REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DI APPELLO
DI ROMA SEZIONE
QUARTA CIVILE composta dai magistrati dott.ssa NOME COGNOME presidente dott.ssa NOME
COGNOME consigliere rel. dott.ssa NOME COGNOME consigliere riunita in camera di consiglio, ha pronunciato, ai sensi dell’art. 281 sexies c.p.c., la seguente
S E N T E N Z A N._656_2025_- N._R.G._00001261_2020 DEL_30_01_2025 PUBBLICATA_IL_30_01_2025
nella causa civile in grado di appello iscritta al n. 1261/2020 R.G.A.C.C., trattenuta in decisione all’odierna udienza del 30.1.2025 e vertente TRA p.i. rappresentata e difesa dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME giusta procura in calce all’atto di appello APPELLANTE APPELLATA INCIDENTALE c.f. rappresentata e difesa dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME giusta procura in calce alla comparsa di costituzione e risposta con appello incidentale APPELLATA APPELLANTE INCIDENTALE
MOTIVI DELLA DECISIONE
conveniva in giudizio, innanzi al tribunale di Roma, chiedendo la condanna della stessa al pagamento della complessiva somma di € 17.370,10.
Deduceva, in sintesi, che:
A) nel 2009, le aveva commissionato, sottoscrivendo il preventivo (doc. 1), la fornitura e l’installazione di due impianti ascensori nelle scale A e B del fabbricato sito in Marino, INDIRIZZO
A1) nel corso dell’appalto, aveva richiesto due varianti rispetto al preventivo e, in particolare, la fornitura e l’installazione di una sesta fermata, in aggiunta alle cinque fermate contrattualmente previste per ciascun impianto, e la fornitura e l’installazione di un impianto di illuminazione con pannelli interruttori in ognuno dei vani ascensori;
A2) la committente non aveva saldato le fatture n. 1221 e n. 1222 del 19.3.2010, aventi ad oggetto le varianti, per un totale di € 5.605,60, mentre per altro verso, avendole commissionato la manutenzione periodica degli impianti (doc. 4), non aveva onorato i canoni dovuti per il secondo e il terzo quadrimestre 2011, di cui alle fatture n. 01910 del 22.4.2011 e n. 03136 del 24.8.2011, per complessivi € 1.056,00;
B) nel 2011 le aveva commissionato (doc. 7) la fornitura e l’installazione di cinque impianti ascensori idraulici presso le palazzine realizzate in Roma, INDIRIZZO
B1) ricevuta la prestazione, aveva tuttavia omesso il pagamento della somma di € 3.000,00, dovuto a saldo della fattura n. 02599 del 15.6.2012 di € 5.408,00;
B2) successivamente, con decorrenza 1.1.2013, la committente le aveva affidato (docc. 9 e 10) la manutenzione e il servizio di pronto intervento (H24) in relazione ai suddetti impianti;
B3) anche per queste prestazioni l’istante era rimasta creditrice delle somme di cui alle fatture n. 00521 del 9.1.2013 pari a € 2.420,00, n. 00744 del 10.1.2013 pari a € 368,50 e n. 01950 del 23.4.2013 pari a € 2.420,00 per un totale di € 5.208,50;
B4) nel mese di giugno l’attrice era venuta a conoscenza della costituzione, avvenuta asseritamente nel mese di marzo 2013, dell’amministrazione condominiale in luogo della committente proprietaria, che, dicendosi d’accordo con la nuova amministrazione, richiedeva e otteneva l’emissione delle fatture n. 02237/00/2013 e n. 02238/00/2013, rispettivamente per storno parziale della fattura n. 521 e per storno totale della fattura n. 1950;
B5) senonché, la nuova amministrazione del non solo non aveva corrisposto quanto dovuto dal mese di marzo 2013, ma, anzi, nel mese di settembre 2013, aveva sostituito la con altra impresa;
B6) conseguentemente, “sul riflesso del rapporto contrattuale inter partes, mai variato”, aveva inviato alla committente le fatture di ripristino dei predetti storni, rimanendo creditrice, altresì, delle seguenti somme:
€ 150,00 a titolo di penale ex art. 7 comma 1 del contratto di manutenzione, € 150,00 a titolo di penale ex art. 7 richiamato nel contratto di pronto intervento, € 2.200,00 a titolo di danno in forza della stessa clausola.
*** Si costituiva , chiedendo il rigetto della domanda in quanto fondata su mere fatture, come tali inidonee a fini di prova del credito, ed essendo stati saldati tutti i lavori eseguiti in Marino e in Roma;
contestava l’asserita commissione delle varianti, poiché la fornitura e l’installazione di una sesta fermata erano già previste nel preventivo n. 09/09/I del 26.1.2009 (ove per errore era stato indicato il numero di cinque fermate), al pari della fornitura e dell’installazione di impianto di illuminazione con pannelli interruttori in ognuno dei vani ascensori;
deduceva, altresì, che nell’anno 2011 era stato costituito il in Marino, il quale si era assunto gli oneri relativi al contratto di manutenzione periodica, comunicando all’impresa la variazione dell’organo amministrativo, come previsto dall’art. 2 del contratto di manutenzione, sicché , avendo venduto tutte le unità immobiliari non era più titolare della “situazione giuridica sostanziale”;
eccepiva l’avvenuto pagamento integrale della fattura n. 2599 del 15.6.2012;
quanto alle ulteriori fatture e agli importi richiesti a titolo di penale e a titolo di danno, eccepiva la propria carenza di legittimazione passiva, stante la avvenuta costituzione, nel marzo 2013, del che era subentrato nei rapporti di manutenzione e di godimento delle parti comuni, né i lavori di cui alla fattura n. 744 del 10.1.2013 erano mai stati commissionati;
concludeva chiedendo il rigetto della domanda con vittoria di spese di lite, con la condanna di parte attrice al risarcimento del danno da lite temeraria.
