R.G. n. 26/2023
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE D’APPELLO DI CAGLIARI Sezione civile In funzione di giudice del lavoro, composta dai magistrati:
Dott.ssa NOME COGNOME Dott. NOME COGNOME relatore Dott.ssa NOME COGNOME ha pronunciato la seguente
SENTENZA N._59_2025_- N._R.G._00000026_2023 DEL_04_04_2025 PUBBLICATA_IL_07_04_2025
Nella causa iscritta al n. 26 del ruolo generale per l’anno 2023 promossa da:
ISTITUTO NAZIONALE
PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI RAGIONE_SOCIALE (I.N.A.I.L.), con sede legale in Roma, in persona del Direttore Regionale per la Sardegna, elettivamente domiciliato in Cagliari, INDIRIZZO rappresentato e difeso dall’Avvocato NOME COGNOME in virtù di procura generale alle liti come in atti;
APPELLANTE CONTRO NOME COGNOME nato a Santadi il 21 giugno 1955, ivi residente, rappresentato e difeso dagli Avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME presso il cui studio in Cagliari è elettivamente domiciliato in virtù di procura speciale come in atti;
APPELLATO All’esito della udienza collegiale del 12 marzo 2025, celebrata nelle forme di cui all’art. 127 ter c.p.c., la causa è stata decisa sulle seguenti
CONCLUSIONI
Nell’interesse dell’appellante:
lombare, con rimodulazione dell’entità della rendita complessiva e delle relative decorrenze.
Con ogni conseguente pronuncia, anche in merito alle spese del giudizio.
Nell’interesse dell’appellato:
La Corte:
1) Respinga l’interposto appello.
2) Condanni l’INAIL al pagamento delle spese del presente giudizio, oltre spese generali e accessori di legge, disponendone la distrazione a favore dei difensori anticipatari.
3) Ai sensi dell’art. 152 disp. att. c.p.c. si dichiara che il reddito imponibile dell’appellato, ai fini dell’imposta personale sul reddito risultante dall’ultima dichiarazione, non è superiore ad € 25.676,02, come da dichiarazione sostitutiva di certificazione agli atti e, pertanto, in caso di reiezione, si chiede che le spese del giudizio non vengano comunque poste a suo carico.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con ricorso depositato dinanzi al Tribunale di Cagliari il 23 luglio 2020 NOME COGNOME ha esposto di aver lavorato alle dipendenze di varie aziende come taglialegna dal 1979 al 1981 dal 1992 al 1993 ed ancora, dal 1984 al 2012, seppur non ininterrottamente, come operaio edile ed infine negli anni 2013 e 2014 e dall’ottobre 2019 al 2020 come motoseghista presso il Comune di Santadi.
Ha proseguito deducendo di aver contratto lesioni alle spalle, quale conseguenza dello svolgimento dell’attività lavorativa pregressa, per le quali con domanda del 27 giugno 2019 aveva infruttuosamente richiesto all’INAIL l’indennizzo in rendita ovvero in capitale.
Sotto altro profilo ha esposto di godere di un indennizzo complessivo per un danno biologico in misura percentuale dell’11 % con decorrenza dal 25.9.14, di cui 4 % per lesioni alla colonna L/S, 4% per epicondilite e 4% per lesioni alle ginocchia precisando di aver chiesto senza successo nel luglio 2019 il riconoscimento di un maggior danno correlato alle lesioni alla colonna ed alle ginocchia, stante l’intervenuto aggravamento del quadro clinico.
Ha quindi convenuto in giudizio l’Istituto onde ottenere il riconoscimento del danno da malattia professionale per l’affezione alle spalle, nonché un maggiore indennizzo in relazione al danno biologico derivato dalle affezioni sopra citate alla colonna ed alle ginocchia, da conglobarsi con quello già in godimento.
