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Codice Penale

Amministratore, responsabilità per mala gestio

La sentenza afferma la responsabilità dell’amministratore di una società in caso di gravi irregolarità contabili, violazione degli obblighi di legge e mancata prova liberatoria. Il danno risarcibile è quantificato anche in eccedenza rispetto al passivo fallimentare.

Pubblicato il 26 September 2024 in Diritto Commerciale, Diritto Societario, Giurisprudenza Civile

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE D’APPELLO DI ROMA

SEZIONE SECONDA SPECIALIZZATA IN MATERIA DI IMPRESA così composta:
dr. NOME COGNOME presidente relatore dr.
NOME COGNOME consigliere dr.
NOME COGNOME consigliere riunita in camera di consiglio ha pronunciato la seguente

SENTENZA N._5575_2024_- N._R.G._00000373_2022 DEL_03_09_2024 PUBBLICATA_IL_09_09_2024

nella causa civile in grado d’appello iscritta al numero 373 del ruolo generale degli affari contenziosi dell’anno 2022, posta in decisione all’udienza del giorno 11.3.2024 e vertente TRA , (C.F. con l’avvocato NOME COGNOME PARTE APPELLANTE , C.F. con l’avvocato NOME COGNOME PARTE APPELLATA

OGGETTO: Appello avverso la sentenza n. 10717 del Tribunale di Roma-sezione specializzata in materia di impresa

FATTO E DIRITTO

§ 1. — Con atto di citazione ritualmente notificato, il Fallimento conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Roma, il Sig. al fine di sentire accogliere le seguenti conclusioni:

«Piaccia all’Ecc.mo Tribunale adito, ogni contraria istanza ed eccezione disattesa, per le causali di cui alla premessa dell’atto di citazione ed in accoglimento della domanda , accertare e dichiarare la responsabilità , ex art. 146 L.F. e e 2489 c.c. , dell’amministratore unico e liquidatore nella C.F. P.IVA istante, previo pagamento in favore di quest’ultimo della somma di Euro 197.481,06 o di quell’altra maggiore o minore ritenuta di giustizia, se del caso anche in via equitativa, oltre agli interessi e rivalutazione monetaria come per legge, dalla data di dichiarazione del fallimento (9/7/2013) all’effettivo soddisfo». A fondamento della svolta domanda, il rappresentava che:

la società veniva costituita in data 20 marzo 2008;
in data 9 luglio 2013, il Tribunale di Tivoli dichiarava il fallimento della predetta società;
nel periodo compreso tra il 20 marzo 2008 ed il 9 maggio 2012, il Sig. rivestiva la carica di amministratore unico;
il Sig. è titolare di una partecipazione pari al 95% del capitale sociale della società;
l’amministratore unico ha tenuto condotte illecite a danno della società e dei suoi creditori sociali consistenti in:
a) condotte distrattive del patrimonio sociali, tra le quali:
a) simulazione dei pagamenti per buonauscita dipendenti;
b) illegittimi prelevamenti in conto anticipo utili;
c) illegittimo rimborso ai soci di finanziamenti in favore della società;
prelevamenti ingiustificati;
violazione obblighi gravanti sull’amministratore (omessa predisposizione del bilancio, omessa tenuta delle scritture contabili etc. ).

Sulla scorta di tali premesse, il Fallimento della concludeva come sopra riportato.

Si costituiva il Sig. il quale concludeva per il rigetto della domanda.

Istruita causa esclusivamente mediante acquisizione della documentazione versata in atti, successivamente, all’udienza del 16 novembre 2020, trattata con modalità cartolari, le parti precisavano le rispettive conclusioni e la causa veniva rimessa per la decisione al Collegio – trattandosi di causa ricompresa nell’art. 50 bis c.p.c. – con concessione alle parti del termine di giorni sessanta per il deposito di comparsa conclusionale e di giorni venti per repliche..