*** L’attrice, con la memoria ex art. 183 comma 6, n. 1, c.p.c. riduceva la domanda alla minor somma di € 14.370,10, ammettendo l’avvenuto pagamento della fattura n. 02559 del 15.6.2012.
*** Con sentenza n. 23568/2019, R.G. 71501/2014, pubblicata in data 9.12.2019, il tribunale accoglieva la domanda e condannava la convenuta a pagare la somma di € 14.370,10, oltre interessi legali dalla domanda (13.11.2014) e rivalutazione;
rigettava la domanda ex art. 96 c.p.c. proposta dall’attrice;
condannava al pagamento delle spese di giudizio.
Il primo giudice così motivava:
‹‹La domanda è fondata e va accolta.
In linea di principio pare opportuno premettere che l’onere che grava sul convenuto in senso sostanziale ai sensi dell’art. 167 c.p.c. reca la presa di posizione imprescindibile sui fatti posti dall’attore a fondamento della domanda.
Se il convenuto omette di svolgere quest’attività difensiva, il giudice deve porre a fondamento della decisione i fatti non specificamente contestati dalla parte convenuta costituita (art. 115, comma 1°, c.p.c.).
L’onere di contestazione concerne i fatti, non le prove che li dimostrano, poiché l’esigenza di offrire la prova di un fatto è un posterius il cui prius logico e giuridico è sostanziato dal gravitare il fatto nell’orbita del thema probandum, che ricorre quante volte esso sia controverso, questione da dirimersi a monte attraverso l’esplicazione degli effetti del principio di non contestazione.
Nel caso di specie la società convenuta non ha contestato i fatti – non ha cioè preso posizione sulla fonte negoziale del diritto di credito e sulla sua entità concordata dalle parti –, ma si é limitata a dedurre l’insufficienza della documentazione prodotta a dimostrarli.
Pur tuttavia, ciò si risolve in un’attività logicamente successiva alla delimitazione del thema probandum, che per effetto del comportamento processuale della parte convenuta ha visto espunto l’accertamento dei fatti costitutivi della domanda attorea, sui quali quest’ultima ha omesso di prendere compiuta posizione, negandoli espressamente e specificamente.
In particolare la non ha espressamente contestato che la abbia realizzato la sesta fermata (aggiuntiva) oggetto della fattura n. 1221/2010 del 19.3.2010 né che siano stati eseguiti i lavori di cui all’impianto di cui alla fattura n. 1222/2010 del 19.3.2010 (variante per illuminazione nel vano scale e pannello interruttori ).
La difesa della società convenuta, secondo cui il contratto comprenderebbe anche la sesta fermata, non coglie nel segno in quanto i contratti (cfr. docc. 1 e 7) prevedono entrambi (solo) cinque fermate e non vi è alcuna prova dell’asserito errore materiale in cui sarebbe incorsa la Riguardo all’eccezione di carenza di legittimazione passiva sollevata dalla per sottrarsi all’obbligo di pagamento delle restanti fatture sull’assunto che a seguito della costituzione del nel 2011 l’obbligo si sarebbe trasferito in capo a tale ente di gestione si osserva quanto segue.
I titoli in base ai quali la società attrice ha agito per il pagamento delle fatture relative ai servizi di manutenzione e servizio di pronto intervento, per l’installazione delle cassette portachiavi, per danno da chiusura anticipata del contratto sono costituiti dai contratti (docc. 4, 9 e 10 citazione) intercorsi tra le parti in causa.
Non vi è prova che il Condominio – di cui peraltro – non si conosce l’esatta data di costituzione – sia subentrato alla parte obbligata al pagamento.
Né che la società creditrice abbia consentito alla cessione dei contratti azionati.
Ne consegue che l’eccezione di carenza di legittimazione passiva sollevata da parte convenuta non coglie nel segno.
Il teste escusso, a conoscenza diretta dei fatti sui quali è stato interrogato per aver effettuato un sopralluogo quale ascensorista incaricato dalla per effettuare la manutenzione degli impianti di ascensore oggetto dei contratti, ha riferito di aver “visto la targhetta di altra ditta” e di aver avvertito di ciò l’azienda di cui è lavoratore dipendente.
Sulla scorta di tale dichiarazione risulta provata la legittimità della richiesta di pagamento della penale e del danno contrattualmente predefiniti.
Conseguentemente la va condannata a pagare alla la somma (come modificata da parte attrice in sede di memorie ex art. 183 sesto comma cpc n. 1) di Euro 14370,10, oltre interessi legali dalla domanda (13.11.2014) e rivalutazione.
Non ricorrono i presupposti di legge per l’applicazione dell’art. 96 c.p.c. La domanda di condanna avanzata dalla società attrice al pagamento del risarcimento del danno di una somma ritenuta di giustizia non può trovare accoglimento.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza.
