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Appalto, varianti, riconoscimento del credito per lavori aggiuntivi

In un contratto di appalto, le variazioni non previste possono essere eseguite senza autorizzazione solo se strettamente necessarie. Le altre necessitano dell’accordo tra le parti o di una pronuncia del giudice. In assenza di accordo o di preventiva autorizzazione, il giudice determina il corrispettivo basandosi sul preventivo o sui prezzi di mercato.

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Pubblicato il 11 febbraio 2025 in Diritto Civile, Diritto Immobiliare, Giurisprudenza Civile

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE DI APPELLO

DI ROMA SEZIONE

QUARTA CIVILE composta dai magistrati dott.ssa NOME COGNOME presidente dott.ssa NOME

COGNOME consigliere rel. dott.ssa NOME COGNOME consigliere riunita in camera di consiglio, ha pronunciato, ai sensi dell’art. 281 sexies c.p.c., la seguente

S E N T E N Z A N._655_2025_- N._R.G._00000742_2020 DEL_30_01_2025 PUBBLICATA_IL_30_01_2025

nella causa civile in grado di appello iscritta al n. 742/2020 R.G.A.C.C., trattenuta in decisione all’odierna udienza del 30.1.2025 e vertente TRA , p.i. , in persona del titolare (c.f. rappresentata e difesa dall’avv.to NOME COGNOME giusta procura in calce all’atto di appello APPELLANTE APPELLATA INCIDENTALE , c.f. rappresentato e difeso dall’avv.to NOME COGNOME giusta procura in calce alla comparsa di costituzione e risposta in grado di appello APPELLATA APPELLANTE INCIDENTALE CRAGIONE_SOCIALEF.

MOTIVI DELLA DECISIONE

(di seguito, l’impresa) chiedeva al tribunale di Roma di ingiungere al (di seguito, il ) il pagamento della somma di € 40.934,47, comprensiva della somma di € 209,47 per il rilascio dell’estratto conto delle scritture contabili, oltre interessi di mora ex art. 1284 c.c., comma 4, per lavori di appalto eseguiti in favore del e non pagati, per gli importi di cui alle fatture azionate.

*** Il tribunale, in data 20.7.2016, accoglieva il ricorso ed emetteva il decreto ingiuntivo n. 17377/2016.

*** Nelle more, l’impresa proponeva ricorso per l’accertamento tecnico preventivo ex art. 696 c.p.c., allo scopo di verificare e quantificare i lavori eseguiti.

*** Avverso il decreto ingiuntivo proponeva opposizione il , chiedendone la revoca e deducendo che:

aveva commissionato all’impresa le opere di ripristino dell’impianto fognario di cui al preventivo approvato, per complessivi € 57.000,00 oltre IVA al 10%, che erano state di volta in volta pagate;

l’impresa non aveva terminato le lavorazioni e non aveva effettuato il collaudo, continuando ad emettere fatture per lavori non oggetto del preventivo;

non era chiaro se le somme di cui al decreto ingiuntivo si riferissero alle lavorazioni approvate o a lavori eseguiti dall’impresa di sua iniziativa, senza autorizzazione alcuna da parte del inoltre, la determinazione degli importi indicati nelle fatture era errata perché comprensiva della ritenuta di acconto, che però rimaneva a carico del committente.

*** Si costituiva l’impresa richiamando l’esito dell’A.T.P., dalla medesima richiesto proprio per eliminare in radice ogni pretestuosa contestazione, e chiedendo il rigetto dell’opposizione.

*** Con sentenza n.14309/2019, R.G. 67790/2016, pubblicata in data 6.7.2019, il GOT del tribunale revocava il decreto ingiuntivo e condannava l’opponente al pagamento dell’importo di € 38.630,00, oltre interessi legali e spese di lite, così motivando:

“Letti gli atti;

– lette le deduzioni e le memorie conclusionali depositate;

– preso cognizione della ATP depositata, La opposizione va respinta atteso che la Cassazione civile, sez.

Il, sentenza 12/05/2016 n° 9767 ha così statuito ” In tema di appalto, le nuove opere richieste dal committente costituiscono varianti in corso d’opera ove, pur non comprese nel progetto originario, siano necessarie per l’esecuzione migliore -ovvero a regola d’arte dell’appalto o, comunque, rientrino nel piano dell’opera stessa e, invece, sono lavori extracontrattuali se siano in possesso di una individualità distinta da quella dell’opera originaria pur ad essa connessi ovvero ne integrino una variazione quantitativa o qualitativa oltre i limiti di legge, sicché, nel primo caso, l’appaltatore è, in linea di principio, obbligato ad eseguirle (nella specie, previo ordine scritto applicandosi, contrattualmente, l’art. 13 del capitolato generale delle opere pubbliche), mentre, nel secondo, le opere debbono costituire oggetto di un nuovo appalto. ” Orbene sulla scorta di questa pronuncia, lette le risultanze dell’ATP che, priva di vizi e meritevole di consenso, ha riconosciuto la realizzazione delle opere per le quali l’opposta ha richiesto il pagamento, tanto edili che impiantistiche, ha accertato l’utilizzo di materiale “di prima qualità” e la realizzazione delle stesse con “buona maestria realizzativa”.