§ 2. — All’esito del giudizio il tribunale ha così deciso:

“1) condanna il Sig. al pagamento, in favore del , a titolo di risarcimento del danno, della somma di €.
204.590,38 oltre rivalutazione monetaria dalla data di pubblicazione della presente sentenza e fino al passaggio in giudicato di essa ed oltre interessi, nella misura legale, dalla data in favore di parte attrice, delle spese legali del presente giudizio che liquida in €.
6.715,00 per compensi oltre rimborso forfettario spese generali al 15%, iva e cpa come per legge”.

A fondamento della decisione il primo giudice, dopo un inquadramento generale sull’azione di responsabilità esercitata dal curatore fallimentare, sulla natura contrattuale ed extracontrattuale della stessa, sul diverso onere della prova, sul nesso causale, ha svolto le considerazioni che seguono:
-il fallimento attore ha specificatamente enumerato ed indicato, nell’atto di citazione, i singoli pagamenti formalmente eseguiti per la buona uscita dei dipendenti, i singoli prelievi annotati in conto anticipo utili, i rimborsi effettuati in favore dei soci a titolo di restituzione di finanziamenti, i singoli prelevamenti ingiustificati;
-tali pagamenti e prelievi, tuttavia, risultano illegittimi, in quanto la documentazione acquisita dal curatore fallimentare e, poi, dal Tribunale non consente di valutare l’esistenza dei rapporti negoziali sottostanti.

In altre parole, ferma restando l’esecuzione dei pagamenti e dei prelievi, manca agli atti ogni documentazione che comprovi la legittimità di essi.

In particolare, manca la documentazione che comprova l’esecuzione dei finanziamenti in relazione ai quali si è proceduto al rimborso;
la prova della deliberazione concernente l’approvazione del bilancio e la ripartizione degli utili ai soci;
la prova della costituzione dei rapporti di lavoro;
– spettava al convenuto fornire la prova della legittimità dei pagamenti e dei prelievi.

Tuttavia, tale prova non è stata offerta dal Sig. il quale si è limitato ad asserzioni del tutto generiche in ordine al declino della società dovuto dal mancato incasso di crediti vantati nei confronti di terzi;
– né la circostanza che l’importo richiesto dal fallimento a titolo di risarcimento sia maggiore del passivo accertato in sede fallimentare rileva in questa sede, ben potendo la società avere subito, per effetto delle condotte dell’amministratore, un danno maggiore rispetto al totale dei crediti in relazione ai quali è stata avanzata domanda di insinuazione al passivo;
– quanto alle ulteriori doglianze mosse da parte attrice in ordine alle irregolarità contabili imputabili all’amministratore ovvero alla mancata predisposizione del bilancio, il Tribunale osserva come da esse non possa ricavarsi, sotto il profilo del nesso – ciò posto, il danno complessivo può essere determinato in €. 197.481,06.

Peraltro, il risarcimento del danno cui è tenuto l’amministratore, ai sensi dell’art. 2476 c.c., dà luogo ad un debito di valore.

La somma maggiorata della rivalutazione dalla data della liquidazione della società è pari ad €.
204.590,38 (importo della rivalutazione €. 7.109,32).

Conseguentemente il convenuto, Sig. deve essere condannato al pagamento, in favore del fallimento attore della somma di €.
204.590,38.

Su tale somma deve essere poi corrisposta l’ulteriore rivalutazione – da calcolarsi sulla base dei predetti indici Istat (Foi) – dalla data della pubblicazione della presente sentenza e fino al passaggio in giudicato di essa.

Dal passaggio in giudicato della sentenza, con la conversione dell’obbligazione di valore in debito di valuta, sono dovuti, ex art. 1282 c.c., sulla somma complessivamente liquidata, gli ulteriori interessi al saggio legale;
– parte convenuta, rimasta soccombente, deve essere condannata alla refusione, in favore dello Stato attesa l’ammissione di parte attrice al beneficio del patrocinio a spese dello Stato, delle spese legali relative al presente giudizio (comprensivo anche della fase cautelare).

