, ogni diversa istanza, azione o eccezione disattesa:
– In via pregiudiziale:
accertato l’oggetto della controversia, vertente sulla richiesta di ripetizione di somme corrisposte a titolo di rivalsa dell’addizionale all’accisa provinciale sull’energia elettrica, voglia rilevare e dichiarare il difetto della propria giurisdizione in favore della competente Commissione Tributaria.
Con vittoria di spese e compenso professionale.

– In via preliminare:
rilevata la pendenza della questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Udine (Ord.
30 dicembre 2021 – GU 1° Serie Speciale n. 11 del 16.03.2022) con riguardo alla possibile contrarietà dell’art. art. 6 del D.L. n 511/1988 all’art. 117 Cost. e della pendenza della questione pregiudiziale sollevata dal Tribunale di Como (Ord.
del 28.04.2022) dinanzi alla CGUE, voglia sollevare identiche questioni avanti ai medesimi Organi Giurisdizionali o, comunque, disporre la sospensione, anche impropria, del presente giudizio in attesa della definizione delle predette (artt. 23, L. n. 87/1953)
(art. 23 Statuto CGUE).

– Nel merito in via principale:
accertare l’infondatezza della domanda in quanto il divieto di cui alla Direttiva invocata ex adverso (Direttiva 2008/118CE) non può trovare applicazione all’addizionale all’accisa sull’energia elettrica, in quanto priva di autonomia e alterità rispetto all’accisa e, comunque, in quanto non è consentito procedere all’applicazione di detta Direttiva nei rapporti orizzontali, per l’effetto, voglia rigettare la domanda di parte attrice in quanto infondata tanto in fatto quanto in diritto.
Con vittoria di spese e compenso professionale.

– Nel merito in via subordinata:
nella denegata ipotesi in cui il Giudice adito ritenesse di poter disapplicare la normativa istitutiva dell’addizionale all’accisa sull’energia elettrica (all’art. 6 del D.L. n 511/1988) in quanto confliggente con il diritto unionale (Direttiva 2008/118CE), voglia accertare la non spettanza (I) della ripetizione delle somme corrisposte a titolo di addizionale per consumi registrati nel periodo 01.01.2010 – 31.03.2010 e pari ad € 6.746,31 in quanto addebitati all’utente anteriormente alla scadenza del termine di recepimento della Direttiva, (II) degli interessi, che dovranno al più decorrere dal giorno della notifica dell’atto di citazione e del decreto e dovranno essere computati al saggio legale. Con compensazione integrale delle spese di lite”.

RAGIONI DI FATTO

E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

1.Con atto di citazione ritualmente notificato, conveniva in giudizio (d’ora in poi anche solo ) domandando la ripetizione di quanto indebitamente pagato alla convenuta a titolo di rivalsa per il versamento delle addizionali provinciali alla accisa sull’energia elettrica.

L’attrice esponeva di aver pagato, alla società convenuta, le somme indicate nelle fatture-bollette allegate all’atto di citazione emesse negli anni 2010 e 2011 (docc. 1-23), comprendenti l’importo di € 52.808,55 a titolo di imposta addizionale provinciale all’accisa sull’energia elettrica.

Infatti, il costo delle fatture riportava, tra le varie voci, quella relativa alle imposte provinciali addizionali sulle accise addebitate da in virtù del diritto di rivalsa attribuito al produttore-venditore nei confronti del cliente-consumatore finale dall’art. 56 comma 1, ultimo periodo, TUA.

La società attrice rilevava che l’imposta addizionale provinciale sulle accise relative al consumo di energia elettrica era stata abrogata dall’01.01.2012 e, richiamando l’indirizzo interpretativo consolidatosi nella giurisprudenza della Corte di Cassazione, coerente con le pronunce della Corte di Giustizia dell’Unione Europea sull’interpretazione della Direttiva 2008/118/CE, riteneva che la norma interna istitutiva dell’addizionale provinciale dovesse essere disapplicata, in quanto incompatibile con la disciplina comunitaria; affermava, pertanto, che l’addizionale non fosse dovuta e che l’utente finale che l’aveva versata avesse diritto alla sua ripetizione nei confronti del fornitore di energia elettrica, il quale era l’unico obbligato verso l’amministrazione finanziaria e aveva riversato il costo equivalente sul consumatore finale;
al riguardo riferiva che l’intimazione inviata ad a mezzo PEC in data 23.01.2020, quale atto di messa in mora ex art. 2033 c.c. e di interruzione della prescrizione, non aveva sortito alcun esito.

Pertanto, chiedeva di accertare il suo diritto ad ottenere la restituzione delle somme indebitamente versate ad a titolo di rivalsa dell’addizionale provinciale sulle accise relative alla fornitura di energia elettrica e di condannare la società convenuta a restituirle la somma complessiva di € 52.808,55, oltre ad interessi legali dalla domanda del 23.01.2020 al saldo, con vittoria di spese.

2.
Si costituiva in giudizio la quale in via pregiudiziale eccepiva il difetto di giurisdizione del giudice ordinario in favore della competente Commissione Tributaria;
in via preliminare, domandava disporsi la sospensione del giudizio, dando atto del rinvio disposto dal Tribunale di Como alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea di due questioni pregiudiziali, circa la prevalenza del «principio dell’effetto diretto solo verticale delle direttive» oppure del «principio di effettività», nonché del rinvio operato dal Tribunale di Udine alla Corte Costituzionale, prospettando “… la questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, commi 1, lett. C, e 2, del D.L. n° 511/1988… per contrasto con l’art. 117, comma primo, Cost. e l’art. 1, par. 2, Direttiva 2008/118/CE del Consiglio dell’U.E. …”.

