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Affitto d’azienda, mancata riconsegna e canoni

La sentenza analizza gli obblighi del conduttore in caso di risoluzione del contratto di affitto d’azienda, in particolare l’obbligo di pagamento del canone fino alla riconsegna e l’onere della prova del pagamento in capo al conduttore. Vengono inoltre esaminati i criteri di determinazione e ripartizione delle spese processuali in caso di parziale accoglimento dell’appello.

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Pubblicato il 4 aprile 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile

N. R.G. 372/2024

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

CORTE DI APPELLO DI FIRENZE TERZA

SEZIONE CIVILE

La Corte di Appello di Firenze, terza sezione civile, in persona dei Magistrati:

dott. NOME COGNOME Presidente dott. NOME COGNOME Consigliere dott.

NOME COGNOME Consigliere Relatore all’udienza di discussione del 19.3.2025 ha pronunciato, ex art. 437 cod. proc. civ., la seguente

SENTENZA N._530_2025_- N._R.G._00000372_2024 DEL_24_03_2025 PUBBLICATA_IL_24_03_2025

nella causa civile di II Grado iscritta al n. r.g. 372/2024 promossa da:

(C.F. ) con il patrocinio dell’Avv. COGNOME e dell’Avv. COGNOME/I nei confronti di (CF con il patrocinio dell’Avv. COGNOME NOME COGNOMECF APPELLATO/I avverso la sentenza n. 47/2024 emessa dal Tribunale di Siena e pubblicata in data 11.7.2024

CONCLUSIONI

In data 19.3.2025 la causa veniva posta in decisione sulle seguenti conclusioni:

Per parte appellante:

“Voglia in totale riforma della sentenza oggetto di impugnazione emessa dal Tribunale di Siena, in data 19 gennaio 2024 portante n. 47/2024 e depositata in pari data, ed in accoglimento del presente appello, In via preliminare:

inaudita altera parte o previa fissazione di udienza, sospendere la provvisoria esecuzione della sentenza n. 47/2024 sussistendo sia il fumus boni iuris che il periculum in mora per le ragioni ampiamente addotte nel ricorso.

In via pregiudiziale:

accertati la carenza di interesse ad agire e il difetto di legittimazione attiva del legale rappresentante dell’appellata dichiarare improcedibile l’opposizione a C.F. decreto ingiuntivo, con conseguente dichiarazione di definitività del decreto ingiuntivo opposto.

Nel merito: rigettare integralmente la domanda riconvenzionale svolta dalla confermare il decreto ingiuntivo opposto per il minor importo di € 17.106,00, e comunque condannare in favore di al pagamento della somma di euro 17.106,00 (diciassettemilacentosei/00) o di quella diversa somma, maggiore o minore, che la Corte riterrà di giustizia.

Inoltre, previo accertamento dei fatti, revocare la condanna al pagamento di € 20.000,00 ex art. 96 c.p.c. a carico di e, di contro, condannare la ai sensi del medesimo articolo al pagamento della cifra che la Corte riterrà di giustizia.

In ogni caso:

con il favore delle spese di lite di entrambi i gradi del giudizio”.

Per parte appellata:

“Piaccia all’Ecc.ma Corte adita, contrariis reiectis, e previe le opportune declaratorie, in considerazione dei motivi sopra esposti, rigettare l’appello proposto da in quanto improcedibile ed inammissibile ed in ogni caso in quanto destituito di fondamento giuridico e fattuale e per l’effetto confermare la sentenza n. 47/2024 pubb.

il 19.01.2024 –R.G. 2131/2023 Tribunale di Siena, poi corretta con provvedimento del 23 febbraio 2024, disporre la condanna di al pagamento in favore di di € 21.333,92 e/o della diversa somma che risulterà nel corso del presente giudizio di appello, oltre interessi dal dovuto al saldo effettivo in favore di disporre la condanna di ex art 96 terzo comma cpc, nel caso rideterminando d’ufficio, anche in via equitativa, la somma da versarsi in favore di , insistendo nelle richieste istruttorie articolate in primo grado e non ammesse.

RAGIONI DI FATTO

E DI DIRITTO DELLA DECISIONE Con ricorso depositato in data 20.2.2024, regolarmente notificato unitamente al pedissequo decreto di fissazione udienza, (di seguito anche solo “ ”) conveniva in giudizio, innanzi questa Corte di Appello, proponendo gravame avverso la sentenza n. 47/2024, emessa dal Tribunale di Siena e pubblicata in data 11.7.2024, che, definitivamente pronunciando sull’opposizione a decreto ingiuntivo proposta da , aveva così deciso:

“accoglie la domanda e per l’effetto, revoca il decreto ingiuntivo opposto.