§ 3. — Ha proposto appello ed ha così concluso:
“1) in via preliminare, dichiarare l’inammissibilità e/o improcedibilità della domanda attrice per i motivi di cui sopra;
2) sempre in via preliminare, ammettere le istanze istruttorie non ammesse e/o rigettate in primo grado, ivi compresa la CTU contabile, per tutte le ragioni esposte nella parte motiva del presente appello, rimettendo la causa sul ruolo;
3) nel merito, in accoglimento integrale dell’appello proposto, rigettare ogni domanda proposta da parte attrice, oggi appellata, nel primo grado di giudizio, in quanto infondata e comunque non provata per le ragioni tutte di cui al presente atto;
4) nel merito – in via subordinata, in caso di riconoscimento di una condotta colpevole del convenuto, accertare e dichiarare il minor danno procurato dallo stesso alla società.
Con vittoria di spese e competenze, oltre il rimborso forfettario per spese generali, IVA e CPA come per legge, relativi ad entrambi i gradi di giudizio”.

Il Fallimento n. 33/2013 della ha resistito al gravame ed ha così concluso:
dell’esecutività della sentenza impugnata , non sussistendo gravi e fondati motivi , rigettare l’appello ex adverso proposto perchè infondato fatto diritto conseguentemente confermare la sentenza n. 10717/2021 , pubblicata dal Tribunale di Roma , sezione specializzata in materia di impresa , il 17/6/2021 , della cui impugnazione trattasi.
Con il favore delle spese di lite”.

L’appello è stato posto in decisione all’udienza del giorno 11.3.2024 e successivamente deciso allo spirare dei termini per il deposito di conclusionali e repliche.

§ 4. — L’appello contiene i seguenti motivi:

1°) Omessa pronuncia sulle questioni preliminari avanzate dall’odierno appellante relative all’improcedibilità della domanda ed inammissibilità della stessa per carenza di interesse ad agire e per carenza di legittimazione attiva della Curatela.
Con il primo motivo, l’appellante lamenta l’omessa pronuncia da parte del Tribunale di Roma sull’eccezione di improcedibilità della domanda, stante la mancata costituzione di parte civile del fallimento attore nel procedimento penale a carico dell’appellante per il reato di bancarotta fraudolenta, conclusosi con il patteggiamento.

Altresì il primo giudice non si è pronunciato sull’eccezione di improcedibilità della domanda del curatore fallimentare stante l’esercizio dell’azione ex art. 146 L.F. fallimentare senza aver acquisito il parere del comitato dei creditori.

Inoltre il primo giudice non ha considerato l’assenza di danno lamentato dal fallimento.

Invero il passivo è pari a 39.196,70, mentre vi è la possibilità di recuperare €. 42.377,42.- sia da un altro fallimento (€- 32.319,00.-) o dallo Stato con il rimborso dell’IVA (€. 10.058,42).

Il convenuto ha più volte fornito le sue giustificazioni e si è mostrato subito collaborativo, spiegando ogni singola operazione compiuta, certo di non arrecare alcun danno alla società.

Tant’è che è fallita dopo due anni e per poco più di €. 30.000,00.- a seguito dell’istanza di un piccolo fornitore di maioliche.
Riprova ne è stata che nel fallimento non sono intervenuti né i dipendenti, né una banca, né altri fornitori.

Solo l’Agenzia della Riscossione per pochi Euro e la Camera di Commercio, significando che la società non aveva problemi ma era solo a corto di liquidità per il mancato pagamento del suo decreto ingiuntivo.

Il ha inutilmente insistito per una CTU sul danno riportato dal fallimento.

Difatti l’azione intrapresa avrebbe come finalità finale quella di conseguire dal convenuto il pagamento dei danni procurati alla società con il suo agire, per poi pagare i creditori e le spese della procedura.

