R.G. 2053/2022
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
CORTE DI APPELLO DI FIRENZE PRIMA SEZIONE CIVILE La Corte di Appello di Firenze, Sezione Prima Civile, così composta:
Dott.ssa NOME COGNOME Relatore Dott.ssa NOME COGNOME Consigliere Dott.ssa NOME COGNOME Consigliere ha pronunciato la seguente
SENTENZA N._551_2025_- N._R.G._00002053_2022 DEL_24_03_2025 PUBBLICATA_IL_24_03_2025
nella causa civile di II Grado iscritta al n. R.G. 2053/2022 promossa da:
con il patrocinio dell’Avv. NOME COGNOME contro quale titolare della ditta individuale RAGIONE_SOCIALE, con il patrocinio dell’Avv. NOME COGNOME sulle seguenti conclusioni:
– per l’appellante (come da note di trattazione scritta sostitutive dell’udienza del 18 giugno 2024):
«Voglia l’Ecc.mo Giudice di Appello adito, ogni contraria eccezione, difesa, ragione, deduzione e domanda avversaria disattesa e reietta In parziale riforma dell’impugnata Sentenza n. 469 -2022 del Tribunale Civile di Grosseto per come meglio a seguire precisato, nel merito, confermato il capo della sentenza emessa con il quale il Tribunale di Grosseto ha revocato il Decreto Ingiuntivo emesso in favore (C.F. ) quale titolare della ditta individuale RAGIONE_SOCIALE (P.IVA , respingere tutte le altre domande proposte dal sig. NOMECOGNOME , infondate in fatto ed in diritto e non provate, per i motivi tutti meglio esposti ed indicati in narrativa del presente atto di impugnazione, accertare e dichiarare che l’importo dei lavori di cui al contratto di appalto intercorso tra il sig. titolare dell’omonima ditta individuale ed il sig. titolare dell’omonima ditta individuale per i lavori sul quadro elettrico del fondo sito in Porto Ercole sotto l’insegna era stabilito a corpo in € 3700,00, e quindi, accertare e dichiarare l’insussistenza di ogni e qualsivoglia presunto ed anche residuo diritto di credito in capo al sig. , quale titolare della omonima ditta individuale, avendo questi riscosso l’importo in questione a mezzo dei 4 assegni rilasciatigli ( e da € 1000,00 ed uno da € 700,00), ed all’effetto riformare anche il capo delle spese di lite ai sensi dell’articolo 91 c.p.c. per i motivi tutti dedotti nell’atto di appello. Comunque, con condanna contro (C.F. ) quale titolare della ditta individuale RAGIONE_SOCIALE (P.IVA ), alla restituzione di tutte le eventuali somme versate dall’appellante a causa della sentenza di primo grado provvisoriamente esecutiva.
Comunque, con vittoria di spese e competenze di entrambi i gradi di giudizio, oltre al rimborso forfettario, CNA ed IVA come per legge»;
– per parte appellata quale titolare della ditta individuale RAGIONE_SOCIALE (come da note di trattazione scritta sostitutive dell’udienza del 18 giugno 2024):
«Voglia l’Ill.ma Corte d’Appello di Firenze, disattesa ogni contraria istanza, eccezione e deduzione e previe le opportune declaratorie, previo rigetto di ogni eccezione, domanda e/o istanza avversaria così giudicare:
IN VIA PRELIMINARE – rigettare l’istanza di sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza oggi oggetto di gravame richiesta dall’appellante, in quanto del tutto carente di qualsivoglia elemento giuridicamente idoneo alla sua concessione e palesemente inammissibile ed infondata stante la totale assenza dei presupposti fondamentali sia processuali che di merito richiesti dalla legge;
NEL MERITO – per i motivi indicati in narrativa, qui integralmente richiamati, rigettare, in quanto inammissibile e infondato, l’atto di appello, confermando la sentenza n. 469/2022 resa dal Tribunale di Grosseto nel giudizio RG 4066/2013, pubblicata in data 06 agosto 2022, C.F. esposti in narrativa della comparsa di costituzione e risposta in appello.
Con vittoria di spese, compensi oltre accessori di legge del primo e del secondo grado di giudizio».
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con sentenza n. 469/2022, emessa in data 25.07.2022 a definizione del giudizio di primo grado iscritto al n. R.G. 4066/2013 promosso da pubblicata in data 06.08.2022, il Tribunale Ordinario di Grosseto così provvedeva:
«1) accoglie l’opposizione per le ragioni e nei limiti di parte motiva e, per l’effetto, revoca il decreto ingiuntivo n. 884/13 (RG: 5525/2013), emesso dal Tribunale di Grosseto il 24.9.2013;
2) condanna a corrispondere a la somma di € 7.301,00, oltre agli interessi legali dalla domanda al saldo;
3) rigetta le domande avanzate ai sensi dell’art. 96 c.p.c.; 4) condanna a rifondere a le spese di questo giudizio, che liquida in € 4.835,00 per compensi, oltre IVA, CPA e spese generali del 15% come per legge;
5) pone definitivamente a carico di le spese della CTU».
Il Tribunale Ordinario di Grosseto premetteva quanto segue:
proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 884/2013 emesso dal Tribunale di Grosseto il 24.09.2013 in favore della ditta individuale per un credito di € 7.879,10 originato da lavori eseguiti nel mese di aprile del 2011 sull’impianto elettrico della ubicata in Porto Ercole, come risultante dalla fattura n. 47 del 30.06.2011;
l’attore-opponente chiedeva la revoca del provvedimento monitorio, contestando l’idoneità della documentazione, ex adverso offerta in comunicazione, volta a dimostrare l’esistenza del credito fatto valere, negando la consistenza di quest’ultimo e chiedendo la condanna del convenuto-opposto ai sensi dell’art. 96 c.p.c..
In particolare, sponeva d’aver commissionato a quale titolare della ditta individuale RAGIONE_SOCIALE, esclusivamente lo spostamento del quadro elettrico e una modifica edile al laboratorio artigianale sulla base di un preventivo di € 3.700,00 (il prezzo sarebbe stato concordato con l’appaltatore a corpo per tutti i lavori) integralmente onorato con la consegna di quattro assegni (tre da € 1.000,00 ciascuno e uno da € d’aver subappaltato unilateralmente a terzi (impresa edile di alcuni lavori, i quali avevano poi rivolto le loro richieste/pretese economiche nei suoi confronti (più precisamente, l’impresa edile di aveva richiesto al committente il saldo di alcune fatture per un totale di circa € 2.700,00); si costituiva in giudizio quale titolare della ditta individuale RAGIONE_SOCIALE, chiedendo l’integrale rigetto dell’opposizione, in quanto infondata, e la condanna dell’attore per responsabilità processuale aggravata ai sensi dell’art. 96 c.p.c..
A sostegno delle sue ragioni, chiariva d’aver realizzato interventi più consistenti di quelli citati da controparte (tra cui l’adeguamento dei locali per ospitare il laboratorio, la realizzazione di un pozzo di raccolta delle acque per il raffreddamento dei macchinari di produzione, il posizionamento dei macchinari nel locale etc., come resocontati nel computo consuntivo n. 116/2011 e indicati nella fattura n. 47/2011, per un corrispettivo globale di € 7.879), che dapprima chiese una dilazione di pagamento e successivamente si rifiutò di saldare le opere; negava, inoltre, di aver subappaltato alcuni lavori ad un terzo, essendosi limitato a suggerire al Sig. a ditta esecutrice delle opere di muratura, ponendolo in contatto con l’impresa edile di in ordine ai quattro assegni menzionati dall’ingiunto, precisava di averne incassato soltanto uno, ma per lavori eseguiti nel 2010 in altro fondo dell’opponente, mentre gli altri tre furono consegnati alla ditta esecutrice delle opere murarie;
il Tribunale concedeva la provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto;
la causa veniva istruita con l’assunzione delle prove orali ammesse e con l’espletamento di C.T.U..
