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Codice Civile
Codice Penale

Appalto opere secondo le direttive del committente

La Corte d’Appello ha confermato la sentenza di primo grado che aveva rigettato sia l’opposizione a decreto ingiuntivo che la domanda riconvenzionale in un caso di appalto caratterizzato da opere difformi rispetto al progetto. La Corte ha ritenuto che, essendo l’appalto a corpo ed essendo state accertate difformità riconducibili ad errori di progettazione, l’appaltatore non fosse responsabile, avendo eseguito le opere secondo le direttive del committente.

Pubblicato il 02 December 2024 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile

R.G. 459/2021 R E P U B B L I C A I T A L I A N A

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE D’APPELLO DI GENOVA Sezione I

Civile Composta dai Magistrati:

Dott. NOME COGNOME Presidente Dott. NOME COGNOME

Consigliere Dott.

NOME

COGNOME Giudice Ausiliario rel. ha pronunciato la seguente

SENTENZA N._1349_2024_- N._R.G._00000459_2021 DEL_12_11_2024 PUBBLICATA_IL_12_11_2024

nella causa civile in grado d’appello promossa da: rappresentati e difesi, per mandato in atti, dagli avv. NOME COGNOME e NOME COGNOME, presso il cui studio in Carrara, INDIRIZZO sono elettivamente domiciliati, COGNOME contro , in persona del titolare, rappresentata e difesa, per mandato in atti, dagli avv. NOME COGNOME ed NOME COGNOME, presso il cui domicilio digitale, agli indirizzi pec è elettivamente domiciliata, APPELLATA APPELLANTE IN INDIRIZZO

CONCLUSIONI

Per la parte appellante:

“Piaccia alla Corte Ecc.ma, respinta ogni contraria ecce- zione e l’appello incidentale proposta da , in quanto in- fondati in fatto ed in diritto, in riforma della sentenza denunziata, accogliere le conclusioni formulate in prime cure da aversi qui per integralmente riportate e tra- scritte, vinte le spese del doppio grado del giudizio, oltre art. 13 LP, CNA e IVA, con il contributo unificato di € 1.138,50 stante il valore dichiarato della controversia la parte appellata ed appellante in via incidentale:

”Piaccia all’Ecc.ma Corte di Appello adita, ogni contraria istanza, eccezione e deduzione respinta, in via preli- minare dichiarare l’inammissibilità dell’appello perchè proposto in violazione dei principi di cui all’art. 342 c.p.c.;

nel merito, respingere l’appello perché infondato e non provato, alla luce delle argomentazioni espresse al punto II che precede;

in accoglimento dell’appello incidentale di cui al punto III che precede, accertato e dichiarato che la ditta appaltatrice ha eseguito opere maggiori e diverse da quelle previste nel contratto originario, riformare la pronuncia di primo grado nella parte in cui prevede la compensazione tra le somme portate in decreto ingiuntivo e quel- le oggetto di riconvenzionale, con conferma del decreto ingiuntivo stesso;

in mero subordine, ove ritenuto opportuno, rimettere la causa in istruttoria per l’espleta- mento delle prove orali dedotte e non ammesse.

Con vittoria di spese di entrambi i gradi del giudizio”.

FATTO E

MOTIVI DELLA DECISIONE

proponevano opposizione avverso il decreto con il quale il Tribunale di Massa aveva loro ingiunto di pagare a l’importo di € 15.740,00 oltre interessi, preteso quale saldo del corrispettivo di contratto di appalto inter partes del marzo 2009.

Gli opponenti allegavano errori di esecuzione delle opere appaltate e chiedevano, in via riconvenzionale, la condanna dell’impresa al risarcimento dei danni, quantificati, sulla scorta di una perizia di parte, in € 61.735,00, richia- mando altresì le risultanze di un ATP introdotto nel novembre 2009 (ing. che aveva concluso, appunto, nel senso della difformità delle opere eseguite dall’impresa Istruita la controversia mediante interrogatorio formale delle parti ed esperi- mento di CTU (arch. COGNOME), il Tribunale di Massa, con sentenza n. 133 del 26 febbraio 2021, così statuiva:

“Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza disattesa o assorbita, in parziale accoglimento dell’opposizione e della domanda ricon- venzionale, operata la dovuta compensazione tra le somme di cui in decreto e quelle richieste in riconvenzionale, così provvede:

REVOCA il Decreto Ingiuntivo n. 508/12 emesso dal Tribunale di Massa in data 03/12/2012 perché comprensivo di somme non dovute.

