TRIBUNALE DI TORINO SEZIONE LAVORO
Proc. RGL 10790/2024
ORDINANZA N._R.G._00010790_2024 DEL_13_02_2025 PUBBLICATA_IL_13_02_2025
– ex art. 700 c.p.c. – 1. Il Giudice, a scioglimento della riserva che precede, osserva quanto segue.
Con ricorso ex art. 700 cpc, depositato in data 31/12/2024, ha rappresentato:
– di essere stata assunta a tempo indeterminato, all’esito di concorso, dal Conservatorio di musica INDIRIZZO di Torino, a far data dall’8/11/2024, con le mansioni di insegnamento di pratica e lettura pianistica;
– di avere richiesto, contestualmente all’assunzione, aspettativa ex art. 23 bis dlvo 165/2001, con effetto sino al 31/10/2025, per svolgere attività lavorativa a tempo determinato presso il Conservatorio di musica Ghedini di Cuneo, con mansioni di insegnante di pianoforte;
– che il Conservatorio INDIRIZZO di Torino ha autorizzato detta aspettativa con provvedimento dell’11/11/2024, con effetto dal giorno successivo e sino al termine finale richiesto;
– di avere quindi iniziato la propria attività lavorativa presso il Conservatorio Ghedini dal 12/11/2024;
– che con decreto del 12/12/2024 il Conservatorio INDIRIZZO di Torino ha revocato l’aspettativa già – che un’istanza di autotutela del provvedimento di revoca non ha avuto effetto alcuno.
La Messa ha quindi chiesto ordine cautelare, rivolto al Conservatorio INDIRIZZO di Torino, affinchè tale ente ponga in essere “ogni attività ritenuta necessaria per la piena tutela dei diritti della ricorrente”.
In particolare, la ha lamentato l’ingiustizia ed illegittimità del provvedimento di revoca della concessione di aspettativa per i seguenti motivi:
– anzitutto, non sussisterebbero i presupposti per l’esercizio dell’autotutela/revoca amministrativa del primo provvedimento di concessione del beneficio, posto che non sussisterebbe il presupposto della sopravvenienza dei motivi di interesse pubblico che l’art. 21 quinquies l. 241/1990 prevede per l’adozione di un simile provvedimento;
– aliena alla fattispecie dell’aspettativa concessa è l’applicazione dell’art. 35 co 5 bis del dlvo 165/2001;
tale ultima norma pone divieto al vincitore di concorso di richiedere ed ottenere, nel primo periodo di assunzione, trasferimento presso altra sede, o presso altra pubblica amministrazione;
in ogni caso, impone un divieto di mobilità permanente per i primi 5 anni, non creandosi sovrapposizioni applicative con il diverso istituto dell’aspettativa temporanea;
per di più, la non compatibilità applicativa tra la norma in discorso e la norma di cui all’art. 23 bis del medesimo testo normativo (che disciplina appunto l’aspettativa senza assegni per svolgimento di altra attività lavorativa presso diverso ente pubblico o privato) è anche di natura sistematica;
l’art. 35 è collocato nel capo III della sezione II del dvo 165/2001, che disciplina gli uffici, le piante organiche, la mobilità e gli accessi all’impiego, laddove l’art. 23 bis ha invece diversa collocazione nel testo normativo;
poi, gli unici casi di divieto alla concessione dell’aspettativa per svolgimento di altro incarico si trovano nel comma 5 dell’art. 23 bis, e sono del tutto eterogenei rispetto al divieto di cui alla norma richiamata dal Conservatorio per disporre la revoca qui in contestazione;
ritenere applicabile l’art. 35 co 5 bis del dlvo 165/2001 all’aspettativa senza assegni disciplinata dall’art. 23 bis comporterebbe quindi l’introduzione di ulteriore limite e divieto al diritto del pubblico dipendente, laddove limiti e divieti – per di più, l’aspettativa per motivi di lavoro presso ente esterno ha evidente scopo di consentire al pubblico dipendente la possibilità di coltivare un’aspirazione professionale più consona allo stesso;
l’applicazione del limite di natura quinquennale, pertanto, si pone in netto contrasto con lo scopo dell’istituto dell’aspettativa per motivi di lavoro;
– sussiste infine il periculum in mora;
la ricorrente ha infatti svolto due anni di insegnamento di pianoforte e l’esperienza lavorativa presso il Conservatorio INDIRIZZO di Cuneo permetterebbe alla stessa di concludere il triennio in tale materia, consentendole poi in futuro la partecipazione a concorso riservato.
Si è costituito in giudizio il INDIRIZZO di Torino, contro-deducendo ed eccependo:
– la piena applicabilità alla fattispecie del divieto di mobilità previsto dall’art. 35 co 5 bis dlvo 165/2001;
tale divieto, richiamato espressamente anche nel bando del concorso vinto dalla ricorrente, ha imposto la revoca del provvedimento di concessione dell’aspettativa, revoca che, a rigore ed indipendentemente dal nomen iuris adottato nel contesto del provvedimento di autotutela, dovrebbe essere definita più precisamente annullamento del precedente atto;
il requisito della permanenza è in ogni caso da ritenersi preclusivo tanto della mobilità c.d. “permanente”, quanto dell’aspettativa, che in ogni caso comporterebbe un mutamento alla condizione del dipendente rispetto a quella di approdo (la stipula del contratto a tempo indeterminato a seguito di selezione pubblica);
– l’aspettativa è stata poi concessa in assenza di interesse pubblico, ma nel solo interesse privatistico della ricorrente;
– l’aspettativa ex art. 23 bis dlvo 165/2001, poi, ponendosi come eccezione al principio di esclusività del rapporto di lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione, stabilito dall’art. 60 del DPR 3/1957, è norma di stretta interpretazione;
può essere concessa laddove il dipendente possa maturare, mediante l’esperienza lavorativa esterna, esperienze professionali differenti da quelle conseguibili presso l’ente a quo, arricchendo il proprio bagaglio di conoscenze anche nell’interesse – il ripristino dell’aspettativa, infine, non permetterebbe al INDIRIZZO di valutare la ricorrente all’esito dell’anno di prova, posto che la durata dell’esperienza lavorativa presso il INDIRIZZO COGNOME sarebbe proprio della durata di un anno.