La relazione tecnica in parola ha accertato la realizzazione delle opere previste nel preventivo, con esclusione di realizzazione del quadro elettrico a servizio pompe per immissione acque chiarificate in evapotraspiratore, fornitura in opera di cloratore automatico per acque chiare uso sanitario;

installazione allarmi ottico/acustici funzionamento pompe/livelli acque.

Ha riconosciuto la realizzazione di modifiche suppletive: aumento della capacità delle vasche raccolta acque chiare, aumento del numero delle pompe a servizio delle vasche di cui alla voce precedente;

realizzazione di una vasca liquami secondaria.

La consulenza ha così riassunto in merito alle opere ed interventi eseguiti:

“le opere ed interventi eseguiti in difformità/aumento rispetto al convenuto migliorano in generale l’efficacia dell’impianto, in un caso ne assicurano la funzionalità, essi dunque risultano utili se non quando necessari”.

Condivide, questo giudice, le risultanze della consulenza sia dal punto di vista della descrizione delle opere che dal punto di vista di esecuzione delle stesse, nonché sul piano dei costi che, la consulenza, individua nell’importo di € 38.630,00.

Poiché non è in dubbio che le opere realizzate sono conformi all’uso che l’impianto deve svolgere e addirittura ne assicurano il funzionamento;

considerato che l’appaltatore ha eseguito dette opere in coscienza e nel rispetto della realizzazione dell’appalto secondo le regole dell’arte, ne consegue che l’opposizione deve essere respinta.

Quanto alla conoscenza ed autorizzazione all’esecuzione delle ulteriori opere aggiuntive va rilevato che la ditta appaltatrice ha comunicato all’amministratore pro tempore del (docc. 31 e 32) le variazioni apportate, ai condomini sono state inviate con raccomandate ai condomini (doc. 34), così sono state anche comunicate le fatture di richiesta di pagamento (doc. 35).

Le ulteriori doglianze sulla ritenuta d’acconto sono smentite e superate dalla documentazione depositata.

Il decreto ingiuntivo, purtuttavia, va revocato poiché gli importi riconosciuti quali dovuti all’opposta, coma da consulenza in atti, € 38.630,00 sono inferiori rispetto a quelli richiesti in via monitoria.

Le spese di lite seguono la soccombenza, ma tenuto conto che la “81” – che non ha aderito alla proposta del giudice formulata ex art. 185 bis cpc. vengono sensibilmente ridotte…”.

*** Ha proposto appello l’impresa, articolando tre motivi e chiedendo, in riforma della sentenza impugnata e in accoglimento del primo motivo, previa declaratoria dell’invalidità della sentenza, di condannare il a pagare la somma di € 40.725,00, oltre € 209,47 per il rilascio dell’estratto conto delle scritture contabili, oltre interessi di mora ex art. 1284 comma 4 c.c. dalla domanda al soddisfo, spese e compensi liquidati nella fase monitoria;

in accoglimento del secondo motivo, condannare il a pagare interamente le spese del primo grado del giudizio e, in subordine, accertare e dichiarare una minima riduzione delle spese di lite.

In via istruttoria, ha chiesto, in subordine, l’ammissione delle prove già articolate in primo grado.

*** Si è costituito, in data 20.10.2020, l’appellato, chiedendo, in via principale, di dichiarare inammissibile l’appello per carenza di interesse ad agire e, in ogni caso, respingerlo perché infondato;

in accoglimento dell’appello incidentale e in riforma dell’impugnata sentenza, ha chiesto di accogliere le conclusioni rassegnate in primo grado e accertare e dichiarare che le opere aggiuntive erano state eseguite senza il consenso del , né preventivo né successivo, per cui le somme richieste non erano dovute e l’impresa doveva essere condannata alla restituzione della somma di € 34.149,60, corrisposta dal nel corso del giudizio di primo grado al fine di evitare l’esecuzione forzata.

In via istruttoria, ha insistito per l’ammissione dei mezzi istruttori così come articolati in primo grado con le note ex art. 183 comma 6 c.p.c. *** Dopo alcuni rinvii d’ufficio, con decreto del 14.11.2024 è stata fissata, per la decisione ai sensi dell’art. 281 sexies c.p.c., l’udienza del 12.12.2024, con termine fino a quindici giorni prima per note conclusionali.

