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Amministratori privi di deleghe o non operativi e obbligo di vigilanza

In base alla giurisprudenza di legittimità, a seguito della riforma delle società di capitali del 2003, gli amministratori privi di deleghe (o non operativi) non sono più sottoposti ad un generale obbligo di vigilanza, tale da trasmodare di fatto in una responsabilità oggettiva, per le condotte dannose degli altri amministratori, ma rispondono solo quando non abbiano impedito fatti pregiudizievoli di quest’ultimi in virtù della conoscenza ― o della possibilità di conoscenza, per il loro dovere di agire informati ex art. 2381 c.c. ― di elementi tali da sollecitare il loro intervento alla stregua della diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle loro specifiche competenze (Cass. 31 agosto 2016, n. 17441).

Pubblicato il 01 December 2024 in Diritto Societario, Giurisprudenza Civile

Xxx agiva in giudizio dinanzi al Tribunale di Lecce nei confronti di Yyy, Zzz, Kkk e JJJ s.r.l., per essere tenuto indenne delle eventuali conseguenze pregiudizievoli che, in suo danno, avrebbero potuto prodursi in ragione di un avviso di accertamento fiscale dell’Agenzia delle entrate, notificatogli il 30 dicembre 2012 e inerente al periodo di imposta 2006.

La pronuncia di primo grado era stata dichiarata nulla dal Tribunale di Lecce per un vizio processuale.

Con sentenza dell’11 gennaio 2023, la Corte di appello di Lecce pronunciava sentenza definitiva con cui dichiarava la natura fiduciaria della cessione di quote societarie disposta da Yyy in favore di Xxx e respingeva tutte le altre domande proposte dallo stesso Xxx.

La Corte territoriale osservava che la domanda principale proposta da Xxx andava qualificata come azione di accertamento della natura fiduciaria del trasferimento di quote, disposto in suo favore da Yyy e la prova dell’esistenza del pactum fiduciae poteva dirsi raggiunta.

Xxx, in seguito alla stipula del contratto del 29 ottobre 2004, con cui Yyy gli aveva trasferito la metà delle quote di JJJ s.r.l., aveva assunto formalmente la qualità di socio e dal 29 ottobre 2004 fino all’8 settembre 2006 aveva ricoperto pure la carica di amministratore, quale componente del consiglio di amministrazione:

«In carenza di prova sulla correttezza del proprio operato, ovvero sull’espressa dissociazione dalle scelte gestorie altrui, Xxx, avendo assunto la qualifica di amministratore con i pieni poteri alla stessa collegati ― poteri che gli avrebbero consentito di agire anche solo per contrastare condotte illecite ― è responsabile in solido con gli altri amministratori (Zzz e Yyy) delle conseguenze pregiudizievoli di tali scelte, verificatesi in danno della società e dei singoli soci (e dunque anche di sé stesso), in termini di maggiore tassazione e di sanzioni amministrative».

In conseguenza, sia la domanda di manleva, sia quella di risarcimento dei danni conseguenti all’accertamento dell’Agenzia delle entrate, danni comprensivi delle spese sostenute per la difesa nel giudizio tributario, erano da ritenere infondate.

Xxx ricorreva in Cassazione.

Xxx aveva chiesto che fosse accertata la sua estraneità rispetto agli atti di mala gestio posti in essere dagli amministratori di JJJ s.r.l.:

«atti che avevano generato l’avviso di accertamento fiscale del 30 dicembre 2011, con cui l’Agenzia delle entrate aveva contestato, per il periodo d’imposta 2006, un presunto maggior reddito imponibile pari ad euro 89.897,00, con conseguenti maggiori imposte e sanzioni per complessivi euro 72.505,61 (di cui euro 33.517,00 a titolo di sanzioni amministrative), sulla base di una presunzione di distribuzione di utili extracontabili» ai soci della detta società.

La domanda era basata sul mancato compimento di atti di amministrazione e sull’assenza di percezione di utili da parte dell’odierno ricorrente.

Come in precedenza detto, il rigetto della domanda di manleva svolta da Xxx nei confronti degli amministratori e del fiduciante Yyy trovava fondamento nel diretto coinvolgimento del ricorrente nell’attività amministrativa della società: e quindi anche nell’attività di occulta distribuzione degli utili che ha dato origine alla contestazione dell’Agenzia delle entrate.

In base alla giurisprudenza di legittimità, a seguito della riforma delle società di capitali del 2003, gli amministratori privi di deleghe (o non operativi) non sono più sottoposti ad un generale obbligo di vigilanza, tale da trasmodare di fatto in una responsabilità oggettiva, per le condotte dannose degli altri amministratori, ma rispondono solo quando non abbiano impedito fatti pregiudizievoli di quest’ultimi in virtù della conoscenza ― o della possibilità di conoscenza, per il loro dovere di agire informati ex art. 2381 c.c. ― di elementi tali da sollecitare il loro intervento alla stregua della diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle loro specifiche competenze (Cass. 31 agosto 2016, n. 17441): quando, pur a fronte di segnali di allarme, abbiano omesso di attivarsi con la diligenza imposta dalla natura della carica, adottando o proponendo i rimedi giuridici più adeguati alla situazione, detti amministratori rispondono in solido con gli amministratori delegati del danno cagionato, poiché un comportamento inerte si pone in contrasto con il dovere di agire in modo informato (Cass. 22 aprile 2024, n. 10739).

E’ stato infatti precisato che la colpa dell’amministratore può consistere o nell’inadeguata conoscenza del fatto di altri, il quale in concreto abbia cagionato il danno, o nel non essersi il soggetto con diligenza utilmente attivato al fine di evitare l’evento, aspetti entrambi ricompresi nel concetto di essere «immuni da colpa», di cui all’art. 2392 c.c., comma 3: se il fatto dannoso è stato compiuto da un altro amministratore, «la colpa concorrente dell’amministratore che non lo abbia direttamente posto in essere ― fattispecie omissiva colposa ― può dunque consistere: a) nella colposa ignoranza del fatto altrui, per non avere adeguatamente rilevato i ‘segnali d’allarme’ dell’altrui illecita condotta, percepibili con la diligenza della carica; b) nell’inerzia colpevole, per non essersi utilmente attivato al fine di scongiurare l’evento evitabile con l’uso della diligenza predetta» (Cass. 26 gennaio 2018, n. 2038, in motivazione).

Ora, nel caso in esame la Corte di merito non aveva rilevato alcuna delega di poteri tra gli amministratori di JJJ: il Giudice di appello, come in precedenza osservato, aveva piuttosto dato atto che Xxx aveva assunto a tutti gli effetti la qualifica di amministratore e che lo stesso era munito dei poteri che gli avrebbero consentito di far fronte a condotte illecite.

La Corte di appello aveva positivamente accertato che Xxx non aveva dato prova della correttezza del proprio operato o di essersi comunque dissociato dall’operato degli altri amministratori: su tanto aveva fondato la responsabilità del predetto.

Corte di Cassazione, Ordinanza n. 27844 del 28 ottobre 2024

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