L’IRAGIONE_SOCIALE si è ritualmente costituito in giudizio ed ha contestato la fondatezza dell’avversa domanda escludendo, in particolare, l’origine professionale della patologia alle spalle anche in ragione della indimostrata esposizione ad un rischio qualificato escluso, per il resto, la effettiva ricorrenza del lamentato aggravamento del danno alle ginocchia ed al tratto lombare della colonna.
La causa è stata istruita mediante produzioni documentali, esame testimoniale e c.t.u. medico legale sulla persona del ricorrente.
All’esito dell’attività peritale il giudice, condividendo le conclusioni cui è pervenuto l’Ausiliare, con sentenza n. 1028 del 146 del 18 novembre 20222 marzo 2022, ha accertato che il *** è affetto da tendinopatia della cuffia dei rotatori alla spalla destra e sinistra, di natura professionale, determinante, dalla data di presentazione della domanda, un danno biologico pari al 10% (6% spalla destra e 4% spalla sinistra), presenta per la patologia lombare, già indennizzata dall’INAIL nella misura del 4%, un danno che, dalla data della domanda di aggravamento, è valutabile nella misura del 6% e per gli esiti della meniscopatia degenerativa del ginocchio destro e sinistro, già indennizzati dall’INAIL nella misura del 4%, un danno che, dalla data della domanda di aggravamento, è valutabile nella misura del 6%, danni che, valutati unitamente al danno del 4% per epicondilite, già riconosciuto dall’INAIL nella misura del 4% e non aggravatosi, determinano un danno complessivo pari al 25%. Ha quindi condannato l’I.N.A.I.L. a costituire la relativa rendita nella misura corrispondente con decorrenza di legge con pagamento dei ratei maturati maggiorati con gli accessori di legge, nonché alla rifusione delle spese di lite in favore dei difensori del ricorrente dichiaratisi anticipatari.
Avverso la predetta sentenza ha proposto appello l’IRAGIONE_SOCIALE, con ricorso depositato il 9 marzo 2023, rassegnando le sovrascritte conclusioni.
Il *** si è costituito in giudizio ed ha resistito.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.
L’Istituto appellante con un unico motivo di gravame ha contestato, nella sostanza, che l’aggravamento del quadro clinico accertato in sede peritale relativamente alle patologie che affliggono l’appellato alla colonna ed alle ginocchia sia stato causalmente originato dalla attività Difatti, ha sostenuto l’appellante, una volta che sia trascorso un determinato intervallo di tempo dalla cessazione dalla esposizione a rischio tecnopatico correlato allo svolgimento di date mansioni deve escludersi, in applicazione delle disposizioni contenute nel D.M. 9 aprile 2008, che l’aggravamento del danno correlato alle corrispondenti malattie professionali possa essere posto in connessione causale con le mansioni precedentemente svolte dall’interessato. Nel caso di specie tale intervallo è di 1 anno per la patologia lombare e di 2 anni per quella agli arti inferiori talchè, avendo il *** cessato l’attività lavorativa fin dal 2013/2014, salva una ulteriore limitata parentesi nel 2019/2020, l’unico fattore causale che ha originato l’aggravamento osservato in sede peritale è, in definitiva, da rinvenirsi nella fisiologica senescenza dei distretti in questione.
2.
Il motivo di appello sopra citato, ad avviso della Corte, non è fondato.
3. Occorre preliminarmente osservare che non è contestato in causa, nemmeno con riguardo alla corretta misura del gradiente di invalidità accertato in sede peritale in ragione del 6 % rispetto al 4 %, rispettivamente per le affezioni alla colonna ed alle ginocchia, l’effettivo aggravamento del danno correlato alle malattie professionali anzidette.
Nemmeno costituisce oggetto di gravame il riconoscimento della origine professionale del danno alle spalle, stimato dal c.t.u. in ragione del 10 %.