Il Tribunale Ordinario di Grosseto motivava la propria decisione come di seguito:
è pacifico che, nella primavera del 2011, appaltò alla ditta individuale RAGIONE_SOCIALE alcuni lavori sull’impianto elettrico del fondo commerciale recante l’insegna sito in Porto Ercole (GR), INDIRIZZO Controversa è, invece, l’entità dei suddetti lavori;
sulla base delle testimonianze assunte nel corso del giudizio, può ritenersi raggiunta la prova dell’esecuzione degli interventi dettagliatamente elencati nel computo consuntivo allegato alla fattura n. 47/2011.
I testi escussi (si allude ai Sig.ri dipendenti , hanno confermato di aver partecipato all’esecuzione dei suddetti interventi, precisando anche il numero degli operai impiegati nelle lavorazioni, il tempo necessario per il loro completamento e i materiali impiegati;
il teste ha dichiarato di aver visto, durante il periodo in cui eseguì i lavori in muratura, 3 operai alle dipendenze della ditta individuale RAGIONE_SOCIALE COGNOME che si occupavano dell’impianto elettrico e anche della realizzazione di un pozzo di raccolta delle acque, e che a volte veniva lo stesso viceversa, i testi citati dall’attore opponente non hanno reso dichiarazioni utili.
Uno di essi ha addirittura confermato non solo il rifacimento completo dell’impianto elettrico da parte della ditta individuale di anche l’intervento di questi e di alcuni suoi operai consistente nel trasferimento dei macchinari all’interno del fondo commerciale;
in punto di quantificazione del corrispettivo dovuto a accertata l’inoperatività di una quantificazione pattizia – entrambe le parti, pur rappresentando di aver concordato un prezzo differente da quello dedotto dall’altra, non ne hanno fornito la prova – occorre fare riferimento alle risultanze della C.T.U. disposta, immuni da vizi logici e di metodo;
l’esperto incaricato ha accertato la congruità delle voci esposte nel prospetto dei lavori n. 116 (computo consuntivo) allegato alla fattura n. 47/2011, e, precisamente, di quelle indicate con i nn. da 1 a 7 e n. 10 per un corrispettivo di € 6.797,00, I.V.A. al 20% inclusa, con la sola esclusione delle voci 8 (“Smontaggio interruttori sede di Orbetello e rimontaggio a Porto Ercole”), 9 (“Aiuto a portare dentro i macchinari”) e 11 (“Allungamento cavi frigorifero e sostituzione spina”);
riguardo alla voce n. 9, tuttavia, si ritiene che il relativo compenso (pari a complessivi € 504,00) possa essere riconosciuto alla ditta individuale RAGIONE_SOCIALE, se non altro perché l’esecuzione dell’intervento è stata confermata espressamente da due testi estranei agli interessi delle parti sostiene di nulla dovere per tale lavoro, in quanto si offrì spontaneamente di eseguirlo e senza pretendere nulla, ma tale assunto risulta sfornito di prova);
il compenso spettante all’impresa individuale di per opere eseguite e dimostrate ammonta ad € 7.301,00, I.V.A. al 20% inclusa;
spalletta; sistemazione delle piastrelle; lavori di imbiancatura e ripristino);
gran parte dei testi hanno riferito che il Sig. presenziò a tutte le fasi dei lavori, impartendo di volta in volta disposizioni circa la loro esecuzione.
È quindi inverosimile che non si sia accorto della presenza di in loco, atteso che i due ben si conoscevano per altri lavori che quest’ultimo aveva realizzato a beneficio del primo.
L’assunto di secondo cui egli non avrebbe mai ricevuto il computo consuntivo dei lavori è contraddetto dalla lettera raccomandata spedita dal suo legale il 26.07.2011, ove si menzionavano dati, manodopera, materiali e “voce del 15/4/2011”, i quali presupponevano necessariamente la piena conoscenza del computo dei lavori n. 116;
dal momento che le opere in muratura del esulavano da quelle elencate nel computo consuntivo n. 116 e il che il Sig. on poteva ignorare che l’incasso dei tre assegni (per complessivi € 2.700,00) fosse avvenuto proprio da parte del , si ritiene che l’attore opponente avesse contezza di dover corrispondere a quest’ultimo un compenso autonomo a ulteriore rispetto a quello dovuto a e quindi nulla può essere scomputato dal prospetto riepilogativo di quest’ultimo;
per quel che concerne il quarto assegno, ossia quello effettivamente ricevuto e incassato da si rileva che a fronte dell’imputazione operata da questi alla diversa fattura n. 36/2011 – per interventi eseguiti dal 2009 al 2010 presso altra gelateria dell’attore-opponente sita in Orbetello -, il Sig. è limitato a una generica contestazione, sostenendo a più riprese di averli ampiamente saldati, ma non allegando o documentando alcunché di specifico;
l’accertamento del minor credito in capo a quale titolare della impresa individuale RAGIONE_SOCIALE comporta la revoca del decreto ingiuntivo opposto e l’irripetibilità delle spese sostenute nella fase monitoria.
Il tuttavia, va condannato a pagare al convenuto la somma di € 7.301,00, oltre agli interessi legali dalla domanda al saldo;
le reciproche domande formulate ai sensi dell’art. 96 c.p.c. devono essere rigettate;
le spese di lite del giudizio di opposizione seguono la soccombenza.
Le spese della C.T.U. devono essere poste a carico dell’attore-opponente.
appello avverso la decisione del Tribunale di Ordinario di Grosseto per i seguenti motivi:
1. Errore di diritto, violazione dell’art. 2697 c.c., 1657 e 1658 c.c., 1664 c.c. assenza di motivazione, erronea lettura delle risultanze istruttorie e mancata corretta valutazione delle prove documentali Il Sig. ha provato di avere commissionato al dei lavori, che nello specifico consistevano nello spostamento del quadro elettrico e in una modifica edile al laboratorio artigianale, lavori che la impresa individuale RAGIONE_SOCIALE si offriva di realizzare per la somma omnicomprensiva di € 3.700,00. Il contratto veniva concluso oralmente, a corpo e non a misura e proprio per questa ragione chiedeva al Sig. che glieli consegnava, 4 assegni, 3 da € 1.000,00 ed 1 da € 700,00, a garanzia del suo adempimento.
Non vi è prova alcuna di quanto sostenuto da controparte, ossia che i lavori commissionati dal Sig. lla impresa individuale avessero altra consistenza;
tanto meno possono essere prese in considerazione le deposizioni dei dipendenti, che non sono affatto attendibili.
Il Sig. ha eseguito e terminato i soli lavori di cui al preventivo.
Quanto richiesto in seguito, dopo ben 4 mesi, non è dovuto.
Non è vero che realizzò, di concerto con la ditta RAGIONE_SOCIALE un ponteggio di tubi innocenti per spostare le macchine frigorifero all’interno del locale.
I testimoni escussi hanno solo riferito che uno o due dipendenti della impresa individuale COGNOME si offrirono di aiutarli nella manovra di spostamento;
mai si è parlato di un compenso/di una retribuzione, men che mai risulta provato che tale attività venne commissionata dal Sig. lla Elettromeccanica COGNOME
Non corrisponde a verità, né risulta provato, che il Sig. abbia personalmente consegnato al Sig. una volta terminati i lavori, la fattura n. 47/2011, la quale, invece, è stata inviata dalla controparte 4 mesi dopo il termine dei lavori.
Il Sig. con la lettera racc. del 26.07.2011 ha contestato prontamente gli importi richiesti dalla impresa individuale di cui al suddetto documento fiscale/commerciale, eccependo come la manodopera fosse stata conteggiata in modo totalmente esorbitante e non attinente al reale svolgimento dei lavori e come i materiali utilizzati fossero stati indicati in quantità eccessive.