I procuratori delle parti hanno depositato, in data 27.11.2024, le note conclusionali.

Alla suddetta udienza la Corte ha rilevato un difetto di rappresentanza del , in quanto la procura depositata non era corredata della delibera condominiale che conferiva all’amministratore il potere di rappresentare la parte nella proposizione dell’appello incidentale.

La causa è stata quindi rinviata per lo stesso incombente all’udienza del 30.1.2025.

In data 22.1.2025 parte appellata ha depositato il verbale del 14.1.2025, con cui l’assemblea condominiale all’unanimità ha ratificato il conferimento dell’incarico al difensore a proporre appello incidentale.

All’odierna udienza i procuratori delle parti hanno discusso oralmente la causa e hanno concluso come da verbale.

*** Occorre in primo luogo esaminare, per motivi di ordine logico, l’eccezione di carenza di interesse ad agire dell’appellante principale, sollevata dal , secondo cui il primo giudice aveva riconosciuto gli importi di cui al procedimento di A.T.P. (introdotto proprio dall’impresa) relativi al pagamento dei lavori straordinari e, inoltre, il successivamente alla concessione della provvisoria esecutorietà del decreto ingiuntivo, aveva versato la somma di € 34.149,00, sicché l’impresa aveva ricevuto un totale di € 82.829,60. L’eccezione è infondata.

Diversamente da quanto assunto dall’appellato, sussiste l’interesse ad agire poiché oggetto di impugnazione è l’omesso riconoscimento e la conseguente omessa pronuncia sugli ulteriori importi (diversi da quelli considerati dal primo giudice) richiesti con il decreto ingiuntivo, consistenti nel saldo degli interventi precedenti al preventivo del 22.7.2013, pari a € 3.325,00, nonché nel saldo delle opere di cui al detto preventivo del 2013, pari a € 21.350,00, e nel pagamento delle opere aggiuntive che erano state richieste solo in parte, mentre il primo giudice aveva liquidato le opere aggiuntive per intero (nonostante l’impresa aveva riservato di proporre domanda per il residuo in separato giudizio), senza provvedere sulle fatture azionate. Inoltre, la circostanza dell’avvenuto pagamento della somma di € 34.149,00 a seguito della concessione della provvisoria esecutorietà non incide sull’interesse ad agire.

*** Venendo al merito, il primo motivo dell’appello principale è rubricato “Mancanza di corrispondenza tra il “chiesto” e il “deciso”.

Lamenta l’appellante che il primo giudice avrebbe erroneamente ritenuto che oggetto della causa fossero tutte e solamente le opere c.d. aggiuntive (individuate dal C.T.U. in € 38.630,00, oltre IVA), escludendo così il pagamento in relazione alle opere oggetto delle fatture, in parte differenti da quelle aggiuntive;

queste ultime erano state solo parzialmente fatturate dall’appaltatrice, nella misura di € 16.050,00, mentre la restante somma di € 26.443,00 non era stata chiesta con il decreto ingiuntivo e, quindi, non era oggetto del giudizio;

tale errore di interpretazione avrebbe condotto il primo giudice a negare la sussistenza del credito di € 40.750,00 per la sola circostanza che questo fosse maggiore al credito riconosciuto dal C.T.U. per i soli lavori aggiuntivi, senza peraltro che il avesse provato di aver pagato alcuna tra le fatture oggetto del ricorso monitorio;

inoltre, gli importi per il saldo delle fatture relative ai lavori del preventivo erano stati riconosciuti dal C.T.U., che aveva confermato il corretto svolgimento di tutti i lavori previsti, quantificati in complessivi € 50.500,00 oltre IVA, mentre il aveva versato solo € 34.200,00, rimanendo, dunque, debitore della somma di € 21.350,00, corrispondente proprio a quella richiesta nel procedimento monitorio con le fatture n. 21 e 22 del 2014.

*** Il motivo è in parte fondato.

Il tribunale, infatti, era tenuto ad accertare il credito entro il perimetro segnato dalle fatture azionate dalla ricorrente, nelle quali pacificamente non rientravano tutte le somme per le opere aggiuntive.

Le fatture in questione riguardavano, come si vedrà appresso, i lavori di manutenzione dell’impianto fognario precedenti al contratto di cui al preventivo del 22.7.2013, nonché i lavori di cui al detto preventivo, e, solo in parte, i lavori aggiuntivi.

Il primo giudice, invece, incorrendo in errore e travalicando i confini del petitum e della causa petendi della domanda, ha riconosciuto l’intero ammontare delle opere aggiuntive come quantificate dal C.T.U. in € 38.630,00 oltre IVA al 10% e ha omesso di valutare il credito con riguardo agli ulteriori importi che erano stati richiesti sulla base di un titolo diverso.

