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Codice Penale

Annullata parzialmente sanzione amministrativa per aflatossine

La sentenza affronta il tema della responsabilità dell’operatore del settore alimentare in caso di superamento dei limiti di aflatossine nel latte. Viene ribadita l’importanza dell’attivazione delle procedure di ritiro e dell’elemento psicologico della condotta.

N.R.G. 18186/2019

TRIBUNALE ORDINARIO DI BRESCIA Terza Sezione Civile

 VERBALE DEL 5.11.2024 Nella causa n.r.g. 18186/2019, promossa da:

con il patrocinio dell’Avv. COGNOME RICORRENTE contro difesa in proprio dal Sig. COGNOME RESISTENTE Oggi 5.11.2024, l’udienza è stata sostituita dal deposito di note scritte.

Le parti hanno depositato note conclusive il 18 e il 21.10.24.

Il Giudice Pronuncia ai sensi dell’art. 429

c.p.c. l’allegata sentenza.

Il Giudice Dott. NOME COGNOME R e p u b b l i c a I t a l i a n a

TRIBUNALE ORDINARIO DI BRESCIA Terza Sezione Civile

I N N O M E D E L P O P O L O I T A L I A N O 

Il Tribunale in composizione monocratica, nella persona del giudice dott. NOME COGNOME:

nella causa iscritta al n.r.g. 18186/2019, promossa da:

con il patrocinio dell’Avv. COGNOME RICORRENTE contro difesa in proprio dal Sig. COGNOME ha pronunciato la seguente:

S E N T E N Z A N._4513_2024_- N._R.G._00018186_2019 DEL_05_11_2024 PUBBLICATA_IL_05_11_2024

( ai sensi dell’art. 429 c.p.c. ) 1. Con ricorso del 19.12.19, l’ ha impugnato l’ordinanza-ingiunzione n. 960 del 26.11.19, con cui l’ le aveva comminato la sanzione amministrativa di € 18.000 per violazione dell’art. 19 del Regolamento CE 178/2002 e dell’art. 3 co. 1 del D.Lgs. n. 190/06, a causa del superamento delle soglie di aflatossine presenti in quattro campioni di latte (di cui ai verbali di accertamento n. 646, 647, 648 e 649 del 20.6.16).

si è costituita il 12.10.20, chiedendo il rigetto della domanda.

Le parti sono comparse all’udienza del 29.10.20;

in quella sede, il giudice ha sospeso l’esecutività della sanzione amministrativa.

È seguito lo scambio di memorie.

Il fascicolo è stato assegnato a questo giudice il 12.12.22.

Alle udienze del 13.4.23 e del 12.9.23 le parti hanno dato atto di possibili soluzioni conciliative.

Con ordinanza dell’8.12.23 è stata fissata la discussione della causa, ritenute superflue le prove alla luce dei documenti prodotti.

Le parti hanno depositato note conclusive il 18 e il 21.10.24.

2.

Le conclusioni della ricorrente (come da note del 21.10.24) sono state:

«In via principale e nel merito, annullare e/o revocare l’Ordinanza Ingiunzione n. 960 del 26.11.2019, notificata da Direzione Amministrativa Dipartimento Amministrativo, di Controllo, e degli Cont Contr, per la presunta violazione dell’articolo 19 del Regolamento CE 178/2002 siccome illegittima, infondata e ciò con ogni e più riserva di ulteriore contestazione, anche sotto l’aspetto formale e procedimentale e senza che ciò importi rinuncia ad ogni ulteriore e più ampia eccezione, ovvero In estremo e deprecato subordine determinare la sanzione, per ciascuna ordinanza ingiunzione, in ogni caso nella misura corrispondente al minimo edittale e ciò ai sensi dell’articolo 11 della Legge n. 689/81». Le conclusioni della resistente (come da note del 18.10.24) sono state:

«Voglia l’On.le Tribunale adito, ogni contraria istanza ed eccezione disattesa:

nel merito dichiarare infondate tutte le eccezioni e le domande ex adverso avanzate e respingerle integralmente confermando la legittimità e l’efficacia della ordinanza-ingiunzione opposta e, dunque, la fondatezza della pretesa creditoria pubblica».

3. I fatti di causa possono essere riassunti come segue:

− Il 2.5.16, a seguito di verbale di ispezione dei Carabinieri NAS di , l’ATS emetteva i verbali nn. 646, 647, 648 e 649 per contestare alla ricorrente, rispettivamente, che:

COGNOME

Il rapporto 313 dell’ARAL su latte campionato l’8.10.15 e analizzato il 9.10.15 aveva riportato un contenuto di aflatossine di 0,178 ppb;

il latte era stato ceduto al di Agerola-NA con DDT n. 41 del 10.10.15;

B.

