N N. R.G. 28263/2023
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE di MILANO TERZA CIVILE Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. NOME COGNOME ha pronunciato la seguente
SENTENZA N._51_2025_- N._R.G._00028263_2023 DEL_04_01_2025 PUBBLICATA_IL_04_01_2025
nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 28263/2023 promossa da:
(C.F. ), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avv. COGNOME in Napoli, INDIRIZZO Parte attrice opponente contro (C.F. ), rappresentata e difesa dagli avv.ti NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME in Milano, INDIRIZZO Parte convenuta opposta
CONCLUSIONI
Per parte attrice:
Piaccia al Tribunale, contrariis reiectis, così giudicare:
1) per le motivazioni di cui in narrativa dell’opposizione a precetto e dei successivi atti e verbalizzazioni, accertare e dichiarare in via definitiva l’inefficacia, l’improcedibilità e l’inammissibilità dell’atto di precetto opposto, ossia la sentenza del Tribunale di Napoli, Sez. Lavoro, n. 6528/2016, atteso che la pronuncia azionata in executivis non sarebbe titolo idoneo a fondare una esecuzione forzata, in quanto la sentenza di prime cure sarebbe stata sostituita dalla decisione d’appello, con la quale, limitatamente alla posizione del debitore esecutato, la Corte d’Appello ha dichiarato l’improcedibilità del giudizio per intervenuto fallimento del soggetto passivo; 2) accertare e dichiarare l’inesistenza del titolo esecutivo, in ragione della violazione e/o falsa applicazione dell’art. 474 c.p.c.;
3) in ogni caso, dichiarare che il credito azionato risulta prescritto, essendo trascorsi sette anni dalla pronuncia della sentenza dichiarativa del 2016 ed il ritorno “in bonis” dell’opponente, avvenuto nell’agosto del 2022, come dedotto nella memoria di trattazione scritta ex art. 127 ter c.p.c. depositata per l’udienza del 5.11.2024;
C.F. 4) condannare parte convenuta al risarcimento dei danni ex art. 96, co. 2, c.p.c., giacché parte convenuta avrebbe intrapreso, senza la normale prudenza, un’esecuzione forzata in forza di un titolo esecutivo inesistente;
5) con vittoria di spese e competenze relative al presente giudizio RG 28263/2023 di opposizione ex art. 615, e 617, c.p.c. Per parte convenuta:
Voglia questo Tribunale, nel giudizio di opposizione a precetto RG 28263/2023, ritenuto l’esposto, ogni eccezione contraria reietta:
1) dichiarare l’inammissibilità o l’infondatezza dell’opposizione proposta, ai sensi degli artt. 615 e 617 c.p.c.;
2) accertare e dichiarare la piena legittimità ed efficacia dell’atto di precetto opposto;
3) condannare controparte alla refusione delle spese di lite del presente giudizio di opposizione, oltre IVA e CPA come per legge.
Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione (d’ora in avanti, breviter, “la Società” o “l’opponente”) ha promosso opposizione avverso l’atto di precetto notificato il 19 luglio 2023 da , con cui quest’ultima ha intimato il pagamento della somma di € 289.864,79, sulla base della sentenza emessa dal Tribunale di Napoli n. 6528/2016, confermata dalla Corte d’Appello di Napoli con sentenza n. 483/2023.
2.
A sostegno dell’opposizione ha dedotto i seguenti motivi di doglianza:
1) carenza di legittimazione passiva dell’opponente, atteso che la sentenza di appello, nel rigettare l’impugnazione proposta da ha confermato la sentenza di prime cure e dichiarato l’improcedibilità dell’appello con riferimento alla statuizione di condanna di pagamento nei confronti della società fallita in ragione dell’intervenuto fallimento della stessa;
2) nullità dell’atto di precetto, dal momento che la sentenza di condanna emessa dal Tribunale sarebbe stata riformata dalla sentenza di appello, la quale, non contenendo alcuna statuizione di condanna a carico della Società, non costituirebbe idoneo titolo esecutivo;
3) omessa notifica del titolo esecutivo unitamente all’atto di precetto.