Operata la compensazione tra le somme portate in Decreto e quelle oggetto parte opponente–attrice al pagamento in favore dell’opposto della somma residua di € 4.835,00 oltre interessi di legge dal dì del dovuto all’effettivo saldo oltre spese.

CONDANNA parte opponente –attrice al pagamento in favore dell’opposto della somma di € 6.715,00 ( 1/2 dell’intero), oltre spese forfettarie 15%, accessori di legge e spese.

In estrema sintesi, il Tribunale, richiamate le risultanze della CTU licenziata, secondo cui “molte delle difformità del progetto riscontrate discendono, in realtà, da errori progettuali che hanno comportato a cascata tutta una serie di modifiche, violazioni urbanistiche e della normativa tecnica… variazioni tutte imputabili a errori di progettazione e / o scelte progettuali ma certamente non imputabili a errori della ditta esecutrice in fase di realizzazione del progetto”, riteneva che le opere fossero state realizzate conformemente alla volontà della committenza e alle disposizioni della DL e che, in sostanza, l’appaltatore avesse agito come nudus minister e dovesse pertanto essere mandato assolto da ogni responsabilità. I danni pretesi dagli opponenti dovevano essere quantificati nell’importo di € 1.360,00 (secondo le conclusioni delle consulenze esperite in sede di ATP e nel corso del giudizio di primo grado) e tale importo era già stato decurtato nel decreto ingiuntivo opposto.

Non potevano neppure imputarsi all’impresa ritardi nell’esecuzione delle opere, posto che erano state apportate varianti sostanziali al progetto originario.

Erano però, ad avviso del Tribunale, state pagate dai committenti opere di fatto non eseguite dall’impresa ed effettuate dalla ditta che era subentrata, circostanza che gli opponenti avevano allegato e l’impresa non aveva conte- stato, ragion per cui i relativi pagamenti dovevano essere revocati, il decreto ingiuntivo opposto doveva essere revocato e gli opponenti condannati al pagamento della somma risultante dalla differenza tra quanto riportato nel decreto ingiuntivo e quanto illegittimamente richiesto e non dovuto (€ 10.635,00) e così complessivi € 4.835,00. Avverso tale decisione interponevano appello con at- to di citazione ritualmente notificato in data 27 maggio 2021, chiedendo, per i motivi di cui infra, quanto in epigrafe trascritto.

Si costituiva nel giudizio d’appello l’impresa ’inammissibilità del gravame ex art. 342 c.p.c., chiedendone nel merito la reiezione e proponendo appello incidentale.

All’udienza del 29 settembre 2021, tenutasi a trattazione scritta, la Corte, ritenuto che non sussistessero i presupposti per l’applicazione dell’art. 348 bis c.p.c., rinviava la controversia per precisazione delle conclusioni al 22 febbraio 2023, incombente poi rinviato al 20 settembre 2023.

A tale udienza il Collegio tratteneva la causa a decisione, rimettendola poi sul ruolo, con ordinanza 5 gennaio 2024, per legittimo impedimento del Presidente relatore.

All’udienza del 22 maggio 2024 i procuratori delle parti depositavano note scritte contenenti precisazione delle conclusioni e il Collegio, con ordinanza 27 maggio 2024, tratteneva la causa a decisione, assegnando i termini di legge per il deposito di comparse conclusionali e memorie di replica.