Nel merito, eccepiva che controparte non aveva fornito la prova di aver versato gli importi indicati nelle fatture prodotte, e pertanto rilevava l’infondatezza della domanda attorea;
sosteneva l’inapplicabilità orizzontale della Direttiva 2008/118/CE, nel rapporto privato tra fornitore e consumatore finale;
deduceva la non configurabilità dell’addizionale provinciale quale altra imposta indiretta, autonoma e distinta rispetto all’accisa sull’energia elettrica, con la conseguenza che la stessa, non dovendo soddisfare il requisito della “finalità specifica” (necessario solo per la legittimità delle “altre imposte indirette”) non sarebbe incompatibile con il diritto europeo.

Nel merito, in via subordinata, nella denegata ipotesi in cui venisse disapplicata la normativa istitutiva dell’addizionale all’accisa sull’energia elettrica, eccepiva la prescrizione parziale dei pretesi crediti restitutori relativi alle somme addebitate alla società nel primo trimestre 2010, in quanto il termine decennale di prescrizione decorreva da quando il diritto poteva essere fatto valere, e dunque dall’01.04.2010, data a partire dalla quale la Direttiva 2008/118/CE era destinata a trovare applicazione, cosicché il petitum doveva essere ridotto di € 6.746,31; deduceva l’infondatezza della domanda relativa al pagamento degli interessi, decorrenti al più dal giorno della notifica dell’atto di citazione, in considerazione del meccanismo del rimborso ad opera dell’Erario in favore del soggetto obbligato, che ha diritto di ottenere gli interessi decorrenti dalla data di presentazione della relativa richiesta di rimborso ex art. 14 comma 5 D.L.vo n. 504/1995;
chiedeva, infine, disporsi la compensazione tra le parti delle spese di lite.

3. La fase istruttoria si svolgeva con il deposito delle memorie di cui all’art. 183 comma 6 c.p.c. e con la produzione di documenti.
Su richiesta delle parti, veniva quindi fissata udienza di precisazione delle conclusioni, cui seguiva la concessione dei termini di cui all’art. 190 c.p.c., per il deposito degli scritti conclusionali.

4. L’eccezione di difetto di giurisdizione, sollevata da deve ritenersi infondata, in linea con l’orientamento costante della giurisprudenza, sia di merito che di legittimità.

Al riguardo, anticipando alcune argomentazioni che verranno esposte nella parte relativa al merito della controversia, si rileva che il rapporto intercorrente tra il venditore di prodotti energetici e il consumatore finale – su cui il primo ha il diritto di “ribaltare” il peso economico dell’imposta, quale voce di maggiorazione del costo della fornitura ex art. 56, comma 1, ultimo periodo TUA – è essenzialmente un rapporto privatistico (Corte App. Milano, Sez. III, sent. 17/04/2023; Corte App. Torino, Sez. II, sent. 23/09/2022), rientrante pienamente nell’ambito della giurisdizione del giudice ordinario.

Si tratta, infatti, di un rapporto del tutto autonomo e distinto rispetto al rapporto tributario esistente tra l’Amministrazione Finanziaria e il contribuente, individuato dalla normativa di settore nel venditore-produttore-importatore dei prodotti energetici oggetto dell’accisa (art. 53 comma 1 e comma 3 TUA).

Sul punto sono intervenute anche le S.U. della Corte di Cassazione, che hanno avuto modo di riconoscere, nella fattispecie in esame, la “coesistenza del rapporto fiscale tra erario e fornitore, devoluto alla giurisdizione tributaria, e del rapporto civilistico tra fornitore e utente, devoluto alla giurisdizione ordinaria” (Cass. S.U. n. 33687/2018; nello stesso senso, Cass. S.U. n. 1837/2016; Corte giustizia, 20/10/2011,

5. Non si ravvisa l’opportunità di disporre la sospensione del giudizio, in attesa della pronuncia della Corte Costituzionale, sul rinvio operato dal Tribunale di Udine, essendosi formato – come verrà di seguito esposto – un orientamento giurisprudenziale maggioritario in senso contrario, cui ha aderito anche la Sezione competente del Tribunale di Bologna.

Al riguardo è opportuno sottolineare come la materia oggetto del presente giudizio sia stata recentemente discussa nell’ambito di un ampio contenzioso che ha investito tanto i giudici di merito, in relazione alla domanda proposta ai sensi dell’art. 2033 c.c. nell’ambito del rapporto di somministrazione, quanto la Corte di Cassazione, giungendo a riconoscere la fondatezza delle domande proposte dal consumatore finale nei confronti del venditore di prodotti soggetti ad imposta addizionale dell’accisa, in presenza dei presupposti di cui all’art. 2033 c.c.. La domanda di sospensione del processo non può invece essere accolta in ragione del ricorso pregiudiziale alla CGUE, proposto dal Tribunale di Como sull’interpretazione dell’art. 288 c. 3 TFUE e sul principio di effettività, in quanto nelle more del presente giudizio la Corte di Giustizia si è già pronunciata, con sentenza dell’11.04.2024 (causa C-316/22), di cui si tratterà nel prosieguo.

6.
Nel merito, la domanda di ripetizione dell’indebito proposta da parte attrice è fondata e deve essere accolta, per i seguenti motivi.