Gravava sul l’onere di provare:
di aver ricevuto un ulteriore incarico rispetto a quello inizialmente conferitogli;
di essere stato autorizzato dal committente a subappaltare taluni lavori;
di essere stato autorizzato dal committente a variare (in Tribunale di Grosseto ha omesso di valutare, caso per caso, se le dichiarazioni dei testimoni fossero convincenti o meno;
la conferma della non attendibilità delle deposizioni dei dipendenti della impresa individuale la si ricava dalle conclusioni del C.T.U., il quale ha escluso la verificabilità della congruità di buona parte delle lavorazioni asseritamente eseguite (ci si riferisce, in particolare, alle voci da 7 a 11 di cui al computo n. 116/2011) e ha ridimensionato l’impiego del personale e dei materiali.
I testi hanno semplicemente riferito che il diede spontaneamente, di sua iniziativa una mano a portare i frigoriferi dentro il locale, ma non hanno mai sostenuto che tale aiuto costituisse adempimento di un’obbligazione contrattuale assunta da nei confronti di Il Tribunale, che ha mostrato di nutrire forti dubbi riguardo alla reale consistenza dei lavori edili effettivamente svolti all’interno del locale commerciale, sembra, inoltre, non aver correttamente inteso le dichiarazioni dello stesso 2. Errore di diritto, violazione art. 2697 c.c. e 1657 c.c. carenza/assenza di motivazione, erronea lettura delle risultanze istruttorie e mancata corretta valutazione delle prove documentali Il teste ha deposto senza esitazioni riguardo alla conclusione inter partes di un accordo sul prezzo per i lavori da eseguire.
Il prezzo pattuito, come da preventivo, era a corpo e ammontava ad € 3.700,00 omnia.
Si rammenti che il contratto di appalto non richiede, né ad substantiam né ad probationem, la forma scritta;
e infatti, nel caso di specie, il contratto venne stipulato in forma orale.
Il giudice di prime cure non avrebbe dovuto per alcuna ragione discostarsi, neppure parzialmente, dalle conclusioni del C.T.U. da egli nominato e incaricato.
Quantomeno avrebbe dovuto chiarire i motivi in fatto e in diritto che lo avevano indotto a tanto.
3. Errore di diritto, violazione art. 2697
c.c. carenza di motivazione, erronea lettura delle risultanze istruttorie e mancata corretta valutazione delle prove documentali Il Sig. ha sempre sostenuto che procedette alla contestazione della somma richiesta da controparte nel momento in cui ricevette da costei, dopo 4 mesi dal termine dei lavori, la documentazione fiscale e contabile.
Non è vero neppure che il Sig. fosse sempre presente sui luoghi ed impartisse direttive.
Non può sfuggire alla Corte la genericità delle deposizioni sul punto dei dipendenti della RAGIONE_SOCIALE COGNOME.
Il Sig. on ha impartito alcuna direttiva né ha commissionato lavori extra rispetto a quelli pattuiti.
Un appalto “a corpo” non può trasformarsi progressivamente in appalto “a misura” limitatamente alle quantità variate, mentre le parti di opere rimaste invariate avrebbero dovuto essere compensate secondo il prezzo “a corpo” accettato dall’appaltatore.
Il numero di ore e la forza lavoro che la ditta individuale RAGIONE_SOCIALE ha dichiarato di aver impiegato non appaiono congrue.
4.
Erronea valutazione delle risultanze istruttorie, mancanza di prova violazione dell’articolo 2697 c.c. violazione dell’art. 1193 c.c. Non corrisponde a verità che l’assegno di € 1000,00 incassato dal fosse diretto al pagamento di un lavoro diverso da quello oggetto di giudizio.
Il Tribunale sembra non avere considerato che i 4 assegni bancari, tre da € 1000,00 ed uno da € 700,00, erano stati firmati da in modo che il cioè il creditore, potesse poi riempirli/compilarli per la parte relativa al prenditore.
Insomma, si trattava, secondo una prassi commerciale assolutamente normale e tollerata, di assegni a garanzia parzialmente emessi in bianco dal soggetto debitore e consegnati al creditore che doveva eseguire i lavori, senza indicare altri estremi;
essi potevano così essere successivamente compilati dal creditore stesso.
ha accettato gli assegni quale mezzo di pagamento dei lavori che il li aveva commissionato.
Il fatto poi che il li abbia ceduti ad un terzo in adempimento di un suo debito è fatto che non rileva.
Nella sostanza, il o ha pagato per il lavoro commissionato.
La circostanza che il Sig. ossa aver visto il nel suo fondo, oltre che non provata, non è rilevante e non dimostra che il subappalto fosse stato autorizzato.
Non vi era motivo per il i verificare in banca chi avesse materialmente portato all’incasso gli assegni da lui emessi (nel 2011 era obbligatorio la clausola di non trasferibilità solo per gli importi superiori ad € 1.000,00).
Il Tribunale ha errato nel considerare l’assegno incassato da come destinato al pagamento di un precedente e diverso lavoro.
Non era onere del il quale ha correttamente eseguito l’imputazione ai sensi dell’art. 1193 c.c., dimostrare se, come e quando avesse saldato le fatture emesse dalla RAGIONE_SOCIALE per precedenti lavori.
Il Tribunale, di conseguenze, avrebbe dovuto perlomeno scomputare dal totale la somma di € 1.000,00;
5. Erronea valutazione di diritto articolo 91 c.p.c., erronea valutazione delle prove, riforma del capo sulle spese Alla riforma della sentenza di primo grado dovrà far seguito anche un nuovo regolamento delle spese di lite, le quali dovranno essere liquidate a favore del Sig. la soccombenza parziale del La proposta conciliativa ex art. 185 bis c.p.c. formulata dal giudice di prime cure (che prevedeva la dazione di € 2.800,00) lasciava intendere che il Tribunale di Grosseto avesse ben interpretato le conclusioni della c.t.u. e che si fosse avveduto delle lacune probatorie dell’opposto. Con l’atto di citazione in appello introduttivo del presente giudizio, chiedeva altresì la sospensione della efficacia esecutiva della sentenza impugnata ai sensi dell’art. 283 c.p.c., sia per la probabile fondatezza del gravame, sia per il grave rischio di subire un danno irreparabile in caso di esecuzione del provvedimento, anche alla luce di una sua situazione patrimoniale, a suo dire, compromessa.
Si costituiva in giudizio quale titolare della ditta individuale RAGIONE_SOCIALE, contestando i motivi di gravame e chiedendo il rigetto dell’appello proposto da per le seguenti ragioni:
l’istruttoria svolta in primo grado su richiesta della RAGIONE_SOCIALE ha pienamente confermato i fatti dedotti a sostegno della richiesta di pagamento.
In particolare, ha confermato in modo incontrovertibile l’esatta esecuzione di tutti i lavori elencati nel documento n. 116 allegato alla fattura n. 47/2011, l’assenza di iniziale preventivo, l’incarico conferito dal i volta in volta per ogni singola lavorazione, l’inesistenza di un contratto di appalto concluso “a corpo”, il ricevimento della fattura n. 47/2011 e dell’allegato consuntivo n. 116, nonché l’inesistenza di un subappalto tra la ditta e il L’opponente non ha mai negato che i lavori di cui al documento riepilogativo n. 116 allegato alla fattura n. 47/2011 vennero eseguiti dal si è soltanto limitato a sostenere di aver commissionato interventi minori e di averli regolarmente pagati. I testi all’epoca dipendenti della RAGIONE_SOCIALE COGNOME, hanno tutti confermato di aver partecipato all’esecuzione degli interventi elencati nel dettaglio allegato alla fattura n. 47/2011.
Il teste dal canto suo, ha precisato di non sapere se furono commissionati lavori ulteriori nel corso del rapporto;
il teste oltre al completo rifacimento dell’impianto elettrico a servizio del locale, ha affermato che lui stessi e il Sig. riuscirono a trasferire i macchinari all’interno del fondo grazie all’intervento del e dei suoi 3 operai.