 Preliminarmente deve essere rigettata l’eccezione di inammissibilità dell’appello di cui all’art. 342 c.p.c., atteso che, come affermato dalla Su- prema Corte a Sezioni Unite (Cass. S.U. n. 27199/2017), gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo di cui al D.L. n. 83 del 22 giugno 2012, convertito con modificazioni nella L. n. 134 del 7 agosto 2012, vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, dovendosi escludere, in considerazione della permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata, che il relativo atto debba rivestire particolari forme sacramentali o che debba contenere la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado (cfr. anche Cass. n. 13535 del 30/5/2018; Cass. n. 40560 del 17/12/2021).

Alla luce di siffatti principi, deve ritenersi che l’atto di appello non incorra nel- la sanzione di inammissibilità, posto che parte appellante, con i motivi di appello articolati, di cui appresso, ha sufficientemente illustrato le censure mosse al ragionamento e alle conclusioni del primo giudice, risultando dunque soddisfatti i requisiti di cui all’art. 342 c.p.c..

Ancora preliminarmente, occorre prendere posizione circa la tardività della produzione del fascicolo di primo grado della parte appellata, eccepita dalle parti appellanti in comparsa conclusionale.

All’atto della costituzione in giudizio ha prodotto unicamente la procura alle liti, mentre i documenti prodotti in primo grado sono stati deposi- tati unicamente con le note di trattazione scritta per l’udienza del 22 maggio 2024, onde, ad avviso degli appellanti, questa Corte non dovrebbe tenerne conto.

Rileva il Collegio che la Cassazione, con l’arresto a SSUU n. 4835 del 16 febbraio 2023, ha statuito che “Il principio di “non dispersione (o di acquisizione) della prova”, operante anche per i documenti – prodotti sia con modalità telematiche che in formato cartaceo – comporta che il fatto storico in essi rappresentato si ha per dimostrato nel processo, costituendo fonte di conoscenza per il giudice e spiegando un’efficacia che non si esaurisce nel sin- golo grado di giudizio, né può dipendere dalle successive scelte difensive della parte che li abbia inizialmente offerti in comunicazione” e che “In mate- ria di prova documentale nel processo civile, il giudice d’appello ha il potere- dovere di esaminare un documento ritualmente prodotto in primo grado nel caso in cui la parte interessata ne faccia specifica istanza nei propri scritti difensivi (mediante richiamo di esso nella parte argomentativa dei motivi formulati o delle domande ed eccezioni riproposte) illustrando le ragioni, tra- scurate dal primo giudice, per le quali il contenuto del documento acquisito giustifichi le rispettive deduzioni. ”.

A tali principi di diritto consegue che questa Corte ha il potere dovere di esaminare, ove occorra ai fini della decisione, i documenti prodotti in primo grado dall’odierna appellata ed appellante in via incidentale, sebbene siano stati prodotti nel presente grado di giudizio in un momento successivo alla costituzione.

L’appello principale censurano la decisione di primo grado con tre motivi di gravame.

Il primo motivo d’appello è rubricato “Violazione art. 2697 c.c.” Il primo Giudice, allegano gli appellanti, non ha fatto corretta applicazione dei principi in tema di riparto dell’onere probatorio nei giudizi di opposizione a decreto ingiuntivo.

opponenti avevano formulato eccezione di inadempimento e incombeva pertanto all’opposta dimostrare l’esatto adempimento della propria obbligazione.

Il Primo Giudice, ad avviso degli appellanti, non ha considerato che le prove testimoniali dell’impresa erano state dichiarate inammissibili e che, a istrutto- ria chiusa, non potevano essere ammesse controprove.

Proseguono con l’evidenziare che la decisione si è fonda- ta sulle CTU esperite in sede di ATP e nel giudizio di opposizione, mentre la giurisprudenza esclude l’ammissibilità di consulenze esplorative che diano contenuto a domande indeterminate di una delle parti o acquisiscano documentazione non integrativa di documenti già depositati dalle parti.

Inoltre, in sede di interpello aveva ripetutamente asserito di non ricordare, mentre aveva confermato che la variante al tetto (legno in luogo di cemento armato) era stata dall’impresa accettata senza aggravio di spese.

