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Affitto d’azienda, ordinanza di rilascio azienda per morosità

Il provvedimento verte sul rilascio di un’azienda a causa del mancato pagamento dei canoni di locazione. Si evidenzia l’applicabilità della clausola risolutiva espressa, la residualità del ricorso ex art. 700 c.p.c. rispetto ad altri strumenti cautelari, la sussistenza del periculum in re ipsa e la valutazione del fumus boni iuris.

TRIBUNALE DI VENEZIA SEZIONE PRIMA CIVILE

Il Tribunale, nella persona del giudice dott. NOME COGNOME a scioglimento della riserva assunta, ha pronunciato la seguente

ORDINANZA N._R.G._00014942_2024 DEL_01_10_2024 PUBBLICATA_IL_02_10_2024

nel procedimento cautelare iscritto al n. 14942/2024 R.G., promosso con ricorso ex art. 700 c.p.c. da (c.f. ), con gli avv.ti COGNOME COGNOME ricorrente contro (c.f. ), con l’avv. NOME COGNOME

Con ricorso depositato in data 26.7.2024 la società ha chiesto che il Tribunale ordini alla in via d’urgenza ex art. 700 c.p.c., il rilascio immediato dell’azienda commerciale e dell’annesso immobile siti in Venezia Mestre, INDIRIZZO di proprietà della ricorrente.

Secondo l’assunto attoreo in particolare:

– in data 14.03.2024 ha acquistato la piena proprietà dell’immobile ad uso commerciale sito in Venezia-Mestre, INDIRIZZO e del ramo d’azienda ivi corrente per l’esercizio dell’attività di bar e ristorante, già affittato dal precedente proprietario alla in forza di contratto del 25.3.22;

si è resa gravemente inadempiente agli obblighi contrattuali, avuto riguardo al parziale e non tempestivo versamento del canone di marzo 2024, al tardivo pagamento del canone di aprile 2024, al mancato pagamento dei canoni di maggio, giugno e luglio 2024, alla mancata e i locali dell’azienda;

– la proprietaria, con PEC dell’11.07.2024, ha comunicato a l’intenzione di avvalersi della clausola risolutiva espressa contrattualmente prevista intimando la restituzione dell’azienda, senza esito;

– l’attesa di un ordinario giudizio di merito finalizzato all’accertamento della risoluzione del contratto ed al rilascio del compendio aziendale comporterebbe grave ed irreparabile danno per la proprietaria, conseguente all’aumentare della morosità ed al conseguente rischio di non poter recuperare quanto dovuto, al rischio per l’integrità dell’azienda e per l’avviamento, alla negligente gestione e manutenzione dei beni aziendali.

Fissata udienza per la discussione della domanda cautelare nel contraddittorio, si è ritualmente costituita nel procedimento ed ha eccepito l’inammissibilità del ricorso per difetto del requisito di residualità, l’insussistenza del fumus attesa la nullità della clausola contrattuale che prevede l’obbligo di stipula della polizza assicurativa e l’inidoneità dei documenti prodotti a comprovare una non corretta gestione dell’azienda, l’insussistenza del periculum, prospettandosi solo un danno di natura patrimoniale assente invece l’invocato rischio di pregiudizio alla continuità ed al buon nome dell’azienda. Quanto all’eccepito difetto di residualità, come noto l’applicabilità dei provvedimenti d’urgenza è da escludere qualora il ricorso all’art. 700 c.p.c. sia utilizzato per tutelare un certo diritto da un periculum in mora per la neutralizzazione del quale è già predisposta dall’ordinamento una misura cautelare tipica atta a garantire l’effettività della tutela.

Nel caso, in ordine al possibile ricorso al sequestro giudiziario per ottenere la custodia dell’azienda va osservato che con questo rimedio il proprietario da un lato potrebbe evitare che l’azienda venga depauperata del suo valore, ma dall’altro dovrebbe sopportare i tempi di un giudizio ordinario di merito.