I compensi si liquidano d’ufficio secondo i valori medi previsti dall’art. 4 DM 55/14 stabiliti in corrispondenza dello scaglione di valore della controversia.
Ai suddetti compensi vanno aggiunte spese generali pari al 15% dei compensi, C.U., Iva e CPA…››. *** Ha proposto appello , formulando un unico motivo articolato in più profili e chiedendo, in riforma della gravata sentenza, previa sospensione dell’efficacia esecutiva, in via principale, di rigettare tutte le domande proposte da in quanto inammissibili, oltre che infondate in fatto e in diritto, con condanna della stessa al risarcimento dei danni da lite temeraria.
*** Si è costituita, in data 19.5.2020, proponendo appello incidentale e appello incidentale condizionato e chiedendo di:
rigettare l’appello;
in accoglimento dell’appello incidentale condannare al pagamento degli interessi moratori ex D.lgs. n. 231/02 sull’importo complessivo di € 10.814,10 e degli interessi legali sull’importo di € 1.056,00 con decorrenza dalle singole fatture al soddisfo, nonché degli interessi ex D.lgs. n. 231/02 sull’importo di € 2.500,00 con decorrenza dalla domanda (13.11.2014);
in estremo subordine, in accoglimento dell’appello incidentale condizionato, accogliere la domanda alternativa di condanna di per indebito arricchimento, spiegata in primo grado, e condannarla al pagamento della somma di € 6.661,60, oltre interessi ex D.lgs. n. 231/02 sulla somma di € 5.605,60 e interessi legali sulla somma di € 1.056,00, nonché rivalutazione monetaria su tutte le somme liquidande, il tutto dal dì di ogni singola fattura al soddisfo effettivo, confermata per il resto la condanna al pagamento contenuta nella gravata sentenza della ulteriore somma di € 5.208,50, oltre interessi ex D.lgs. n. 231/02 e rivalutazione monetaria dal dì di ogni singola fattura al soddisfo per le fatture nn. 00521del 9.1.2013, 00744 del 10.1.2013 e 01950 del 23.4.2013 relative a canoni di manutenzione e pronto intervento, e della somma di € 2.500,00, oltre interessi ex Dlgs. n. 231/02 e rivalutazione monetaria dalla domanda (13.11.2014) al sodisfo per penale e danno, con vittoria di spese, competenze e onorari del doppio grado gravate ex art. 96 c.p.c. *** In via istruttoria, entrambe le parti hanno reiterato, in via subordinata, le istanze di prova non ammesse in primo grado.
*** La Corte ha rigettato l’istanza di sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza e ha poi rinviato la causa per la precisazione delle conclusioni.
*** Dopo alcuni rinvii d’ufficio, con decreto del 7.1.2025 è stata fissata, per la decisione ai sensi dell’art. 281 sexies c.p.c., l’udienza del 30.1.2025, con termine fino a 15 giorni prima dell’udienza per il deposito di note conclusionali.
I procuratori delle parti hanno tempestivamente depositato le note conclusionali e, all’odierna udienza, hanno discusso oralmente la causa, concludendo come da verbale.
*** Preliminarmente, deve essere disattesa la richiesta di rimessione in termini per la mancanza dei termini liberi a comparire in ragione della disposta sospensione dei termini a causa della nota pandemia da Covid INDIRIZZO, formulata dall’appellata con le note di trattazione scritta depositate il 9.6.2020, richiamate nelle note conclusionali.
L’appellata, infatti, a fronte dell’udienza del 5.6.2020 indicata in citazione, si è costituita in data 19.5.2020, difendendosi compiutamente nel merito e proponendo anche appello incidentale e appello incidentale condizionato.
La Corte, all’esito dell’udienza del 10.6.2020 a trattazione scritta, nel respingere l’istanza ex art. 283 c.p.c., ha rimesso gli atti al Presidente per l’assegnazione alla sezione competente in base alle tabelle.
È stata quindi fissata l’udienza del 2.10.2020, innanzi a questa sezione, di (effettiva) prima trattazione dell’appello.
Ne deriva che sono stati sanati i vizi della citazione e che nessuna violazione del diritto di difesa è configurabile, essendo la costituzione dell’appellante incidentale tempestiva rispetto alla suddetta udienza del 2.10.2020.