Accoglie la domanda riconvenzionale.

Condanna parte ricorrente al pagamento di euro 9.056,00 in favore di , in persona del l.r.p.t Condanna parte resistente , in persona del l.r.p.t – Al pagamento di euro 21.333,92 oltre interessi dal dovuto al saldo effettivo in favore di parte ricorrente – Al pagamento di euro 20.000,00 in favore di parte ricorrente persona del l.r.p.t., ex art.96 III co cpc – a rifondere le spese processuali di parte ricorrente, che liquida all’avv.NOME COGNOME antistatario, in euro 5.810,00 per compenso, oltre il CU relativo allo scaglione di riferimento, oltre CPA ed IVA ai sensi di legge”. 1 – Il giudizio di primo grado.

1.1.

– Con ricorso per decreto ingiuntivo, adiva, nei confronti di Tribunale di Siena, esponendo:

– di essere titolare di un’azienda, avente ad oggetto l’attività di gestione dell’omonimo albergo in Chianciano Terme, concessa in affitto, con contratto del 6.10.2021, alla società fronte di un canone mensile fissato in € 2.440,00 a partire da gennaio e fino a giugno 2022 e, con decorrenza dal luglio 2022, nella misura di € 3.050,00 mensili;

– che il canone era stato ulteriormente ridotto, dal novembre 2022 ad aprile 2023, ad € 976,00;

– che, nel mese di giugno 2022, la società affittuaria aveva corrisposto solo in parte il canone mensile dovuto (€ 1.700,00 e non € 2.440,00, come da contratto), per poi non versare più alcuna mensilità dal mese successivo;

– che, quindi, essa era titolare di un credito di € 21.846,00, verso la Latitudine, per canoni non pagati, sicché sussistevano i presupposti per l’emissione dell’invocato provvedimento monitorio.

1.2. –

Avverso il decreto ingiuntivo n. 532/2023 proponeva opposizione deducendo:

– che dalla somma oggetto di ingiunzione, relativa ai canoni dal giugno 2022 al maggio 2023, dovevano essere detratti gli acconti corrisposti con bonifici del 19 luglio 2022 (€ 740,00), del 15 agosto 2022 (€ 2.000,00) e del 12 settembre 2022 (€ 2.000,00), pari ad € 4.740,00 nonché il deposito cauzionale di € 5.000,00 versato al momento della stipulazione del contratto.

Peraltro, non si doveva conteggiare il canone di maggio 2023, pari ad € 3.050,00, avendo il difensore della comunicato all’opponente, a mezzo raccomandata dell’11 maggio 2023, la risoluzione del contratto e contestualmente chiesto la riconsegna dell’azienda che, però, nonostante la disponibilità manifestata dal legale rappresentante della , a mezzo pec del 15 maggio 2023, non era avvenuta per il comportamento ostruzionistico della – che, peraltro, , nel giudizio per sequestro conservativo instaurato dinanzi al Tribunale di Brescia (R.G. 8708/2023), aveva ammesso di aver ricevuto i bonifici in questione; – che, dall’agosto 2022, ed i suoi genitori avevano occupato l’immobile concesso in affitto alla , con il tacito consenso di , impedendo lo svolgimento dell’attività d’impresa dell’affittuaria;

– che, dopo brevi interlocuzioni seguite alla richiesta di rilascio, dapprima aveva accettato la data proposta dalla Latitudine (23 maggio 2023) per l’inventario dei beni di proprietà di quest’ultima, il loro asporto ed il rilascio dell’immobile, per poi inspiegabilmente annullare l’incontro, senza comunicare la nuova data;

– che, nel luglio 2023, aveva stipulato un nuovo contratto di affitto, avente ad oggetto proprio l’azienda già concessa in godimento alla , con la società RAGIONE_SOCIALE

, con sede legale in Piombino, INDIRIZZO (indirizzo di residenza di , nonostante non fosse intervenuta alcuna pronuncia di risoluzione del contratto con la – che, quindi, l’immobile era stato concesso in affitto con all’interno i beni di proprietà di e le opere realizzate da quest’ultima, per un valore complessivo di € 23.333,92;

– che, pertanto, , avendo beneficiato dei beni e delle opere sopra richiamati, doveva essere condannata ad indennizzare Latitudine del loro valore.