Appare opportuno esporre brevi cenni in riferimento all’inquadramento normativo, rilevando, a tal proposito, che le addizionali provinciali e regionali alle accise sull’energia elettrica erano state originariamente introdotte dal legislatore con l’art. 6 c. 2
D.L. 511/1988;
la ratio dell’intervento normativo era esplicitamente indicata dal testo nella “straordinaria necessità ed urgenza di assicurare le necessarie risorse agli enti della finanza regionale e locale”, nonché nella finalità di “garantire l’assolvimento dei compiti istituzionali” degli enti regionali e locali.

Si tratta, dunque, di motivazioni generiche, sostanzialmente riconducibili a mere esigenze finanziarie.

Successivamente, il legislatore è intervenuto nella materia con il D.Lgs.
2 febbraio 2007, n. 26, il cui art. 5 ha sostituito il D.L. n. 511 del 1988, art. 6, istituendo in favore dello Stato e delle province imposte addizionali alle accise, stabilendo che esse “sono liquidate e riscosse con le stesse modalità dell’accisa sull’energia elettrica” (comma 3).

La disciplina dell’addizionale, pertanto, è la medesima prevista, in generale, per l’accisa sull’energia elettrica agli artt. 53 e ss. del TUA.
L’addizionale locale è rimasta in vigore sino all’ 01.01.2012, data a partire dalla quale l’imposizione è stata abrogata, a norma del l’art. 2, comma 6, del D.Lgs. 14 marzo 2011, n. 23.

Sul versante comunitario, la direttiva 2008/118/CE (che ha riunito le precedenti direttive 92/12/CE e 2003/96/CE) ha previsto l’armonizzazione della disciplina in materia di accise su diversi prodotti, tra cui, per quanto di interesse, l’energia elettrica.

In particolare, la disciplina comunitaria da ultimo citata, all’art. 1 § 2, stabilisce che gli Stati membri possano prevedere ulteriori forme di imposte indirette sui prodotti soggetti ad accisa, purché tali diverse imposizioni rispettino cumulativamente i seguenti requisiti:
siano conformi alle normative comunitarie in tema di imposte indirette;
siano istituite per il perseguimento di finalità specifiche (la norma recepisce, sostanzialmente, il disposto della precedente Direttiva 92/12/CE, che aveva già previsto tali vincoli per le ulteriori imposte sui prodotti quali tabacchi e oli minerali, seguita dalla Direttiva 2003/96/CE, che aveva sottoposto anche l’energia elettrica ad accisa armonizzata, secondo le previsioni della Direttiva 92/12/CEE).

La Direttiva 2008/118/CE – il cui termine per il recepimento era fissato al 01.01.2010 con decorrenza dal 01.04.2010 – è stata recepita con D.Lgs. 48/2010, senza che, tuttavia, il legislatore si preoccupasse della compatibilità dell’art. 6 c. 2 D.L. 511/1988 con l’art. 1 § 2 della citata fonte comunitaria.

Già ad un primo esame, infatti, non può non rilevarsi che la normativa nazionale, prevedendo un’imposizione addizionale sulla scorta di mere finalità finanziarie, potesse apparire non conforme ai requisiti della normativa comunitaria, quantomeno sotto il profilo della finalità specifica dell’imposizione.

Invero, la CGUE, in diverse pronunce, ha effettivamente elaborato una copiosa giurisprudenza – in parte formatasi sull’art. 3 § 2
Direttiva 92/12/CE, ma poi riconfermata anche per l’art. 1 § 2
Direttiva 2008/118/CE, che ha recepito il disposto della norma precedentemente citata – la quale offre del requisito in esame un’interpretazione particolarmente stringente.

In particolare, da un lato la CGUE ha escluso che possa soddisfare il requisito della finalità specifica la mera funzionalizzazione dell’imposta ad esigenze di gettito fiscale.

Dall’altro la Corte ha rilevato una carenza di funzione specifica rispetto a normative nazionali che prevedevano anche delle dirette e vincolanti modalità di spesa del gettito incamerato dagli enti locali, ma che non erano funzionalmente correlate all’imposizione sul prodotto oggetto di accisa.

La CGUE, dunque, pare richiedere che per specifica finalità debba intendersi non già una finalità predeterminata – quale, in ipotesi, sarebbe l’assegnazione dei fondi ad un determinato capitolo di spesa del bilancio dello Stato – ma una finalità causalmente funzionale alla rimozione dei costi e degli effetti che la produzione-vendita del prodotto sottoposto ad accisa genera per la collettività (si vedano:
CJ- 103/2017; CJ-82/2012; CJ-553/2015).

Sulla scorta della predetta giurisprudenza comunitaria, la Corte di Cassazione, in plurime sentenze, ha riconosciuto la contrarietà dell’addizionale provinciale prevista dall’art. 6 c. 2 D.L. 511/1988 al diritto comunitario e ne ha, pertanto, sancito la disapplicazione (ex multis, Cass. civ. n. 22343/2020; Cass. civ. n. 16142/2020; Cass. civ. n. 10691/2020; Cass. civ. n. 27306/2019; Cass. civ. n. 21701/2019; Cass. civ. 4.06.2019, n. 15198 e 15199; Cass. civ. 23.10.2019, n. 27099 e 27101).