Il Conservatorio di musica INDIRIZZO di Torino ha quindi chiesto il rigetto del ricorso.
In seguito a rinvio della prima udienza di trattazione (per problemi tecnici che non ne hanno consentito la rituale celebrazione con trattazione da remoto), all’udienza del 7/2/2025 è stata trattata l’istanza cautelare della ricorrente;
nella medesima data del 7/2/2025 parte ricorrente ha depositato parere del Ministero della Funzione Pubblica sul tema in trattazione.
2. Anzitutto, si deve rilevare che i fatti rilevanti per la decisione, ovvero:
– stipula del contratto a tempo indeterminato tra la ricorrente ed il INDIRIZZO in data 8/11/2024;
– concessione dell’aspettativa senza assegni per lo svolgimento di attività lavorativa a tempo determinato presso il INDIRIZZO di Cuneo, con decreto dell’11/11/2024, efficace dal giorno successivo;
– revoca di tale decreto in data 12/12/2024;
– motivazione del decreto di revoca, basata sul disposto dell’art. 35 co 5 bis dlvo 165/2001;
sono pacifici e non contestati.
Ciò premesso, la trattazione del ricorso impone preliminarmente di qualificare correttamente la c.d. revoca del provvedimento dell’11/11/2024, vertendosi in materia di pubblico impiego privatizzato;
laddove entrambe le parti hanno invece fatto riferimento all’esercizio di poteri di autotutela amministrativa da parte del Conservatorio, disciplinati dagli art. 21 quinquies e 21 novies della l. 241/1990, poteri ricollegati però all’esercizio di poteri autoritativi da parte della pubblica amministrazione.
La Corte di Cassazione, già con sentenza 23741/2008, ha precisato che “In tema di rapporto di lavoro privatizzato, gli atti e procedimenti posti in essere dall’amministrazione ai fini della gestione dei rapporti di lavoro subordinati devono essere valutati secondo gli stessi parametri che si utilizzano di buon andamento dell’amministrazione di cui all’art. 97 Cost. (sentenze nn. 275 del 2001 e 11 del 2002).
Ne consegue che, esclusa la presenza di procedimenti e atti amministrativi, non possono trovare applicazione i principi e le regole proprie di questi, ma il potere amministrativo autoritativo si trasforma in potere privato che si esercita mediante atti di natura negoziale (come, nella specie, gli atti di “autotutela” incidenti sulla durata degli incarichi di svolgimento di mansioni superiori), versandosi fuori delle materie di cui ai numeri da 1 a 7 dell’art. 2, comma 1, lett. c), della legge n. 421 del 1992, conservate al diritto pubblico in forza dell’art. 68, comma 1, del d.lgs. n. 29 del 1993 (ed ora dell’art. 69, comma 1, del d.lgs. n. 165 del 2001)”. La Suprema Corte, nello stesso anno, con sentenza n. 25761/2008, ha precisato che “In tema di lavoro pubblico privatizzato e, in particolare, di inquadramento dei segretari comunali, i provvedimenti di conferimento e di revoca dell’inquadramento, ai sensi del d.P.R. n. 465 del 1997, sono atti di autonomia privata espressione della potestà organizzativa e gestionale dei rapporti di lavoro già costituiti, propria del pubblico impiego contrattualizzato, in quanto tali assoggettati ai principi fondamentali del diritto privato e, in primo luogo, alla regola della normale irrilevanza dei motivi, dovendosi escludere la necessità dell’osservanza del procedimento prescritto dalla legge n. 241 del 1990 e l’applicazione dei vizi dell’atto amministrativo.
Ne consegue che, ove l’amministrazione ritenga, “re melius perpensa”, di ritirare l’illegittima iscrizione nella fascia superiore, il relativo atto non costituisce esercizio di un potere amministrativo di autotutela, inconcepibile rispetto ad atti di diritto privato, ma atto avente mera natura conformativa rispetto all’ordinamento dei pubblici dipendenti contrattualizzati, nel quale vige – ai sensi dell’art. 29 del d.lgs. n. 29 del 1993 e successive modifiche, poi sostituito dall’art. 52 del d.lgs. n. 165 del 2001 – il divieto di assegnazione di mansioni superiori al di fuori delle ipotesi tassativamente previste dalla legge, con nullità degli atti di conferimento illegittimi”. La Corte ha poi precisato ulteriormente, con sentenza n. 3826/2016, che “Nel pubblico impiego amministrativo di autotutela, ma pone in essere un atto di organizzazione e gestione del rapporto di lavoro tipico del diritto privato, rispetto al quale il dipendente può agire per denunciarne l’illegittimità, restando l’amministrazione, nel relativo giudizio, soggetta ai soli principi di imparzialità e buon andamento, nell’ambito di una scelta soggetta a valutazioni che potrebbero essere effettuate da un committente privato (Nella specie, la RAGIONE_SOCIALE ha ritenuto legittima la revoca, da parte dell di propria delibera che aveva indebitamente riconosciuto all’avvocatura dell’ente il 2 per cento dell’importo lordo dei crediti recuperati in via legale per l’anno 2000 e stabilito la ripartizione tra gli avvocati delle spettanze secondo le quote di competenza di cui alla contrattazione collettiva, affermando che l’atto, in quanto invalido originariamente, poteva e doveva essere rimosso dallo stesso )”. In buona sostanza, la revoca di atti di natura privatistica incidenti sull’esecuzione del rapporto di lavoro privatizzato deve essere valutata sotto un profilo (consequenzialmente) privatistico, e non pubblicistico, non potendo la pubblica amministrazione, così precisato l’ambito dei poteri di ripensamento eventualmente esercitati, dare esecuzione ad atti contrari a norme, di legge o di contrattazione collettiva, in particolare ove trattasi di norme di divieto, come ribadito da Cass. n. 25018/2017:
“Nel pubblico impiego contrattualizzato il datore di lavoro, pur non potendo esercitare poteri autoritativi, è tenuto ad assicurare il rispetto della legge e, conseguentemente, non può dare esecuzione ad atti nulli, né assumere in via conciliativa obbligazioni che contrastino con la disciplina del rapporto prevista dalla legge o dalla contrattazione collettiva.