Si fa notare che nel caso di specie se pagasse quanto richiesto €. 197.481,06.- all’esito del pagamento da parte della Curatela di tutti i debiti ammessi al passivo (€. 39.196,70.- oltre le spese della procedura) riavrebbe indietro circa i 4/5 delle somme versate e la società nuovamente in bonis.

2°) Illogicità e contraddittorietà della motivazione per a) errata applicazione degli artt. 2476 e 2479 2°co. c.c.;
b) erronea valutazione delle risultanze istruttorie;
c) mancata prova della domanda attrice sia nell’an che nel quantum;
d) mancata ammissione dei mezzi di prova di parte appellante;
e) mancato riconoscimento della condotta incolpevole dell’appellante.

Secondo l’appellante, il Tribunale avrebbe dovuto accertare dichiarare l’assenza colpa parte dell’amministratore/liquidatore con riferimento agli addebiti contestati sia per la mancata prova da parte della curatela del nesso causale tra gli stessi ed il paventato danno sociale e sia per l’assenza dello stesso danno sociale ove avesse permesso l’ammissione delle prove indicate dall’odierno appellante.

Conseguentemente il Tribunale di Roma avrebbe dovuto rigettare la domanda avanzata dalla Curatela perché infondata sia nell’an che nel quantum.

Lo stesso Tribunale ha riconosciuto che l’amministratore è esente da responsabilità ove fornisca la prova positiva di essere immune da colpa circa gli addebiti contestati.

Inoltre, lo stesso Tribunale, quanto alle doglianze avanzate dalla appellata curatela relative alle irregolarità contabili imputate all’appellante ovvero la mancata predisposizione del bilancio da parte dello stesso, ha ritenuto che da esse non possa ricavarsi, sotto il profilo del nesso causale, un danno subito dalla società o dai creditori sociali.

Il Tribunale si è limitato ad esporre i fatti contestati e a ritenere la responsabilità dell’appellante, sul rilievo che quest’ultimo non avesse dato la prova dell’assenza di colpa, senza svolgere alcuna attività istruttoria.

Assume lappellante che l un corretto accertamento dei fatti ed ha indotto in errore il Giudice.

Difatti l’ammissione dei mezzi di prova di parte convenuta ora appellante, tenuto conto dell’esame superficiale delle prove allegate dalla curatela, deve ritenersi essenziale:
– sia al fine di accertare e quantificare il danno imputabile agli specifici comportamenti dall’amministratore;
– e sia al fine di stabilire la situazione economico patrimoniale della società sia al momento del fallimento che al momento delle operazioni di pagamento di gennaio e febbraio 2011, le eventuali responsabilità e l’eventuale quantificazione del danno.
In particolare, deduce l’appellante che le operazioni contestate in citazione sono state tutte riportate in contabilità, sono tutte legittime e sono riferite ad un bilancio del 2010 che, seppur non approvato, indicava un patrimonio netto di €.
128.396,29 e un risultato di esercizio di €. 126.864,08.

Infatti, sino a tutto il 2009 la società non aveva alcun problema, provvedendo a rispettare ogni obbligo di legge e svolgere con regolarità la sua attività.

Poi tra il 2010 ed il 2011, a causa di mancati pagamenti per dei lavori svolti e del precario stato di salute dell’amministratore, la società ha dovuto fermare la propria attività.

Così il convenuto, nel corso del 2010 ed i primi mesi del 2011, ha provveduto a far incassare alla società ogni somma possibile ed a liquidare tutti i dipendenti ed i fornitori, tranne purtroppo quello dell’istanza di fallimento che era sicuro di pagare con l’incasso del lavoro svolto in sub-appalto presso l’Ambasciata Araba Egiziana, per conto della società appaltatrice RAGIONE_SOCIALE

Tuttavia la predetta società è fallita prima di aver effettuato il pagamento, impedendo così al poter pagare i pochi creditori rimasti.