In sostanza, il tribunale ha condannato il al pagamento di somme che, in parte, non erano state nemmeno fatturate dall’impresa e che non erano oggetto del ricorso e ha omesso, invece, di pronunciare su alcune delle somme richieste con le fatture azionate.

*** Accertata la suddetta violazione, dovranno, pertanto, qui essere riesaminati tutti i termini della vicenda, allo scopo di verificare la fondatezza o meno del diritto di credito fatto valere in sede monitoria dall’impresa, tenuto conto delle contrapposte difese.

*** Muovendo dal ricorso per decreto ingiuntivo, per le opere di manutenzione antecedenti all’appalto, l’impresa ha chiesto il pagamento della somma di € 3.325,00, comprensiva di ritenuta d’acconto al 4%.

Il suddetto importo e le relative fatture si riferiscono, come chiarito dall’impresa nel giudizio di opposizione, a pagamenti relativi a interventi di riparazione eseguiti tra l’anno 2010 ed i primi mesi dell’anno 2013 sull’impianto fognario condominiale, dunque prima del contratto di cui al preventivo del 22.7.2013.

In relazione a tali lavori il non ha svolto specifiche contestazioni, né ha fornito la prova del pagamento, avendo eccepito unicamente che gli importi dovevano essere calcolati al netto della ritenuta d’acconto, che rimaneva a carico del committente.

Sul punto si osserva che la trattenuta viene operata solo al momento dell’effettivo pagamento e che il non ha versato le ritenute d’acconto, sicché l’impresa ha legittimamente richiesto tali importi al lordo della ritenuta d’acconto, atteso che la stessa è solidalmente obbligata a provvedere al suo pagamento (Cass. n. 8903 del 31/03/2021), ferme restando eventuali rivalse.

Pertanto, in difetto di ulteriori contestazioni del credito, la somma di € 3.325,00, portata dalle fatture n. 13 del 10.9.2012, n. 4 del 14.3.2013, n. 6 del 4.4.2013, n. 8 del 7.5.2013, n. 10 del 4.7.2013, n. 12 del 5.9.2013 (saldo), è dovuta.

*** Procedendo oltre, l’importo di € 19.800,00, di cui alla fattura n. 21 del 1°.12.2014, si riferisce al saldo dei lavori oggetto dell’appalto del luglio 2013 (rifacimento vasche raccolte liquami e acque meteoriche ed opere connesse).

La fattura n. 22 del 1°.12.2014, pari a € 4.950,00, riguarda per € 1.550,00 il saldo dei lavori di cui al contratto di appalto (ripristino conduttura in cemento delle acque nere meteoriche esistente sul lato dx stabile) e per € 3.400,00 l’acconto sui lavori aggiuntivi.

Si ha un totale pari a € 21.350,00, che concerne il saldo delle opere di ripristino dell’impianto fognario esistente e corrispondono al preventivo del 22.7.2013, approvato dal Relativamente a tali lavori, il C.T.U., come si è detto, ha quantificato i costi in € 50.500,00, oltre IVA (pari a € 55.550,00).

Rispetto a questa somma, il ha versato, prima del deposito del ricorso monitorio, l’importo di € 34.200,00, restando pertanto debitore della somma di € 21.350,00, che è quella richiesta con il ricorso sulla base della fattura n. 21/2014 e (in parte) della fattura n. 22/2014.

In ordine a tali somme, il ha effettuato una contestazione generica, affermando di non averne avuto conoscenza e di aver ricevuto le fatture solo in data 14.6.2016 e lamentando che le voci delle fatture erano generiche e ingeneravano confusione.

Ora, quanto alla ricezione nel giugno 2016, questa è smentita dalla missiva datata 14.1.2015, consegnata a mano e sottoscritta dall’amministratrice, da cui risulta la consegna delle fatture n. 21, 22 e 23 del 1°.12.2014 (all. 35 alla memoria ex art. 183 comma 6 n. 2 c.p.c.), fermo restando che il tardivo invio delle fatture rileva ad altri fini (ad esempio ai fini della prescrizione) ma non incide sull’esistenza del credito.

Gravava sul Condominio un onere specifico di contestare l’incompleta esecuzione dei predetti lavori o l’esecuzione non a regola d’arte, o, ancora, l’avvenuto pagamento.

Difatti, come è noto con l’opposizione a decreto ingiuntivo, si instaura un ordinario giudizio di cognizione, volto ad accertare il fondamento della pretesa fatta valere.

In questo autonomo giudizio il creditore opposto può produrre nuove prove, ad integrazione di quelle già offerte nella fase monitoria, e il giudice non valuta soltanto la sussistenza delle condizioni e della prova documentale necessarie per l’emanazione della ingiunzione, ma la fondatezza (e le prove relative) della pretesa creditoria nel suo complesso, con la conseguenza che l’accertamento dell’esistenza del credito travolge e supera le eventuali insufficienze probatorie riscontrabili nella fase monitoria (cfr. Cass. n. 2490/2019; Cass. n. 9927/2004).