(Nella specie, la SRAGIONE_SOCIALE ha cassato la pronuncia della corte d’appello che aveva ritenuto illegittimo l’annullamento in via di autotutela di verbali di conciliazione con cui era stata attribuita ad alcuni lavoratori una qualifica superiore in conseguenza dello svolgimento di fatto delle mansioni)”.
Sgombrato pertanto il campo di indagine dal riferimento a concetti e, soprattutto, regole tipici del diritto amministrativo (in particolare dai citati artt. 21 quinquies e 21 novies della l. 241/1990), dell’aspettativa senza assegni in favore della ricorrente) che sia risultato contrario a norma di divieto;
in particolare, essendo motivato tale provvedimento latamente definibile “di revoca” (ma di tipo privatistico, come specificato) con l’asserita necessità di dare applicazione all’art. 35 co 5 bis del dlvo 165/2001, se tale ultima norma sia norma applicabile alla fattispecie in esame;
in caso di risposta positiva al quesito, se l’art. 35 co 5 bis costituisca divieto rispetto all’applicazione dell’art. 23 bis, costituendo la prima norma imperativa.
Ma per dare risposta ai quesiti appena elencati occorre comprendere se via sia sovrapponibilità applicativa tra l’art. 35 co 5 bis e l’art. 23 bis del dlvo 165/2001 o se tali norme disciplinino “campi” del tutto distinti, senza possibilità di interferenze neppure in via astratta.
L’art. 23 bis co 1 del dlvo 165/2001 (introdotto dall’art. 7 co 1 della l. 145/2002) recita:
“In deroga all’articolo 60 del testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3, i dipendenti delle pubbliche amministrazioni, ivi compresi gli appartenenti alle carriere diplomatica e prefettizia, e, limitatamente agli incarichi pubblici, i magistrati ordinari, amministrativi e contabili e gli avvocati e procuratori dello Stato sono collocati, salvo motivato diniego dell’amministrazione di appartenenza in ordine alle proprie preminenti esigenze organizzative, in aspettativa senza assegni per lo svolgimento di attività presso soggetti e organismi, pubblici o privati, anche operanti in sede internazionale, i quali provvedono al relativo trattamento previdenziale. Resta ferma la disciplina vigente in materia di collocamento fuori ruolo nei casi consentiti.
Il periodo di aspettativa comporta il mantenimento della qualifica posseduta ”.
Il comma 5 dell’art. 23 bis pone poi due ipotesi di divieto all’aspettativa senza assegni (normativamente tipizzate, diversamente dal dissenso motivato della p.a. di appartenenza, il quale, come si è visto, può fondarsi su esigenze organizzative da valutarsi in concreto);
l’aspettativa non “ a) il personale, nei due anni precedenti, è stato addetto a funzioni di vigilanza, di controllo ovvero, nel medesimo periodo di tempo, ha stipulato contratti o formulato pareri o avvisi su contratti o concesso autorizzazioni a favore di soggetti presso i quali intende svolgere l’attività.
Ove l’attività che si intende svolgere sia presso una impresa, il divieto si estende anche al caso in cui le predette attività istituzionali abbiano interessato imprese che, anche indirettamente, la controllano o ne sono controllate, ai sensi dell’articolo 2359 del codice civile;
b) il personale intende svolgere attività in organismi e imprese private che, per la loro natura o la loro attività, in relazione alle funzioni precedentemente esercitate, possa cagionare nocumento all’immagine dell’amministrazione o comprometterne il normale funzionamento o l’imparzialità”.
L’art. 35 co 5 bis del medesimo testo normativo, collocato nell’ambito della disciplina dell’accesso al pubblico impiego (reclutamento del personale, rectius, come da rubrica dell’articolo), semplicemente dispone:
“I vincitori dei concorsi devono permanere nella sede di prima destinazione per un periodo non inferiore a cinque anni, ad eccezione dei direttori dei servizi generali e amministrativi delle istituzioni scolastiche ed educative che permangono nella sede di prima destinazione per un periodo non inferiore a tre anni.
La presente disposizione costituisce norma non derogabile dai contratti collettivi”.
Il comma 5 bis è evidentemente norma imperativa, stante la non derogabilità letteralmente specificata.
Laddove la norma risulti operativa nel medesimo campo applicativo dell’aspettativa senza assegni, non si potrebbe negare che il Conservatorio INDIRIZZO, con il provvedimento di “revoca” qui in contestazione, si è rifiutato di dare applicazione ad un proprio atto gestorio contrario a preciso precetto legislativo inderogabile;
o, meglio, ad un proprio atto nullo.
Esaminando quindi la problematica della sovrapponibilità applicativa o della totale estraneità dei due articoli del dlvo 165/2001, deve anzitutto smentirsi l’argomentazione di parte ricorrente, secondo la quale la “distanza” sistematica delle due norme deporrebbe per la seconda ipotesi.
Deve infatti regime di lavoro ancora a disciplina puramente pubblicistica, e riferita ad aspettativa, come si è detto) nel Capo II del Titolo I del dlvo 165/2001, rubricato come “Qualifiche, uffici dirigenziali ed attribuzioni”;
anche se tale collocazione è ben distinta da quella dell’art. 35 (posizionato nel Capo III, rubricato “Uffici, piante organiche, mobilità e accessi”), deve osservarsi che tanto non è dirimente, posto che il legislatore della novellazione del 2002 ha dimostrato evidente indifferenza a ragioni di tipo sistematico, posizionando l’art. 23 bis in Capo che a rigore è del tutto estraneo all’ambito di disciplina di tale norma.