Si noti che la è stata ammessa al passivo del per €. 32.319,00 in data 14.10.13, ma della cui liquidazione non è dato sapere nulla, essendo il tutto gestito dall’attore.

Stando così le cose, l’amministratore ha certamente agito senza colpa, essendo certo di procedere con i pagamenti dovuti durante la liquidazione.

Dallo stato passivo del fallimento, infatti, è emerso, come detto, che la massa passiva accertata è del solo importo di €.
39.196,70.-, composta dal solo fornitore RAGIONE_SOCIALE per €. 18.685,53.-, da Equitalia per €. 19.731,17.- e dalla CCIAA di Roma per €. 780,00.

Si evince anche che al momento della messa in liquidazione, la società vantava sia un credito verso l’erario di verso credito di €.
32.319,00 verso il suo ultimo cliente ( RAGIONE_SOCIALE ) per dei lavori svolti in subappalto e per il quale si era attivata per il recupero, recupero che è stato reso di fatto impossibile dalla dichiarazione di fallimento della medesima RAGIONE_SOCIALE
, così come risulta dalla stessa relazione ex art. 33 L.F. depositata dalla curatela.

Appare evidente, pertanto, come le condotte contestate all’odierno appellante, tutte riferibili sostanzialmente al mese di gennaio del 2011, debbano essere valutate alla luce della situazione patrimoniale e contabile della società non al momento del fallimento ma al tempo in cui le stesse sono state eseguite e dunque ritenute esenti da colpa.

Il Convenuto, difatti, era nella piena e legittima convinzione di poter pagare il debito verso l’unico fornitore rimasto e non pagato per €. 18.685,53, quanto meno con il credito vantato verso il suo cliente per €. 32.319,00 e, compensati i debiti/crediti verso l’erario, saldare il fisco.

Quindi, il convenuto non ha mai ritenuto di svolgere attività di distrazione quando ha fatto le disposizioni di pagamento indicate nell’atto di citazione perché le ha utilizzate per pagare i creditori della società (ne è prova l’assenza di altri creditori oltre RAGIONE_SOCIALE) e perché riteneva verosimile pagare l’ultimo fornitore con i ricavi del suo ultimo cliente.

Sulla quantificazione del danno in complessivi €. 197.481,06 desunti in:
– €. 59.000,00 per simulazione dei pagamenti buonauscita dipendenti;
– €. 43.800.00.- per illegittimi prelevamenti soci in conto anticipi utili;
– €. 60.000,00 per illegittimo rimborso finanziamenti ai soci;
– €. 8.981,06 per prelevamenti ingiustificati;
– €. 25.700,00 per l’impossibilità di recuperare il credito IVA 2010, trattandosi delle stesse operazioni dispositive compiute dal convenuto, è subordinata all’accertamento della illegittimità delle stesse, di cui non ha fornito alcuna prova.

In merito sarebbe stata dirimente la CTU richiesta da entrambe le parti, e non concessa dal Tribunale.

Dette operazioni sono state operate sui conti della società ma sono state eseguite al fine di eseguire pagamenti della stessa, tenuto conto che nessun creditore, oltre alla RAGIONE_SOCIALE ha fatto richiesta di ammissione al passivo del fallimento.

Certamente la società lavorava con degli operai e prendeva i materiali, ma, essendo stati soddisfatti pienamente, non hanno avuto alcun motivo per ammettersi al passivo del fallimento.
recuperare le somme necessarie alla chiusura del fallimento, tenuto conto che all’esito della liquidazione di tutti i creditori, la società ritorna in bonis, con il diritto del convenuto di prendere ogni altra somma residua.

E, certamente, la curatela non ha provveduto a quantificare le somme necessarie alla definizione del , non depositando alcuno progetto di stato passivo dove si tenga conto anche dell’ammissione allo stato passivo del Fallimento della RAGIONE_SOCIALE

§ 5. — L’appello non è fondato.
disattesa contestazione avente ad oggetto l’improcedibilità della domanda per non essersi il costituito parte civile nel giudizio penale, conclusosi con il patteggiamento, a carico del per gli stessi fatti di cui oggi è giudizio.