Il primo Giudice non ha tenuto conto degli accertamenti svolti dall’ing. il quale aveva acclarato:

a) la presenza di una difformità di altezze (copertura realizzata con incremento di quote rispetto al progetto autorizza- to);

b) la realizzazione, prima della variante della tipologia della copertura, di un pilastro in cemento armato che non aveva alcun fine statico e dovette es- sere tagliato per fare passare la trave principale;

c) era stato scheggiato il davanzale in marmo di una finestra, che la pavimentazione esterna presentava avvallamenti provocati dalla sosta dei mezzi pesanti, che i tettucci non erano stati realizzati con prolungamento del solaio, che vi erano efflorescenze dell’intonaco;

d) che il ritardo successivo al 15 luglio 2009 era imputabile a fermi volontari dell’impresa.

Con riguardo alla CTU arch. COGNOME allegano gli appellanti, il primo Giudice non ha tenuto conto del fatto che il consulente ha acclarato a) la presenza di errori nelle sezioni particolarmente rilevanti in quanto incidenti sulle altezze utili interne del sottotetto;

b) difformità tra progetto e stato rilevato;

c) mancanza nel progetto strutturale , della scala di collegamento tra piano terra e piano sottotetto, del taglio del solaio per il passaggio della scala, poi realizzata a chiocciola e realizzazione in cemento armato anziché in legno della gronda;

d) macroscopiche difformità tra il progetto architettonico e quello strutturale e tra stato di progetto e stato di fatto, che avrebbero ne- una sanzione pari a € 41.142,00 e spese tecniche necessarie pari a € 10.000,00.

Si dolgono altresì gli appellanti che il primo Giudice, dopo avere rilevato che l’appalto era a corpo e non a misura per cui qualsiasi incremento di lavori o materiale rappresenta un costo aggiuntivo per l’impresa che ne subisce le conseguenze economiche, ha poi attribuito tutte le responsabilità a errori di progettazione, esonerando l’appaltatrice dagli errori in fase di realizzazione e ritenendo impossibile che le varianti siano sfuggite a DL, mentre la responsabilità dell’impresa andava affermata perché non erano stati realizzati i pilastri in falso, sostituiti con pilastri costruiti sul prolungamento di quelli sot- tostanti, procurando degli abusi in relazione ai quali debbono rispondere tut- te le parti: proprietà, Direttore dei Lavori e ditte costruttrici.

Infine gli appellanti rilevano che i CTU non hanno considerato il fatto che aveva la direzione tecnica del cantiere, assumendo quindi ogni responsabilità in merito, mentre è jus receptum che l’impresa, quando si rende conto che si stanno commettendo degli abusi, deve chiedere alla commit- tenza una dichiarazione scritta di esonero da ogni responsabilità, altrimenti risponde.

Il motivo è infondato.

Non è dubbio che le opere appaltate siano state dall’impresa realizzate in maniera difforme rispetto ai progetti iniziali e al contratto d’appalto inter partes, circostanze che sono state acclarate tanto dall’ing. che dall’arch. COGNOME nominati consulenti d’ufficio rispettivamente nel procedi- mento per ATP e nel giudizio di primo grado (cfr. in particolare pag. 12 relazione di CTU in ATP e pag. 21 della relazione di CTU nel giudizio di primo grado).

Il punto è però che entrambi i consulenti hanno altresì accertato che le difformità e i difetti sono dipesi da errori progettuali “che hanno comportato a cascata tutta una serie di modifiche, violazioni urbanistiche e della normativa tecnica” e che “Le variazioni… sono tutte imputabili ad errori di progettazione e/o a scelte progettuali, ma certamente non imputabili ad errori della ditta esecutrice in fase di realizzazione del progetto.

” (così la perizia COGNOME a pag. 21), il che ha condotto il primo Giudice ad escludere, appunto, la responsabilità dell’impresa esecutrice sulla scorta del ragionamento di seguito riporta- to:

«Entrambi i tecnici, in conclusione escludono che l’appaltatore abbia a regola d’arte.

… Per quanto attiene il consenso dei committenti e del Direttore Lavori, ritiene il Tribunale che lo stesso debba ritenersi sussistente.