A tal fine, proponeva domanda riconvenzionale per l’importo di cui sopra e, in ogni caso, eccepiva che la somma ingiunta doveva essere decurtata in misura corrispondente;

concludeva, dunque, chiedendo la revoca del decreto ingiuntivo opposto e, in via riconvenzionale, la condanna dell’opponente al pagamento della somma di € 23.333,92.

1.3.

– Non si costituiva in giudizio “ ” e, sulla regolarità della notifica, ne veniva dichiarata la contumacia.

1.4.

– All’esito dell’istruttoria, articolatasi nell’assunzione di prove documentali, il tribunale decideva nei termini sopra esposti, sulla base delle seguenti considerazioni:

(-) dalla somma azionata da “ ” in INDIRIZZO doveva essere detratta quella di € 4.740,00

(e cioè: i) € 740,00 di cui al bonifico del 19.7.2022;

ii) € 2.000,00 di cui al bonifico del 15.8.2022;

iii) € 2.000,00 di cui al bonifico del 12.9.2022), oltre al deposito cauzionale di € 5.000,00 ed alla somma di € 3.050,00, richiesta a titolo di canone per il mese di maggio 2023, non dovuto stante l’intervenuta risoluzione del contratto di locazione;

(-) pertanto, il credito residuo di ” ammontava ad € 9.056,00.

(-) in particolare, per quanto riguardava il deposito cauzionale, lo stesso andava restituito, poiché “dal mese di agosto 2022 tale ha occupato unitamente ai suoi genitori, l’immobile concesso in affitto ed adibito allo svolgimento dell’attività alberghiera impedendo di fatto al di accedervi all’interno e al contempo lo svolgimento dell’attività tipica d’impresa della Situazione questa riscontrata anche alla presenza della Guardia di finanza chiamata dal Sig. in data 13.02.2023 (doc. n. 9).Di fatto, pur non essendovi stata la riconsegna dell’immobile, il è stato posto nella condizione di non poter occupare l’immobile, né esercitare l’attività alberghiera”; (-) inoltre, nel mese di luglio 2023, “ ” aveva concesso in affitto alla RAGIONE_SOCIALE

avente sede legale in Piombino (LI) INDIRIZZO luogo coincidente con l’indirizzo di residenza di , l’azienda già affittata alla , con all’interno i beni di proprietà di quest’ultima, nonostante la vigenza del contratto concluso in data 6.10.2021;

(-) i beni e le opere realizzate da Latitudine ammontavano ad € 21.333,92, somma di cui “ ” doveva, pertanto, essere condannata al pagamento, avendo impedito l’accesso all’affittuaria per procedere al loro asporto ed alla rimessa in pristino dei locali;

(-) il carattere temerario dell’azione intrapresa da “ ” giustificava la sua condanna al pagamento della somma di € 20.000,00 ex art. 96, comma 3, c.p.c. 2 – Il giudizio di secondo grado.

2.1.

Avverso tale sentenza proponeva appello ”, per i seguenti motivi:

1) con il primo, deduceva la nullità della sentenza per difetto di motivazione, in quanto il primo giudice non aveva nemmeno accennato al percorso logico-giuridico alla base della sua decisione.

2) Con il secondo, deduceva il difetto di legittimazione attiva del che aveva perso la qualità di legale rappresentante della a seguito della cessione delle quote sociali, di sua titolarità, a favore di ;

difatti, l’amministratore unico della società era , come da visura storica in atti.

3) Con il terzo, si doleva dell’accoglimento della domanda riconvenzionale di , per essersi questa limitata a produrre solo le fatture di acquisto, senza dimostrare il loro pagamento, peraltro smentito dalle dichiarazioni stragiudiziali dei fornitori.

D’altra parte, in base all’art. 10 del contratto d’affitto – che richiedeva l’espresso consenso scritto della proprietà per la realizzazione di innovazioni, migliorie ed addizioni – Latitudine non poteva reclamare alcunché neppure a tale titolo, non avendo provato il preventivo assenso di “ ” alla realizzazione di tale opere.

Inoltre, non era vero che tutti i beni presenti all’interno dell’albergo fossero di proprietà del 4) Con il quarto, si doleva del mancato riconoscimento del diritto al pagamento del canone relativo al maggio 2023.

Difatti, il primo giudice aveva erroneamente disconosciuto un diritto già maturato, essendo stato pattuito, all’art. 3 del contratto, che il pagamento del canone sarebbe dovuto avvenire entro il giorno 5 di ogni mese, mentre, entro tale termine, non aveva corrisposto alcunché.