Invero al danneggiato è data la scelta di costituirsi parte civile nel processo penale a carico del danneggiante, oppure di promuovere in sede civile l’azione risarcitoria.

Nessun rilievo, quanto alla dedotta improcedibilità, può dunque attribuirsi all’essere il rimasto estraneo al processo penale contro il

Parimenti da disattendere è il motivo fondato sulla mancata richiesta del parere del Comitato dei creditori.

Invero, il appellato ha dedotto che, nel caso in questione, non sussistendo il comitato dei creditori, la proposizione dell’azione di responsabilità nei confronti del convenuto è stata previamente autorizzata con provvedimento reso in data 3/5/2017 dal giudice delegato.

Pertanto ogni vizio riguardante la procedura fallimentare va contestato in quella sede.

Per il resto, quanto all’asserita legittimità delle operazioni contabili, ossia dei prelievi, risultanti dal conto corrente della società, contabilizzate dalla fallita come uscita di Banca , in contropartita del conto “f.do quiescenza personale “ con la descrizione “pagamento buonuscita”, l’appellante non ha contestato quanto constatato dal e ritenuto dal primo giudice, ossia che non risulta che la società fallita abbia costituito rapporti di lavoro dipendente nel periodo riconducibile gli esercizi pregressi. Quanto agli assegni contabilizzati dalla società fallita come avvenuta il 02/01/11, in assenza della delibera di approvazione del bilancio afferente l’esercizio in questione, ovvero, in assenza dell’autorizzazione alla distribuzione dell’utile, eventualmente, conseguito.

Altresì, ha dedotto il che dal libro giornale relativo all’anno 2010 emerge la presenza di ulteriori registrazioni di prelevamento in anticipo sull’utile conseguito nel corso dell’anno, per un totale complessivo, al 31/12/10, di euro 43.800,00 in violazione del disposto dell’art 2478- bis comma 4 c.c. Quanto al rimborso ai soci dei finanziamenti in favore della società, ha dedotto il che la relativa operazione bancaria risulta contabilizzata dalla società fallita come uscita di Banca in contropartita di quella “soci c/finanziamento”, con la descrizione “rimborso soci” contabilizzata nell’anno 2011 senza alcuna indicazione specifica dei beneficiari, a fronte di finanziamenti dall’amministratore risalenti all’anno 2008, che tuttavia non risultano documentati, e comunque, in assenza di delibera da parte dei soci. Quanto agli assegni contabilizzati come uscita di Banca in contropartita del conto “personale c/retribuzioni”, con la descrizione “pagamento delle retribuzioni”, il fallimento ha ribadito che non risulta che la società fallita abbia costituito rapporti di lavoro nei periodi in questione.

Quanto all’operazione contabilizzata come uscita di Banca, in contropartita del conto con descrizione “pagamento nota di credito”, ’amministratore unico benché sollecitato dal curatore, non ha mai prodotto alcun documento giustificativo.

In relazione alle descritte uscite bancarie, era il non il , che doveva provare, attraverso idonea documentazione, le causali non rinvenute dal curatore fallimentare.

Erra l’appellante nel sostenere l’onere del fallimento attore in ordine alla prova dell’illegittimità delle suddette operazioni.

In proposito si applica il principio già ricordato dal primo giudice, e non specificamente contestato dall’appellante, secondo il quale “le (diverse) fattispecie di responsabilità degli amministratori di cui agli artt. 2392 e 2394 c.c. confluiscono in un’unica azione, dal carattere unitario ed inscindibile (cfr., sul punto, Cassazione civile, sez. I, 29 ottobre 2008, n. 25977), , formulare istanze risarcitorie verso gli amministratori, i liquidatori ed i sindaci tanto con riferimento ai presupposti della responsabilità (contrattuale) di questi verso la società (artt. 2392, 2407 c.c.), quanto a quelli della responsabilità (extracontrattuale) verso i creditori sociali (art. 2394, 2407 c.c., cfr., altresì, per tutte, Cass. 22 ottobre 1998, n. 10488).