Intanto lo stesso opponente attore in sede di interrogatorio formale ha di- chiarato che “la decisione di sostituire il tetto lamellare con quello in legno è stata “suggerita” e l’appaltatore “ha accettato” di eseguire.

La distinzione che lo stesso tende a fare tra decisione “imposta” e suggerita, è in vero, di per sé labile.

Certo è come riferito che l’appaltatore l’ha “accettata” e ciò esclude che una decisione assunta in proprio dall’appaltatore stesso.

Anche se solo indirettamente conferma che le opere sono state realizzate conformemente alla volontà della committenza ed alle disposizioni della D.L., il fatto che nessuna problematica sia sorta nella proprietà confinante (Sig.ri pur ricompresa nel progetto.

D’altro canto e da ultimo sul punto, come riferito dallo stesso CTU Arch. COGNOME è difficilmente ipotizzabile che variazioni così importanti da comportare un aumento dei costi e maggior impegno di tempo, di risorse e di materiale, possano essere ricondotte ad una esclusiva iniziativa dell’appaltatore che avendo stipulato un appalto a corpo e non a misura avrebbe tratto dalla iniziativa stessa solo nocumento.

Certamente dette variazioni, comunque, non avrebbero potuto sfuggire alla Direzione dei Lavori che, responsabile della corretta esecuzione degli stessi sia nei con- fronti della proprietà sia legalmente, avrebbe dovuto prontamente interrompere i lavori e segnalare alla committenza.

Nel caso in ispecie, ritiene il Tribunale che l’appaltatore abbia agito come “nudus minister” e che debba quindi essere mandato assolto da ogni responsabilità in ossequio alla con- solidata giurisprudenza della Suprema Corte (ex plurimis Cassazione civile, sez. II, 18/11/2019, n. 29864) che, a ben vedere, ricalca ripetuti precedenti in cui aveva deciso che la responsabilità dell’appaltatore deve essere esclusa quando i vizi dell’opera non possano ricollegarsi ad un suo comportamento doloso o colposo, ma derivino da errore del progetto fornito dal committente con ordine di attuarlo, o siano una conseguenza dell’avere l’appaltatore agito per disposizioni impartite dal committente». (pagg. 3 – 4).

Con particolare riferimento al fatto che le difformità riscontrate siano ricollegabili ad errori del progetto inziale fornito dal committente la Giurisprudenza citata nella sentenza impugnata, ha chiarito che “L’appaltatore che nella realizzazione dell’opera si attiene alle previsioni del progetto altrui può comunque essere ritenuto responsabile per i vizi dell’opera, in quanto, sebbene la ma è commisurata alla diligenza e alla perizia necessarie nel caso concreto e secondo il parametro di cui all’art. 1176, secondo comma, del co- dice civile. In particolare, nel caso in cui il committente abbia predisposto il progetto dell’opera e fornito indicazioni sulla sua realizzazione, l’appaltatore deve comunque segnalare al committente le carenze e gli errori al fine di po- ter realizzare l’opera a regola d’arte, con la conseguenza che, in caso contrario, egli è comunque responsabile anche se ha eseguito fedelmente il progetto e le indicazioni, mentre va esente da responsabilità se il committente, reso edotto delle carenze e degli errori, gli abbia chiesto di dare egual- mente esecuzione al progetto o abbia ribadito le indicazioni, riducendosi in tale ipotesi l’appaltatore al rango di “nudus minister””(Cass. Sez. 3, Sentenza n. 7515 del 12/04/2005, Rv. 584295 – 01; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1981 del 02/02/2016, Rv. NUMERO_DOCUMENTO).

Al riguardo, gli appellanti si limitano a sostenere che «è’ jus receptum che l’impresa, quando si rende conto che si stanno commettendo degli abusi, deve fermarsi e richiedere alla committenza una dichiarazione scritta di esonero pieno da ogni responsabilità conseguente, riprendendo, se del caso una volta ottenutala, gli stessi lavori.

secondo la solo una dichiarazione scritta potrebbe comportare l’esonero di responsabilità per l’appaltatore, in quanto “nudus minister”» (pagg. 18-19 atto di appello), senza censurare in modo specifico la riportata motivazione in forza della quale il Giudice di primo grado ha ritenuto che nel caso specifico fosse stata raggiunta la prova che l’appaltatore avesse agito quale “nudus minister”.