Altrettanto erroneamente, il tribunale aveva ritenuto che la mera disponibilità manifestata dal legale di fosse sufficiente a realizzare la consegna dell’immobile, in assenza del rispetto delle altre formalità prescritte dalla legge.

5) Con il quinto, denunciava l’arbitrarietà della condanna ai sensi dell’art. 96 c.p.c., in quanto il primo giudice, nonostante avesse revocato il d.i., aveva comunque riconosciuto a minor importo di € 9.056,00, evidentemente non ritenendo del tutto infondata la sua pretesa.

Per tali ragioni è stata formulata dall’appellante richiesta di riforma della sentenza gravata in accoglimento delle conclusioni come in epigrafe trascritte, con condanna della controparte alla rifusione delle spese di lite di entrambi i gradi di giudizio.

2.2.

– Radicatosi il contraddittorio, nel costituirsi in giudizio, eccepiva preliminarmente l’improcedibilità/inammissibilità dell’appello per mancato deposito di copia autentica della sentenza impugnata;

per il resto, contestava, perché infondate, le censure mosse da parte appellante nei confronti della sentenza impugnata, della quale chiedeva per contro la conferma con vittoria delle spese anche in questo grado di giudizio.

2.3.

– Con ordinanza del 23.5.2024, la Corte accoglieva l’istanza di sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza impugnata.

2.4.

– Previa acquisizione del fascicolo d’ufficio di primo grado, all’udienza del 19.3.2025, sulle conclusioni delle parti precisate come in epigrafe trascritte, la causa veniva decisa con dispositivo letto in udienza.

Si dava altresì atto, nel verbale di udienza, che le parti rinunciavano a presenziare alla lettura del dispositivo allontanandosi dall’aula.

*** 3 – In via preliminare Deve essere rigettata l’eccezione di inammissibilità/improcedibilità del gravame per non avere l’appellante depositato copia “autentica” della sentenza impugnata.

Difatti, non solo tale sentenza è stata ritualmente depositata dall’appellante (cfr.

doc.

1) ma, inoltre, la Cassazione ha avuto modo di precisare che “l’art. 347, comma 2, c.p.c. stabilisce che l’appellante deve inserire nel proprio fascicolo copia della sentenza impugnata, ma, in caso di omissione, non commina la sanzione dell’improcedibilità come previsto, invece, dall’art. 348 c.p.c. per la mancata costituzione nei termini o per l’omessa comparizione dell’appellante alla prima udienza ed a quella successiva all’uopo fissata, sicché la mancanza in atti della sentenza impugnata non preclude al giudice la possibilità di decidere nel merito qualora, sulla base degli atti, egli disponga di elementi sufficienti” (cfr. ex plurimis Cass. civ. n. 23713/2016). Ciò posto, è possibile passare ad esaminare l’appello.

4 – L’esame del gravame.

4.1.

– Il primo motivo è infondato.

La sentenza impugnata, per quanto in modo alquanto disarticolato anche sotto il profilo sintattico, reca il percorso argomentativo seguito dal giudice di prime cure, sicché non sussiste, contrariamente a quanto affermato dall’appellante, alcuna violazione dell’art. 132 c.p.c. Invero, per costante orientamento giurisprudenziale:

“in materia di contenuto della sentenza, affinché sia integrato il vizio di “mancanza della motivazione” agli effetti di cui all’art. 132, n. 4, cod. proc. civ., occorre che la motivazione manchi del tutto – nel senso che alla premessa dell’oggetto del decidere risultante dallo svolgimento del processo segue l’enunciazione della decisione senza alcuna argomentazione – ovvero che essa formalmente esista come parte del documento, ma le sue argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del “decisum”” (cfr. Cassazione civile, sentenza del 18.9.2009, n. 20112). 4.2.

– Infondato è, altresì, il secondo motivo di appello.

Dalla visura camerale storica in atti si evince che risulta ricoprire la carica di amministratore unico della dal 28.2.2023, con la conseguenza che, al momento della costituzione nel giudizio di primo grado (avvenuta con ricorso in opposizione ex art. 645 c.p.c. depositato il 16.10.2023), questi era certamente legittimato a rappresentare la società e, quindi, a procedere al rilascio della procura alle liti.