Come precisato in giurisprudenza, “il rimedio del ricorso all’art. 700 c.p.c. per ottenere il rilascio dell’azienda concessa in affitto appare quello più funzionale ad assicurare la restituzione dell’azienda al proprietario nel più breve tempo possibile, al fine di consentire la ripresa di una piena funzionalità ed operatività, anche economica (obiettivi, questi, che non potrebbero essere per impedirne deterioramenti, alterazione o la sottrazione ” (Tribunale di Treviso 19.7.2018);

“Per quanto nella crisi del rapporto contrattuale di affitto d’azienda possano teoricamente trovare spazio tanto la cautela tipica del sequestro giudiziario d’azienda, quanto la cautela atipica della anticipazione degli effetti restitutori del bene concesso, va evidenziato come le due soluzioni tendano a garantire differenti situazioni, atteso che la riacquisizione del compendio aziendale offre al concedente utilità ulteriori e diverse rispetto alla mera custodia o alla gestione temporanea dell’azienda” (Tribunale di Treviso 19.7.2018). Nello stesso senso il Tribunale di Catanzaro, secondo cui il provvedimento di rilascio immediato dell’azienda di cui all’art. 700 c.p.c. rispetto al rimedio di cui all’art. 670 c.p.c. può garantire al meglio le esigenze aziendali nel loro complesso, sia sul piano produttivo che su quello concorrenziale” (3.10.2019 Trib. Catanzaro).

Rispetto ai fini, inoltre, è stato ulteriormente precisato che “Vi è da aggiungere, infine, che solo il provvedimento “atipico” dell’art. 700 c.p.c. si presenta come idoneo ad anticipare le domande di merito evitando il tracollo aziendale, mentre il sequestro giudiziario chiesto in via subordinata – per la sua natura eminentemente “statica” – mal si adatta all’esigenza (chiarissima nella specie) di garantire la continuità produttiva aziendale” (Trib. Genova 17.10.2016).

In ordine al possibile ricorso al procedimento di sfratto, va osservato che, secondo il disposto di cui agli artt. 657 e 658 c.p.c., solo l’intimazione di licenza o di sfratto per finita locazione può essere utilizzata anche per l’ipotesi di affitto d’azienda.

Non pare possa assumere valore decisivo il contenuto della legge delega n. 206/21 in ordine alla modifica delle suddette norme (che prevede l’utilizzabilità dello sfratto per morosità anche per l’ipotesi dell’affitto d’azienda).

Anzi, la mancata modifica all’art. 658 c.p.c. nonostante le indicazioni della legge delega induce a propendere per l’esclusione di tale possibilità (ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit).

Nella consapevolezza del dissidio interpretativo sorto all’interno della giurisprudenza di merito sulla questione, si ritiene dunque di aderire all’orientamento più restrittivo che predilige un’interpretazione letterale dell’art. 658 c.p.c. (in tal senso Tribunale Foggia, sez. II, Ordinanza 16.10.2023).

della S.C. in ordine al rinvio pregiudiziale disposto dal Tribunale di Napoli (sez. IX, ordinanza 20.12.23) sulla questione ex art. 363 bis c.p.c. Può ritenersi, pertanto, che la ricorrente non disponga di altro strumento cautelare tipico idoneo ad evitare il pregiudizio per il quale viene invocata tutela.

Circa la sussistenza del fumus boni iuris, la ricorrente ha allegato, innanzitutto, la morosità della società resistente, derivante dal mancato pagamento dei canoni di maggio, giugno e luglio 2024, oltre che dal parziale e tardivo versamento dei canoni di marzo e aprile 2024.

La resistente, si osserva, non risulta aver contestato tale morosità che può senz’altro ritenersi grave e di non scarsa importanza attesa l’entità della somma dovuta, avuto riguardo all’interesse della concedente.

La morosità è idonea a determinare la risoluzione in forza della clausola risolutiva espressamente pattuita (art. 11 del contratto:

all. 3 ricorrente), come comunicato dalla proprietaria con pec dell’11.7.24 (all. 5 ricorrente).

Tale non contestato inadempimento può ritenersi assorbente in ordine alla sommaria delibazione sul fumus e, quindi, al diritto della ricorrente di rientrare in possesso del ramo d’azienda affittato a seguito della risoluzione del contratto per grave inadempimento dell’affittuario.

Può essere valorizzata anche la mancata stipula della polizza assicurativa, in ordine alla quale l’affittuaria oppone la nullità della relativa clausola per violazione del principio indennitario, ex art. 1909 c.c., prevendendosi l’obbligo per una somma grandemente superiore (€ 1.000.000,00) rispetto al valore dell’immobile e dell’azienda.