Il rapporto 634 dell’ARAL su latte campionato il 9.10.15 e analizzato il 10.10.15 aveva riportato un contenuto di aflatossine di 0,064 ppb (± 7);

il latte era stato ceduto al di Agerola-NA con DDT n. 41 del 10.10.15;

C.

Il rapporto 288 dell’ARAL su latte campionato il 27.10.15 e analizzato il 29.10.15 aveva riportato un contenuto di aflatossine di 0,060 ppb (± 7);

il latte era stato ceduto al con DDT n. 46 del 27.10.15;

D.

Il rapporto 736 dell’IZS su latte campionato il 6.4.16 e analizzato il 7.4.16 aveva riportato un contenuto di aflatossine di 0,053 ppb (con c.d. metodo ELISA);

il latte era stato ceduto di Agerola-NA con DDT n. 15 del 9.4.16;

− Il titolare dell’RAGIONE_SOCIALE veniva sentito in sede amministrativa il 13.11.18 (dunque nel rispetto del contraddittorio endoprocedimentale);

− Il ricorrente veniva assolto con sentenza di questo Tribunale n. 284 del 28.2-24.4.18 da dieci capi di imputazione per i reati di cui agli artt. 440 e 515 c.p.;

− L’ emetteva l’ordinanza-ingiunzione n. 960, qui impugnata, il 26.11.19. 4. L’art. 19 del Regolamento CE 178/2002 prevede che:

«1. Se un operatore del settore alimentare ritiene o ha motivo di ritenere che un alimento da lui importato, prodotto, trasformato, lavorato o distribuito non sia conforme ai requisiti di sicurezza degli alimenti, e l’alimento non si trova più sotto il controllo immediato di tale operatore del settore alimentare, esso deve avviare immediatamente procedure per ritirarlo e informarne le autorità competenti.

Se il prodotto può essere arrivato al consumatore, l’operatore informa i consumatori, in maniera efficace e accurata, del motivo del ritiro e, se necessario, richiama i prodotti già forniti ai consumatori quando altre misure siano insufficienti a conseguire un livello elevato di tutela della salute.

3. Gli operatori del settore alimentare informano immediatamente le autorità competenti quando ritengano o abbiano motivo di ritenere che un alimento da essi immesso sul mercato possa essere dannoso per la salute umana.

Essi informano Contrtale cooperazione possa prevenire, ridurre o eliminare un rischio derivante da un prodotto alimentare.

4. Gli operatori del settore alimentare collaborano con le autorità competenti riguardo ai provvedimenti volti ad evitare o ridurre i rischi provocati da un alimento che forniscono o hanno fornito».

L’art. 3 co. 1 del D.Lgs. n. 190/06 prevede che:

«Salvo che il fatto costituisca reato, gli operatori del settore alimentare e dei mangimi, i quali, essendo a conoscenza che un alimento o un mangime o un animale da loro importato, prodotto, trasformato, lavorato o distribuito, non più nella loro disponibilità, non è conforme ai requisiti di sicurezza, non attivano le procedure di ritiro degli stessi, sono soggetti al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria da tremila euro a diciottomila euro».

4.1.

Il ricorrente ha rappresentato innanzitutto l’assoluzione nel procedimento penale, invocando il principio del ne bis in idem.

Il giudice, tuttavia, ritiene corrette le osservazioni della controparte sulla diversità delle condotte oggetto dei due accertamenti.

Nel procedimento penale, infatti, erano stati contestati gli artt. 440 e 515 c.p.:

il primo punisce chi «corrompe o adultera sostanze destinate all’alimentazione, prima che siano attinte o distribuite per il consumo, rendendole pericolose per la salute pubblica»;

il secondo chi «nell’esercizio di un’attività commerciale consegna all’acquirente una cosa mobile per un’altra, ovvero una cosa mobile, per origine, provenienza, qualità o quantità, diversa da quella dichiarata o pattuita».

In questo procedimento, invece, rileva la condotta dell’operatore del settore alimentare il quale, pur essendo a conoscenza che un prodotto, non più nella propria disponibilità, non è conforme ai requisiti di sicurezza, non attiva le procedure di ritiro.

Si tratta, dunque, di una fattispecie diversa e successiva rispetto agli illeciti penali;

inoltre, rilevano in questa sede i limiti precisamente imposti dai regolamenti alimentari con riguardo alle aflatossine, a prescindere da un’indagine a valle sulla potenziale pericolosità dei prodotti per l’utenza.

In concreto, è utile richiamare il contenuto della sentenza penale, pervenuta all’assoluzione:

con riguardo al reato ex art. 440 c.p., perché:

lo sviluppo delle tossine «non dipende da una condotta di corruzione o adulterazione posta in essere dall’allevatore»;

ii.

l’aflatossina M1 «viene ritenuta solo “probabilmente cancerogena” senza che vi siano evidenze certe in merito»;

iii.