Al debitore è riconosciuto il diritto di contestare analiticamente la fondatezza del credito secondo i principi in tema di riparto dell’onere probatorio.

In altre parole, l’opposto assume la posizione sostanziale di attore, mentre l’opponente, il quale assume la posizione sostanziale di convenuto, ha l’onere di contestare il diritto azionato con il ricorso, facendo valere l’inefficacia dei fatti posti a fondamento della domanda o l’esistenza di fatti estintivi o modificativi di tale diritto (cfr. Cass. n. 2421/2006).

Trovano dunque applicazione i principi in materia di riparto dell’onere della prova, per cui, in tema di prova dell’inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno o per l’adempimento deve provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto e il relativo termine di scadenza, limitandosi poi ad allegare la circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre al debitore convenuto spetta la prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento (cfr., tra le tante, Cass. n. 826/2015; Cass. n. 13685/2019).

Nel caso di specie, l’impresa ha versato in atti il preventivo del 22.7.2013 approvato dall’assemblea (già versato in atti anche dal ) e ha specificato i singoli importi con le rispettive voci nella memoria ex art. 183, comma 6 n. 1 c.p.c., cui non ha fatto seguito una più incisiva e puntuale contestazione, come si ricava dalla lettura della memoria ex art. 183, comma 6 n. 2 c.p.c. di parte opponente.

A tanto si aggiunga che il C.T.U. nominato nella procedura di A.T.P. ha accertato che le opere realizzate ricalcavano sostanzialmente quanto previsto dal preventivo.

Di contro, il non ha provato di aver saldato gli importi relativi alle opere pattuite ed eseguite, se non parzialmente (€ 34.200,00).

Pertanto, anche la somma di € 21.350,00, portata dalle suddette fatture, è dovuta.

*** Per gli interventi e i lavori sin qui esaminati il credito dell’impresa ammonta quindi a € 24.675,00 (€ 3.325,00+ € 21.350,00).

*** Vanno ora esaminati i lavori non previsti nel contratto di appalto.

Tali lavori sono stati fatturati dall’impresa in acconto per un totale di € 16.050,00 (€ 3.400,00 portati dalla fattura n. 22/2014 ed € 12.650,00 portati dalla fattura n. 23/2014).

Il C.T.U. ha determinato le opere aggiuntive in complessivi € 38.630,00 (€ 42.493,00 IVA compresa).

Ciò detto, il motivo dell’appello principale sul punto sarà esaminato unitamente al primo motivo dell’appello incidentale, in quanto logicamente connessi.

*** Prima però va esaminata l’eccezione di inammissibilità dell’appello incidentale ai sensi dell’art. 342 c.p.c., formulata dall’impresa nelle note conclusive.

L’eccezione è infondata.

Come affermato dalla Suprema Corte a Sezioni Unite (Cass. S.U. n. 27199/2017), gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo di cui al D.L. n. 83 del 22 giugno 2012, convertito con modificazioni nella legge n. 134 del 7 agosto 2012, vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, dovendosi escludere, in considerazione della permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata, che il relativo atto debba rivestire particolari forme sacramentali o che debba contenere la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado (cfr. anche Cass. n. 13535 del 30/5/2018; Cass. n. 40560 del 17/12/2021).

Alla luce di siffatti principi, deve ritenersi che l’appello incidentale non incorra nella sanzione di inammissibilità, in quanto il ha sufficientemente illustrato le censure mosse al ragionamento e alle conclusioni del primo giudice e ha indicato quale sia l’obiettivo delle censure stesse, risultando dunque soddisfatti i requisiti di cui all’art. 342

c.p.c. *** Tornando al merito, il primo motivo dell’appello incidentale è rubricato “INESISTENZA DELL’OBBLIGO DI PAGAMENTO DEL RELATIMENTE

AI LAVORI AGGIUNTIVI NON DELIBERATI”.

Il Condominio, dopo aver ribadito che non aveva avuto conoscenza delle fatture n. 21, 22 e 23 del 1°.12.2014 fino al mese di giugno 2016, essendo state inviate per la prima volta alla nuova amministratrice solo in data 14.6.2016 (come da mail in atti), e che le fatture contenevano diciture volutamente generiche, avendo l’impresa imputato solo successivamente gli importi in parte ai lavori di cui al preventivo e in parte a quelli aggiuntivi mai autorizzati, lamenta che:

solo in data 18.7.2016 e dopo l’emissione di un “confusionario” decreto ingiuntivo, l’impresa aveva provveduto a redigere una relazione, elaborata unilateralmente e strumentalmente ai fini dell’ nel quale arrivava a chiedere un importo dei lavori pari a € 124.902,80, quasi il doppio delle opere di cui al preventivo;