Quanto allo “jus receptum” invocato dagli appellanti, circa la necessità di una dichiarazione scritta di esonero di responsabilità, in senso contrario si è espressa Cass. Sez. 2 – , Ordinanza n. 10808 del 21/04/2023, Rv. 667685 – 01, la quale ha affermato:

“In tema di appalto, la realizzazione dell’opera in modo parzialmente difforme dalle prescrizioni del permesso di costruire non determina la nullità dell’appalto, sicché l’appaltatore che abbia agito quale “nudus minister” del committente, seguendone pedissequamente le direttive e le istruzioni nell’esecuzione del contratto, non può ritenersi responsabile per inadempimento e conserva il diritto al compenso”.

Nella motivazione di tale sentenza, la Suprema Corte, infatti, ha precisato:

“Il rifiuto di sottoscrive- re una dichiarazione contenente un’assunzione di responsabilità non escludeva che il ricorrente avesse verbalmente esonerato la controparte dalle conseguenze della violazione, quantomeno nell’ambito del rapporto di appalto”.

Quanto ai pretesi errori del primo Giudice nell’applicazione dei principi in te- ma di onere della prova, giova osservare che sono stati gli stessi originari attori in opposizione e odierni appellanti a chiedere, in sede di Accertamento Tecnico Preventivo, l’accertamento del valore delle opere eseguite dall’impresa (oltre che dei vizi e dei danni asseritamente provocati) e che nulla vieta al Giudice di utilizzare l’esito di accertamenti tecnici esperiti nel rispetto del principio del contraddittorio.

Sotto questo profilo l’appello è, prima ancora che infondato, inammissibile, posto che si limitano a richiamare principi giurisprudenziali generali circa l’inammissibilità di consulenze tecniche esplorative e l’impossibilità, per il CTU, di basare le proprie valutazioni su documenti che non siano stati prodotti dalle parti, senza chiarire le ragioni per cui, nel caso di specie, tali principi generali sarebbero in ipotesi stati violati dai consulenti d’ufficio.

Il secondo motivo di gravame è rubricato “Violazione art. 115 c.p.c” e con esso gli appellanti si dolgono che il CTU, confermando sostanzialmente i risultati dell’ATP (e quindi accertando l’esistenza di abusi edilizi), non si sia confrontato con le problematiche sollevate dal CT di parte opponente geom. Il Tribunale ha applicato l’art. 115 c.p.c. con riguardo alle opere pagate ma non eseguite dall’impresa, ma non lo ha applicato in relazione alle perizie di parte, anch’esse non contestate dall’opposta.

Insiste quindi la parte appellante per l’accoglimento della domanda riconvenzionale spiegata in primo grado ovverosia la condanna al pagamento di complessivi € 156.178,81 per le seguenti voci:

restituzione di quanto pagato in forza della provvisoria esecutorietà del decreto opposto (€ 17.599,39), pagamento della penale per ritardata consegna dal 15 luglio 2009 al 26 agosto 2010 pari a giorni 436 e a € 43.600,00 rimborso della differenza tra il costo del tetto armato e quello in legno € 2.439,00 pagamento dell’importo di € 2.000,00 per la ripulitura del cantiere, come stimato da restituzione dell’importo di € 10.635,00 per opere non eseguite e pagate (unica somma riconosciuta in sentenza);

pagamento della sanatoria dei lavori eseguiti in parziale difformità per € 41.140,42 e delle spese tecniche per € 10.000,00 rimborso di quanto corrisposto alle imprese (rispettivamente € 26.4000 ed € 5.500) per il completamento delle opere abbandonate Anche questo motivo è, ad avviso del Collegio, infondato.