In proposito, completamente irrilevanti sono le vicende relative al contratto del 3.8.2022, con cui aveva ceduto la sua partecipazione in Difatti, ciò che conta è che, in data 28.2.2023, fosse stata iscritta nel registro delle imprese ex artt. 2475 e 2383 c.c. la nomina ad amministratore unico di , mentre esula dall’oggetto del presente giudizio quanto dedotto dall’appellante in ordine alla presunta illegittimità della delibera dell’assemblea sociale che aveva disposto la revoca, dalla predetta carica, di Palesemente erroneo è, poi, l’assunto dell’appellante circa il difetto di interesse ad agire ex art. 100 c.p.c. in capo al COGNOMECOGNOME, basato sulla considerazione che, in forza dell’atto di cessione delle quote sociali, dell’eventuale esito positivo dell’opposizione beneficerebbero esclusivamente i cessionari Omette l’impugnante di considerare che il non ha agito in proprio bensì come legale rappresentante di la quale ha certamente interesse a contrastare l’ingiunzione di pagamento (ed a resistere all’impugnazione), per evitare la produzione dei relativi effetti negativi sul suo patrimonio sociale. Il mezzo, pertanto, è caducato.

4.3.

– Il terzo ed il quarto motivo di appello possono essere trattati congiuntamente, in quanto strettamente connessi tra di loro.

4.3.1.

Orbene, per costante orientamento giurisprudenziale:

“in tema prova dell’inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno ovvero per l’adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento” (cfr. Cass. civ., S.U., n. 13533/2001; in senso conforme cfr. pure Cass. civ. 19039/2019 onde “il creditore che agisce per il pagamento di un suo credito è tenuto unicamente a fornire la prova del rapporto o del titolo dal quale deriva il suo diritto e non anche a provare il mancato pagamento, poiché il pagamento integra un fatto estintivo, la cui prova incombe al debitore che l’eccepisca.

Ne consegue che soltanto di fronte alla comprovata esistenza di un pagamento avente efficacia estintiva (cioè puntualmente eseguito con riferimento ad un determinato credito) l’onere della prova viene nuovamente a gravare sul creditore, il quale controdeduca che il pagamento deve imputarsi ad un credito diverso o più antico”).

Ne consegue che, essendo incontestata l’esistenza del contratto di affitto di azienda, spettava a nella sua qualità di affittuaria, fornire la prova del pagamento dei canoni.

Pertanto, la mancata produzione, nel giudizio di primo grado, del fascicolo di parte della fase monitoria, a causa della contumacia di “ ”, ha conseguenze trascurabili, non essendo in discussione il titolo della sua pretesa.

4.3.2.

– Ora, l’appellante non ha impugnato la sentenza nella parte in cui ha ritenuto che dalla somma dalla stessa azionata dovesse essere detratta quella di € 4.740,00

(e cioè: i) € 740,00 di cui al bonifico del 19.7.2022;

ii) € 2.000,00 di cui al bonifico del 15.8.2022;

iii) € 2.000,00 di cui al bonifico del 12.9.2022), oltre al deposito cauzionale di € 5.000,00.

Difatti, , in ordine alla quantificazione del suo credito, si duole unicamente del mancato riconoscimento del canone di maggio 2023.

Sul punto, l’appello è meritevole di accoglimento, non potendo condividersi il ragionamento del primo giudice che ha ritenuto il predetto canone non dovuto stante “la comunicazione di parte opposta ad inizio Maggio 2023 della risoluzione del contratto di locazione (al più, stante la dichiarata risoluzione, al locatore spetterebbe un’indennità di occupazione che, però, deve essere giudizialmente accertata nel suo ammontare e non può certo essere richiesta con un ricorso per d.i.)”.

In realtà, da un lato, è pacifica la morosità di – come tale legittimante la risoluzione del contratto – dall’altro è, altresì, pacifica la mancata riconsegna dell’azienda (che anche per il mese di maggio 2023 è rimasta nella disponibilità dell’affittuaria), di talché ai sensi dell’art. 1591 c.c. – applicabile anche al contratto di affitto d’azienda in mancanza di una disposizione specifica (cfr. Cass. civ. n. 31257/2024) – “il conduttore è tenuto a dare al locatore il corrispettivo convenuto fino alla riconsegna, salvo l’obbligo del maggior danno”. D’altra parte, con comunicazione del 15.5.2023, il legale della società appellata, nel rispondere alla richiesta di riconsegna dell’azienda proveniente dal collega che assisteva “ ” (cfr. missiva dell’11.5.2023), si era limitato a rappresentare la disponibilità dell’affittuaria ad effettuare, il 23.5.2023, “un sopralluogo all’interno della struttura al fine di procedere all’inventario dei beni acquistati e all’asporto dei beni personali dell’amministratore Sig. ”, ma non già a procedere alla restituzione del compendio. Ne consegue che la mancata esecuzione del sopralluogo, a seguito dell’indisponibilità manifestata da “ ” (come da comunicazione del suo legale inviata al collega di controparte in data 19.5.2023), non valeva ad esonerare l’affittuaria dall’offrire la riconsegna dell’azienda il che, però, non è avvenuto.