tale esorbitante importo veniva assolutamente smentito dal C.T.U., che, rispetto alle opere previste nel preventivo, pari a € 57.000,00 (oltre IVA), accertava che erano state eseguite opere per il minor importo di € 50.500,00 (oltre IVA) e che l’impresa aveva eseguito opere aggiuntive per € 38.630,00 (oltre IVA);

dette opere aggiuntive per un importo così elevato, pur connesse a quelle oggetto dell’appalto, integravano una variazione quantitativa e qualitativa e non potevano e non dovevano essere eseguite arbitrariamente dall’impresa, in quanto dovevano essere oggetto di un nuovo appalto a seguito di apposita delibera assembleare di approvazione;

i lavori non erano indispensabili, dal momento che lo stesso C.T.U. aveva solo dichiarato che le opere aggiuntive erano migliorative in generale dell’efficacia dell’impianto fognario, ma non anche indispensabili;

l’autorizzazione a variare il progetto iniziale doveva essere rilasciata con la forma scritta e, ancor di più, era necessario che la spesa fosse approvata dall’assemblea, mentre mai l’appaltatore aveva comunicato alcunché prima dell’esecuzione di opere unilateralmente ritenute “necessarie”, né mai il Condominio, o per esso l’amministratrice, aveva accettato o approvato nulla;

errata era dunque la ricostruzione probatoria che il giudice aveva accettato a sostegno del riconoscimento dei lavori aggiuntivi, trattandosi di lettere inviate all’ex amministratrice e ad un condomino, che non dimostravano che vi fosse stato un assenso della totalità dei condomini, né che la questione fosse stata sottoposta all’assemblea.

*** Orbene, richiamato quanto già detto in ordine al tardivo invio delle fatture, si osserva che trova applicazione la disciplina delle variazioni nel contratto di appalto, dettata dagli artt. 1659, 1660 e 1661 c.c.

Per giurisprudenza costante, l’appalto costituisce un contratto a forma libera e il regime probatorio delle variazioni dell’opera muta a seconda che le stesse siano dovute all’iniziativa dell’appaltatore ovvero a quella del committente;

mentre nel primo caso, infatti, l’art. 1659 c.c. richiede che le modifiche siano autorizzate dal committente e che l’autorizzazione risulti da atto scritto “ad substantiam“, nel secondo, invece, l’art. 1661 c.c. consente all’appaltatore, secondo i principi generali, di provare con tutti i mezzi consentiti, incluse le presunzioni, che le variazioni sono state richieste dal committente (tra le tante, Cass. 24246/2023; Cass. n. 40122/2021; Cass. n. 32989/2019).

Ora, nel caso di specie non vi è alcuna prova che i lavori aggiuntivi fossero stati richiesti dal committente, essendo al contrario dimostrato come essi siano stati frutto dell’iniziativa dell’appaltatore.

Dalla documentazione depositata risulta, in particolare, che con la missiva del 13.5.2014 l’impresa si è limitata a informare l’amministratore che nel corso dell’appalto erano state apportate delle variazioni e aggiunte, quali, pozzetti aggiuntivi lungo il tratto di strada ingresso , ampliamento vasche di raccolta acqua piovana, vasca aggiuntiva acque nere.

Con la stessa lettera, ha poi chiesto la verifica delle lavorazioni fino a quel momento eseguite.

Ancora, dal verbale del sopralluogo eseguito in data 12.3.2015 (doc. 31) risulta esclusivamente che l’impresa, in merito ai lavori aggiuntivi, aveva fatto presente che avrebbe consegnato una relazione dettagliata sulla modifica delle lavorazioni “che a suo parere si sono rese necessarie per il buon funzionamento dell’impianto anche quale conseguenza delle nuove problematiche manifestatesi durante il lavoro”.

Neppure le successive raccomandate inoltrate all’amministratore e ad alcuni condomini dimostrano che i lavori erano stati richiesti dal Condominio, né che questo aveva accettato le lavorazioni aggiuntive o ratificato l’operato dell’amministratore (che peraltro non risulta aver mai ordinato i lavori aggiuntivi).