Dalle deposizioni dei testi (attendibili, puntuali e intrinsecamente coerenti) si evince il che il Sig. presenziò a tutte le fasi dei lavori, aprendo testimoni sentiti ha confermato l’esistenza di un preventivo.
Le dichiarazioni del teste si palesano assai poco credibili;
non si capisce, infatti, perché, a fronte di un lavoro asseritamente del valore di € 1.500,00 (€. 500,00 per lo spostamento del solo quadro elettrico ed € 1.000,00 per la realizzazione del pozzo), il avrebbe poi emesso assegni “a garanzia” per ben €. 3.700,00.
Occorre precisare che la RAGIONE_SOCIALE COGNOME non realizzò un semplice pozzetto, ma un vero e proprio pozzo di consistenti dimensioni, come accertato dal C.T.U., il quale ha dato atto della congruità del corrispettivo richiesto per detta opera;
si sottolinea che non è mai esistito un preventivo;
nessun teste ne ha mai fatto menzione e controparte non l’ha mai prodotto.
Quanto all’intervento consistito nello spostamento/trasferimento dei macchinari all’interno del laboratorio artigianale (voce n. 9 di cui al consuntivo n. 116), è ovvio, data la sua natura, che il C.T.U. non ha potuto riscontrare tale lavoro in sede di sopralluogo effettuato nell’ambito delle operazioni peritali.
Il Tribunale, tuttavia, ha correttamente ritenuto acquisita la prova anche di tale lavoro dalle testimonianze di è certo e incontrovertibile che il Sig. conoscesse bene il consuntivo n. 116 allegato alla fattura n. 47/2011 perché in difetto non avrebbe potuto, con la raccomandata del 26.07.2011, contestazioni con riferimento a dati – manodopera, materiali e “voce 15.4.2011” – ricavabili per l’appunto solo dal computo consuntivo dei lavori n. 116, atteso che la fattura n. 47/2011 non ne fa menzione, rimandando all’allegato per il dettaglio dei lavori e degli importi dovuti per ciascuno di essi. Il Tribunale, tra l’altro, non ha mai affermato che tali documenti vennero consegnati a mani dal Fatta eccezione per le voci n. 8, n. 9 e n. 11, il C.T.U. ha appurato la congruità degli importi richiesti per ogni singolo lavoro elencato nel consuntivo n. 116;
della demolizione del tramezzo interno e della sua ricostruzione in posizione più avanzata, al fine di ampliare il vano retrostante da destinare a laboratorio, si occupò il il quale eseguì detti lavori, nei mesi di marzo e aprile 2011, secondo gli accordi direttamente intercorsi con il le direttive dal medesimo impartite.
Tra la RAGIONE_SOCIALE COGNOME e non è mai intercorso un contratto di subappalto.
La fattura n. 47/2011 e il consuntivo n. quest’ultimo già svolto in precedenza dei lavori per lui, e lo accompagnò personalmente sul cantiere.
3 dei quattro assegni emessi da (due di € 1.000,00 e uno di € 700,00) erano destinati a pagare il Sig. per i lavori di muratura da egli eseguiti nella gelateria di Porto Ercole e furono da quest’ultimo regolarmente incassati.
L’ulteriore assegno da € 1.000,00 fu invece emesso a saldo della fatt.
n. 36 del 30.05.2011, relativa ad altri lavori svolti dal in favore del in un periodo differente.
Era preciso onere di dimostrare che la fattura n. 36/2011 era già stata pagata.
Parlando di “assegni firmati ma parzialmente in bianco così da poter essere successivamente riempiti” l’appellante introduce una circostanza in fatto nuova e inammissibile perché mai dedotta con nessuna delle precedenti difese di primo grado.
Se i 4 assegni fossero davvero stati rilasciati dal prima dell’inizio dei lavori oggetto della fattura n. 47/2011 e a garanzia dell’adempimento dell’obbligazione di pagamento del corrispettivo per i medesimi, essi avrebbero inevitabilmente recato il nominativo del come beneficiario;
nel porre le spese di lite a carico di il giudice di prime cure ha chiaramente tenuto conto del fatto che il diritto al corrispettivo è stato escluso solo con riferimento alle voci n. 8 e n. 11 (dunque per un importo esiguo);
la condotta processuale dell’appellante, la quale costituisce un evidente abuso del diritto di azione in danno del diritto di credito del ritenuto legittimo dal Tribunale di Grosseto, e la manifesta infondatezza/pretestuosità dell’appello proposto giustificano la condanna di per responsabilità aggravata;
l’istanza di sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza impugnata ex art. 283 c.p.c. non può essere accolta per carenza assoluta dei presupposti di legge.
All’udienza del 18 giugno 2024, tenutasi nelle forme di cui all’art. 127 ter c.p.c., la causa veniva trattenuta in decisione con assegnazione dei termini ex art. 190 c.p.c. per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica.
MOTIVI DELLA DECISIONE
La presente decisione nel merito assorbe la decisione sulla istanza di sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza impugnata ex art. 283 c.p.c..
L’appello proposto da è infondato e deve essere rigettato. eseguiti nel fondo commerciale di quest’ultimo sito in Porto Ercole – Monte Argentario (GR), finalizzati alla realizzazione di un vano laboratorio per la produzione artigianale di gelato.
Ai fini della emissione del decreto ingiuntivo, l’odierna appellata ha offerto in comunicazione la fattura n. 47 del 30/06/2011, per l’importo complessivo di € 7.879,10 (di cui € 6.595,90 di imponibile ed € 1.313,20 di I.V.A. al 20%), accompagnata dal doc. n° 116, contenente l’elenco dettagliato delle opere, con indicazione, per ciascuna lavorazione, della data o del periodo di svolgimento, del numero di operai impiegati, delle ore necessarie al completamento, del costo della manodopera e del costo dei materiali utilizzati. Nel proporre opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 884/2013, dedotto, in sintesi:
di aver commissionato alla RAGIONE_SOCIALE COGNOME, nella primavera del 2011 (mese di marzo), mediante la conclusione di contratto di appalto verbale e a corpo, soltanto lo spostamento del quadro elettrico ed una modesta modifica edile al laboratorio artigianale, consistente nella creazione di un pozzetto di raccolta delle acque per i macchinari frigorifero;
di non aver commissionato i lavori contabilizzati nel computo consuntivo n. 116 allegato alla fattura n. 47/2011;
che per il suddetto intervento la RAGIONE_SOCIALE COGNOME aveva preventivato una spesa complessiva di € 3.700,00, cifra sulla quale le parti si erano accordate;
di aver emesso e rilasciato, a garanzia del pagamento di tale importo, n. 4 assegni, di cui 3 da € 1.000,00 cadauno e 1 da € 700,00, poi regolarmente incassati da controparte;
che, pertanto, nient’altro era dovuto a titolo di corrispettivo per i lavori eseguiti;
di aver scoperto soltanto in seguito che la RAGIONE_SOCIALE COGNOME, senza il suo previo consenso, aveva subappaltato alcuni lavori edili all’impresa edile del Sig. In definitiva, come osservato dal giudice di prime cure, è pacifico che le parti abbiano a suo tempo concluso un contratto di appalto avente ad oggetto alcuni lavori all’interno del fondo commerciale a insegna sito in Porto Ercole – Monte Argentario (GR).