3. Ha chiesto, in via preliminare, sospendere l’efficacia esecutiva del titolo e, nel merito, accertare l’insussistenza del diritto dell’opposta ad agire in executivis nei confronti della società sulla base della sentenza d’appello e condannarsi la controparte al risarcimento dei danni ex art. 96 c.p.c. per aver notificato l’atto di precetto azionando un credito inesistente.
4. Con decreto del 5.9.2023
il Giudice ha fissato udienza anticipata onde delibare l’istanza di sospensione.
Si è costituita la creditrice opposta, , chiedendo il rigetto dell’opposizione.
All’udienza del 27.9.2024, il Giudice ha concesso un rinvio su istanza del procuratore della parte opponente.
Con decreto ex art. 171 bis c.p.c., è stata confermata l’udienza indicata in citazione del 30.11.2023.
In assenza di memorie integrative depositate dalle parti, all’esito dell’udienza ex art. 183 c.p.c. l’istanza di sospensione è stata rigettata con ordinanza del 22.11.2023 ed è stata fissata udienza di rimessione della causa in decisione con termini a ritroso di cui all’art. 189 c.p.c. per il deposito degli scritti conclusivi.
In sede di comparsa conclusionale e memoria di replica, l’opponente ha altresì eccepito l’intervenuta prescrizione del credito.
A seguito del deposito di note scritte ex art. 127 ter c.p.c. in sostituzione dell’udienza, la causa è giunta in decisione.
5. In via preliminare, si rileva che l’eccezione di incompetenza in favore del Tribunale del Lavoro, formulata dall’opposta in sede di comparsa di costituzione e risposta, non è stata reiterata nelle note scritte depositate nel termine di cui all’art. 189, co. I, n. 1 c.p.c. e deve ritenersi rinunciata.
Ad ogni modo, occorre osservare che, nel caso di specie, non si pone una questione di competenza tra l’ufficio giudiziario adito ed il Tribunale di Milano, sezione lavoro, trattandosi solo di articolazione interna dell’ufficio e, quindi, di questione attinente all’attribuzione delle controversie.
6.
Tanto premesso, il Tribunale ritiene che l’opposizione vada rigettata in quanto infondata.
7. Preliminarmente, va disattesa l’eccezione di estinzione del credito per prescrizione formulata da parte opponente in quanto tardivamente proposta.
E, infatti, la stessa è stata proposta per la prima volta in sede di comparsa conclusionale e, quindi, ben oltre la scadenza del termine per le preclusioni assertive, da ancorarsi a quello di deposito della prima memoria integrativa.
7.1.
Ad ogni modo, l’eccezione di prescrizione non appare nemmeno fondata.
Il decorso del termine prescrizionale è stato interrotto con la notifica dell’atto introduttivo del giudizio di merito e, ai sensi dell’art. 2945 c.c., la prescrizione non decorre sino al momento del passaggio in giudicato della sentenza che, nel caso di specie, deve collocarsi nell’anno 2023 con il rigetto dell’appello e la conseguente conferma della statuizione di condanna nei confronti della in bonis.
7.2.
Inoltre, a seguito del passaggio in giudicato della sentenza d’appello, il diritto di credito della è soggetto al termine di prescrizione decennale di cui all’art. 2953 c.c. 8. Nel merito, prima di esaminare i motivi di opposizione, occorre analizzare le statuizioni contenute nella sentenza n. 6528/2016 emessa dal Tribunale di Napoli e nella sentenza della Corte d’Appello di Napoli n. 483/2023.
8.1.
La sentenza di primo grado n. 6528/2016 contiene la seguente statuizione, nel dispositivo, in favore di :
“dichiara l’intercorrenza tra la ricorrente e le società quale unico centro di imputazione di interessi, la sussistenza di rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato dal 1.1.2008 al 22.9.2011 riconducibile alla III area Professionale IV livello CCNL Credito applicabile in via parametrica;
dichiara l’illegittimità del licenziamento orale intimato alla ricorrente e per l’effetto condanna le convenute società indicate al capo che precede alla reintegra nel posto di lavoro con le mansioni di cui al livello sopraindicato e per l’effetto condanna le predette società, in solido tra loro, al pagamento in favore della ricorrente di un’indennità, a titolo di risarcimento dei danni, commisurata alla retribuzione globale di fatto pari ad euro 2.461,90 mensili, dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione e al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali dal momento del licenziamento al momento dell’effettiva reintegrazione; condanna le società resistenti come sopra indicate, in solido tra loro, a pagare in favore della ricorrente la somma di euro 77.554,39 a titolo di differenze retributive per le causali di cui in motivazione oltre interessi legali sulle somme annualmente rivalutate dalle singole scadenze all’effettivo pagamento.