Come è altrettanto noto, le due azioni, ancorché diverse, vengono ad assumere, nell’ipotesi di fallimento, carattere unitario ed inscindibile, nel senso che i diversi presupposti e scopi si fondono tra loro al fine di consentire l’acquisizione all’attivo della procedura di quel che è stato sottratto dal patrimonio sociale per fatti loro imputabili”.

Quanto all’azione sociale di responsabilità, il Tribunale ha ricordato che:
“l’azione sociale, anche se esercitata dal curatore fallimentare, ha natura contrattuale, in quanto trova la sua fonte nell’inadempimento dei doveri imposti agli amministratori dalla legge o dall’atto costitutivo, ovvero nell’inadempimento dell’obbligo generale di vigilanza o dell’altrettanto generale obbligo di intervento preventivo e successivo…..

Dalla qualificazione in termini di responsabilità contrattuale dell’azione de qua consegue che, mentre sull’attore (società o curatore fallimentare che sia) grava esclusivamente l’onere di dimostrare la sussistenza delle violazioni agli obblighi (trattandosi di obbligazioni di mezzi e non di risultato), il nesso di causalità tra queste ed il danno verificatosi, incombe, per converso, sugli amministratori l’onere di dimostrare la non imputabilità a sé del fatto dannoso, fornendo la prova positiva, con riferimento agli addebiti contestati, dell’osservanza dei doveri e dell’adempimento degli obblighi loro imposti. In altre parole, l’inadempimento si presumerà colposo e, quindi, non spetterà al curatore fornire la prova della colpa degli amministratori, mentre spetterà al convenuto amministratore evidenziare di avere adempiuto il proprio compito con diligenza ed in assenza di conflitto di interessi con la società, ovvero che l’inadempimento è stato determinato da causa a lui non imputabile ex art. 1218 c.c., ovvero, ancora, che il danno è dipeso dal caso fortuito o dal fatto di un terzo (cfr., in questo senso, Cassazione civile sez. I 11 novembre 2010 n. 22911; Cassazione civile, sez.
I, 24 marzo 1999, n. 2772; Trib. Roma, 8 maggio 2003; Cassazione civile, sez. I, 22 ottobre 1998, n. 10488)”.

Il medesimo onere probatorio incombeva sullodierno bilanci d’esercizio afferenti agli anni 2010, 2011, 2012;
la violazione degli obblighi di tenuta dei libri sociali e delle scritture contabili obbligatorie; violazione degli obblighi conservazione dell’integrità patrimoniale a fronte della riduzione del capitale sociale al di sotto del minimo legale, per l’effetto di perdite subite nell’esercizio afferente all’anno 2009;
la violazione degli obblighi tributari per omessa presentazione delle dichiarazioni fiscali successive all’anno d’imposta 2009, e, in particolare l’omessa presentazione dei dichiarativi fiscali per gli anni d’imposta 2010, 2011 e 2012, da cui è derivata l’impossibilità di recuperare il credito Iva esposto nella dichiarazione dell’anno 2010 (l’ultima presentata afferente all’anno d’imposta 2009), cagionando un danno patrimoniale , documentalmente provato, pari ad euro 25.700,00.