Invero, atteso l’indubbio interesse della proprietà all’assicurazione dei propri beni, non potrebbe predicarsi la nullità dell’intera clausola ma, semmai, solo del valore assicurabile e, nel caso, è indubbio che l’affittuaria non abbia stipulato alcuna polizza assicurativa, nemmeno per il minor valore asseritamente congruo.

Quanto al periculum, la ricorrente, come detto, oltre ad allegare l’impossibilità di amministrare l’azienda per trarne i frutti, teme altresì che, nelle more del giudizio di merito finalizzato ad ottenere la restituzione del ramo d’azienda, la morosità aumenti senza possibilità di recupero per la creditrice e l’avviamento possa venire pregiudicato precisato dalla giurisprudenza, l’irreparabilità del pregiudizio che giustifica l’accoglimento del ricorso ex art. 700 va intesa non solo nel senso di irreversibilità del danno alla situazione soggettiva di cui si invoca la cautela – come accade nel caso tipico di minaccia ad un diritto a contenuto non patrimoniale – ma anche come insuscettibilità di tutela piena ed effettiva della situazione medesima all’esito del giudizio di merito. Ne discende che il rimedio ex art. 700 c.p.c. è applicabile anche ove l’istante abbia a disposizione strumenti risarcitori per la riparazione del pregiudizio sofferto ma gli stessi non appaiano in grado di assicurare una tutela satisfattoria completa, con conseguente determinarsi di uno “scarto intollerabile” tra danno subito e danno risarcito (si veda Trib. Lecce 8.1.13).

Nel caso, data l’attuale esposizione debitoria, destinata probabilmente ad aumentare laddove la resistente permanga nella disponibilità del ramo d’azienda, non avendo l’affittuario puntualmente adempiuto alle scadenze pattuite nel contratto, appare verosimile il rischio per la proprietaria di non poter recuperare il proprio credito, avuto riguardo al contegno serbato dalla resistente che lascia presagire, al di là dei dati contabili documentati, una situazione di possibile insolvenza.

Inoltre, il mancato puntuale rispetto degli obblighi di pagamento alle scadenze pattuite lascia fondatamente presagire che la proficua conduzione dell’azienda possa risultare pregiudicata e, con essa, il nome e l’avviamento, potendosi ragionevolmente ritenere che l’imprenditore non in grado di pagare alle scadenze non eserciti correttamente l’azienda.

Senza considerare, infine, quanto allegato dalla ricorrente anche in ordine alla cattiva manutenzione dell’azienda e dei beni aziendali ed all’impiego dei locali per scopi diversi da quelli contrattualmente consentiti (la resistente, si rileva, non ha contestato che le fotografie prodotte sub docc. 8-9 rappresentino i locali dell’azienda), con conseguente rischio imminente per la proprietaria di subire eventuali sanzioni amministrative.

Tutti i sopradescritti elementi sembrano idonei a configurare la sussistenza di pregiudizio imminente ed irreparabile nell’attesa del giudizio di merito.

Va ordinato alla resistente, pertanto, l’immediato rilascio dell’immobile e dell’azienda.

Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo, in conformità ai parametri di cui al d.m. 55/14, come integrato dal d.m. 147/22, per le cause di valore ricompreso p.q.m.

Il Tribunale visti gli artt. 669 octies e 700 c.p.c. – ordina alla l’immediata restituzione in favore di del ramo d’azienda oggetto del contratto d’affitto e dell’annesso immobile sito in Venezia Mestre, INDIRIZZO con tutti i beni aziendali, libero da persone e cose anche interposte, autorizzando sin d’ora l’ausilio della Forza Pubblica per il caso di non spontaneo adempimento;

– condanna la resistente alla rifusione in favore della ricorrente delle spese del presente procedimento, che si liquidano nell’importo di € 3.000,00 per compensi ed € 145,50 per esborsi, oltre al rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15%, iva e cpa come per legge.

Venezia, 1 ottobre 2024 Il Giudice dott. NOME COGNOME Provvedimento redatto con la collaborazione del Funzionario U.P.P. D.ssa NOME COGNOME

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