«accade ben di rado che il latte prodotto da un singolo allevatore venga utilizzato da solo per la produzione di formaggi o per la destinazione al consumo per l’uomo, in quanto, come accaduto nel caso di specie, viene miscelato con quello prodotto dalle altre vacche in tal modo verosimilmente riducendosi di molto il rischio che il formaggio prodotto possa contenere un livello di aflatossine M1 superiore ai limiti di legge»;

iv.

non era stata raggiunta la prova circa la consapevolezza della contaminazione da parte degli imputati;

II.

con riguardo alla contravvenzione di cui all’art. 5 co. 1 lett. d) della Legge n. 283/62 («È vietato impiegare nella preparazione di alimenti o bevande, vendere, detenere per vendere o somministrare come mercede ai propri dipendenti, o comunque distribuire per il consumo, sostanze alimentari:

d) insudiciate, invase da parassiti, in stato di alterazione o comunque nocive, ovvero sottoposte a lavorazioni o trattamenti diretti a mascherare un preesistente stato di alterazione»), perché:

fax che avrebbe potuto fornire quanto meno un serio indizio di prova in tal senso»;

ii.

(segue) «applicando i rigorosi canoni penalistici di accertamento della prova non si può certo ritenere che gli imputati fossero, in data 09/10/2015, a conoscenza del superamento del valore di aflatossine per il mero fatto che nel corso dell’ispezione dei Carabinieri del 2 maggio 2016, fosse in possesso del rapporto di prova relativo»;

III.

con riguardo all’art. 515 c.p., perché:

i fatti sarebbero stati commessi in giorni diversi da quelli indicati nei capi d’imputazione (dovendosi considerare il giorno della spedizione del latte risultante dai DDT e non quello degli esami di laboratorio);

ii.

il metodo di analisi denominato NOME «permette di affermare realmente avvenuto il superamento del limite di 50 ppt soltanto laddove il risultato sia pari o superiore a 66 ppt»;

in particolare, quanto ai campioni del 6.4.16 di cui al capo di imputazione G (non essendo i capi E ed F rilevanti in questa sede), risultavano tre rapporti da 68, 53 e 44 ppt;

iii.

come sopra, per mancanza della prova della conoscenza dell’esito degli esami da parte dell’imputato al momento della condotta.

Come si vede – salvo alcune che saranno esaminate nel prosieguo – si tratta di circostanze e considerazioni che non riguardano l’illecito amministrativo oggetto del presente procedimento.

4.2.

L’esistenza della contaminazione non è revocabile in dubbio con riguardo ai primi tre rapporti (A- B-C), anche considerando la soglia di tolleranza di ± 7 ppb.

Per il quarto rapporto (sub D), invece, il giudice ritiene di conformarsi alla sentenza penale, nella parte in cui spiega che con il c.d. metodo NOME la contaminazione deve ritenersi esistente oltre la soglia di 66 ppb e in cui rileva l’esistenza di altri due rapporti con risultati negativi (supra, punto III.ii).

A tal proposito, il rapporto dell’ATS 2016/145611 eseguito nella stessa data (7.4.16 su campioni del 6.4.16) è stato prodotto dalla ricorrente solo con la memoria del 22.1.21 e dunque è tardivo ai sensi dell’art. 414 n. 5 c.p.c.;

tuttavia la tardività è irrilevante, siccome lo stesso è richiamato nella sentenza penale allegata con l’atto introduttivo (quanto invece ai campioni sui formaggi prodotti con latte dell’ottobre 2015, gli esami non risultano allegati e comunque la ricorrente non ha replicato sul fatto che essi si riferirebbero invero ad altri prodotti, cfr. p. 4 memoria ATS del 22.1.21).

Gli argomenti spesi dall’ sulla validità del c.d. metodo NOME e sul dovere dell’azienda di attivarsi comunque a fronte del quanto meno possibile superamento delle soglie non sono privi di pregio, ma non consentono di ritenere raggiunta la prova dell’illecito, a fronte degli elementi di segno contrario (v. art. 6 co. 11 del D.Lgs. n. 150/11, secondo cui:

«Il giudice accoglie l’opposizione quando non vi sono prove sufficienti della responsabilità dell’opponente»).

Ne deriva che la sanzione amministrativa va annullata con riferimento alla violazione del 6-7.4.16.

4.3.

Il giudice ritiene sussistente la condotta prevista dalla norma sanzionatrice, poiché – a fronte dei capitoli di prova orale nn. 2, 4, 6 e 8, con cui l’azienda agricola avrebbe voluto dimostrare che il latte contaminato era stato gettato nella c.d. letamaia – la stessa ricorrente ammette che l’alimento fosse stato inviato ai , indicando anche i relativi DDT (pertanto, il latte era uscito dalla disponibilità del produttore).