condanna le società resistenti come sopra indicate in solido tra loro, in caso di mancata reintegra nel posto di lavoro e di conseguente cessazione definitiva del rapporto, a pagare in favore della ricorrente la somma di euro 8.842,02 a titolo di TFR nonché euro 8.300,15 a titolo di indennità di mancato preavviso oltre interessi legali sulle somme rivalutate dalla cessazione del rapporto all’effettivo pagamento”.
Le statuizioni di condanna contenute nella sentenza di primo grado riguardano la in bonis, giacché nessuno, nel corso del giudizio, ha notiziato il Giudice che la società era fallita.
Avverso detta pronuncia solo (e non anche l’odierna opponente né la Curatela fallimentare)
hanno proposto appello, chiedendo dichiararsi l’improseguibilità del giudizio, stante l’intervenuto fallimento della convenuta la conseguente nullità della sentenza del Tribunale di Napoli, dal momento che la competenza a pronunciarsi sulle domande, di condanna ma anche di accertamento e costitutive, svolte nei confronti della fallita e delle società appellanti in bonis spettava al Giudice fallimentare.
8.2.
La Corte d’Appello ha rigettato i motivi di doglianza delle società appellanti, confermando la sentenza di prime cure e dichiarando l’improcedibilità del giudizio di impugnazione limitatamente alla condanna di pagamento nei confronti della società fallita In particolare, la sentenza così dispone nella parte dispositiva:
“a) rigetta l’appello e conferma la sentenza impugnata;
b) dichiara improcedibile l’appello limitatamente alla condanna al pagamento nei confronti della società fallita 9.
Pertanto, la corretta interpretazione della sentenza d’appello costituisce il punto di partenza al fine di esaminare i motivi posti a sostegno dell’opposizione dalla tornata in bonis.
A sostegno dell’opposizione, sostiene che il capo b) della sentenza d’appello avrebbe riformato la statuizione di primo grado nella parte in cui contiene la condanna della società, ritenendo che l’accertamento del credito dovesse avvenire in sede concorsuale e non dinanzi al Giudice del lavoro.
Diversamente, parte convenuta conclude, attraverso una lettura congiunta del capo a) e b) del dispositivo nonché della parte motiva, nel senso della conferma integrale della sentenza di primo grado, con il rigetto dell’appello – ivi compreso il primo motivo -, non avendo inciso l’improseguibilità dell’appello sulla domanda di condanna formulata nei confronti del gruppo in bonis, bensì avendo affermato che nei confronti della fallita la competenza spetta al Tribunale fallimentare.
10. Al riguardo, ritiene il Tribunale che, dal rigetto dell’impugnazione, consegua la conferma delle statuizioni di condanna contenute nella pronuncia di prime cure, ivi comprese quelle relative alla condanna dell’odierna opponente in bonis, giacché, come si avrà modo di meglio precisare in seguito, la declaratoria d’improcedibilità dell’appello, limitatamente alla domanda di condanna al pagamento nei confronti della fallita, non può ritenersi che abbia prodotto alcun effetto caducatorio della sentenza di primo grado. Ciò sulla scorta di diverse ragioni.
10.1.