Emerge, al contrario, che il ha contestato le variazioni apportate con la missiva del 12.5.2015 (doc. 6 fascicolo di parte opponente), con cui informava l’impresa che in seguito al verbale in contraddittorio e di constatazione si era constatato che i lavori eseguiti erano discordanti dal preventivo approvato in data 23.9.2013 e chiedeva spiegazioni sulla ragione dei cambiamenti effettuati senza aver informato il Ne consegue che si tratta di variazioni eseguite di iniziativa dell’appaltatore, che, ai sensi l’art. 1659 c.c., necessitavano dell’autorizzazione scritta del committente e, in particolare, di apposita delibera assembleare di approvazione, tanto più se si considera la più che rilevante entità della somma richiesta per le variazioni non autorizzate. Tuttavia, va detto che ai sensi dell’art. 1660 c.c., le variazioni non previste nel progetto, ove strettamente necessarie per la realizzazione dell’opera, possono essere eseguite dall’appaltatore senza la preventiva autorizzazione del committente ma, in tal caso, ove manchi l’accordo tra le parti, spetta al giudice accertarne la necessità e determinare il corrispettivo delle relative opere, parametrandolo ai prezzi unitari previsti nel preventivo ovvero ai prezzi di mercato correnti (Cass. n. 10891/2017).

L’impresa ha rappresentato che durante i lavori “per esigenze tecniche e di buon funzionamento dell’impianto fognario, è stata costretta ad eseguire lavori aggiuntivi per garantire la funzionalità dell’impianto.

Lavori peraltro necessari, avendo l’amministratrice informato la ditta esecutrice che alcuni condomini avevano eseguito delle modifiche ed ampliamenti all’interno della loro proprietà, costruendo e raddoppiando i bagni consentiti, per cui l’impianto fognario già esistente era inadeguato alla raccolta delle maggiore afflusso delle acque che vi confluivano” (cfr. ricorso per A.T.P.).

Il C.T.U., chiamato ad accertare la necessità dell’esecuzione delle opere aggiuntive, dopo aver elencato tutte le voci dei lavori eseguiti in aumento o in difformità rispetto a quanto previsto, distinguendo le opere edili dalle opere impiantistiche, ha affermato che le opere miglioravano in generale l’efficacia dell’impianto e in un caso (voce n. 9-opere civili) ne assicuravano la funzionalità (“… Essi risultano dunque utili quando non necessari”).

Ritiene quindi la Corte che solo le opere di cui alla voce n. 9 fossero necessarie (si tratta delle opere edili relative alla posa in opera di n. 8 pozzetti, eseguita al fine di individuare percorso e recapito della tubatura esistente, tubatura che consentiva lo sversamento dei reflui nella pubblica fognatura, assicurando la funzionalità del sistema di smaltimento).

Non possono invece essere riconosciuti gli importi relativi agli ulteriori interventi che hanno apportato esclusivamente miglioramenti alla funzionalità dell’impianto, dal momento che, come si visto, è consentito all’appaltatore eseguire opere ulteriori senza la necessità dell’autorizzazione ove si tratti di variazioni al progetto strettamente necessarie alla realizzazione a regola d’arte dell’opera stessa, dovendo escludersi invece gli interventi da cui consegue solo un’utilità.

Né può essere invocato il ricorso, al fine di ottenere l’intera somma di € 16.050,00 richiesta dall’impresa, all’ingiustificato arricchimento del Condominio, poiché, a tacer d’altro, tale domanda non è stata formulata, come risulta dalla lettura delle conclusioni formulate con la comparsa di costituzione e risposta in primo grado.

Pertanto, premesso che va condivisa, in quanto corretta e immune da vizi, la quantificazione del C.T.U., che ha indicato in € 8.800,00, oltre IVA, l’importo per la realizzazione delle opere di cui alla voce n. 9, deve essere accertato il credito dell’impresa nei limiti della minor somma (rispetto a quella di € 16.050,00) di € 9.680,00 (comprensiva di IVA).

*** In conclusione, il primo motivo dell’appello principale e il primo motivo dell’appello incidentale sono parzialmente fondati, atteso che, in ragione di quanto sin qui esposto, il credito dell’impresa ammonta a complessivi € 34.355,00:

€ 3.325,00 per lavori precedenti al contratto di appalto + € 21.350,00 per saldo lavori di cui al contratto di appalto + € 9.680,00 (€ 8.800,00 oltre IVA) per lavori aggiuntivi necessari.

*** Non può essere riconosciuto l’importo di € 209,47 richiesto dall’impresa a titolo di spese per il rilascio dell’estratto conto delle scritture contabili, poiché l’appellante principale non ha articolato uno specifico motivo di impugnazione sul punto, neppure per censurare l’omessa pronuncia.

Pertanto, poiché non è dato reiterare in appello domande non accolte in primo grado, senza criticare l’operato del giudice a quo, la domanda è inammissibile.

*** Il secondo motivo dell’appello incidentale denuncia l’omessa motivazione da parte del primo giudice sull’illegittimità del decreto ingiuntivo e sull’erroneità degli importi richiesti, sia in ordine al ritardato invio delle fatture, sia in ordine alla ritenuta d’acconto.