Oggetto di controversia sono invece l’entità, la consistenza, la tipologia dei lavori che vennero effettivamente eseguiti dalla RAGIONE_SOCIALE COGNOME e per i quali la medesima poteva legittimamente pretendere il pagamento del corrispettivo;
l’altra questione dibattuta è se i € 3.700,00 già versati da mediante assegni bancari fossero o meno destinati a pagare l’impresa individuale appaltatrice per i lavori di cui è causa e, dunque, se possano o meno considerarsi al primo aspetto, le risultanze dell’istruzione probatoria condotta dinanzi al Tribunale di Grosseto – di cui non si ravvisano affatto i «plurimi travisamenti» (v. pag. 14 dell’atto introduttivo del presente giudizio) denunciati dall’appellante – avvalorano la ricostruzione dei fatti fornita dalla odierna appellata. Sul capitolo 1) di cui alla memoria ex art. 183, comma 6, n. 2 c.p.c. depositata da RAGIONE_SOCIALE in data 12.07.2014 (“Vero che gli interventi eseguiti nella primavera del 2011, prima del ponte Pasquale di quell’anno, dalla ditta RAGIONE_SOCIALE di presso il fondo commerciale sito in Porto Ercole, INDIRIZZO all’insegna “ ” sono quello descritti nel consuntivo dei lavori che Le si mostra (doc. 1 allegato al fascicolo di parte opposta)?
”) i testi , tutti lavoratori alle dipendenze di RAGIONE_SOCIALE COGNOME all’epoca dei fatti, hanno dichiarato quanto segue:
(sentito all’udienza del 06.03.2015):
«Confermo che io ed altri 3 operai del abbiamo eseguito tutti i lavori di cui al doc. 1 di parte opposta, non ricordo esattamente quanto tempo durarono i lavori, ma sicuramente per il mese di maggio erano finiti.
Ricordo che dovevamo cercare di finirli perché il locale potesse aprire per la Pasqua.
Confermo che per il lavoro di scasso per il pozzo impiegammo complessivamente circa 119 ore» – seconda del lavoro che si doveva fare di giorno in giorno eravamo presenti da 2 a 4 operai»;
(sentito alla udienza del 03.03.2015):
«Preciso che io ho lavorato allo scavo per il pozzo ed alla sostituzione del quadro elettrico con tutto il nuovo impianto elettrico.
Ricordo che questi lavori li abbiamo eseguiti in 2 o 3 operai della RAGIONE_SOCIALE COGNOME.
Ricordo che al pozzo abbiamo lavorato in 2-3 operai per due settimane circa a tempo pieno.
Non posso riferire sui lavori fatti dal quando non ero presente»;
(sentito alla udienza del 27.06.2017):
«Sì confermo quanto al capitolo ed il documento n° 1 che mi si mostra».
ha altresì:
confermato le circostanze di cui al cap. 2) sempre della memoria ex art. 183, comma 6, n. 2 c.p.c. depositata dalla odierna appellata, ossia che la RAGIONE_SOCIALE ricostruì, presso i locali della gelateria “ ” di Porto Ercole, tutte le linee elettriche, comprese quelle della zona vendita e quelle in arrivo dal contatore generale, nonché quelle del laboratorio per la produzione delle acque per il raffreddamento dei macchinari di produzione all’interno del locale laboratorio (cfr. cap. 3) );
confermato che la realizzazione di tale pozzo impegnò 3 operai per tredici giorni lavorativi, dal 21.03.2011 al 02.04.2011, come descritto nel consuntivo lavori prodotto come doc. 1 da parte opposta (cfr. cap. 4) ), precisando che vide i suoi colleghi fare la buca e che poi vi posizionarono la pompa;
(sentito alla udienza del 04.10.2019):
«…posso confermare che sono stati eseguiti i lavori di cui al documento che mi viene mostrato, ai quali ho parzialmente partecipato…».
ha altresì affermato:
«sì è vero praticamente rifacemmo tutto l’impianto elettrico in quanto il vecchio impianto non avrebbe sostenuto la richiesta di energia dei nuovi macchinari» (cfr. cap. 2));
che la impresa individuale RAGIONE_SOCIALE COGNOME realizzò il pozzo di raccolta delle acque per il raffreddamento dei macchinari di produzione all’interno del locale laboratorio, puntualizzando di aver partecipato personalmente al lavoro (cfr. cap. 3) );
che la realizzazione di tale pozzo impegnò 3 operai per tredici giorni lavorativi, dal 21.03.2011 al 02.04.2011, come descritto nel consuntivo lavori prodotto come doc. 1 da parte opposta (cfr. cap. 4) ).
Non vi è concreto motivo di dubitare della attendibilità dei sopramenzionati testi;
il sol fatto che gli stessi fossero, nel 2011 così come al momento dell’escussione, dipendenti della RAGIONE_SOCIALE COGNOME non è di per sé sufficiente a minare la veridicità del racconto fornito da ciascuno di essi, attesa la puntualità e intrinseca coerenza del medesimo.
Non si rinvengono contraddizioni tra le rispettive dichiarazioni rese dai testi, le quali, anzi, come osservato dal primo giudice, trovano sostanziale conferma in quelle dell’altro.
La credibilità della versione prospettata dalla RAGIONE_SOCIALE COGNOME nei propri scritti difensivi e dai testi dalla stessa citati risulta avvalorata dalle dichiarazioni rese da sentito alla udienza del 06.03.2015, il quale ha riferito quanto segue:
«ricordo che in quel periodo di 10 giorni (il teste, nel rispondere al capitolo 10) di cui alla memoria ex art. 183, comma 6, n. 2 c.p.c. depositata da RAGIONE_SOCIALE COGNOME, aveva precisato che i lavori di muratura da egli svolti avevano richiesto una decina di giorni a tempo pieno, n.d.r.) io vedevo che c’erano 3 operai del che lavoravano occupandosi dell’impianto elettrico ed a volte veniva anche il in persona.
Ricordo che gli operai si occuparono anche della realizzazione di un pozzo di raccolta , come correttamente sottolineato dal giudice di prime cure, alla luce delle anzidette deposizioni testimoniali, può ritenersi raggiunta la prova dell’esecuzione degli interventi dettagliatamente elencati nel doc. 116 allegato alla fattura n. 47 del 30.06.2011 emessa dalla RAGIONE_SOCIALE (anche sotto il profilo del tempo necessario per il loro completamento e dei materiali impiegati);
esecuzione che persino il C.T.U. Geom. ha potuto constatare, ad eccezione di talune lavorazioni di cui si dirà meglio fra breve.
Con ordinanza del 10.11.2020, al consulente tecnico di ufficio nominato è stato sottoposto il seguente quesito:
«Letti gli atti, vista la documentazione depositata dalle parti, sentite le stesse e i loro eventuali consulenti tecnici, accerti la congruità delle voci richiamate nel preventivo n° 116/2011 e dei prezzi ivi applicati rispetto ai lavori asseritamente svolti dall’opposto e riscontrati all’esito della prova testimoniale svolta».
Come si evince dalla relazione tecnica depositata in data 24.01.2022, il perito incaricato, dopo aver analizzato gli atti di parte e la documentazione prodotta in giudizio, dopo aver verificato lo stato dei luoghi alla presenza dei CC.TT.PP.
e dopo aver comparato al medesimo le singole voci di cui al doc. 116/2011 (c.d. computo consuntivo) al fine di appurare l’effettivo svolgimento o meno delle opere asseritamente eseguite dalla RAGIONE_SOCIALE COGNOME nonché la congruità dei prezzi praticati dall’appaltatrice, è pervenuto, in un primo momento, alle seguenti conclusioni:
«in base allo stato dei luoghi rilevato e agli atti esaminati si ritiene che una corretta valutazione dei lavori preveda la conferma e congruità delle opere dal punto 1 al punto 6 escludendo le lavorazioni dal punto 7 al 11 in quanto non valutabili.
Pertanto, si ritiene che l’importo congruo dei lavori effettuati sia il seguente:
Totale manodopera iva esclusa € 4172,00
Totale materiali iva esclusa € 1194,00 Totale iva esclusa € 5366,00».