In primo luogo, la sentenza d’appello non ha accolto nessuno dei motivi d’appello proposti dalle appellanti, tra cui non vi era la fallita ed ha confermato la sentenza di primo grado, limitandosi a dichiarare improseguibile l’appello – e non la domanda – limitatamente alla condanna di pagamento nei confronti della società fallita Nello specifico, dalla lettura della parte motiva si evince che la Corte d’Appello ha affermato, da un lato, la legittimità dell’accertamento effettuato in funzione di Giudice del lavoro, non operando al riguardo la vis attractiva del Tribunale fallimentare, e, dall’altro, che per la quantificazione dei crediti nei confronti della società fallita era competente esclusivamente il Tribunale fallimentare – e non la Corte d’Appello – con la conseguenza che l’appello era improcedibile sul punto (cfr. pagina sette della sentenza d’appello ove si legge che “del tutto legittimo è l’accertamento giudiziale eseguito dal tribunale in funzione di Giudice del Lavoro, con l’unica limitazione relativa alla quantificazione dei crediti da eseguirsi per la società fallita in sede endofallimentare, con la conseguente declaratoria di improcedibilità dell’appello limitatamente alla condanna di pagamento nei confronti della società fallita 10.2. Tuttavia, deve rilevarsi che, dal punto di vista processuale, la statuizione di improcedibilità dell’appello non comporta la sostituzione della sentenza di primo grado sul punto.
Ed infatti, la giurisprudenza di legittimità ha, con orientamento granitico, affermato che la declaratoria di improcedibilità del giudizio di impugnazione non produce alcune effetto sostitutivo della sentenza impugnata (a tal proposito si legga proprio la sentenza Cass. civ. n. 29021/2018 citata dall’opponente secondo cui “in materia di titolo esecutivo di formazione giudiziale, specificamente nei rapporti tra sentenza di primo grado e sentenza d’appello, la giurisprudenza di questa Corte attribuisce alla sentenza d’appello, salvo i casi di inammissibilità, improponibilità ed improcedibilità dell’appello (e, quindi, quelli in cui l’appello sia definito in rito e non sia esaminato nel merito con la realizzazione dell’effetto devolutivo di gravame sul merito), l’efficacia di sostituire quella di primo grado, tanto nel caso di riforma che in quello di conferma di essa”, ma si vedano altresì Cass. n. 2885/73; n. 6438/92; n. 586/99; n. 6911/02; n. 29205/08; n. 7537/09).
10.3.
Orbene, la locuzione “dichiara improcedibile l’appello limitatamente alla condanna di pagamento nei confronti della società fallita va interpretata nel senso che il giudice dell’impugnazione abbia ritenuto che non potesse essere proseguito, con riferimento alla domanda di condanna, il giudizio di appello nei confronti della fallita citata in giudizio dalle appellanti, sulla base delle considerazioni svolte in motivazione (ossia la vis attractiva fallimentare), ma non ha anche inteso travolgere la statuizione di condanna emessa in primo grado nei confronti della società in bonis. Difatti, la tesi sostenuta dalla opponente sarebbe stata meritevole di accoglimento in questa sede solo ove la Curatela fallimentare avesse impugnato la sentenza di condanna di primo grado al fine di ottenerne la riforma, circostanza non avvenuta, atteso che la curatela fallimentare è rimasta contumace nel giudizio di impugnazione.
10.4.
Dal rigetto dell’appello proposto esclusivamente da e dalla dichiarazione di improcedibilità dello stesso limitatamente alla domanda di condanna nei confronti del , deve desumersi che la statuizione di condanna emessa in primo grado nei confronti della società pur inopponibile nei confronti del sia stata confermata.
11.
Ulteriore elemento a sostegno della mancata caducazione della statuizione di condanna di primo grado nei confronti della si ha dalla lettura della sentenza d’appello:
la ha, difatti, chiesto in sede di gravame rigettarsi l’impugnazione, confermando la sentenza di primo grado per l’ipotesi di ritorno in bonis della società fallita (si legga lo svolgimento del processo contenuto a pagina 3 della sentenza n. 483/2023 della Corte d’Appello di Napoli).
Di conseguenza, deve ritenersi che, ferma l’improcedibilità dell’appello con riferimento alla condanna di pagamento nei confronti del con il rigetto dell’appello proposto la Corte d’Appello abbia altresì confermato la statuizione di condanna di primo grado emessa nei confronti della società, come da domanda della creditrice (ciò anche considerato che la società è tornata in bonis il 16.8.2022, ben prima della pubblicazione della sentenza di secondo grado il 16.3.2023).
11.1.
Deve, quindi, ritenersi che la sopravvenienza del fallimento del nel corso del processo di primo grado e la pronuncia della sentenza, in assenza di interruzione ai sensi dell’art. 43 L. F., abbia determinato esclusivamente l’inopponibilità di quella statuizione di condanna nei confronti della massa dei creditori durante la procedura concorsuale, dovendo la creditrice far valere le sue ragioni nei confronti della fallita in sede di ammissione al passivo.