Le singole condotte di mala gestio, in ordine alle quali il ha omesso di fornire la prova liberatoria, hanno cagionato depauperamento del patrimonio sociale che il fallimento, sulla base della documentazione bancaria e contabile della società, ha specificamente dedotto e quantificato:

– complessivi euro 59.000,00 per quanto concerne la simulazione dei pagamenti per la buonuscita dipendenti;
– complessivi euro 43.800,00 per quanto concerne gli illegittimi prelevamenti dei soci in conto anticipo utili;
– complessivi euro 60.000,00 per quanto concerne l’illegittimo rimborso ai soci dei finanziamenti;
– complessivi euro 8.981,06 per quanto concerne i prelevamenti ingiustificati;
– complessivi euro 25.700,00 per quanto concerne l’impossibilità di recuperare il credito iva esposto nella dichiarazione dell’anno 2010.

Ne deriva che il attore ha assolto l’onere della prova in relazione alla sussistenza del nesso causale tra le condotte contestate e il danno causato al patrimonio sociale.

Quanto alla contestazione fondata sul rilievo dell’eccedenza del danno liquidato dal giudice rispetto al passivo fallimentare, valgono le seguenti osservazioni.

Non può sostenersi che l’eccedenza evidenziata dall’appellante non costituisca danno risarcibile in favore del fallimento, atteso che l’azione di responsabilità esercitata dal curatore ex art. 146 cumulando diverse azioni previste dagli artt. 2393 e 2394 c.c. a favore, a garanzia sia degli stessi soci che dei creditori sociali (Cass. n. 23452 del 20/09/2019), a nulla rilevando che, essendo la società partecipata per il 95% dello stesso appellante e per il restante dal suocero, non insinuatosi nel passivo del fallimento, in pratica detta eccedenza andrebbe a favore della società tornata in bonis ovvero dello stesso appellante. Ed in effetti, tale conseguenza non incide sulla misura del danno cagionato al patrimonio sociale, ed andrà regolata, eventualmente, al momento della chiusura del fallimento, non ancora intervenuta.

Detta evenienza, infatti, non riguarda la finalità di reintegrazione del patrimonio sociale, nella misura quantificata al Tribunale, a cui è diretta l’azione di responsabilità sociale promossa dal ed all’esperimento della quale il curatore è legittimato ex art. 146 L.F. Ne discende altresì l’infondatezza del motivo nel quale, partendo dalla rilevata eccedenza della somma liquidata a titolo di risarcimento del danno rispetto al passivo fallimentare, si contesta la mancanza di interesse del attore a conseguire una somma maggiore di quella necessaria al soddisfacimento dei creditori. Ed in effetti, è solo al momento della chiusura del fallimento per integrale pagamento dei crediti che viene meno l’interesse del curatore al recupero di ulteriori attività, derivanti dall’azione risarcitoria esame (si veda, proposito, Cass n. 4707 del 25/02/2011).

Ne deriva l’ulteriore conseguenza della irrilevanza della CTU chiesta dall’appellante con l’impugnazione, in quanto volta ad accertare l’esatta consistenza del passivo fallimentare al fine di circoscrivere il danno risarcibile.
Invero l’accertamento richiesto, oltre che non pertinente al presente giudizio, risulta pure superato dalla prova fornita dal Fallimento attore circa la misura del danno prodotto al patrimonio sociale dalle singole condotte contestate al § 6. — Le spese del grado seguono la soccombenza dell’appellante.

Stante l’ammissione del al patrocinio a spese dello Stato, la condanna dell’appellante al pagamento delle spese di lite va pronunciata in favore dello Stato.

Esse si liquidano, avuto riguardo al valore della causa, nella misura di euro 14.317 pronunciando sull’appello proposto da nei confronti di contro la sentenza resa tra le parti dal tribunale di Roma, ogni altra conclusione disattesa, così provvede:

1. — rigetta l’appello;
2. — condanna la parte appellante al rimborso, in favore dello Stato, delle spese sostenute per questo grado del giudizio, liquidate nella misura di euro 14.317 oltre a spese generali, IVA e CPA.
-Ai sensi dell’art.13, comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002 inserito dall’art. 1, comma 17 della Legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, a carico della parte appellante, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’appello, a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma il giorno 2 settembre 2024.
Il presidente estensore

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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