Osserva d’altra parte il collegio che vertendosi in tema di aggravamento di patologie per le quali è accertata l’origine professionale neppure assume rilevanza dirimente ai fini decisori il fatto che tali affezioni siano ricomprese tra quelle cd. tabellate, ossia incluse nell’elenco allegato al D.M. 9 aprile 2008 recante, ai sensi dell’art. 3 del D.P.R. n. 1124/1965 e dell’art. 10 del D.lgs. n. 38/2000, le malattie professionali nell’industria e nell’agricoltura.
Tali previsioni riguardano, infatti, l’insorgenza ex novo di una data patologia mentre nel caso in esame si controverte sulla eziologia lavorativa dell’accertato aggravamento del danno.
Ad ogni modo la Corte Costituzionale nella nota sentenza n. 179/1988 ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 134 del D.P.R. n. 1124/1965 laddove prevedeva che in caso di abbandono da parte dell’assicurato della lavorazione morbigena………..
le prestazioni previdenziali previste per le malattie professionali nell’industria sono dovute semprechè le manifestazioni morbose si verifichino entro un termine in tal modo disancorando la indennizzabilità del danno (e quindi anche del suo aggravamento) da una rigida correlazione (o sovrapposizione) sul piano temporale rispetto all’attività lavorativa rischiosa.
4. Appare pertanto corretto il richiamo da parte della difesa appellata del disposto dell’art. 137 del D.P.R. n. 1124/1965 (operante anche per gli indennizzi riconosciuti ai sensi del D.lgs. n. 38/2000, in virtù del rinvio espresso operato dall’art. 13 comma 7 alla disciplina del Testo Unico) che testualmente recita La misura della rendita di inabilità da malattia professionale può essere riveduta su domanda del titolare della rendita o per disposizione dell’Istituto assicuratore, in caso di diminuzione o di aumento della attitudine al lavoro ed in genere in seguito a modificazioni delle condizioni fisiche del titolare della rendita purché, quando si tratti di peggioramento, questo sia derivato dalla malattia professionale che ha dato luogo alla liquidazione della rendita. La rendita può anche essere soppressa nel caso di recupero dell’attitudine al lavoro nei limiti del minimo indennizzabile.
Tale disposizione, secondo la costante interpretazione offertane dalla Suprema Corte sulla scia di quanto autorevolmente chiarito dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 46/2010, si riferisce esclusivamente all’aggravamento eventuale e conseguenziale dell’inabilità derivante dalla naturale evoluzione della originaria malattia;
quando, invece, il maggior grado di inabilità dipende dalla protrazione dell’esposizione a rischio patogeno, e si è quindi in presenza di una «nuova» malattia, seppure della stessa natura della prima, la disciplina applicabile è quella dettata dall’art. 80, estesa alle malattie professionali dall’art. 131 (cfr. sul punto Cass. ord. n. 19784/2017, ed in termini analoghi Cass. sent. n. 5550/2011 e, più recentemente, Cass. sent. n. 1048/2018).
4.1.
Nella sostanza l’art. 137 del D.P.R. n. 1124/195 legittima, ove ne ricorrano i presupposti sul piano medico legale, il riconoscimento di un maggiore indennizzo in presenza di un aggravamento dell’inabilità derivante esclusivamente dalla naturale evoluzione della malattia;
mentre la diversa fattispecie, caratterizzata evoluzione in peius della tecnopatia quale conseguenza dalla protrazione dell’esposizione al medesimo rischio patogeno, invece, rientra nella diversa ipotesi della “nuova” malattia regolata dagli articoli 80 e 132 del D.P.R. n. 1124/1965.
Ebbene nel caso di specie, secondo la valutazione medico legale resa dal qualificato specialista lombare (dal 4 % al 6 %) ed alla meniscopatia degenerativa bilaterale (dal 4 % al 6 %) rinviene la sua origine proprio nel normale e fisiologico processo evolutivo di tali affezioni le quali tendono a progressivo aggravamento indipendentemente dalla esposizione a rischi ma anche per la semplice senescenza articolare.
4.2.