Premesso che la convenuta opposta non aveva alcun onere di contestare specificamente una perizia di parte il cui contenuto confliggeva in radice con le allegazioni in fatto e in diritto della convenuta medesima, contrariamente a quanto opinato dall’appellante il CTU arch. COGNOME ha puntualmente ribattuto alle osservazioni del CT di parte (cfr. pagg. da 25 a 29 dell’elaborato peritale definitivo).

Secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione, recentemente con- fermata da Sez. III, Ordinanza n. 12195 del 6 maggio 2024, il giudice di me- rito, quando aderisce alle conclusioni del consulente tecnico che, nella relazione, abbia tenuto conto, replicandovi, dei rilievi dei consulenti di parte, esaurisce l’obbligo della motivazione con l’indicazione delle fonti del suo convincimento, e non deve necessariamente soffermarsi anche sulle contra- rie allegazioni dei consulenti tecnici di parte, che, sebbene non espressa- mente confutate, restano implicitamente disattese perché incompatibili, sen- za che possa configurarsi vizio di motivazione, in quanto le critiche di parte, che tendono al riesame degli elementi di giudizio già valutati dal consulente tecnico, si risolvono in mere argomentazioni difensive (nel medesimo senso cfr. anche sez. I, Ordinanza n. 33742 del 16 novembre 2022 e sez. VI – 3 Ordinanza n. 1815 del 2 febbraio 2015).

L’appellante si limita a riportare le conclusioni del proprio CT di parte e insiste per l’integrale accoglimento della domanda riconvenzionale formulata in primo grado ma, a parte l’importo relativo alle opere pagate e non eseguite che è stato riconosciuto nell’impugnata decisione, tutti gli altri importi sono stati correttamente esclusi dal primo Giudice in quanto del tutto sforniti di prova (così è a dirsi per la ripulitura del cantiere, la differenza fra il costo del tetto armato e quello in legno, i danni alle opere, la sanatoria dei lavori eseguiti in parziale difformità e le spese tecniche), ovvero perché non si tratta di ritardata consegna) ovvero perché non rappresentano una effettiva vo- ce di danno (così è a dirsi per gli importi corrisposti alle imprese che hanno ultimato i lavori, che rappresentano un costo che avrebbe comunque dovuto essere sostenuto dai committenti). Per quanto attiene, poi, alla restituzione dell’importo versato in forza della provvisoria esecutorietà del decreto opposto, gli odierni appellanti non han- no documentato alcun pagamento e la produzione nel giudizio di appello (doc. D) di due bonifici per complessivi € 3.335,00 con causale acconto e saldo competenze “causa civile porta a ritenere che tali pagamenti, che non corrispondono a quanto liquidato nell’impugnata decisione a titolo di capitale e rifusione delle spese legali, tengano già conto di quanto in ipotesi versato dai committenti nel corso del giudizio di primo grado a seguito della concessione della provvisoria esecutorietà del decreto ingiuntivo opposto. Infondato si palesa infine anche il terzo motivo dell’appello principale, rubricato “Violazione deli art. 91 – 92 cpc”, con cui gli appellanti deducono che, stante la revoca del decreto ingiuntivo opposto e il mancato assolvi- mento dell’onere probatorio, le spese di lite avrebbero dovuto essere poste a carico dell’opposta, anzichè compensate al 50%.

Rileva il Collegio che, contrariamente a quanto opinato dagli appellanti in via principale, il primo Giudice ha fatto piana e condivisibile applicazione dei principi codicistici in tema di liquidazione delle spese di lite, ponendole a carico della parte soccombente, che sono stati condannati al pagamento di somme in favore dell’impresa, e disponendo una compensazione parziale per tenere conto del fatto che le pretese dell’opposta, attrice sostanziale, erano state accolte in misura inferiore rispetto alla domanda (cfr. Cass., SSUU Sentenza n. 32061 del 31 ottobre 2022). Con un unico motivo di appello incidentale, censura la decisione di primo grado nella parte in cui afferma che essa non ha esplicita- mente e dettagliatamente contestato quanto riferito dall’opponente in relazione a lavori non eseguiti nonostante ne fosse intervenuto il pagamento.