La condotta sanzionata è di tipo omissivo (i.e. non attivare le procedure di ritiro), sicché non gravava Cont del 16.1.13 del Ministero della Salute, riportata dalla resistente, prevede che l’operatore del settore alimentare debba comunicare, ai sensi dell’art. 19 del Regolamento CE 178/02, i risultati all’autorità competente entro 12 ore dall’acquisizione dell’esito.

4.4.

A differenza di quanto ritenuto in sede penale – dove vige un onere della prova necessariamente più rigoroso ai fini dell’affermazione della responsabilità dell’imputato, stanti le conseguenze sulla sua libertà personale – il giudice ravvisa anche l’elemento psicologico della condotta, dovendosi escludere l’errore incolpevole invocato dalla ricorrente.

Invero, mentre il reato è stato escluso anche per mancanza della prova della conoscenza dei risultati dei test in capo all’imputato (che si sarebbe potuta raggiungere ad esempio con le ricevute dei relativi fax), come si è visto l’illecito amministrativo si colloca in una fase temporale successiva (la violazione scatta dopo 12 ore dalla conoscenza).

In tal senso, posto che gli esami erano stati chiesti volontariamente come forma di autocontrollo, appare assai improbabile che l’azienda non ne avesse avuto conoscenza.

Si consideri, peraltro, che i rapporti erano in possesso della ricorrente quando i militari hanno eseguito l’accertamento il 2.5.16 («Si è preso atto che nell’anno 2015, nell’azienda sono emerse alcune criticità connesse alla produzione di latte contaminato da aflatossina M1 oltre i limiti di legge, come evidenziato nei Rapporti di Prova eseguiti in autocontrollo ed esibiti dall’allevatore»).

Questa considerazione è stata ritenuta dal giudice penale insufficiente per dimostrare che – nel momento individuato come rilevante per la commissione dei reati – l’imputato avesse avuto conoscenza dei rapporti;

ma ciò non rileva rispetto al diverso obbligo di attivazione, che è pacifico non sia stato adempiuto nelle 12 ore né mai.

4.5.

La sanzione merita di essere rideterminata sia a causa del venir meno della violazione del 7.4.16 sia perché l’ordinanza-ingiunzione non pare adeguatamente motivata con riguardo al calcolo della pena.

L’art. 3 co. 1 cit. prevede una sanzione da € 3.000 ad € 18.000;

ciascun verbale di accertamento consentiva il pagamento nella misura ridotta a € 6.000 (ai sensi degli artt. 10 e 16 della Legge n. 689/81:

in questo caso coincidono il doppio del minimo e il terzo del massimo);

l’ordinanza-ingiunzione ha applicato l’art. 8 della Legge n. 689/81 moltiplicando € 6.000 per tre.

Tuttavia, posto che il ricorrente non si era avvalso del pagamento in misura ridotta, non è chiaro perché sia stata mantenuta come sanzione-base la pena € 6.000;

inoltre, considerato che l’art. 8 cit. prevede per il concorso un aumento fino al triplo, occorreva spiegare perché si fosse optato per la misura massima.

Invero, il giudice ritiene di individuare la sanzione più grave in quella sub A, dato che le aflatossine avevano superato il triplo della soglia consentita (0,178 contro 0,05).

Questa considerazione consente di condividere la sanzione di € 6.000, non perché sia quella prevista per il pagamento in misura ridotta, ma perché è doveroso aumentare il minimo in ragione della gravità della violazione, sebbene non per tre non essendo previsto un moltiplicatore automatico della sanzione rispetto alle tossine presenti.

Quanto al concorso, si osserva come la moltiplicazione per tre farebbe venir meno il beneficio previsto dall’art. 8 cit., venuta meno la quarta violazione ed essendo la seconda e la terza meno gravi della prima.

Si ritiene pertanto congruo un aumento del doppio, di fatto corrispondente per queste ultime due violazioni al minimo edittale di € 3.000 (tenuto conto che il superamento delle soglie è stato contenuto).

Pertanto, il totale va rideterminato in € 12.000 oltre spese accessorie.

5.

La mancata costituzione della parte resistente esclude la condanna del ricorrente al pagamento delle

PER QUESTI MOTIVI

Il Tribunale, definitivamente pronunciando, in parziale accoglimento del ricorso, disattesa ogni diversa istanza:

ridetermina in € 12.000,00 oltre spese accessorie la sanzione dovuta dall’ all’ATS di in forza dell’ordinanza-ingiunzione n. 960 del 26.11.19;

nulla sulle spese di lite.

Brescia, 05/11/2024 Il Giudice Dott. NOME COGNOME

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