Laddove si volessero prendere in considerazione ragioni strettamente legate alla tecnica legislativa, poi, occorrerebbe rilevare, in modo nocivo per la parte ricorrente, che la rubrica dell’art. 23 bis contiene il riferimento alla “mobilità” del dipendente, laddove l’art. 35 co 5 bis pone limiti precisi proprio alla mobilità;
ma, come si vedrà, analisi di tipo sostanzialistico porta a ritenere anche tale ultimo elemento irrilevante.
Non risulta dirimente neppure l’argomentazione di parte ricorrente secondo la quale, contenendo il comma 5 dell’art. 23 bis due ipotesi di divieto, e quindi di limitazione rispetto al diritto del dipendente all’ottenimento dell’aspettativa, ed essendo le norme di divieto di stretta interpretazione, l’art. 35 co 5 bis non potrebbe porre ulteriori limiti a tale diritto;
infatti, è pacifico che, laddove l’obbligo di permanenza presso la prima sede di assegnazione per almeno 5 anni, ed il conseguente divieto di mobilità del dipendente per tale lasso temporale, interferisse effettivamente con l’applicabilità dell’art. 23 bis, tale precetto imperativo costituirebbe un ulteriore limite espresso del diritto, posto per di più in via generalizzata.
Per comprendere se la norma di obbligo/divieto in discorso sia ostativa anche in relazione alla concessione di aspettativa occorre invece esaminare la sua ratio.
L’obbligo di permanenza del pubblico dipendente presso la prima sede discende da ragioni di tipo strettamente organizzativo degli uffici pubblici:
la determinazione dei posti presenti nell’organico e vacanti, e da coprire però con indizione di concorso, e lo svolgimento di quest’ultimo, proprio con la finalità indicata, comporta uno tendenzialmente definitiva, presso sede diversa da quella individuata nelle piante organiche come a copertura necessaria (ricoprendo quindi posizione necessariamente vacante, ma non resa disponibile mediante il concorso), o addirittura presso altra pubblica amministrazione (ipotesi, quest’ultima, residuale, ma che pare essere comunque nel fuoco applicativo dell’art. 35 co 5 bis). Proprio nella tendenziale definitività della possibile scelta del dipendente è insita la ragione dell’obbligo di permanenza quinquennale, in quanto l’ordinamento ha valutato a priori che in simili ipotesi di ablazione del neo-assunto, con effetti stabili, vi sarebbe una lesione dell’interesse pubblico che la procedura di selezione del personale mirava a soddisfare;
la p.a. datrice di lavoro non potrebbe utilizzare la prestazione lavorativa del dipendente appena reclutato, nella posizione di sede prestabilita, per tempo ritenuto sufficiente (a priori dalla legge) per giustificare quanto posto in essere per la procedura concorsuale.
L’aspettativa senza assegni prevista e disciplinata dall’art, 23 bis del dlvo 165/2001 comporta invece una mobilità del dipendente pubblico fisiologicamente temporanea, comportando quindi tale istituto l’ablazione dell’opera lavorativa in via transitoria.
In buona sostanza, laddove la p.a. abbia reclutato lavoratore che poi ottenga il periodo di aspettativa (e quindi la sospensione dell’esecuzione del rapporto di lavoro), per svolgimento di opera lavorativa presso soggetto terzo, la p.a. datrice potrà comunque fare affidamento sull’utilizzabilità del dipendente, una volta ripresa l’esecuzione del rapporto, per il tempo ritenuto ragionevole dalla legge (5 anni) e presso la sede contemplata in sede di determinazione delle coperture necessarie mediante concorso (ovvero di determinazione dei posti non solo vacanti ma disponibili). Ne risulta pertanto che la ratio dell’art. 35 co 5 bis e l’imposizione aprioristica dell’obbligo di permanenza quinquennale non risulta calzante rispetto alla fattispecie in esame;
detto in altri termini, terminata la sospensione del rapporto contrattuale con la p.a. a quo (ovvero l’aspettativa), l’obbligo di permanenza potrà spiegare i suoi pieni effetti.
Si potrebbe però obiettare, rispetto a tale ricostruzione teleologica, che comunque, in caso di in quanto comunque la prestazione lavorativa del neo-assunto non sarebbe utilizzabile nell’immediato.
Ma neppure un simile argomento risulta calzante, in quanto per una simile tale evenienza non risulta funzionale il divieto generalizzato di cui al comma 5 bis dell’art. 35, essendo sufficiente che la p.a. a quo, nel valutare la compatibilità dell’aspettativa senza assegni con le proprie esigenze organizzative, come previsto dal comma 1 dell’art. 23 bis, verifichi se l’assenza del lavoratore, nel breve termine, risulti in linea o meno con la programmazione del fabbisogno di personale che ha determinato alla determinazione dei posti da mettere a concorso. In buona sostanza, il contrappeso discrezionale che si rinviene nel comma 1 dell’art. 23 bis evidenzia come non si renda necessaria, nell’economia dell’istituto dell’aspettativa senza assegni, l’imposizione dello stringente obbligo di permanenza quinquennale.
Parte resistente ha eccepito poi che, laddove si ritenesse la concessione di aspettativa con la posizione del dipendente neo-assunto (ed in particolare del soggetto appena assunto, quale è la ricorrente), ne risulterebbe l’esito paradossale dell’impossibilità di sottoporre lo stesso alla necessaria valutazione all’esito del periodo di prova.
Tale argomento non risulta però di pregio, in quanto il rapporto di lavoro, durante l’aspettativa, risulta sospeso, ragione per la quale il periodo di prova non può decorrere sino al rientro in servizio del lavoratore.
Conforta tale approdo esegetico anche il parere del Dipartimento della Funzione Pubblica della Presidenza del Consiglio dei Ministri depositato in data 7/2/2025 da parte ricorrente (parere DFP- NUMERO_DOCUMENTOP dell’1/07/2022).
Infatti, se tale parere ha ritenuto l’aspettativa ex art. 23 bis con un rapporto di lavoro a tempo determinato, ove, teoricamente, le esigenze della p.a. a quo di copertura della posizione lavorativa sono ancora più riferibili all’immediato (ed ancora più frustrabili, nel senso delineato), non si vede per quale motivo dovrebbe arrivarsi a conclusioni differenti per la fattispecie in cui la p.a. a quo abbia stipulato contratto a tempo indeterminato.