Invero, come affermato dalla Suprema Corte:

“in tema di riconsegna dell’immobile locato, mentre l’adozione della procedura di cui agli artt. 1216 e 1209, comma 2, c.c., rappresenta l’unico mezzo per la costituzione in mora del creditore e per provocarne i relativi effetti, l’utilizzo, da parte del conduttore, di altre modalità aventi valore di offerta reale non formale (art. 1220 c.c.), purché serie, concrete e tempestive e sempreché non sussista un legittimo motivo di rifiuto da parte del locatore, benchè insufficiente a costituire in mora il locatore è tuttavia idonea ad evitare la mora del conduttore nell’obbligo di adempiere la prestazione, anche ai fini dell’art. 1591 c.c.” (cfr. Cassazione civile, sentenza del 4.4.2017, n. 8672). Difatti, la mera disponibilità manifestata all’asporto dei beni personali del ed a procedere all’inventario di quelli acquistati dalla società certamente non soddisfa i requisiti richiesti, dal citato arresto giurisprudenziale, per ravvisare una “offerta reale non formale” idonea ad evitare l’applicazione dell’art. 1591 c.c. nei confronti del conduttore.

In definitiva, deve riconoscersi il diritto di ” a percepire il canone dovuto per il mese di maggio 2023 (pari ad € 3.050,00), con la conseguenza che il suo credito deve essere rideterminato nella somma complessiva di € 12.106,00 (oltre interessi legali con decorrenza dalla domanda giudiziale).

4.3.3.

– Ha errato, inoltre, il tribunale nell’accogliere la domanda riconvenzionale proposta da Innanzi tutto, non risulta provato che sia stata “ ” ad impedire all’affittuaria l’asporto dei beni.

In proposito, le deduzioni dell’appellata sono contraddittorie, laddove si consideri che è la medesima ad affermare che sarebbe stato , insieme ai suoi genitori, ad occupare “l’immobile concesso in affitto ed adibito allo svolgimento dell’attività alberghiera impedendo di fatto al Sig. di accedervi all’interno e al contempo lo svolgimento dell’attività tipica d’impresa della (cfr. atto di citazione in opposizione, pag. 4) e questo a partire dall’agosto 2022 quando, cioè, il era già stato nominato, con atto del 3.8.2022, amministratore unico della società (carica che ha ricoperto fino al 28.2.2023, cfr. visura camerale storica in atti). Del resto, anche nella relazione di servizio del 13.2.2023, redatta dagli operanti del Guardia di Finanza, si dà atto del rifiuto del indicato a verbale come “amministratore unico” di a far accedere il ai locali dell’INDIRIZZO Marina.

In definitiva, il mancato asporto dei beni aziendali si inserisce all’interno di una vicenda caratterizzata dall’alta conflittualità tra i soci dell’affittuaria rispetto alla quale appare essere completamente estranea e di cui, pertanto, non può essere chiamata a rispondere.

4.3.4.

– Né può l’appellata dolersi dell’affitto di azienda concluso, nel luglio 2023, da “ con altra società (RAGIONE_SOCIALE

Difatti, l’accertata morosità dell’affittuaria consente di ritenere, a quella data, senz’altro risolto il contratto inter partes stipulato in data 6.10.2021, di talché la proprietaria era certamente legittimata a disporre nuovamente del bene.

D’altra parte, non risulta che dell’azienda affittata a RAGIONE_SOCIALE

facessero parte beni di proprietà di che, anzi, non ha mai chiesto né a “ ” né alla nuova affittuaria la riconsegna, limitandosi solo a pretenderne il controvalore economico.

In ogni caso, la domanda volta ad ottenere il rimborso del prezzo di acquisto dei predetti beni non poteva trovare accoglimento, dal momento che la stessa non tiene conto del loro ammortamento, non avendo l’appellata neppure indicato il valore dei cespiti aziendali al momento della cessazione del contratto di affitto.

Senza pretermettere che non vi è neppure prova del pagamento delle fatture di acquisto prodotte (cfr. doc.

15,16,17,18,19).

Inoltre, ai sensi dell’art. 10 del contatto di affitto di azienda (secondo cui “ogni successiva innovazione, addizione o miglioria, che non possa essere eliminata in qualsiasi momento senza danneggiare i locali, non potrà essere effettuata dal conduttore senza il preventivo consenso scritto del proprietario.