*** Venendo al merito, il motivo dell’appello principale denuncia “VIOLAZIONE DEGLI ARTT. 115 C.P.C., 2697 C.C.,1659 C.C. E 1665 C.C., INSUFFICIENZA ED ERRONEITA’ DELLA MOTIVAZIONE” Lamenta l’appellante che il tribunale avrebbe errato nel ritenere che la società convenuta non avesse contestato l’effettuazione delle opere e dei servizi di manutenzione, dal momento che, in tutti gli scritti difensivi di primo grado, era stata dedotta la mancanza di prova dell’effettivo e corretto adempimento della prestazione, l’inidoneità a fini di prova delle fatture e l’avvenuto saldo dei lavori eseguiti, contestazioni, peraltro, inizialmente richiamate dal primo giudice e poi non considerate in motivazione, con conseguente violazione del disposto di cui agli artt. 2697 c.c. e 115 c.p.c.; analogo discorso valeva per la presunta non contestazione delle fatture n. 1221/2010 e n. 1222/2010 del 19.3.2010, relative alla realizzazione della sesta fermata (aggiuntiva) e alla variante per illuminazione nel vano scale e pannello interruttori (già compresa nel preventivo e saldata), dal momento che , al contrario, aveva rilevato, in particolare nella memoria di replica, che nessuna variante era stata mai richiesta e accettata dalla committente, né concordata tra le parti (il contratto di appalto era “chiavi in mano”), e che l’appaltatrice non aveva fornito alcuna prova né dell’approvazione delle varianti né della pattuizione del corrispettivo, né, infine, del fatto che le opere extra preventivo fossero state poi eseguite a regola d’arte, collaudate e accettate dalla committente, con conseguente violazione degli artt. 1659 e 1665 c.c.; quanto ai servizi di manutenzione e pronto intervento relativi al , la sentenza sarebbe palesemente erronea, poiché la stessa attrice, nell’atto introduttivo del giudizio, aveva espressamente dichiarato che, a seguito della costituzione del , nel marzo 2013, aveva emesso note di credito a storno delle precedenti fatture, non saldate dal , che aveva poi sostituito l’impresa con altra impresa, circostanza che dimostrerebbe inequivocabilmente la mancanza di legittimazione passiva di per le ragioni dedotte in primo grado, considerato anche che l’attrice aveva accettato il subentro del ; del pari erronea sarebbe la motivazione della sentenza nella parte in cui aveva rigettato l’eccezione di carenza di legittimazione passiva con riferimento alle fatture n. 01910 del 22.4.2011 e n. 03136 del 24.8.2011, aventi ad oggetto i canoni per la manutenzione periodica degli impianti siti negli immobili di INDIRIZZO in Marino, relativi al 2° e 3° quadrimestre 2011, avendo in realtà la convenuta depositato gli atti di compravendita delle unità immobiliari e considerato che il condominio negli edifici e, in generale, la particolare comunione ex art. 1117 c.c., si costituisce, ipso iure, nel momento in cui l’unico originario proprietario aliena le singole unità immobiliari ad altri soggetti, sicché vi era prova della data di costituzione del , fermo restando che, il subentro nel contratto in questione si verifica automaticamente nel momento in cui viene ad esistenza l’ente condominiale e che il contratto prevedeva espressamente, all’art. 2, la variazione dell’organo amministrativo; erronea e illegittima sarebbe anche la condanna alla rifusione delle spese di lite, considerata la riduzione della pretesa attorea, che avrebbe dovuto giustificare almeno la compensazione parziale.
*** Sotto un diverso profilo, l’appellante principale, al punto 3) dell’atto di impugnazione, rubricato “SULLA CESSIONE DEL CREDITO”, evidenzia poi che, con atto a rogito Notaio del 21.12.2015 (rep. 26238 – racc. 18977), stipulato nel corso del giudizio di primo grado, aveva sottoscritto l’aumento di capitale di tramite la cessione del “ramo d’azienda di manutenzione, riparazione ed installazione di ascensori” e che nel ramo ceduto, come risultava dal prospetto e dalla perizia di stima allegati sub B), erano compresi i crediti maturati verso i clienti, tra cui quello, pur contestato, oggetto di causa (doc. 1), sicché la prima non sarebbe più titolare del presunto diritto di credito azionato nei confronti , con conseguente carenza di legittimazione attiva e mancanza di interesse ad agire in capo alla stessa, essendo la pretesa creditoria nella titolarità di un altro soggetto. *** Muovendo dall’esame di siffatta eccezione, si premette che, con le note conclusionali depositate il 13.1.2025, ha reso noto che il giudizio di opposizione al precetto con cui aveva intimato il pagamento dell’importo liquidato dal tribunale si era concluso con la sentenza del tribunale di Roma n. 4473/2021 dell’11.3.2021, che, in considerazione dell’avvenuta cessione del credito, aveva dichiarato “l’inesistenza del diritto di procedere ad esecuzione forzata di in danno di per il capo n. 1 della sentenza n. 23658 emessa dal Tribunale di Roma il 9.12.19, in cui quest’ultima è stata condannata a pagare la somma di Euro 14.370,10 oltre interessi legali dal 13.11.2014 e rivalutazione” (all. A), sentenza ormai passata in giudicato. L’eccezione è infondata.
In caso di successione a titolo particolare nel diritto controverso, il processo prosegue fra le parti originarie, ma la sentenza ha effetto anche contro il successore a titolo particolare, il quale può intervenire o essere chiamato nel giudizio, divenendone parte a tutti gli effetti;
qualora sia rimasto estraneo al processo, il successore ne subisce gli effetti anche in sede esecutiva, ma è legittimato ad impugnare la sentenza sfavorevole al suo dante causa ovvero ad avvalersene se favorevole (Cass. n. 9264/2021).
Infatti, ai sensi delle disposizioni dell’art. 111 c.p.c., commi 1 e 3, “se nel corso del processo si trasferisce il diritto controverso per atto tra vivi a titolo particolare il processo prosegue tra le parti originarie” salvo il diritto del successore a titolo particolare di intervenire nel processo o la possibilità di chiamata in causa dello stesso.