Si deve quindi concludere per la piena distanza applicativa e non sovrapponibilità di disciplina degli comportamento ad obbligo imperativo di legge, con relativa sospensione dell’esecuzione di precedente atto nullo.
Occorre infine esaminare le ulteriori eccezioni di parte resistente, che devono essere parimenti rigettate;
infatti:
– l’asserita assenza di interesse pubblico alla concessione dell’aspettativa non rileva, posto che la norma contenuta nel comma 1 dell’art. 23 bis, sopra citato, non prevede tanto, ma la sola eventuale opponibilità, con un rifiuto dell’istanza del lavoratore, di eventuali interessi, di natura organizzativa, contrari all’accoglimento;
in ogni caso, la valutazione di tale interesse si è consumata all’atto della concessione, nel novembre del 2024, e non può essere rimessa in discussione, non essendovi norme imperative cui conformare la gestione del rapporto di lavoro, ora per allora;
– neppure rileva l’asserita assenza di formazione “accrescitiva” della ricorrente, durante l’aspettativa e l’esecuzione di diverso rapporto di lavoro, in quanto questa non avverrebbe in ambito differente da quello del posto lavorativo di provenienza, con conseguente mancato arricchimento dell’amministrazione a quo all’esito dell’esperienza lavorativa “esterna”;
anche laddove questa fosse la ratio dell’istituto in discorso (ma deve evidenziarsi che non vi sono indici normativi positivi da cui desumere tanto), anche in questo caso non vi sarebbero norme imperative da far rispettare, ora per allora, mediante la c.d. revoca del provvedimento del novembre del 2024; e trattasi comunque di valutazione consumata in sede di emissione del primo provvedimento di concessione dell’aspettativa alla ricorrente.
Sussiste pertanto il fumus boni iuris dell’istanza cautelare della Messa.
Sussiste anche il periculum in mora.
La ricorrente ha infatti allegato in punto di fatto, senza incontrare contestazioni da parte del Conservatorio INDIRIZZO, che l’esperienza lavorativa presso il permetterebbe l’acquisizione di anzianità in posizione di docenza maggiormente qualificata rispetto a quella da svolgersi qui in Torino (insegnamento di pianoforte, rispetto alla mera docenza in di un procedimento di cognizione ordinaria non risultano compatibili con lo svolgimento dell’attività di docenza a tempo determinato presso il Conservatorio di Cuneo. In conclusione, il ricorso deve essere accolto, non potendo ritenersi valida e legittima la revoca del 12/12/2024, e deve quindi emettersi ordine, rivolto a parte resistente, di dare immediata esecuzione al provvedimento di concessione dell’aspettativa emesso in data 11/11/2024.
3 Vista l’assoluta novità e la controvertibilità della questione, le spese di lite devono essere compensate.
PQM
Il Giudice, per i motivi sopra indicati:
– accoglie il ricorso e, per l’effetto, ordina al Conservatorio di musica INDIRIZZO di Torino di dare immediata esecuzione al provvedimento dell’11/11/2024, con cui è stata concessa aspettativa ex art. 23 bis dlvo 165/2001 in favore di – visto l’art. 92 cpc, compensa le spese di lite Torino, 13/2/2025 IL GIUDICE Dott. NOME COGNOME TRIBUNALE DI TORINO SEZIONE LAVORO Proc. RGL 10790/2024
ORDINANZA
– ex art. 700 c.p.c. – ricorso ex art. 700 cpc, depositato in data 31/12/2024, ha rappresentato:
– di essere stata assunta a tempo indeterminato, all’esito di concorso, dal Conservatorio di musica INDIRIZZO di Torino, a far data dall’8/11/2024, con le mansioni di insegnamento di pratica e lettura pianistica;
– di avere richiesto, contestualmente all’assunzione, aspettativa ex art. 23 bis dlvo 165/2001, con effetto sino al 31/10/2025, per svolgere attività lavorativa a tempo determinato presso il Conservatorio di musica Ghedini di Cuneo, con mansioni di insegnante di pianoforte;
– che il Conservatorio INDIRIZZO di Torino ha autorizzato detta aspettativa con provvedimento dell’11/11/2024, con effetto dal giorno successivo e sino al termine finale richiesto;
– di avere quindi iniziato la propria attività lavorativa presso il Conservatorio Ghedini dal 12/11/2024;
– che con decreto del 12/12/2024 il Conservatorio INDIRIZZO di Torino ha revocato l’aspettativa già concessa, sulla base del richiamo dell’art. 35 co 5 bis dlvo 165/2001, norma che impone al vincitore di concorso pubblico di permanere nella sede di prima assegnazione per almeno 5 anni continuativi;
– che un’istanza di autotutela del provvedimento di revoca non ha avuto effetto alcuno.
La Messa ha quindi chiesto ordine cautelare, rivolto al Conservatorio INDIRIZZO di Torino, affinchè tale ente ponga in essere “ogni attività ritenuta necessaria per la piena tutela dei diritti della ricorrente”.