7. Stabilita l’illegittimità dell’imposizione, la Corte ha poi ricostruito i rapporti tra i soggetti coinvolti, evidenziando come nella subjecta materia insistano almeno due distinti rapporti giuridici:
da un lato, infatti, vi è il rapporto tributario tra l’Amministrazione Finanziaria ed il contribuente, individuato dalla normativa di settore nel venditore-produttore-importatore dei prodotti energetici oggetto dell’accisa (art. 53 comma 1 e comma 3 TUA);
dall’altro, invece, il rapporto di diritto privato insistente tra il venditore-importatore-fornitore dei prodotti energetici ed i consumatori finali, sui quali il primo ha il diritto di “ribaltare/scaricare” il peso economico dell’imposta, quale voce di maggiorazione del costo della fornitura (art. 56 comma 1, ultimo periodo, TUA).

I rapporti, pur collegati, rimangono tra loro giuridicamente autonomi, in quanto il meccanismo della rivalsa previsto dall’art. 56 comma 1, ultimo periodo, TUA non pare realizzare una vera e propria sostituzione di imposta:
la rivalsa, infatti, a differenza di quanto avviene con l’IVA, non è un obbligo per il venditore-produttore, ma rappresenta un diritto, che questi può decidere se esercitare o meno.

La separazione tra i due rapporti appare supportata anche alla luce della disciplina prevista dal TUA all’art. 14 in materia di rimborso dell’accisa indebitamente riscossa.

La norma, infatti, prevede, in generale, che il rimborso sia consentito “quando l’accisa è stata indebitamente pagata”.

Il rimborso è riconosciuto al solo “soggetto obbligato al pagamento” entro il termine di due anni, stabilito a pena di decadenza.

Il termine decorre o dal pagamento o, per le accise per cui è prevista la presentazione di una dichiarazione, dalla data della dichiarazione.

Una volta spirato tale termine, la possibilità per l’obbligato di ottenere il rimborso residua nella sola ipotesi disciplinata dal quarto comma.

La norma prevede che, qualora l’obbligato sia stato “condannato alla restituzione a terzi di somme indebitamente percepite a titolo di rivalsa dell’accisa” al termine di un procedimento giurisdizionale, gli sia riconosciuta la possibilità di domandare il rimborso all’Erario.

Il procedimento di rimborso, in questo caso, dipende strettamente dal passaggio in giudicato della sentenza con cui il contribuente obbligato al pagamento è stato condannato alla restituzione, atteso che l’azione per il rimborso deve essere esperita, a pena di decadenza, “entro novanta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza che impone la restituzione delle somme”.

La norma precisa, altresì, che la domanda di rimborso può essere avanzata solo “dal predetto soggetto obbligato”.

Sicché la legge pare considerare la condanna alla restituzione dell’indebito un prius logico e necessario perché il soggetto obbligato al pagamento possa richiedere il rimborso all’amministrazione.

Non può, inoltre, non notarsi che l’aver applicato la rivalsa per una imposta non dovuta, è espressamente qualificato dal testo normativo come la percezione di un indebito da parte del venditore- produttore, rispetto al quale il soggetto su cui è stata applicata la rivalsa può agire in ripetizione.

Sulla base di queste premesse, pare debba ritenersi che già il presupponga l’azione di indebito oggettivo ex art. 2033 c.c. dell’acquirente finale nei confronti del solo venditore-produttore.

A fronte di un tale dato normativo, deve rilevarsi che la parte attrice non può agire direttamente nei confronti dell’Erario, in quanto non è parte del rapporto tributario in oggetto e, pertanto, difetta di legittimazione ad agire per il rimborso.

Sul punto deve rilevarsi che la stessa giurisprudenza comunitaria già citata, nell’interrogarsi circa le modalità di rimborso esperibili dal cliente-consumatore finale cui sia stata applicata una imposta contraria al disposto dell’art. 1 § 2
Direttiva 2008/118/CE, ha ribadito il generale principio di autonomia processuale degli Stati membri.

In questo senso, la CGUE ha ritenuto che uno Stato membro possa opporre all’acquirente finale la propria carenza di legittimazione ad esperire un’azione di rimborso, in quanto quest’ultimo non è parte del rapporto tributario con il fisco.

Tuttavia, in questo caso, esigenze di giustizia sostanziale e di effettività della tutela giurisdizionale richiedono che debba, come minimo, essere riconosciuto all’acquirente un diritto alla ripetizione dell’indebito verso il soggetto obbligato (si veda, in particolare Contr CJ-94/2010:
“uno Stato membro può, in via di principio, opporsi ad una domanda di rimborso di un’imposta indebitamente riscossa formulata dall’acquirente finale su cui essa è stata ripercossa, argomentando che non è stato detto acquirente finale a versarla alle autorità tributarie, purché quest’ultimo, il quale ne è in definitiva gravato, possa, sulla base del diritto interno, esperire un’azione civilistica per la ripetizione dell’indebito nei confronti del soggetto passivo”).

Nelle imposizioni indirette, infatti, anche se il soggetto obbligato verso l’amministrazione e contribuente formale è il venditore-produttore, l’onere economico dell’imposizione, mediante la rivalsa finisce per gravare sull’acquirente-consumatore finale.

In questo contesto, ove l’azione di indebito fosse riconosciuta al solo soggetto passivo, questi realizzerebbe un arricchimento senza causa, potendo richiedere il rimborso di una posta economica il cui costo non è stato da lui sostenuto.

Al contempo, non si darebbe tutela al soggetto che ha effettivamente subìto il pregiudizio economico dell’illegittima imposizione.