Il mancato rispetto della predetta obbligazione da parte del conduttore costituirà motivo di risoluzione del contratto ai sensi dell’art. 1456 c.c. Resta altresì espressamente convenuto che qualsiasi miglioria, riparazione, addizione, ed ogni altro intervento effettuato dalla parte conduttrice o da chi per essa, anche espressamente autorizzata dalla parte locatrice, dovrà essere eliminata, a cura e spese del conduttore, alla cessazione della locazione, per qualsiasi causa essa si verifichi, a meno che il locatore preferisca mantenerla a compensazione degli eventuali deterioramenti della cosa locata”), era necessario “il preventivo consenso scritto” della proprietaria per ogni “innovazione, addizione o miglioria” apportata dall’affittuaria. Ebbene, l’appellata non ha fornito prova di tale consenso, con la conseguenza che non può richiedere il rimborso degli interventi asseritamente eseguiti (quali, a titolo esemplificativo, “installazione impianto irrigazione”, “pavimentazione esterna sottostante gazebo”, “realizzazione esterna barbecue in muratura”, “impianto elettrico”, ecc.).

4.4.

– Ciò renda del tutto superflua l’esame della questione relativa all’ammissibilità della documentazione prodotta, per la prima volta, dall’appellante in questo grado di giudizio, in quanto completamente irrilevante ai fini decisionali.

Inammissibile si presenta, poi, la reiterazione delle richieste istruttorie operata dall’appellata, non avendo la parte dedotto alcunché in punto di loro decisività e rilevanza.

Invero, come già affermato da questa Corte nell’ordinanza del 19.4.2023:

“I motivi di appello concorrono a determinare l’oggetto del relativo giudizio e, per questo profilo, incidono sullo stesso esercizio del potere d’impugnazione, non potendosi considerare proposti all’esame del giudice del gravame i capi della sentenza di primo grado che non siano stati in concreto oggetto di specifiche censure nell’atto di appello.

Pertanto, la parte non può riproporre istanze istruttorie espressamente o implicitamente disattese dal giudice di primo grado senza espressamente censurare, con motivo di gravame, le ragioni per le quali la sua istanza è stata respinta o dolersi della omessa pronuncia al riguardo(Cass. sez. 3^ civ. 7.7.2006 n. 15519 rv 591566)”.

Ebbene, l’appellata si è limitata a riportarsi “alle istanze istruttorie, che qui ripropone qualora l’Ill.ma Corte ritenga necessario indispensabile ammettere dimostrare anche testimonialmente i fatti giustificativi della pretesa dell’opponente” (cfr. comparsa di costituzione e risposta, pag. 19) formulazione che non esprime alcuna sufficiente e specifica critica alla decisione istruttoria del tribunale, men che meno spiega in concreto perché le prove non ammesse potrebbero diversamente orientare la decisione. Si impone, quindi, in riforma della sentenza impugnata, il rigetto della domanda riconvenzionale spiegata da 4.5.

– Fondato è, infine, il quinto motivo di appello.

La parziale fondatezza della domanda azionata in via monitoria era, di per sé, sufficiente ad escludere l’esistenza dei presupposti per la condanna ex art. 96, comma 3, c.p.c. nei confronti di Difatti, come affermato dalle Sezioni Unite:

“la condanna ex art. 96, comma 3, c.p.c. è volta a salvaguardare finalità pubblicistiche, correlate all’esigenza di una sollecita ed efficace definizione dei giudizi, nonché interessi della parte vittoriosa ed a sanzionare la violazione dei doveri di lealtà e probità sanciti dall’art. 88 c.p.c., realizzata attraverso un vero e proprio abuso della “potestas agendi” con un’utilizzazione del potere di promuovere la lite, di per sé legittimo, per fini diversi da quelli ai quali esso è preordinato, con conseguente produzione di effetti pregiudizievoli per la controparte. Ne consegue che la condanna, al pagamento della somma equitativamente determinata, non richiede né la domanda di parte né la prova del danno, essendo tuttavia necessario l’accertamento, in capo alla parte soccombente, della mala fede (consapevolezza dell’infondatezza della domanda) o della colpa grave (per carenza dell’ordinaria diligenza volta all’acquisizione di detta consapevolezza), venendo in considerazione, a titolo esemplificativo, la pretestuosità dell’iniziativa giudiziaria per contrarietà al diritto vivente ed alla giurisprudenza consolidata, la manifesta inconsistenza giuridica delle censure in sede di gravame ovvero la palese e strumentale infondatezza dei motivi di impugnazione” (cfr. Cassazione civile, S.U., sentenza n. 22405 del 13 settembre 2018). La condanna ex art. 96 c.p.c. comminata nei confronti dell’odierna appellante deve, dunque, essere annullata.