Queste disposizioni sono applicabili anche nei casi in cui la successione nel rapporto controverso sia conseguenza del trasferimento dell’azienda o di un ramo dell’azienda (sent. n. 7079 del 1974; sent. 8219 del 1990; sent. n. 237 del 2003), dato che l’uno e l’altro non determinano l’estinzione del cedente, che conserva, così, per espressa disposizione di legge, con l’interesse ad agire e la veste di sostituto processuale dell’acquirente, il potere di esercitare nel processo i diritti di quest’ultimo (fino a quando l’avente causa non abbia esercitato il suo potere di intervento) ed il potere di impugnazione, fino a quando tale potere non sia stato esercitato dallo stesso avente causa (Cass. 19.11.2007, n. 23936).
Non essendo intervenuta la cessionaria, permangono in capo alla cedente sia la legittimazione attiva che l’interesse a impugnare.
Né rileva la sentenza emessa in sede di opposizione a precetto, poiché nel processo di cognizione l’alienante può avere interesse a che resti accertato che egli era titolare del diritto che ha ceduto, mentre nel processo esecutivo non è configurabile un interesse giuridico dell’alienante alla realizzazione coattiva del diritto ceduto, se l’acquirente non ha tale interesse (cfr. Cass. n. 9211/2001).
Invero, proprio perché il titolo esecutivo spiega effetti a favore anche del successore, deve essere quest’ultimo ad agire in esecuzione, in quanto portatore dell’interesse concreto e attuale all’adempimento del comando giurisdizionale, dal momento che l’avente causa potrebbe legittimamente scegliere di iniziare le procedure esecutive utilizzando il titolo formato a favore del proprio dante causa, così come potrebbe parimenti decidere di non azionarlo mai, accontentandosi dello status quo, anche in contrasto con la volontà del proprio dante causa. Ne consegue che la cedente in virtù della prosecuzione ex art. 111 c.p.c. tra le parti originarie del giudizio di merito, in assenza di intervento del nuovo titolare del diritto e in assenza di estromissione, è legittimata a stare in giudizio, come a proporre appello incidentale, e ha interesse ad agire.
*** Si procede ora all’esame dell’appello principale.
In primo luogo, a differenza di quanto assume l’appellante, la convenuta in primo grado non ha posto in discussione l’avvenuta esecuzione delle opere oggetto di contratto, né la loro corretta esecuzione a regola d’arte, rilievi dedotti in maniera del tutto generica e non circostanziata.
Come risulta dalla lettura degli atti difensivi, le contestazioni avevano ad oggetto sostanzialmente la inidoneità a fini di prova delle fatture, la commissione delle due varianti (trattandosi di opere già previste e saldate) e la carenza di legittimazione passiva in ordine alle fatture relative alla manutenzione (e, di conseguenza, al richiesto pagamento delle penali contrattuali), in ragione della avvenuta costituzione dei due Condomini negli edifici di in Roma e di INDIRIZZO in Marino.
Pertanto, il primo giudice non è incorso nella violazione dell’art. 115 c.p.c., dovendosi rammentare che i fatti devono ritenersi ammessi, senza necessità di prova, ove la parte, nella comparsa di costituzione e risposta, si sia limitata ad una contestazione non chiara e specifica (cfr. Cass. n. 26908/2020) e, come ripetutamente affermato dalla Suprema Corte, una contestazione generica equivale ad una “non-contestazione” (Cass. 4770 del 15/02/2023 in motivazione; Cass. n. 9439 del 23/03/2022; Cass. n. 17889 del 27/08/2020).
In secondo luogo, fermo quanto appena detto, si rileva che l’impresa non si è limitata a produrre, a sostegno delle azionate pretese, solo le fatture, ma ha agito in giudizio in virtù della sottoscrizione del preventivo regolarmente accettato da e degli ulteriori contratti versati in atti.
Così facendo ha assolto l’onere della prova sulla stessa gravante, poiché, com’è noto, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno o per l’adempimento deve provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi poi ad allegare la circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre al debitore convenuto spetta la prova del fatto modificativo o estintivo dell’altrui pretesa.
*** Detto ciò, venendo all’esame dei singoli profili della censura, occorre muovere dalle fatture n. 1221 e n. 1222 del 19.3.2010 per l’importo complessivo di € 5.605,60.
Sin dalla comparsa di costituzione in primo grado, la committente ha dedotto che i lavori di cui alle varianti erano già compresi nel preventivo e non erano stati quindi commissionati successivamente.
Solo con la memoria di replica la predetta ha dedotto, a riprova del fatto che tali opere erano già state pagate e oggetto del preventivo, che l’appalto era a corpo e non a misura, per cui non poteva essere richiesto un importo maggiore.
Ora, premesso che la circostanza che il contratto di appalto fosse a corpo e non a misura non esclude che l’appaltatore, qualora siano commissionate opere aggiuntive, abbia diritto a un compenso maggiore ai sensi e per gli effetti dell’art. 1661 c.c., per giurisprudenza costante l’appalto costituisce un contratto a forma libera e il regime probatorio delle variazioni dell’opera muta, a seconda che le stesse siano dovute all’iniziativa dell’appaltatore ovvero a quella del committente;
mentre nel primo caso, infatti, l’art. 1659 c.c. richiede che le modifiche siano autorizzate dal committente e che l’autorizzazione risulti da atto scritto “ad substantiam“, nel secondo, invece, l’art. 1661 c.c. consente all’appaltatore, secondo i principi generali, di provare con tutti i mezzi consentiti, incluse le presunzioni, che le variazioni sono state richieste dal committente (tra le tante, Cass. n. 40122 del 15/12/2021; Cass. n. 32989 del 13/12/2019).