L’azione di ripetizione dell’indebito, dunque, è considerata dalla la misura minima di protezione dell’acquirente finale, con l’ulteriore precisazione che “se il rimborso da parte del soggetto passivo risultasse impossibile o eccessivamente difficile, segnatamente in caso d’insolvenza di quest’ultimo, il principio di effettività impone che l’acquirente debba essere in grado di agire per il rimborso direttamente nei confronti delle autorità tributarie e che, a tal fine, lo Stato membro preveda gli strumenti e le modalità procedurali necessari” (CJ-94/2010 cit.). Sulla scorta degli arresti della Corte di Giustizia, dunque, la Cassazione ha affermato che “1) obbligato al pagamento delle accise nei confronti dell’Amministrazione doganale è unicamente il fornitore;
2) il fornitore può addebitare integralmente le accise pagate al consumatore finale;
3) i rapporti tra fornitore e Amministrazione doganale e fornitore e consumatore finale sono autonomi e non interferiscono tra loro;
4) in ragione della menzionata autonomia, il consumatore finale, anche in caso di addebito del tributo da parte del fornitore, non ha diritto a chiedere direttamente all’Amministrazione finanziaria il rimborso delle accise indebitamente corrisposte;
5) il diritto al rimborso spetta unicamente al fornitore, che può esercitarlo nei confronti dell’Amministrazione finanziaria:
a) nel caso in cui non abbia addebitato l’imposta al consumatore finale, entro due anni dalla data del pagamento;
b) nel caso in cui il consumatore finale abbia esercitato vittoriosamente nei suoi confronti azione di ripetizione di indebito, entro novanta giorni dal passaggio in giudicato della relativa sentenza;
6) nel caso di addebito delle accise al consumatore finale e delle addizionali, quest’ultimo può esercitare l’azione civilistica di ripetizione di indebito direttamente nei confronti del fornitore, salvo chiedere eccezionalmente il rimborso anche nei confronti dell’Amministrazione finanziaria allorquando alleghi che l’azione esperibile nei confronti del fornitore si riveli oltremodo gravosa (come accade, ad esempio, nell’ipotesi di fallimento del fornitore)” (Cass. civ. n. 28047/2019).
8. Per converso, parte convenuta, proprio sostenendo la diversa natura dei rapporti giuridici in esame, ha eccepito l’impossibilità di disapplicare una norma interna in contrasto con una direttiva comunitaria nell’ambito di una controversia che coinvolga soltanto soggetti privati.

Una forma di efficacia diretta delle Direttive, infatti, è riconosciuta a livello comunitario solo ove le stesse non richiedano un recepimento da parte dell’ordinamento interno, perché già direttamente applicabili (auto-applicative o self executive) ed esclusivamente nei rapporti di tipo verticale, cioè tra lo Stato (o una sua articolazione) ed il cittadino, peraltro in senso monodirezionale ed ascendente (cittadino vs. Stato) e non anche discendente (Stato vs. cittadino).

Viceversa, la stessa CGUE esclude che un soggetto privato possa invocare il disposto di una direttiva non trasposta in un rapporto di tipo orizzontale cittadino vs cittadino (recentemente, Grande Sezione CGUE 7 agosto 2018).

Il meccanismo della disapplicazione e dell’efficacia diretta, infatti, funge da sanzione per lo Stato inadempiente rispetto all’obbligo di tempestivo recepimento della Direttiva, sicché la stessa può essere invocata nei confronti dello Stato, ma non verso soggetti privati.

L’argomento speso da , tuttavia, non è accoglibile nei termini in cui esso è posto.
Sul punto, la stessa Corte di Cassazione rileva, da un lato, che la giurisprudenza della CGUE è una autonoma fonte del diritto dell’Unione; dall’altro, che la Direttiva 2008/118/CE è stata recepita integralmente nel nostro ordinamento con D.Lgs. 48/2010.

In questo senso, è l’interpretazione della CGUE su cosa debba intendersi per “specifica finalità” ad evidenziare l’incompatibilità della normativa nazionale con la direttiva recepita.

Non si realizzerebbe, pertanto, una applicazione “orizzontale” di una Direttiva non trasposta, ma la corretta applicazione della normativa comunitaria già entrata a far parte dell’ordinamento interno;
la fonte del diritto, dunque, sarebbe individuata nella stessa giurisprudenza della CGUE.

Ciò avviene in ossequio al principio generale per cui le decisioni della CGUE, circa l’interpretazione del diritto comunitario, costituiscono un’autonoma fonte del diritto, con efficacia erga omnes, rafforzando il ruolo nomofilattico della CGUE quale custode dell’esatta interpretazione ed uniforme applicazione del diritto dell’Unione.

Sicché “alle sentenze dalla stessa rese, sia pregiudiziali sia emesse in sede di verifica della validità di una disposizione UE, va attribuito il valore di ulteriore fonte del diritto comunitario, non nel senso che esse creino ex novo norme comunitarie, bensì in quanto ne indicano il significato ed i limiti di applicazione, con efficacia erga omnes nell’ambito della Comunità” (Cass. civ. n. 13425/2019;
nello stesso senso, Cass. civ. n. 28047/2019; Cass. civ. n. 22343/2020).

Ciò premesso, deve ritenersi che il principio di diritto espresso dalla Corte di Giustizia sia di per sé idoneo e sufficiente per imporre la disapplicazione dell’art. 6 c. 2 D.l. 551/1988, perché in contrasto con il diritto comunitario.