5 – In punto di spese deve trovare applicazione, ai sensi dell’art. 336 c.p.c., l’orientamento della Suprema Corte secondo cui il giudice di appello, allorché riformi in tutto o in parte la sentenza impugnata, deve procedere d’ufficio, quale conseguenza della pronuncia di merito adottata, ad un nuovo regolamento delle spese processuali, il cui onere va attribuito e ripartito tenendo presente l’esito complessivo della lite poiché la valutazione della soccombenza opera, ai fini della liquidazione delle spese, in base ad un criterio unitario e globale, sicché viola il principio di cui all’art. 91 cod. proc. civ., il giudice di merito che ritenga la parte soccombente in un grado di giudizio e, invece, vincitrice in un altro grado (Sez. 6 – L, ord. 18 marzo 2014, n. 6259, rv. 629993).

Nella specie, in considerazione dell’esito della lite, le spese del presente grado di giudizio devono essere poste a carico integrale dell’appellata, stante la soccombenza sulla domanda azionata in via monitoria (che è stata ridotta solo nel quantum), su quella riconvenzionale e sulla statuizione ex art. 96 c.p.c. In proposito, come affermato dalle Sezioni Unite:

“in tema di spese processuali, l’accoglimento in misura ridotta, anche sensibile, di una domanda articolata in un unico capo non dà luogo a reciproca soccombenza, configurabile esclusivamente in presenza di una pluralità di domande contrapposte formulate nel medesimo processo tra le stesse parti o in caso di parziale accoglimento di un’unica domanda articolata in più capi, e non consente quindi la condanna della parte vittoriosa al pagamento delle spese processuali in favore della parte soccombente, ma può giustificarne soltanto la compensazione totale o parziale, in presenza degli altri presupposti previsti dall’art. 92, comma 2, c.p.c.” (cfr. Cassazione civile, S.U., sentenza del 31.10.2022, n. 32061). Tali spese si liquidano secondo il seguente computo ex D.M. 55/2014 come modificato da ultimo dal D.M. 147/2022, § 12 (valore € 26.001-52.000):

Fase di studio della controversia (valore medio):

€ 2.058,00 Fase introduttiva del giudizio (valore medio):

€ 1.418,00 Fase istruttoria/trattazione (valore medio):

€ 3.045,00 Fase decisionale (valore medio):

€ 3.470,00

Compenso tabellare:

€ 9.991,00, oltre € 804,00 per esborsi, 15% per rimborso forfetario, IVA (se ed in quanto dovuta) e CAP come per legge.

Si include nella fase di istruttoria/trattazione il subprocedimento di inibitoria.

Non può, invece, essere riconosciuto il rimborso delle spese del giudizio di primo grado, in cui ” è rimasta contumace, mentre quelle della procedura monitoria vanno considerate irripetibili, stante la revoca del decreto ingiuntivo che dimostra un uso distorto del rito speciale ad opera della parte.

La Corte di Appello di Firenze, definitivamente pronunciando, disattesa ogni contraria istanza eccezione e deduzione, sull’appello proposto da avverso la sentenza n. 47/2024 emessa dal Tribunale di Siena e pubblicata l’11.7.2024, così provvede:

1) accoglie l’appello e, per l’effetto, in parziale riforma della sentenza impugnata:

a) condanna al pagamento della maggior somma di € 12.106,00, oltre interessi legali nei termini di cui in motivazione;

b) rigetta la domanda riconvenzionale spiegata da c) annulla la condanna ex art. 96 c.p.c. emessa nei confronti di 2) condanna al pagamento delle spese del presente grado di giudizio che liquida in € 804,00 per esborsi, in € 9.991,00 per compenso professionale, oltre rimborso spese generali al 15%, IVA (se ed in quanto dovuta) e CAP come per legge.

Firenze, 19.3.2025 Il Consigliere relatore ed estensore dott. NOME COGNOME Il Presidente dott. NOME COGNOME Nota La divulgazione del presente provvedimento, al di fuori dell’ambito strettamente processuale, è condizionata all’eliminazione di tutti i dati sensibili in esso contenuti ai sensi della normativa sulla privacy ex D. Lgs 30 giugno 2003 n. 196 e successive modificazioni e integrazioni.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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