Risulta quindi integrata nel caso del *** la fattispecie legale delineata dall’art. 137 del D.P.R. n. 1124/1965 secondo l’interpretazione dianzi esposta, a mente della quale il diritto all’incremento dell’indennizzo non è affatto subordinato alla condizione che l’accertato maggior danno biologico si sia palesato in costanza ed in diretta connessione causale con la esposizione ad un qualificato rischio morbigeno.
Più in particolare il c.t.u. ha correttamente posto in rilievo, nel rendere i chiarimenti rispetto alle osservazioni critiche svolte sul punto dal consulente di parte dell’I.N.AI.L., che laddove date patologie, quali le affezioni degenerative osteoarticolari in disamina, derivino da plurimi fattori concorrenti, professionali e extraprofessionali, a ciascuno di detti fattori ( e dunque anche alla fisiologica senescenza articolare) deve attribuirsi rilevanza dal punto di vista eziologico, salva la ricorrenza di un fattore causale esclusivo nella specie indimostrato. Ha poi opportunamente precisato che il rischio di malattia derivante da natura predisponente non vale in ogni caso ad escludere del tutto il rischio professionale.
4.3.
D’altra parte l’I.N.RAGIONE_SOCIALE., a fronte di tali elementi di conoscenza compiutamente valorizzati dal c.t.u. in punto di eziologia professionale dell’aggravamento del danno, non ha prospettato, onde confutare la ricostruzione del primo giudice, l’esistenza di fattori causali alternativi all’origine del peggioramento del quadro clinico osservato in sede peritale.
5.
La sentenza gravata, in definitiva, appare esente dalle censure lamentate dall’appellante avendo il giudice di primo grado valutato correttamente le risultanze processuali valorizzando, in particolare, gli esiti dell’accertamento peritale in aderenza al quadro normativo di riferimento come interpretato dalla richiamata giurisprudenza ormai consolidata nella materia oggetto di causa.
Alla luce delle argomentazioni che precedono va quindi rigettato il motivo di appello formulato dall’I.N.A.I.L. con la conseguente conferma della sentenza impugnata.
6.
Le spese processuali seguono la soccombenza e, liquidate come da dispositivo, ai sensi del fase, con esclusione di quella di trattazione e/o istruttoria nella sostanza non svoltasi, con applicazione dello scaglione di valore da 5.200,01 a 26.000,00 euro della tabella relativa ai giudizi innanzi alla Corte d’Appello (tenuto conto del valore della causa indicato dalla difesa appellante in ragione di euro 7.380,00, non contestato dalla difesa appellata), devono essere poste a carico dell’I.NA.I.L., che va condannato alla loro rifusione alla parte appellata. 7. Va disposta la distrazione delle spese anzidette in favore dei procuratori dell’appellato dichiaratisi anticipatari.
8.
Dal rigetto dell’atto di appello discende l’obbligo per l’appellante di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, come da dispositivo.
Per questi motivi La Corte d’appello Definitivamente pronunciando, respinta ogni contraria istanza, eccezione e deduzione:
1. Rigetta l’appello proposto dall’RAGIONE_SOCIALE nei confronti di NOME COGNOME avverso la sentenza n. 1028 del 18 novembre 2022 del Tribunale di Cagliari, in funzione di giudice del lavoro, che per l’effetto conferma;
2. Condanna l’I.NA.I.L. alla rifusione delle spese del giudizio di appello in favore di NOME COGNOME che liquida in complessivi 1.983,00 euro, oltre spese forfettarie in misura del 15% e accessori dovuti per legge, da distrarsi in favore dei suoi difensori anticipatari;
3 Dichiara tenuto l’I.N.A.I.L. al pagamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l’impugnazione proposta, secondo quanto previsto dall’art. 13, comma 1 quater del D.P.R. n. 115/2002, come modificato dall’art. 1 comma 17 della legge n. 228/2012.
Così deciso in Cagliari il 4 aprile 2025.
L’Estensore La Presidente NOME COGNOME NOME COGNOME
La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di
Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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