9.
Ad una diversa soluzione non si perviene a seguito della sentenza dell’11.04.2024 pronunciata dalla Corte di Giustizia UE, sul ricorso pregiudiziale presentato dal Tribunale di Como (causa C-316/22), in relazione all’interpretazione dell’art. 288 co. 3 TFUE e al principio di effettività.

La Corte ha affermato che “l’articolo 288, terzo c., TFUE deve essere interpretato nel senso che esso osta a che un giudice nazionale disapplichi, in una controversia tra privati, una norma nazionale che istituisce un’imposta indiretta contraria ad una disposizione chiara, precisa e incondizionata di una direttiva non trasposta o non correttamente trasposta, salvo che il diritto interno disponga diversamente o che l’ente nei confronti del quale venga fatta valere la contrarietà di detta imposta sia soggetto all’autorità o al controllo dello Stato o disponga di poteri esorbitanti rispetto a quelli risultanti dalle norme applicabili ai rapporti tra privati”; ha poi statuito che la normativa nazionale “viola il principio di effettività, in quanto non permette ad un consumatore finale di chiedere direttamente allo Stato membro il rimborso dell’onere economico supplementare che egli ha sopportato a causa della ripercussione, operata da un fornitore sulla base di una facoltà riconosciutagli dalla normativa nazionale, di un’imposta che detto fornitore ha lui stesso indebitamente versato al suddetto Stato membro”.

Si ritiene che la decisione della Corte di Giustizia non muti l’orientamento già espresso dalla giurisprudenza maggioritaria, tenuto conto dell’efficacia lato sensu normativa delle pronunce interpretative della CGUE e considerato che la disapplicazione della norma interna è valutata solo in via incidentale e ai fini della decisione della controversia civilistica tra privati, avente ad oggetto la ripetizione non dell’imposta, ma della rivalsa dell’imposta effettuata dal fornitore, destinatario della pretesa impositiva, verso l’utente o consumatore finale. In conformità all’indirizzo già espresso dalla giurisprudenza di merito, tale conclusione non si pone in contrasto con quanto sancito dalla CGUE, 11.4.2024, C-316/2022, poiché consente “di realizzare l’effettività della tutela del cliente finale nel pieno rispetto del principio ribadito dalla Corte di Giustizia con la soluzione resa sulla seconda questione posta dal Tribunale di Como” (cfr. CdA Milano, sent. del 27.5.2024, n. 1546; negli stessi termini, CdA Milano, sent. del 23.5. 2024, n. 1499; CdA Milano, sent.
del 30.5.2024, n. 1592; CdA Milano, sent. del 29.4.2024, n. 1238).

Analogamente, si è osservato che “la disapplicazione avviene in ossequio all’interpretazione del diritto comunitario fornita dalla Corte di Giustizia”, la quale “riguarda la disciplina delle accise che regolano il rapporto tributario tra l’Erario e il fornitore, presupposto del rapporto civilistico tra quest’ultimo e il consumatore”.

Per questo motivo, “al giudice ordinario, investito della decisione sul rapporto di natura privatistica – ovvero sulla rivalsa operata dal fornitore, esercitando la facoltà di traslare l’imposta – spetta un accertamento meramente incidentale in ordine alla debenza dell’imposta contestata” (Tribunale di Roma, sent. 14.5.2024, n. 8133).

Del resto, la sentenza della CGUE, 11.4.2024, C-316/2022, pur affermando che il consumatore ha diritto di richiedere alla Stato il rimborso delle addizionali all’accisa sull’energia elettrica, non ha comunque escluso la sussistenza del diritto del consumatore di richiedere il rimborso al proprio interlocutore contrattuale (in tal senso, cfr. Tribunale di Roma, sent. del 17.5.2024, n. 8937).

Inoltre, anche di recente la Suprema Corte, pur nell’ambito di una controversia di natura tributaria intercorsa tra l’Erario e il fornitore, ha richiamato il proprio consolidato orientamento, secondo cui le addizionali corrisposte prima dell’abrogazione della norma istitutiva erano comunque illegittime, con conseguente necessità di procedere alla disapplicazione della norma medesima;
nell’occasione ha precisato che “l’azione di ripetizione dell’indebito nei confronti dell’Amministrazione finanziaria spetta unicamente al soggetto passivo dell’imposta ossia al fornitore dell’energia elettrica, non al soggetto cessionario della stessa, inciso dal tributo, al quale spetta l’azione, civilistica, di restituzione di quanto a tal titolo versato esclusivamente nei confronti del cedente (…)” (Cass. civ. n. 21883/2024 del 02.08.2024, in motiv.).

10. La convenuta ha inoltre dedotto che l’addizionale provinciale all’accisa non può essere configurata come “altra imposta indiretta” rispetto all’accisa originaria, in quanto, avendo i medesimi presupposti soggettivi e oggettivi, nonché le medesime modalità di liquidazione e riscossione di quest’ultima, non può essere qualificata come un tributo autonomo;
difettando, dunque, l’alterità tra accisa-base ed accisa addizionale, non si potrebbe affermare l’incompatibilità di quest’ultima con il diritto comunitario.

Si rileva, in senso contrario, che pur se sottoposta alla medesima disciplina, l’accisa provinciale integra una nuova forma di imposizione fiscale, istituita da un autonomo atto normativo e destinata al soddisfacimento di esigenze finanziarie – pur genericamente indicate – relative alle attività istituzionali proprie di determinati enti locali.