In particolare, la ha lamentato l’ingiustizia ed illegittimità del provvedimento di revoca della concessione di aspettativa per i seguenti motivi:
– anzitutto, non sussisterebbero i presupposti per l’esercizio dell’autotutela/revoca amministrativa del primo provvedimento di concessione del beneficio, posto che non sussisterebbe il presupposto della sopravvenienza dei motivi di interesse pubblico che l’art. 21 quinquies l. 241/1990 prevede per l’adozione di un simile provvedimento;
– aliena alla fattispecie dell’aspettativa concessa è l’applicazione dell’art. 35 co 5 bis del dlvo 165/2001;
tale ultima norma pone divieto al vincitore di concorso di richiedere ed ottenere, nel primo con il diverso istituto dell’aspettativa temporanea;
per di più, la non compatibilità applicativa tra la norma in discorso e la norma di cui all’art. 23 bis del medesimo testo normativo (che disciplina appunto l’aspettativa senza assegni per svolgimento di altra attività lavorativa presso diverso ente pubblico o privato) è anche di natura sistematica;
l’art. 35 è collocato nel capo III della sezione II del dvo 165/2001, che disciplina gli uffici, le piante organiche, la mobilità e gli accessi all’impiego, laddove l’art. 23 bis ha invece diversa collocazione nel testo normativo;
poi, gli unici casi di divieto alla concessione dell’aspettativa per svolgimento di altro incarico si trovano nel comma 5 dell’art. 23 bis, e sono del tutto eterogenei rispetto al divieto di cui alla norma richiamata dal Conservatorio per disporre la revoca qui in contestazione;
ritenere applicabile l’art. 35 co 5 bis del dlvo 165/2001 all’aspettativa senza assegni disciplinata dall’art. 23 bis comporterebbe quindi l’introduzione di ulteriore limite e divieto al diritto del pubblico dipendente, laddove limiti e divieti non possono in realtà essere estesi ad ipotesi differenti da quelle espressamente contemplate dalle norme;
– per di più, l’aspettativa per motivi di lavoro presso ente esterno ha evidente scopo di consentire al pubblico dipendente la possibilità di coltivare un’aspirazione professionale più consona allo stesso;
l’applicazione del limite di natura quinquennale, pertanto, si pone in netto contrasto con lo scopo dell’istituto dell’aspettativa per motivi di lavoro;
– sussiste infine il periculum in mora;
la ricorrente ha infatti svolto due anni di insegnamento di pianoforte e l’esperienza lavorativa presso il Conservatorio INDIRIZZO di Cuneo permetterebbe alla stessa di concludere il triennio in tale materia, consentendole poi in futuro la partecipazione a concorso riservato.
Si è costituito in giudizio il INDIRIZZO di Torino, contro-deducendo ed eccependo:
– la piena applicabilità alla fattispecie del divieto di mobilità previsto dall’art. 35 co 5 bis dlvo 165/2001;
tale divieto, richiamato espressamente anche nel bando del concorso vinto dalla ricorrente, essere definita più precisamente annullamento del precedente atto;
il requisito della permanenza è in ogni caso da ritenersi preclusivo tanto della mobilità c.d. “permanente”, quanto dell’aspettativa, che in ogni caso comporterebbe un mutamento alla condizione del dipendente rispetto a quella di approdo (la stipula del contratto a tempo indeterminato a seguito di selezione pubblica);
– l’aspettativa è stata poi concessa in assenza di interesse pubblico, ma nel solo interesse privatistico della ricorrente;
– l’aspettativa ex art. 23 bis dlvo 165/2001, poi, ponendosi come eccezione al principio di esclusività del rapporto di lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione, stabilito dall’art. 60 del DPR 3/1957, è norma di stretta interpretazione;
può essere concessa laddove il dipendente possa maturare, mediante l’esperienza lavorativa esterna, esperienze professionali differenti da quelle conseguibili presso l’ente a quo, arricchendo il proprio bagaglio di conoscenze anche nell’interesse dell’amministrazione concedente;
l’esperienza lavorativa da svolgersi presso il INDIRIZZO non è però sostanzialmente differente da quella maturabile alle dipendenze di parte resistente;
– il ripristino dell’aspettativa, infine, non permetterebbe al Conservatorio INDIRIZZO di valutare la ricorrente all’esito dell’anno di prova, posto che la durata dell’esperienza lavorativa presso il Conservatorio COGNOME sarebbe proprio della durata di un anno.
Il Conservatorio di musica INDIRIZZO di Torino ha quindi chiesto il rigetto del ricorso.
In seguito a rinvio della prima udienza di trattazione (per problemi tecnici che non ne hanno consentito la rituale celebrazione con trattazione da remoto), all’udienza del 7/2/2025 è stata trattata l’istanza cautelare della ricorrente;
nella medesima data del 7/2/2025 parte ricorrente ha depositato parere del Ministero della Funzione Pubblica sul tema in trattazione.
2. Anzitutto, si deve rilevare che i fatti rilevanti per la decisione, ovvero:
– stipula del contratto a tempo indeterminato tra la ricorrente ed il INDIRIZZO in data 8/11/2024;
– concessione dell’aspettativa senza assegni per lo svolgimento di attività lavorativa a dal giorno successivo;
– revoca di tale decreto in data 12/12/2024;
– motivazione del decreto di revoca, basata sul disposto dell’art. 35 co 5 bis dlvo 165/2001;
sono pacifici e non contestati.
Ciò premesso, la trattazione del ricorso impone preliminarmente di qualificare correttamente la c.d. revoca del provvedimento dell’11/11/2024, vertendosi in materia di pubblico impiego privatizzato;
laddove entrambe le parti hanno invece fatto riferimento all’esercizio di poteri di autotutela amministrativa da parte del Conservatorio, disciplinati dagli art. 21 quinquies e 21 novies della l. 241/1990, poteri ricollegati però all’esercizio di poteri autoritativi da parte della pubblica amministrazione.
La Corte di Cassazione, già con sentenza 23741/2008, ha precisato che “In tema di rapporto di lavoro privatizzato, gli atti e procedimenti posti in essere dall’amministrazione ai fini della gestione dei rapporti di lavoro subordinati devono essere valutati secondo gli stessi parametri che si utilizzano per i privati datori di lavoro, secondo una precisa scelta legislativa (nel senso dell’adozione di moduli privatistici dell’azione amministrativa) che la Corte costituzionale ha ritenuto conforme al principio di buon andamento dell’amministrazione di cui all’art. 97 Cost. (sentenze nn. 275 del 2001 e 11 del 2002). Ne consegue che, esclusa la presenza di procedimenti e atti amministrativi, non possono trovare applicazione i principi e le regole proprie di questi, ma il potere amministrativo autoritativo si trasforma in potere privato che si esercita mediante atti di natura negoziale (come, nella specie, gli atti di “autotutela” incidenti sulla durata degli incarichi di svolgimento di mansioni superiori), versandosi fuori delle materie di cui ai numeri da 1 a 7 dell’art. 2, comma 1, lett. c), della legge n. 421 del 1992, conservate al diritto pubblico in forza dell’art. 68, comma 1, del d.lgs. n. 29 del 1993 (ed ora dell’art. 69, comma 1, del d.lgs. n. 165 del 2001)”.