*** Il motivo va disatteso per le ragioni già esposte, cui si rinvia, in relazione ad entrambi i profili.

*** Il secondo motivo dell’appello principale, concernente la parziale compensazione delle spese di lite è assorbito, dal momento che alla riforma della sentenza consegue un nuovo regolamento delle spese di primo grado.

*** Anche il terzo motivo, con cui l’appellante principale ha chiesto, in via subordinata, l’ammissione delle prove già articolate in primo grado è assorbito dalle argomentazioni sopra illustrate, con particolare riguardo al disposto di cui agli artt. 1659 e 1660 c.c., che rendono evidentemente superflua l’ammissione della prova per testi.

*** La domanda di restituzione della somma di € 34.149,60, corrisposta dal nel corso del giudizio di primo grado in seguito alla concessione della provvisoria esecuzione decreto ingiuntivo dichiarato esecutivo, rimane assorbita nella determinazione del credito nella maggior somma di € 34.355,00.

Tuttavia, del pagamento, ammesso anche dall’impresa (cfr. pag. 16 note conclusionali), deve tenersi conto, dal momento che l’opponente che eccepisca l’avvenuto pagamento con l’atto di opposizione o nel corso del giudizio, è gravato del relativo onere probatorio e il giudice, qualora riconosca fondata, anche solo parzialmente, l’eccezione deve revocare “in toto” il decreto opposto, senza che rilevi in contrario l’eventuale posteriorità dell’accertato fatto estintivo al momento dell’emissione suddetta, sostituendosi la sentenza di condanna al pagamento di residui importi del credito all’originario decreto ingiuntivo (Cass. n. 21432 del 17/10/2011). Ne consegue che, in accoglimento parziale dell’appello principale e dell’appello incidentale, la sentenza impugnata deve essere in parte riformata e, ferma la già disposta revoca del decreto ingiuntivo, il deve essere condannato a pagare, in favore dell’impresa, il residuo importo di € 205,40 (€ 34.355,00 – € 34.149,60), oltre interessi legali sull’intera somma di € 34.355,00 dalla data di scadenza delle fatture sino alla data del pagamento eseguito a seguito della concessione della provvisoria esecuzione e interessi legali sulla somma di € 205,40 dalla domanda al saldo. *** La riforma della sentenza di primo grado determina la caducazione “ex lege” della statuizione sulle spese e il correlativo dovere, per il giudice d’appello, di provvedere d’ufficio a un nuovo regolamento delle stesse.

Tale pronuncia, in ossequio al principio della globalità del giudizio sulle spese, deve avvenire con riferimento all’intero processo e all’esito finale della lite.

In caso di riforma della decisione, il giudice dell’impugnazione, investito ai sensi dell’art. 336 c.p.c. anche della liquidazione delle spese del grado precedente, deve applicare la disciplina vigente al momento della sentenza d’appello, atteso che l’accezione omnicomprensiva di “compenso” evoca la nozione di un corrispettivo unitario per l’opera prestata nella sua interezza (Cass. n. 19989 del 13/07/2021).

*** Considerato l’esito complessivo della lite e vista la parziale reciproca soccombenza, sussistono i presupposti per compensare nella misura di un terzo le spese della fase monitoria e di entrambi i gradi di giudizio, che, per i residui due terzi, vengono poste a carico del e si liquidano secondo i valori medi dello scaglione da € 26.001,00 a € 52.000,00, per le fasi di studio, introduttiva, istruttoria/trattazione e decisionale;

solo per il grado di appello, la fase istruttoria/trattazione si liquida nei valori minimi, stante la ridotta attività processuale svolta.

la Corte, definitivamente pronunciando sull’appello principale e sull’appello incidentale proposti avverso la sentenza del tribunale di Roma, n. 14309/2019, R.G. n. 67790/2016, pubblicata in data 6.7.2019, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa, così provvede:

1) in accoglimento parziale dell’appello principale e dell’appello incidentale, e in parziale riforma dell’impugnata sentenza, ferma la revoca del decreto ingiuntivo, accerta e dichiara che il credito di nei confronti del ammonta a € 34.355,00 e che, a seguito dell’estinzione parziale del credito stesso, ammonta a € 205,40;

2) per l’effetto, condanna il pagamento, in favore di “RAGIONE_SOCIALE” , del residuo importo di € 205,40, oltre interessi come in motivazione;

3) compensa per un terzo le spese del procedimento monitorio e del doppio grado di giudizio e condanna il alla rifusione, in favore di , dei residui due terzi, che liquida in € 190,66 per esborsi ed € 870,00 per compensi, per la fase monitoria, in € 5.077,00 per compensi, per il primo grado, e in € 536,00 per esborsi ed € 5.646,00 per compensi, per il secondo grado, oltre IVA, CPA e spese generali come per legge.

Roma, 30.1.2025 Il Consigliere est. Il Presidente NOME COGNOME NOME COGNOME

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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