Si richiamano, al riguardo, le numerose pronunce della Suprema Corte, che sulla scorta dei principi enunciati dalla giurisprudenza comunitaria, hanno riconosciuto che l’accisa addizionale provinciale prevista dall’art. 6 c. 2 D.L. 511/1988 costituisce un’imposta autonoma, priva di finalità specifica, come tale contraria al diritto comunitario, e ne hanno, pertanto, sancito la disapplicazione (ex multis, Cass. civ. n. 22343/2020; Cass. civ. n. 16142/2020; Cass. civ. n. 10691/2020; Cass. civ. n. 27306/2019; Cass. civ. n. 21701/2019; Cass. civ. 4.06.2019, n. 15198 e 15199; Cass. civ. 23.10.2019, n. 27099 e 27101).

11.
In relazione al quantum della pretesa vantata da posto la questione relativa all’asserita insussistenza del credito restitutorio con riguardo alle fatture relative al primo trimestre 2010 e, confondendo due aspetti distinti, ha eccepito la prescrizione in relazione alle somme addebitate in quel periodo.

Le fatture complessivamente prodotte da parte attrice si riferiscono al biennio compreso tra l’1 gennaio 2010 e il 31 dicembre 2011.

Innanzitutto, il termine di prescrizione decennale risulta essere stato interrotto con diffida a mezzo PEC del 23.01.2020, a valere in relazione a tutti i pagamenti eseguiti a ritroso nel decennio:
avendo parte attrice documentato che i pagamenti erano stati effettuati da aprile 2010 a febbraio 2012, essi risultano tutti ricompresi nel periodo coperto dall’interruzione della prescrizione.

ha poi sostenuto che il diritto alla ripetizione dell’indebito, eventualmente spettante a può essere riconosciuto solo a partire dall’1.4.2010, in quanto nessun contrasto sussisterebbe tra l’addizionale provinciale sulle accise e la Direttiva comunitaria 2008/118/CE almeno sino al 31.03.2010, dato che le nuove disposizioni che gli Stati membri avrebbero dovuto adottare per attuare la Direttiva, entro l’01.01.2010, sarebbero dovute entrare in vigore solo a partire dall’01.04.2010.

A tal fine si richiama l’art. 48 della Direttiva 2008/118/ CE, che stabilisce “Gli stati membri adottano e pubblicano, entro il 1° gennaio 2010, le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva a decorrere dal 1° aprile 2010”, nonché l’art. 47, in base al quale “La direttiva 92/12/CEE è stata abrogata con efficacia al 1° aprile 2010”.

Questa tesi non è condivisibile.

Si osserva, in senso contrario, che il periodo indicato è comunque successivo alla data di entrata in vigore delle disposizioni contenute nella Direttiva (2003/96/CE), recepita in Italia con D.L.vo n. 26/2007 e poi sostituita dalla Direttiva (2008/118/CE).

La Direttiva (2003/96/CE) ha sottoposto anche l’energia elettrica ad accisa armonizzata, secondo le previsioni della Direttiva (1992/12/CEE), che l’aveva introdotta per tabacchi, oli minerali ed alcolici, in presenza di “finalità specifiche”.

La Direttiva è stata recepita in Italia dal D.L.vo 2 febbraio 2007, n. 26, il cui art. 5 ha sostituito il D.L. n. 511 del 1988, art. 6, istituendo in favore dello Stato e delle province le imposte addizionali alle accise e stabilendo che le stesse “sono liquidate e riscosse con le stesse modalità dell’accisa sull’energia elettrica” (comma 3).

La normativa citata è stata successivamente superata con l’emanazione della Direttiva 2008/118/CE.

Quest’ultimo atto comunitario, nell’intento di riportare ordine nella normativa in materia di accise, più volte modificata negli anni, ha riunito le precedenti direttive, stabilendo, per quanto di interesse, che gli Stati membri possano prevedere sui prodotti sottoposti ad accisa armonizzata ulteriori imposte indirette, ma a condizione che queste ultime siano compatibili con le norme fiscali comunitarie e siano sorrette da “finalità specifiche” (Direttiva 2008/118/CE, art. 1 c. 2).

Viene, dunque, confermato dal Legislatore Comunitario l’impianto dell’art. 3 § 2 Direttiva 1992/12/CE in merito ai requisiti delle ulteriori imposte indirette (compatibilità con regole comunitarie;
finalità specifica dell’imposizione).

Pertanto, anche in relazione al periodo sopra indicato, coincidente con il primo trimestre 2010, antecedente alla data di entrata in vigore della Direttiva (2008/118/CE), trovano applicazione i principi enunciati dalla Corte di Giustizia UE, cosicché debbono essere disapplicate le disposizioni dell’ordinamento interno che si pongono in contrasto con le Direttive comunitarie in materia di accisa, le quali richiedono una finalità specifica dell’imposizione (in tal senso, cfr. Cass. civ. n. 12143 del 14/04/2022; Corte App. Brescia n. 1348 del 09/11/2022).

Ne consegue che il diritto di parte attrice di ripetere le somme, versate a titolo di accisa, deve essere riconosciuto anche alle addizionali addebitate nel periodo antecedente all’01.04.2010.

12.
In conclusione, dalla disapplicazione della norma invocata di cui all’art. 6 c. 2 D.L. 511/1988, che rappresenta la causa del diritto di nei confronti di deriva la natura di indebito oggettivo ex art. 2033 c.c. di quanto versato da quest’ultima alla società convenuta, a titolo di rivalsa per l’accisa addizionale provinciale.