Con comparsa 3 giugno 2013 l’impresa aveva invece contestato gli assunti della parte opponente, deducendo comunque che le opere realizzate fosse- ro maggiori e diverse rispetto a quelle concordate.

primo Giudice, non ha, ad avviso dell’impresa, colto che le somme richieste con il ricorso monitorio riguardavano anche i corrispettivi per le varianti in corso d’opera inizialmente non previsti e da sempre disconosciuti dalla committenza ma accertate in sede di ATP.

decurtazione operata dal Tribunale parziale accoglimento dell’opposizione muove dall’errato presupposto che l’appaltatrice abbia ricevuto il pagamento di opere non realizzate, senza però considerare quelle, diverse, eseguite in variante.

Il fatto che, come affermato dal Giudice e dal CTU, l’appalto fosse a corpo e che pertanto i costi e oneri maggiori determinati dalle varianti in corso d’opera fossero a carico dell’impresa doveva essere contestualizzato ed oc- correva tenere conto del fatto che ATP e CTU avevano acclarato che l’impresa lasciò il cantiere perché le opere non erano assistite dai corretti atti amministrativi e la committenza non voleva accollarsi i maggiori costi derivanti dalle varianti in corso d’opera accettate.

Le doglianze dell’appellante in via incidentale non colgono nel segno.

La fattura per € 16.830,00 posta a base del ricorso monitorio riporta come causale “Saldo su lavori di ristrutturazione del tetto dell’abitazione sita in INDIRIZZO” ed elenca materiali e mano d’opera in maniera generica, senza neppure precisare i quantitativi degli uni e dell’altra, per cui l’affermazione secondo cui le somme richieste con il ricorso monitorio riguardavano anche i corrispettivi per le varianti in corso d’opera non è in alcun modo verificabile, a prescindere dal se la convenuta opposta abbia o meno tempestivamente contestato gli assunti degli attori in opposizione circa il fatto che parte delle opere, sebbene pagate all’odierna appellata, siano state poi eseguite da altre imprese. Nella comparsa costituiva nel giudizio di primo grado, peraltro, l’impresa si è limitata ad affermare – a pag. 3 – punto 3) e 4) che:

“I conteggi sono quelli risultanti dal contratto, dalle fatture prodotte e dall’ATP”, ma le “altre fatture” non sono state prodotte e, pacifico che l’impresa avesse abbandonato il cantiere senza ultimare i lavori, l’ATP non aveva quantificato il valore delle ope- re in concreto eseguite, ragion per cui anche questa Corte ritiene non potersi sostenere che la convenuta opposta abbia esplicitamente contestato i conteggi, all’opposto dettagliati, dei committenti con riguardo alle opere pagate nonostante non fossero state eseguite. In conclusione, l’impugnata sentenza, che ha quantificato l’importo in con- creto dovuto dai committenti all’impresa sulla scorta degli accertamenti effettuati nella CTU licenziata in corso di causa, va esente da censure e deve essere in toto confermata.

Stante la reiezione dell’appello principale e di quello incidentale, si legittima, ex art. 92 c.p.c., l’integrale compensazione tra le parti delle spese di lite del presente grado di giudizio.

LA CORTE D’APPELLO definitivamente pronunciando, respinta ogni diversa istanza:

Rigetta l’appello interposto da avverso la sentenza del Tribunale di Massa n. 133 del 26 febbraio 2021;

Rigetta l’appello incidentale interposto da avverso la medesima sentenza;

Compensa integralmente tra tutte le parti le spese del presente grado di giudizio;

Dà atto – ai fini dell’art. 1 comma 17 della Legge 24 dicembre 2012, n. 228, introduttivo dell’art. 13 comma 1 quater nel DPR 115/2002 (Testo unico in materia di spese di giustizia) – che tanto l’appello principale quanto l’appello incidentale sono stati integral- mente rigettati.

Così deciso in Genova, alli 7 ottobre 2024 Il Giudice Ausiliario rel. Dott. NOME COGNOME Il Presidente Dott. NOME COGNOME [..

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