Nella specie, la committente, lungi dall’affermare che le opere erano state eseguite su iniziativa dell’appaltatore e senza il proprio consenso, ha allegato che “fin da subito” aveva richiesto all’impresa di fornire due ascensori di sei fermate per due palazzine di sei piani, già ultimate e visitate dai tecnici di controparte prima della predisposizione del preventivo, mentre per mero errore materiale il preventivo riportava cinque fermate e non sei (tanto che il preventivo riportava una corsa di m. 12,90, propria di un ascensore di sei fermate). Quanto all’altra opera in variante (fornitura e installazione di impianto di illuminazione con pannelli interruttori in ognuno dei vani ascensori), ha allegato che tale voce era già ricompresa nel preventivo del 26.1.2009, accettato e sottoscritto dalle parti.
Siffatta linea difensiva è in radice incompatibile con l’esecuzione di lavori a iniziativa dell’appaltatore, dal momento che è la stessa committente a riconoscere di aver commissionato le opere di cui sopra (sia pur collocandole al momento del contratto), sicché a nulla rileva la mancanza di autorizzazione in forma scritta.
La committente, convenuta in primo grado, tuttavia non ha dimostrato, in base al menzionato criterio di riparto dell’onere della prova, che il preventivo (poi accettato) facesse riferimento a cinque fermate per mero errore materiale.
Siffatto errore non è provato, come condivisibilmente ritenuto dal tribunale, e comunque tale ipotesi deve ragionevolmente escludersi in considerazione della lunghezza della corsa riportata nel preventivo (12,90 metri), che mal si concilia con sei piani, ciascuno di altezza non inferiore a 2.70 metri.
Si consideri inoltre che è un operatore specializzato nella realizzazione di edifici, di talché si sarebbe certamente avveduta dell’asserito errore materiale contenuto nel preventivo e ne avrebbe chiesto la rettifica.
Si consideri, ancora, che il preventivo specificava che si trattava di cinque fermate compresa quella di partenza e che la corsa andava dal piano di calpestio della fermata di partenza a quello dell’ultima fermata, il che avrebbe reso ancor più evidenziato l’asserito errore.
A tanto si aggiunga che non risulta che le fatture siano state specificamente contestate in corso di rapporto.
Alla luce di quanto sin qui detto, deve escludersi che la sesta fermata fosse già ricompresa nel preventivo, dovendo, di contro, ritenersi che la committente abbia richiesto di estendere la corsa al piano interrato soltanto in corso d’opera.
Quanto all’impianto di illuminazione e al pannello interruttori, l’opera aggiuntiva era all’evidenza legata all’installazione successiva della sesta fermata, come tempestivamente dedotto dall’attrice con la prima memoria ex art. 183 comma 6 c.p.c. La circostanza, che trova conforto nel fatto che le due fatture sono state emesse nella stessa data, non è stata contestata in modo specifico, essendosi la convenuta limitata a ribadire che si trattava di voce già inserita nel preventivo e già saldata, senza confrontarsi (anche in relazione al quantum della somma richiesta) con la deduzione di parte attrice, secondo cui la fattura aveva ad oggetto soltanto le opere che si erano rese necessarie in conseguenza dell’aggiunta della sesta fermata. Correttamente, pertanto, il primo giudice ha riconosciuto il credito portato dalle fatture 1221 e 1222 del 19.3.2010 *** Seguendo l’ordine dell’atto di impugnazione, si procede ora all’esame delle fatture di ripristino n. 00761/00/2014 e n. 00762/00/2014 del 16.1.2014, riguardanti i contratti di manutenzione e pronto intervento relativi ai cinque impianti del fabbricato di in Roma.
Le fatture di ripristino originano dalle precedenti fatture, emesse prima degli storni, e in particolare dalla fattura n. 521/2013 (relativa ai canoni di manutenzione e servizio di pronto intervento 24 ore, 1° quadrimestre 2013, stornata parzialmente per € 825,00) e la fattura n. 1950/2013 (relativa ai suddetti canoni, 2° quadrimestre 2013, stornata totalmente).
I contratti sono stati conclusi con Non vi è alcuna prova del subentro del Condominio nei contratti in questione né della cessione dei contratti stessi, tanto che nel mese di settembre l’amministrazione condominiale ha sostituito con altra impresa, non ritenendosi evidentemente obbligata nei confronti della medesima.
Neppure risulta che sia stato comunicato alcunché da , la quale, fra l’altro, richiama in modo inconferente l’art. 2 dei contratti, che si limita a prevedere che la “variazione dell’organo amministrativo del ” (cioè dell’amministratore) doveva essere comunicata al manutentore.
In sostanza, da nessun documento risulta che il si sia assunto tutti gli oneri relativi ai contratti conclusi dall’impresa e dalla società costruttrice, né rileva che il contratto sia stato di fatto eseguito anche dopo la costituzione del Condominio o che l’impresa abbia tentato, nella fase stragiudiziale, di ottenere da questo il pagamento dei canoni.