Dunque, in accoglimento della domanda proposta da deve essere condannata alla restituzione dell’importo complessivo di € 52.808,55, riscosso a titolo di rivalsa dell’accisa addizionale provinciale, perché indebitamente percepito, calcolato sulla base delle fatture pagate relative ai consumi effettuati negli anni 2010-2011.

Parte attrice ha puntualmente offerto la prova dei pagamenti eseguiti, avendo prodotto, a fronte dell’eccezione di inadempimento sollevata dal convenuto, le contabili di bonifico e gli estratti conto attestanti i versamenti (docc.
1, 2 allegati alla nota di deposito del 21.11.2022), senza considerare che le fatture prodotte recano la dicitura “Grazie, le sue bollette precedenti ci risultano pagate”, da cui si desume che ha ammesso e riconosciuto l’intervenuto regolare pagamento della fornitura di energia elettrica.

Quanto agli interessi, a mente dell’art. 2033 c.c. questi decorrono dalla data di proposizione della domanda.

Non può, infatti, dubitarsi che il venditore dell’energia elettrica abbia ricevuto le somme a titolo di rivalsa in buona fede, essendo questa stata esercitata nel pieno rispetto della normativa nazionale, la cui contrarietà al diritto comunitario è emersa solo alla luce della successiva giurisprudenza della CGUE.

Gli interessi legali vanno applicati, in conformità alla richiesta di parte attrice, dalla data della prima domanda di ripetizione (23.01.2020).

Si richiama, al riguardo, quanto sostenuto dalla Suprema Corte, secondo cui “In tema di ripetizione dell’indebito oggettivo, ai fini del decorso degli interessi sulla somma oggetto di restituzione, l’espressione <>, contenuta nell’art. 2033 c.c., non va intesa come riferita esclusivamente alla domanda giudiziale, ma comprende anche gli atti stragiudiziali aventi valore di costituzione in mora ai sensi dell’art. 1219 c.c.” (Cass. civ. S.U. 13/06/2019, n. 15895).

Non può, invece, trovare applicazione il disposto di cui al comma 4 dell’art. 1284 c.c..

In proposito, la Corte di Cassazione ha recentemente chiarito che:
“gli interessi moratori disciplinati dal d.lgs. n. 231 del 2002 sono stati introdotti in attuazione della direttiva 2000/35/CE, al fine di svolgere una funzione deterrente e risarcitoria nei confronti dei debitori inadempienti al pagamento del corrispettivo nelle transazioni commerciali, definite dall’art. 2 d.lgs. cit. Anche se il ‘solvens’ è un imprenditore commerciale, non possono, pertanto, essere conteggiati quando è proposta l’azione di ripetizione dell’indebito, per mezzo della quale è semplicemente chiesto in restituzione quanto sia stato pagato in assenza di una causa giustificativa” (Cass. civ. ord. n. 36595 del 14/12/2022; nello stesso senso, Corte App.
Torino n. 427 del 03/05/2023).

Dunque, l’art. 1284, comma 4, c.c., come precisato anche da Cass. civ. 09/05/2022 n. 14512, costituisce una chiara eccezione, quanto al tasso di interesse da applicare, prevista esclusivamente per il caso in cui gli interessi costituiscano accessorio di un debito negoziale.

L’azione di ripetizione dell’indebito afferisce invece a fattispecie del tutto diversa, che ricorre allorquando un soggetto esegua un pagamento in difetto di una causa giustificativa e chiami in giudizio l’accipiens per la restituzione.

In conclusione, sulla somma richiesta, trovano applicazione gli interessi legali ex art. 1284 comma 1 c.c., dalla data della domanda del 23.01.2020 sino al saldo effettivo.

13.
Le spese di lite debbono essere integralmente compensate tra le parti, ai sensi dell’art. 92 comma 2 c.p.c., tenuto conto della sussistenza di “gravi ed eccezionali ragioni” (C. Cost. 77/2018).

Occorre, infatti, rilevare che, allo stato attuale della normativa, il soggetto obbligato non può ottenere dall’Erario il rimborso se non prima del passaggio in giudicato della sentenza con cui egli sia stato condannato alla restituzione dell’indebito.

Il venditore, dunque, è il soggetto su cui nell’immediato grava l’intero peso economico dell’illegittimità della normativa nazionale:
da un lato, è esposto verso il consumatore finale, ai sensi dell’art. 2033 c.c., dall’altro, deve attendere il giudizio ed il passaggio in giudicato della relativa sentenza al fine di poter esercitare, entro lo stringente termine di novanta giorni previsto dall’art. 14 comma 4 TUA, a sua volta l’azione di rimborso verso l’Erario.

La condanna alle spese, dunque, imporrebbe un onere eccessivo in capo al convenuto, attesa anche la relativa novità della questione e la fonte, in massima parte giurisprudenziale.

Il Tribunale di Bologna, ogni altra istanza, eccezione e deduzione disattesa o assorbita, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da così decide:
1. condanna in persona del legale rappresentante pro-tempore, alla restituzione, in favore di della somma complessiva di € 52.808,55, pagata da parte attrice a titolo di rivalsa sull’addizionale provinciale all’accisa sull’energia elettrica, perché indebitamente percepita, oltre ad interessi ex art. 1284 comma 1 c.c. a decorrere dalla data della domanda del 23.01.2020 sino al saldo effettivo;
2. compensa tra le parti le spese di lite.
Bologna, 2 agosto 2024 IL GIUDICE Dott.ssa NOME COGNOME

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