La Suprema Corte, nello stesso anno, con sentenza n. 25761/2008, ha precisato che “In tema di lavoro pubblico privatizzato e, in particolare, di inquadramento dei segretari comunali, i provvedimenti di costituiti, propria del pubblico impiego contrattualizzato, in quanto tali assoggettati ai principi fondamentali del diritto privato e, in primo luogo, alla regola della normale irrilevanza dei motivi, dovendosi escludere la necessità dell’osservanza del procedimento prescritto dalla legge n. 241 del 1990 e l’applicazione dei vizi dell’atto amministrativo.
Ne consegue che, ove l’amministrazione ritenga, “re melius perpensa”, di ritirare l’illegittima iscrizione nella fascia superiore, il relativo atto non costituisce esercizio di un potere amministrativo di autotutela, inconcepibile rispetto ad atti di diritto privato, ma atto avente mera natura conformativa rispetto all’ordinamento dei pubblici dipendenti contrattualizzati, nel quale vige – ai sensi dell’art. 29 del d.lgs. n. 29 del 1993 e successive modifiche, poi sostituito dall’art. 52 del d.lgs. n. 165 del 2001 – il divieto di assegnazione di mansioni superiori al di fuori delle ipotesi tassativamente previste dalla legge, con nullità degli atti di conferimento illegittimi”.
La Corte ha poi precisato ulteriormente, con sentenza n. 3826/2016, che “Nel pubblico impiego privatizzato, la P.A., ove, a seguito di riesame delle circostanze, modifichi o ritiri l’atto di riconoscimento di un trattamento economico, ritenendolo non dovuto, non esercita il potere amministrativo di autotutela, ma pone in essere un atto di organizzazione e gestione del rapporto di lavoro tipico del diritto privato, rispetto al quale il dipendente può agire per denunciarne l’illegittimità, restando l’amministrazione, nel relativo giudizio, soggetta ai soli principi di imparzialità e buon andamento, nell’ambito di una scelta soggetta a valutazioni che potrebbero essere effettuate da un committente privato (Nella specie, la SRAGIONE_SOCIALE. ha ritenuto legittima la revoca, da parte dell di propria delibera che aveva indebitamente riconosciuto all’avvocatura dell’ente il 2 per cento dell’importo lordo dei crediti recuperati in via legale per l’anno 2000 e stabilito la ripartizione tra gli avvocati delle spettanze secondo le quote di competenza di cui alla contrattazione collettiva, affermando che l’atto, in quanto invalido originariamente, poteva e doveva essere rimosso dallo stesso )”. , non potendo la pubblica amministrazione, così precisato l’ambito dei poteri di ripensamento eventualmente esercitati, dare esecuzione ad atti contrari a norme, di legge o di contrattazione collettiva, in particolare ove trattasi di norme di divieto, come ribadito da Cass. n. 25018/2017:
“Nel pubblico impiego contrattualizzato il datore di lavoro, pur non potendo esercitare poteri autoritativi, è tenuto ad assicurare il rispetto della legge e, conseguentemente, non può dare esecuzione ad atti nulli, né assumere in via conciliativa obbligazioni che contrastino con la disciplina del rapporto prevista dalla legge o dalla contrattazione collettiva.
(Nella specie, la SRAGIONE_SOCIALE ha cassato la pronuncia della corte d’appello che aveva ritenuto illegittimo l’annullamento in via di autotutela di verbali di conciliazione con cui era stata attribuita ad alcuni lavoratori una qualifica superiore in conseguenza dello svolgimento di fatto delle mansioni)”.
Sgombrato pertanto il campo di indagine dal riferimento a concetti e, soprattutto, regole tipici del diritto amministrativo (in particolare dai citati artt. 21 quinquies e 21 novies della l. 241/1990), occorre comprendere se, nel caso di specie, il provvedimento adottato dal Conservatorio di musica INDIRIZZO sia stato contrarius actus rispetto a precedente provvedimento gestorio del rapporto (la concessione dell’aspettativa senza assegni in favore della ricorrente) che sia risultato contrario a norma di divieto; in particolare, essendo motivato tale provvedimento latamente definibile “di revoca” (ma di tipo privatistico, come specificato) con l’asserita necessità di dare applicazione all’art. 35 co 5 bis del dlvo 165/2001, se tale ultima norma sia norma applicabile alla fattispecie in esame;
in caso di risposta positiva al quesito, se l’art. 35 co 5 bis costituisca divieto rispetto all’applicazione dell’art. 23 bis, costituendo la prima norma imperativa.
Ma per dare risposta ai quesiti appena elencati occorre comprendere se via sia sovrapponibilità applicativa tra l’art. 35 co 5 bis e l’art. 23 bis del dlvo 165/2001 o se tali norme disciplinino “campi” del tutto distinti, senza possibilità di interferenze neppure in via astratta.
L’art. 23 bis co 1 del dlvo 165/2001 (introdotto dall’art. 7 co 1 della l. 145/2002) recita:
“In deroga di cui al decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3, i dipendenti delle pubbliche amministrazioni, ivi compresi gli appartenenti alle carriere diplomatica e prefettizia, e, limitatamente agli incarichi pubblici, i magistrati ordinari, amministrativi e contabili e gli avvocati e procuratori dello Stato sono collocati, salvo motivato diniego dell’amministrazione di appartenenza in ordine alle proprie preminenti esigenze organizzative, in aspettativa senza assegni per lo svolgimento di attività presso soggetti e organismi, pubblici o privati, anche operanti in sede internazionale, i quali provvedono al relativo trattamento previdenziale. Resta ferma la disciplina vigente in materia di collocamento fuori ruolo nei casi consentiti.