È evidente, infatti, che, a seguito del mancato pagamento (che ben può essere eseguito anche da un terzo), l’impresa potrà rivolgersi esclusivamente alla parte contrattualmente tenuta ad osservare gli obblighi derivanti dal titolo, la quale, a sua volta, potrà eventualmente rivalersi nei confronti del condominio.
A nulla vale pertanto il richiamo fatto dall’appellante agli artt. 1117 e 1123 c.c. ai fini della prova del subentro del condominio nei contratti stipulati in precedenza dal venditore e dell’obbligo quindi dei condomini acquirenti degli immobili al pagamento dei canoni di manutenzione.
Non è qui in discussione il principio secondo cui il condominio di edifici sorge “ipso iure et facto”, senza bisogno di apposite manifestazioni di volontà o altre esternazioni, nel momento in cui l’originario costruttore di un edificio diviso per piani o porzioni di piano aliena a terzi la prima unità immobiliare suscettibile di utilizzazione autonoma e separata, così perdendo, in quello stesso momento, la qualità di proprietario esclusivo delle pertinenze e delle cose e dei servizi comuni dell’edificio.
La perdita della qualità di proprietario non implica infatti, nei confronti del terzo, la perdita della qualità di contraente, in mancanza di recesso o di risoluzione, né può parlarsi di subentro “automatico” del , considerato, tra l’altro, che in tema di spese per la conservazione delle parti comuni, l’obbligo del singolo partecipante di sostenere le spese condominiali, da un lato, e le vicende debitorie del verso i suoi appaltatori o fornitori, dall’altro, restano del tutto indipendenti, il primo fondando sulle norme che regolano il regime di contribuzione alle spese per le cose comuni (artt. 1118 e 1123 ss. c.c.), le seconde trovando causa nel rapporto contrattuale col terzo, approvato dall’assemblea e concluso dall’amministratore in rappresentanza dei partecipanti al (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 10371 del 20/04/2021). Ne consegue che correttamente il primo giudice ha disatteso l’eccezione di carenza di legittimazione passiva (o meglio di difetto di titolarità dell’obbligazione dal lato passivo) sollevata da *** Le argomentazioni sin qui esposte valgono, ovviamente, anche con riferimento alle fatture n. 01910 del 22.4.2011 e n. 03136 del 24.8.2011, aventi ad oggetto i canoni per la manutenzione periodica degli impianti siti negli immobili di INDIRIZZO in Marino, relativi al 2° e al 3° quadrimestre 2011, in virtù del contratto stipulato tra l’impresa e , non essendo certo sufficiente, per le ragioni già spiegate, la produzione di alcuni contratti di compravendita di singoli appartamenti. Quanto sopra vale, ovviamente, anche in ordine alle somme conseguentemente richieste a titolo di penale e a titolo di danno per la irrituale ed intempestiva disdetta, in base alle previsioni pattizie, invero non oggetto di specifica censura.
*** Il profilo della censura afferente alle spese sarà trattato oltre.
*** Le istanze istruttorie, reiterate dall’appellante principale “Per mero scrupolo difensivo”, sono inammissibili, atteso che la parte non può riproporre istanze istruttorie espressamente o implicitamente disattese dal giudice di primo grado senza espressamente censurare, con motivo di gravame, le ragioni per le quali la sua istanza è stata respinta o dolersi della omessa pronuncia al riguardo (Cass. n. 15519 del 07/07/2006; Cass. n. 1532 del 22/01/2018), mentre nella specie nessuna censura specifica è stata formulata *** Deve ora procedersi all’esame dell’appello incidentale, con cui lamenta che il tribunale non avrebbe accordato gli interessi moratori ex D.lgs. n. 231/2002 sull’importo di € 10.814,10, avendo attribuito i soli interessi legali, che in realtà erano stati richiesti dall’attrice per una minima parte del credito azionato e segnatamente per l’importo complessivo di € 1.056,00, relativo alle fatture 01910/11 e 03136/11; inoltre, il tribunale avrebbe disatteso la richiesta di decorrenza degli interessi dalle singole fatture azionate al saldo effettivo, avendoli fatti decorrere dalla data di introduzione del giudizio, richiesta fatta, anche in questo caso, per una minima parte del credito vantato e segnatamente per l’importo complessivo di € 2.500,00, relativo alle penali e al danno.
*** Il motivo è parzialmente fondato.
Ha errato il tribunale ad applicare gli interessi legali sull’intera somma dalla data della domanda.
Nel caso di ritardo nell’adempimento di obbligazioni pecuniarie nell’ambito di transazioni commerciali, il creditore ha diritto alla corresponsione degli interessi moratori ai sensi degli artt. 4 e 5 del d.lgs. n. 231 del 2002 con decorrenza automatica dal giorno successivo alla scadenza del termine per il pagamento, senza che vi sia bisogno di alcuna formale costituzione in mora e senza che nella domanda giudiziale il creditore debba specificare la natura e la misura degli interessi richiesti (Cass. n. 28413 del 05/11/2024). Pertanto, in primo luogo, vanno riconosciuti gli interessi ex D.lgs. n. 231/2002 sull’importo complessivo di € 10.814,10, portato dalle fatture n. 1221/2010, n. 1222/2010, n. 521/2013, n. 744/2010 e n. 1950/2010, dal momento che si verte in materia di transazioni commerciali tra imprese.