Dopodiché, alla luce delle osservazioni formulate dal C.T. di parte convenuta impresa individuale RAGIONE_SOCIALE, il C.T.U. ha parzialmente rivisto le proprie conclusioni includendo nel complessivo importo da riconoscere all’appaltatrice la voce n. 7 (“Proseguimento lavori impianto elettrico”) per un totale di € 84,00, trattandosi del costo della manodopera per le lavorazioni di cui alla precedente voce n. 6, e la voce n. 10 (“Allaccio macchine gelato.
Praticato i fori e messo pressacavi.
Passaggio cavi per autoclave e galleggiante elettrico per pompa pozzo.
Fatto collegamenti e separazione , 5 mt cavo 3×1, 5 FG7”) per un totale di € 194,50 (di cui € 140,00 per costo della manodopera ed € 54,50 per costo dei materiali).
Il C.T.U. ha espunto dal calcolo finale le voci n. 8, n. 9 e n. 11 di cui al doc. 116, in quanto lavorazioni non riscontrabili in sede di sopralluogo e, dunque, non valutabili.
Il giudice di prime cure, tuttavia, ha ritenuto di dover riconoscere alla RAGIONE_SOCIALE COGNOME anche il compenso per la voce n. 9 (“Aiutato RAGIONE_SOCIALE a portare dentro i macchinari”), ammontante a complessivi € 504,00 (I.V.A. al 20% inclusa).
Premesso che tale ultimo intervento sub voce n. 9, data la sua natura, non era ovviamente riscontrabile dal C.T.U. al momento del suo sopralluogo presso il locale (come evidenziato da parte appellata a pag. 15 della comparsa di costituzione nel presente giudizio depositata in data 08.02.2023), la decisione del Tribunale di Grosseto sul punto appare immune da errori, poggiando sulla prova testimoniale assunta e, segnatamente, sulle dichiarazioni rese dai Sig.ri della società COGNOME, la quale si occupa(va) della progettazione e costruzione di impianti di refrigerazione e di cui era cliente (fermo restando che anche i dipendenti della RAGIONE_SOCIALE hanno confermato l’effettuazione dell’intervento in esame, cfr., ad esempio, dichiarazioni rese dal teste all’udienza del 27.06.2017). Il primo, sentito alla udienza del 06.03.2015, in merito al cap. 5) di cui alla memoria ex art. 183, comma 6, n. 2 c.p.c. depositata da RAGIONE_SOCIALE COGNOME (“Vero che, su richiesta del sig. la Ditta RAGIONE_SOCIALE COGNOME, con i propri operai, collaborò anche al posizionamento dei macchinari all’intero del laboratorio?
”) ha riferito quanto segue:
«Ricordo che io chiesi al di aiutarmi a portare le macchine frigorifere dall’altra parte della gelateria, cosa che egli fece con 1 o 2 operai, noi eravamo in 4. Al massimo ci abbiamo messo un pomeriggio».
Sul cap. 6) (“Vero che, considerate le ridotte dimensioni del locale e per evitare la rimozione del lungo bancone di esposizione del gelato che occupava quasi per intero la larghezza dell’area di vendita del fondo, sempre su richiesta del sig. la Ditta RAGIONE_SOCIALE COGNOME realizzò un ponte di tubi innocenti con cui la ditta “RAGIONE_SOCIALE”, coadiuvata per 5 ore consecutive da n. 3 operai della Ditta COGNOME, riuscì a traslare all’interno del laboratorio i macchinari della ?
”) ha così risposto:
«è vero si tratta delle circostanze di cui ho riferito in riferimento al cap. 5».
Il secondo, sentito alla udienza del 24.01.2020 (nel corso della quale precisò che «l’impianto elettrico era stato fatto tutto nuovo, non so se eseguito dalla ditta presumo di sì…»), ha dichiarato espressamente:
«…ero socio e un operaio e 3 operai della ditta e il Sig. personalmente».
La critica rivolta da alla sentenza del giudice del Tribunale di Grosseto, il quale, secondo il suo parere, si sarebbe discostato dalle conclusioni del C.T.U. senza chiarire le ragioni in fatto e in diritto che lo hanno indotto a tanto (cfr. pag. 23 dell’atto di citazione in appello), si rivela perciò priva di pregio.
Per quel che concerne l’assunto di parte appellante secondo cui «si offrì di eseguire sua sponte (lo spostamento dei macchinari) aiutando la società (la RAGIONE_SOCIALE) e senza nulla pretendere per detto modesto lavoro» (v. atto di citazione in appello, pag. 23), come giustamente rimarcato dal giudice di prime cure (pag. 5 della sentenza impugnata), esso non risulta suffragato da alcun elemento di prova acquisito.
Dunque, il compenso spettante all’impresa individuale RAGIONE_SOCIALE nella persona del suo titolare per le opere di cui può ritenersi dimostrata l’esecuzione non coincide con la somma di cui è stato ingiunto il pagamento (a titolo di sorte capitale) con il provvedimento monitorio n. 884/2013 emesso il 24.09.2013 (€ 7.879,10), bensì con il minore importo individuato dal giudice di prime cure.
Le allegazioni dell’appellante a proposito della reale entità dell’opera o delle opere commissionate alla RAGIONE_SOCIALE, in assenza di un contratto di appalto scritto così come di un capitolato dei lavori, neppure possono trovare conforto nelle deposizioni dei testi da egli citati.
Come sottolineato dal Tribunale di Grosseto, il Sig. (cugino di , sentito alla udienza del 24.01.2020, oltre a riferire di aver partecipato ad un primo incontro tra l’odierno appellante e il Sig. avvenuto nel mese di marzo del 2011 all’interno della gelateria, in occasione del quale le parti discussero dello spostamento del quadro elettrico e del pozzo da realizzare per l’attingimento dell’acqua per alimentare i motori dei banchi di raffreddamento dei frigoriferi, ha precisato:
«…non sono a conoscenza dei fatti dopo quell’incontro.
Non so se sono stati commissionati ulteriori lavori dopo quella data».
Sempre il Sig. in merito ai fatti dedotti nel cap. 4 di cui alla memoria ex art. 183, comma 6, n. 2 c.p.c. depositata da in data 14.07.2024 (“Vero che il Sig. terminava i lavori eseguiti nella qualità e quantità esattamente corrispondente al preventivo:
nello specifico lo spostamento del quadro elettrico ed una modifica edile al laboratorio artigianale”) si è limitato ad affermare «nulla so» (al pari dei Sig.ri Ebbene, quandanche fosse vero che il Sig. aveva inizialmente affidato alla nella creazione di un pozzetto di raccolta delle acque per i macchinari frigorifero, nulla esclude, in mancanza di prova (documentale e dichiarativa) contraria, che le parti si siano in seguito accordate in maniera diversa, ampliando il novero delle opere commissionate alla impresa appaltatrice fino a ricomprendervi tutti i lavori di cui al già noto doc. 116.
Circa i 3.700,00 € (I.V.A. compresa) versati dal Sig. a mezzo n. 4 assegni bancari, con i quali egli avrebbe integralmente onorato il suo debito nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, come da preventivo di spesa presentatogli da quest’ultima a suo tempo, giova, anzitutto, focalizzare l’attenzione sulle testimonianze di tutti citati dal Sentiti sul cap. 2) di cui alla memoria ex art. 183, comma 6, n. 2 c.p.c. depositata dall’odierno appellante in data 14.07.2014 – “Vero che la RAGIONE_SOCIALE COGNOME presentava un preventivo di spese per l’opera commissionatagli dal ari ad € 3.700,00 e contestualmente chiedeva al signor che glieli consegnava, l’emissione di n. 4 assegni, – 3 da € 1.000,00 ed 1 da € 700,00 -, a garanzia” – tutti e tre hanno risposto «nulla so». La ricostruzione dei fatti così come offerta dall’attore-opponente, dunque, non risulta minimamente suffragata dalle deposizioni dei sopracitati soggetti e neppure da quella Egli, in particolare:
ha dichiarato che venne contattato da il quale gli disse che c’erano dei lavori da svolgere nella gelateria di il teste sentito sui fatti dedotti nel cap. 10) di cui alla memoria ex art. 183, comma 6, n. 2 c.p.c. di parte convenuta-opposta in primo grado – “Vero che il sig. commissionò la ditta edile lavori di muratura eseguiti nei mesi di marzo e aprile 2011 presso i locali del fondo commerciale all’insegna ?