Diversamente, la statuizione di condanna di primo grado sarebbe divenuta vincolante ed eseguibile nei confronti della società al momento del suo ritorno in bonis (cfr. in tal senso i principi espressi, tra le altre, da Cass. civ. n. 8110/2022, ma anche Cass. civ. n. 2608/14 e n. 10640/12, non apparendo invece in termini Cass. n. 322/2024 citata dall’opponente).
È appena il caso di osservare come tale conclusione trovi solido conforto nella giurisprudenza di legittimità, la quale afferma che la regola per cui il fallimento del debitore intervenuto nelle more del giudizio importa l’improcedibilità del giudizio stesso in sede ordinaria (dovendosi seguire la speciale procedura d’insinuazione) subisce talune eccezioni, tra cui quella per cui il creditore può proseguire il giudizio ordinario al fine di ottenere una sentenza destinata ad avere effetti verso il debitore se e quando egli torni in bonis: “essendo l’improcedibilità non di ordine assoluto, bensì relativa alla massa fallimentare, il creditore può proseguire il giudizio in sede ordinaria contro il convenuto in proprio ottenendo una sentenza inopponibile alla massa fallimentare e destinata ad avere efficacia pratica se e quando il fallito tornerà in bonis” (cfr. Cass. civ. n. 8110/2022, che richiama quali precedenti Cass. civ. n. 754/1960 e n. 3475/1955).
11.2 Pertanto, non essendo stata riformata la sentenza di primo grado nella parte in cui ha condannato la società e non il fallimento ed essendo stato dichiarato improcedibile l’appello solo con riferimento alla condanna del fallimento, deve ritenersi che la statuizione di condanna, emessa dal Giudice di prime cure, sia stata confermata e sia azionabile dalla creditrice nei confronti della nel frattempo tornata in bonis.
12.
In definitiva, nel caso di specie, deve ritenersi che sussista un valido titolo esecutivo azionabile ed opponibile nei confronti della debitore frattanto tornato in bonis, costituito dalla sentenza d’appello confermativa di quella di primo grado (entrambe menzionate nell’atto di precetto), non avendo comportato la dichiarazione di improcedibilità alcun effetto caducatorio con riferimento alla statuizione di condanna emessa in primo grado nei confronti della società, stante il rigetto dell’impugnazione proposta. 13.
Da ultimo si rileva che anche l’ulteriore motivo, relativo all’omessa notifica della sentenza d’appello, che ha effetto sostitutivo di quella di primo grado, qualificabile ai sensi dell’art. 617 c.p.c., è infondato.
E, in effetti, risulta che la creditrice abbia intimato il pagamento in virtù della sentenza di condanna n. 6528/2016 emessa dal Tribunale di Napoli, così come confermata dalla sentenza n. 483/2024 della Corte d’Appello ed entrambi detti atti risultano notificati (la sentenza di primo grado unitamente all’atto di precetto e la sentenza d’appello precedentemente).
14. Stante la soccombenza di parte attrice, la domanda di risarcimento dei danni ex art. 96 c.p.c., da lei formulata, va rigettata.
15.
In virtù del principio della soccombenza, le spese vanno poste a carico della parte attrice opponente e si liquidano in favore di parte convenuta opposta, in complessivi € 12.046,00 per compensi, avuto riguardo al valore della controversia e ai valori medi per la fase di studio, introduttiva e decisionale, in mancanza di deposito delle memorie integrative, oltre 15% ex art. 2, co. 2, d.m. n. 55/14, CPA e IVA sulle somme imponibili, se non detraibile dalla parte vittoriosa.
Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone:
– rigetta l’opposizione;
– condanna parte attrice opponente a rimborsare a parte convenuta le spese di lite, che si liquidano in € 12.046,00, per compensi, oltre 15% ex art. 2, co. 2, d.m. n. 55/14, CPA e IVA sulle somme imponibili, se non detraibile dalla parte vittoriosa.
Milano, 3/1/2025 Il Giudice NOME COGNOME Il presente provvedimento è stato redatto con l’ausilio del magistrato in tirocinio dott. NOME COGNOME
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