In secondo luogo, i suddetti interessi decorrono dalla scadenza delle singole fatture al saldo effettivo e non dalla domanda.
Quanto all’importo complessivo di € 1.056,00, di cui alle fatture n. 01910/11 e n. 03136/11, per le quali sono stati chiesti i soli interessi legali, gli stessi decorrono dalla data di scadenza delle singole fatture al saldo.
Deve invece escludersi l’applicazione degli interessi ex D.lgs. n. 231/2002 sulla somma di € 2.500,00, relativa alle penali contrattuali e al danno, sulla quale decorrono gli interessi legali dal giorno della domanda (cfr. Cass. n. 12188/2017), come correttamente ritenuto dal primo giudice.
Ne consegue che la sentenza, confermata nel resto, va parzialmente riformata e è tenuta a corrispondere gli interessi nei termini di seguito indicati:
sulla somma di € 10.814,10 decorrono gli interessi ex D.lgs. n. 231/2002 dalla data di scadenza delle singole fatture al saldo effettivo;
sull’importo di € 1.056,00 decorrono interessi legali dalla data di scadenza delle singole fatture al saldo.
*** L’appello incidentale condizionato, avente ad oggetto l’indebito arricchimento è, al pari delle istanze istruttorie, assorbito.
*** Ricapitolando, l’appello principale deve essere rigettato;
in parziale accoglimento dell’appello incidentale, la sentenza deve essere parzialmente riformata quanto agli interessi, nei suddetti termini;
rimane assorbito l’appello incidentale condizionato.
*** Va ora affrontato il tema delle spese.
La riforma, anche parziale, della sentenza di primo grado determina la caducazione “ex lege” della statuizione sulle spese e il correlativo dovere, per il giudice d’appello, di provvedere d’ufficio ad un nuovo regolamento delle stesse.
Va premesso, quanto alla censura mossa alla gravata sentenza dall’appellante principale, che correttamente il primo giudice ha posto le spese di lite per intero a carico della convenuta, nonostante l’attrice avesse riconosciuto l’avvenuto saldo di una delle fatture azionate, con conseguente accoglimento della domanda in misura ridotta (€ 14.370,10, rispetto al maggior importo di € 17.370,10 inizialmente pretesa dall’attrice).
La doglianza, infatti, non tiene conto del principio affermato dalla Corte di cassazione a Sezioni Unite (sentenza n. 32061 del 31/10/2022), secondo cui, in tema di spese processuali, l’accoglimento in misura ridotta, anche sensibile, di una domanda articolata in un unico capo non dà luogo a reciproca soccombenza, configurabile esclusivamente in presenza di una pluralità di domande contrapposte formulate nel medesimo processo tra le stesse parti o in caso di parziale accoglimento di un’unica domanda articolata in più capi, e non consente quindi la condanna della parte vittoriosa al pagamento delle spese processuali in favore della parte soccombente, ma può giustificarne soltanto la compensazione totale o parziale, in presenza degli altri presupposti previsti dall’art. 92, comma 2, c.p.c., presupposti che nella specie (con tutta evidenza) non ricorrono. Pertanto, in ragione della soccombenza, deve essere condannata a rifondere all’appellata/appellante incidentale le spese del doppio grado di giudizio, che si liquidano nella misura già liquidata dal tribunale, quanto al primo grado, e secondo i valori medi dello scaglione € 5.201,00 – € 26.000,00, quanto al secondo grado.
*** Deve essere disattesa la domanda di condanna di per lite temeraria, formulata dall’appellata, dal momento che la responsabilità per lite temeraria non consegue alla mera infondatezza della domanda o delle tesi sostenute, ma necessita della mala fede o colpa grave, elementi che non si ravvisano e che non sono stati neppure oggetto di puntuali deduzioni da parte dell’istante.
*** Va dato atto ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della L. n. 228 del 2012, in tema di raddoppio del contributo unificato, che l’impugnazione principale è stata integralmente rigettata (cfr. Cass. n. 26907/2018; Cass. S.U. n. 4315/2020).
la Corte, definitivamente pronunciando sull’appello principale e sull’appello incidentale proposti avverso la sentenza n. 23568/2019 del tribunale di Roma, R.G. n. 71501/2014, pubblicata in data 9.12.2019, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa, così provvede:
1) rigetta l’appello principale proposto da 2) accoglie l’appello incidentale per quanto di ragione, e, in parziale riforma dell’impugnata sentenza, confermata nel resto, condanna al pagamento, in favore di degli interessi moratori ex D.lgs. n. 231/2002 dalla scadenza delle singole fatture al saldo sulla somma di € 10.814,10 e degli interessi legali dalla scadenza delle singole fatture al saldo sulla somma di € 1.056,00;
3) condanna al pagamento, in favore di delle spese del doppio grado di giudizio, che liquida in € 264,00 per esborsi ed € 4.835,00 per compensi, per il primo grado, e in € 355,50 per esborsi ed € 5.809,00 per compensi, per il secondo grado, oltre IVA, CPA e spese generali come per legge;
4) dà atto che sussistono i presupposti di cui all’art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della L. n. 228 del 2012, per il versamento del doppio del contributo unificato da parte dell’appellante principale.
Roma, 30.1.2025 Il Consigliere est. Il Presidente NOME COGNOME NOME COGNOME
La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di
Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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