” – ha asserito «Sì, è vero al momento in cui facemmo il sopralluogo dei lavori fu fatto il nome della ditta e il sig. COGNOME al di chiamarlo per organizzarsi per il lavoro dicendo che poi l’avrebbe pagato il personalmente»);
ha dichiarato che conosceva già da prima tanto il Sig. quanto il Sig. avendo svolto dei lavori per conto di entrambi in passato;
ha dichiarato di aver eseguito lavori di muratura seguendo le istruzioni che gli dava il in merito al cap. 10) di cui alla memoria ex art. 183, comma 6, :
«…so che i lavori erano stati affidati al e che il gli impartiva le direttive»);
ha dichiarato che, mentre era in procinto di ultimare i lavori di sua spettanza, il Sig. li chiese di preparare il conto;
ha dichiarato di aver preparato, a seguito di tale richiesta, le fatture intestate direttamente al Sig. di averle consegnate al il quale gli disse che le avrebbe a sua volta consegnate all’odierno appellante;
ha dichiarato che trascorsi altri giorni si recò presso gli uffici della impresa individuale del Sig. il quale gli consegnò degli assegni firmati da er un importo complessivo di € 2.700,00, che incassò regolarmente.
Preme rammentare quanto riferito dal teste in merito al cap. 11) di cui alla memoria ex art. 183, comma 6, n. 2 c.p.c. depositata dalla RAGIONE_SOCIALE COGNOME:
«…ho visto gli assegni da noi in magazzino in quanto chiese al la cortesia di consegnarli al ha confermato di aver eseguito i lavori indicati nelle fatture n. 4 (“per demolizione tramezzo e ricostruzione spalletta in gelateria INDIRIZZO”), 5 (“per sistemazione delle piastrelle”) e 6 (“per lavori di imbiancatura e ripristino”) del 12.04.2011, tutte intestate al Sig. Le anzidette dichiarazioni, oltre a smentire l’assunto secondo cui il Sig. , prima che iniziasse i lavori e, comunque, prima dell’aprile del 2011, non aveva mai incontrato il Sig. v. risposta al cap. 11 di cui alla memoria ex art. 183, comma 6, n. 2 c.p.c. depositata da parte attrice opponente in primo grado: «no, non è vero, come ho detto conoscevo il lo avevo incontrato prima avendo fatto dei lavori per lui prima») e a destituire di fondamento la tesi secondo la quale subappaltò determinati lavori al senza l’autorizzazione del committente, il quale sarebbe venuto a conoscenza di tale autonoma iniziativa solo successivamente (non può sfuggire, tra l’altro, come il teste abbia riferito che «spesso il ra sul posto», come il teste abbia confermato che il Sig. presenziò a tutte le fasi dei lavori impartendo di volta in volta disposizioni circa gli interventi da eseguire, come il teste , oltre e riferire che «il apriva il negozio ed era presente ai lavori», abbia precisato che una volta l’odierno appellante giunse presso il fondo «con un ragazzo che faceva i lavori di muratura»; in sostanza, la sentenza impugnata appare del tutto condivisibile laddove si legge «è…inverosimile che (il da € 1.000,00 nonché quello da € 700,00 siano stati consapevolmente emessi dal Sig. al fine precipuo di saldare le fatture n. 4, 5 e 6 dell’Impresa Edile COGNOME COGNOME relative ai lavori di muratura.
Oltretutto, non si può ignorare come la fattura n. 47 del 30.06.2011 della RAGIONE_SOCIALE COGNOME e l’allegato consuntivo n. 116 non riportino voci inerenti agli interventi eseguiti dalla impresa edile di i quali, per l’appunto, esulano dalle opere in relazione alle quali l’odierna appellata ha preteso il pagamento del corrispettivo.
Questa Corte ritiene, pertanto, di dover disattendere i motivi di appello e fare proprie le considerazioni espresse dal primo giudice, in particolare laddove egli reputa che il avesse contezza di dover corrispondere al un compenso autonomo e ulteriore rispetto a quello dovuto al Quanto al restante assegno da € 1.000,00, parte appellata sostiene, sin dalla comparsa di costituzione e risposta depositata nel primo grado di giudizio in data 15.04.2014 (v. pag. 7), che lo stesso sarebbe stato emesso da saldo della fattura n. 36 del 30.05.2011, relativa ad altri interventi elettrici ed elettromeccanici, effettuati dalla RAGIONE_SOCIALE nel 2009/2010 e in data 04.04.2011 presso altra gelateria dell’odierno appellante sita in Orbetello (doc. 3 allegato alla comparsa di costituzione e risposta depositata nel primo grado di giudizio). Nei propri scritti difensivi, si è limitato a negare quanto sopra e ad affermare genericamente che i lavori in questione «erano stati ampiamente saldati» (v. pag. 3 della memoria ex art. 183, comma 6, n. 1 c.p.c. depositata dall’odierno appellante in data 13.06.2014, e pag. 4 della comparsa conclusionale depositata in data 27.06.2022).
Si rammenta il principio di diritto, consolidato nella giurisprudenza della Corte di Cassazione, a mente del quale «il creditore che agisce per il pagamento di un suo credito è tenuto unicamente a fornire la prova del rapporto o del titolo dal quale deriva il suo diritto e non anche a provare il mancato pagamento, poiché il pagamento integra un fatto estintivo, la cui prova incombe al debitore che l’eccepisca;
soltanto di fronte alla comprovata esistenza di un pagamento avente efficacia estintiva (cioè puntualmente eseguito con riferimento ad un determinato credito) l’onere della prova viene nuovamente a gravare sul creditore, il quale controdeduca che il pagamento deve imputarsi ad un credito diverso o più antico» (così, ex multis, Cass. civ., Sez. I, ord. 26 settembre 2022, n. 28012, Cass. civ., Sez. VI, 16 luglio 2019, n. 19039 e Cass. civ., Sez. III, sent. 4 ottobre 2011, n. 20288).
In buona sostanza, ove il «convenuto per il imputare all’estinzione di un debito diverso, allegare e provare di quest’ultimo l’esistenza, nonché la sussistenza delle condizioni necessarie per la dedotta diversa imputazione» (così Cass. civ., Sez. VI, ord. 30 gennaio 2020, n. 2276).
Lo stesso giudice di legittimità, tuttavia, ha puntualizzato che «detta regola iuris trova eccezione nell’ipotesi in cui il debitore eccepisca l’estinzione del debito fatto valere in giudizio per effetto dell’emissione di un assegno.
Infatti, implicando tale emissione la presunzione di un rapporto fondamentale idoneo a giustificare la nascita di un’obbligazione cartolare, resta a carico del debitore l’onere di superare tale presunzione, dimostrando il collegamento tra il debito azionato ed il successivo debito cartolare, con la conseguente estinzione del primo per effetto della dazione di assegno (cfr. Cass. 28.2.2012, n. 3008; conf. Cass. 18.2.2016, n. 3194; Cass. 6.11.2017, n. 26275) (così Cass. civ., Sez. VI, 4 giugno 2021, n. 15708).
non ha assolto l’onere di provare tale collegamento.
In primis, si rinvia a quanto già illustrato supra (cfr. pag. 18) in ordine alle dichiarazioni rese dai testi sul cap. 2) di cui alla memoria ex art. 183, comma 6, n. 2 c.p.c. depositata dall’odierno appellante in data 14.07.2014.
Dopodiché, atteso che due dei tre assegni da € 1.000,00 cadauno e l’assegno da € 700,00 (per un totale di € 2.700,00) erano rivolti a saldare le fatture n. 4, 5 e 6 emesse dalla impresa edile er i lavori di muratura, come è incontrovertibilmente emerso dall’istruttoria, non si può certo ritenere che l’emissione dell’ulteriore assegno da € 1.000,00 fosse idonea ad estinguere il complessivo credito vantato dalla RAGIONE_SOCIALE COGNOME, come argomentato dalla difesa del In ogni caso, a fronte della imputazione da parte del creditore il quale ha indicato l’antecedente rapporto obbligatorio rimasto insoddisfatto, non ha in alcun modo provato che l’importo di cui alla fattura n. 36 del 30.05.2011 era già stato da lui interamente pagato in epoca precedente (l’odierno appellante non ha prodotto, ad esempio, la distinta di un bonifico, né un estratto conto ecc. né ha richiesto l’ammissione di prova orale volta a dimostrare tale circostanza). Le deduzioni di parte appellante circa la presunta parziale emissione degli assegni “in bianco”, in conformità ad una (un tempo) diffusa prassi commerciale (v. pagg. 27-29 dell’atto di citazione in appello), al di là della loro tardività/novità in appello o meno, appaiono prive di pregio (oltretutto, trattasi di circostanza non verificabile, posto che dei titoli in questione non risulta essere mai stata prodotta copia in giudizio).
Ne discende che alcuna somma doveva essere scomputata dall’importo totale riconosciuto come spettante alla RAGIONE_SOCIALE COGNOME.
Si rammenti che «il potere del giudice d’appello di procedere d’ufficio ad un nuovo regolamento delle spese processuali, quale conseguenza della pronuncia di merito adottata, sussiste solo in caso di riforma in tutto o in parte della sentenza impugnata, in quanto il relativo onere deve essere attribuito e ripartito in relazione all’esito complessivo della lite, laddove, in caso di conferma della decisione impugnata, la decisione sulle spese (relative al primo grado di giudizio) può essere dal giudice del gravame modificata soltanto se il relativo capo della decisione abbia costituito oggetto di specifico motivo di impugnazione» (così, ad esempio, Cass. civ., Sez. VI-1, ord. 23 febbraio 2022, n. 5906). Con il quinto ed ultimo motivo di gravame, a per l’appunto impugnato il capo della sentenza del Tribunale di Grosseto concernente le spese del primo grado di giudizio.
Ad opinione dell’appellante, il giudice avrebbe dovuto assolutamente tenere in debita considerazione la soccombenza parziale del nella liquidazione delle spese, sia alla luce della revoca del decreto ingiuntivo opposto sia alla luce della minor somma riconosciuta a controparte.
a ben vedere, parrebbe prospettare la ricorrenza, nel caso di specie, di una soccombenza reciproca.
Fermo restando che la differenza tra la pretesa creditoria originariamente azionata in via monitoria dalla RAGIONE_SOCIALE COGNOME (€ 7.879, 10 I.V.A. inclusa) e il minor importo oggetto della condanna al pagamento a suo favore pronunciata dal Tribunale di Grosseto all’esito del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo (€ 7.301,00 I.V.A. inclusa) è comunque piuttosto contenuta, si ritiene sufficiente rammentare l’insegnamento delle Sezioni Unite della Suprema Corte (Cass., Sez. Un. civ., sent. 31 ottobre 2022, n. 32061) alla stregua del quale «l’accoglimento in misura ridotta, anche sensibile, di una domanda articolata in un unico capo non dà luogo a reciproca soccombenza, configurabile esclusivamente in presenza di una pluralità di domande contrapposte formulate nel medesimo processo tra le stesse parti o in caso di parziale accoglimento di un’unica domanda articolata in più capi, e non consente quindi la condanna della parte vittoriosa al pagamento delle spese processuali in favore della parte soccombente…». Qualora parte appellante avesse inteso contestare il quantum liquidato, basti osservare che il primo giudice ha determinato la misura del compenso attestandosi sui valori medi fissati dal D.M. n. 55/2014 per i giudizi di cognizione dinanzi non sia suscettibile di riforma, anche alla luce dell’ampia ed articolata istruttoria svolta e degli anni di pendenza della lite (la causa è stata instaurata nel 2013 ed è stata definita dal Tribunale di Grosseto nel 2022).
Quanto alla proposta conciliativa ex art. 185 bis c.p.c. formulata dal Giudice istruttore alla udienza del 26.04.2022 (richiamata da parte appellante), la quale prevedeva la dazione, da parte dell’allora attore-opponente, della somma omnia di € 2.800,00 a tacitazione di ogni pretesa, con rinuncia ad ogni azione ed eccezione formulata in giudizio da parte dei contendenti e con compensazione integrale delle spese di lite e di C.T.U., è appena il caso di evidenziare come si dichiarò disponibile ad accettarla (seppur a condizione che il pagamento dell’importo indicato avvenisse entro e non oltre l’01.05.2022, o comunque in tempi ristretti, e che i costi della CTU rimanessero a carico delle parti nella misura del 50% ciascuna), mentre proprio di fatto, non vi aderì, dichiarandosi disponibile ad offrire a saldo e stralcio di ogni pretesa avversaria la somma omnia di € 1.500,00. L’appello, in definitiva, deve essere respinto integralmente, con conseguente conferma della sentenza n. 469/2022 del Tribunale di Grosseto.
Le spese di lite relative al presente grado di giudizio, liquidate come in dispositivo ai sensi del D.M. n. 55/2014, così come modificato dal D.M. n. 147/2022, seguono la soccombenza e devono quindi essere poste a carico dell’appellante (controversia rientrante nello scaglione di valore compreso tra € 5.200,01 ed € 26.000,00; adozione dei valori minimi attesa l’assenza di questioni giuridiche complesse e la prossimità tanto del disputatum quanto del decisum al limite inferiore dello scaglione di valore;
escluso il compenso per la sola fase istruttoria).
La decisione del giudice di prime cure di rigettare le reciproche domande formulate ai sensi dell’art. 96 c.p.c. non risulta essere stata oggetto di specifica censura, né in via principale né in via incidentale.
Quanto dedotto da a pag. 23 della propria comparsa di costituzione nel presente giudizio va letto al più come un invito rivolto a questa Corte a valutare la condotta processuale tenuta dal n questa sede ai fini di una eventuale condanna del medesimo ai sensi dell’art. 96, comma 3, c.p.c..
Ebbene, soprattutto alla luce delle risultanze istruttorie, le quali si ponevano in netto contrasto con gli assunti difensivi del di fatto sconfessandoli, della manifesta inconsistenza giuridica e della palese e strumentale infondatezza dei motivi di impugnazione, di talché si ritiene che egli abbia impugnato la sentenza del Tribunale , al pagamento, a favore della controparte, di una somma che viene equitativamente determinata in € 1.000,00.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115/2002, si dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte dell’appellante, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
la Corte di Appello di Firenze – Prima Sezione Civile, definitivamente pronunciando nel procedimento intestato, ogni altra domanda, eccezione e deduzione disattesa:
RESPINGE l’appello come in atti proposto da avverso la sentenza n. 469/2022 del Tribunale di Grosseto, che per l’effetto conferma integralmente;
CONDANNA al rimborso, a favore di quale titolare della ditta individuale RAGIONE_SOCIALE, delle spese di lite relative al presente giudizio di appello, che liquida in € 1.984,00 per compensi, oltre rimborso spese forfettarie nella misura del 15% del compenso totale, I.V.A. e c.p.a. come per legge;
CONDANNA ai sensi dell’art. 96, comma 3, c.p.c., al pagamento, a favore di quale titolare della ditta individuale RAGIONE_SOCIALE, della somma di € 1.000,00;
DÁ ATTO, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115/2002, che ricorrono i presupposti per il versamento, da parte dell’appellante, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
Così deciso in Firenze nella Camera di consiglio del 19 marzo 2025 La Presidente Relatrice Dott.ssa NOME COGNOME
La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di
Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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