Il periodo di aspettativa comporta il mantenimento della qualifica posseduta ”.
Il comma 5 dell’art. 23 bis pone poi due ipotesi di divieto all’aspettativa senza assegni (normativamente tipizzate, diversamente dal dissenso motivato della p.a. di appartenenza, il quale, come si è visto, può fondarsi su esigenze organizzative da valutarsi in concreto);
l’aspettativa non può quindi essere accordata a:
“ a) il personale, nei due anni precedenti, è stato addetto a funzioni di vigilanza, di controllo ovvero, nel medesimo periodo di tempo, ha stipulato contratti o formulato pareri o avvisi su contratti o concesso autorizzazioni a favore di soggetti presso i quali intende svolgere l’attività.
Ove l’attività che si intende svolgere sia presso una impresa, il divieto si estende anche al caso in cui le predette attività istituzionali abbiano interessato imprese che, anche indirettamente, la controllano o ne sono controllate, ai sensi dell’articolo 2359 del codice civile;
b) il personale intende svolgere attività in organismi e imprese private che, per la loro natura o la loro attività, in relazione alle funzioni precedentemente esercitate, possa cagionare nocumento all’immagine dell’amministrazione o comprometterne il normale funzionamento o l’imparzialità”.
L’art. 35 co 5 bis del medesimo testo normativo, collocato nell’ambito della disciplina dell’accesso al pubblico impiego (reclutamento del personale, rectius, come da rubrica dell’articolo), amministrativi delle istituzioni scolastiche ed educative che permangono nella sede di prima destinazione per un periodo non inferiore a tre anni.
La presente disposizione costituisce norma non derogabile dai contratti collettivi”.
Il comma 5 bis è evidentemente norma imperativa, stante la non derogabilità letteralmente specificata.
Laddove la norma risulti operativa nel medesimo campo applicativo dell’aspettativa senza assegni, non si potrebbe negare che il Conservatorio INDIRIZZO, con il provvedimento di “revoca” qui in contestazione, si è rifiutato di dare applicazione ad un proprio atto gestorio contrario a preciso precetto legislativo inderogabile;
o, meglio, ad un proprio atto nullo.
Esaminando quindi la problematica della sovrapponibilità applicativa o della totale estraneità dei due articoli del dlvo 165/2001, deve anzitutto smentirsi l’argomentazione di parte ricorrente, secondo la quale la “distanza” sistematica delle due norme deporrebbe per la seconda ipotesi.
Deve infatti evidenziarsi che tale elemento non è indice valutabile in sede esegetica, posto che la l. 145/2002 ha introdotto l’art. 23 bis (contenente disciplina rivolta a tutti i dipendenti pubblici, anche quelli in regime di lavoro ancora a disciplina puramente pubblicistica, e riferita ad aspettativa, come si è detto) nel Capo II del Titolo I del dlvo 165/2001, rubricato come “Qualifiche, uffici dirigenziali ed attribuzioni”;
anche se tale collocazione è ben distinta da quella dell’art. 35 (posizionato nel Capo III, rubricato “Uffici, piante organiche, mobilità e accessi”), deve osservarsi che tanto non è dirimente, posto che il legislatore della novellazione del 2002 ha dimostrato evidente indifferenza a ragioni di tipo sistematico, posizionando l’art. 23 bis in Capo che a rigore è del tutto estraneo all’ambito di disciplina di tale norma.
Laddove si volessero prendere in considerazione ragioni strettamente legate alla tecnica legislativa, poi, occorrerebbe rilevare, in modo nocivo per la parte ricorrente, che la rubrica dell’art. 23 bis contiene il riferimento alla “mobilità” del dipendente, laddove l’art. 35 co 5 bis pone limiti precisi proprio alla mobilità;
ma, come si vedrà, analisi di tipo sostanzialistico porta a ritenere anche tale ultimo elemento irrilevante.
all’ottenimento dell’aspettativa, ed essendo le norme di divieto di stretta interpretazione, l’art. 35 co 5 bis non potrebbe porre ulteriori limiti a tale diritto;
infatti, è pacifico che, laddove l’obbligo di permanenza presso la prima sede di assegnazione per almeno 5 anni, ed il conseguente divieto di mobilità del dipendente per tale lasso temporale, interferisse effettivamente con l’applicabilità dell’art. 23 bis, tale precetto imperativo costituirebbe un ulteriore limite espresso del diritto, posto per di più in via generalizzata.
Per comprendere se la norma di obbligo/divieto in discorso sia ostativa anche in relazione alla concessione di aspettativa occorre invece esaminare la sua ratio.
L’obbligo di permanenza del pubblico dipendente presso la prima sede discende da ragioni di tipo strettamente organizzativo degli uffici pubblici:
la determinazione dei posti presenti nell’organico e vacanti, e da coprire però con indizione di concorso, e lo svolgimento di quest’ultimo, proprio con la finalità indicata, comporta uno sforzo non indifferente per la pubblica amministrazione “reclutante”, sforzo che potrebbe essere frustrato laddove il dipendente così assunto richiedesse dopo poco tempo trasferimento, in via tendenzialmente definitiva, presso sede diversa da quella individuata nelle piante organiche come a copertura necessaria (ricoprendo quindi posizione necessariamente vacante, ma non resa disponibile mediante il concorso), o addirittura presso altra pubblica amministrazione (ipotesi, quest’ultima, residuale, ma che pare essere comunque nel fuoco applicativo dell’art. 35 co 5 bis). Proprio nella tendenziale definitività della possibile scelta del dipendente è insita la ragione dell’obbligo di permanenza quinquennale, in quanto l’ordinamento ha valutato a priori che in simili ipotesi di ablazione del neo-assunto, con effetti stabili, vi sarebbe una lesione dell’interesse pubblico che la procedura di selezione del personale mirava a soddisfare;
la p.a. datrice di lavoro non potrebbe utilizzare la prestazione lavorativa del dipendente appena reclutato, nella posizione di sede prestabilita, per tempo ritenuto sufficiente (a priori dalla legge) per giustificare quanto posto in essere per la procedura concorsuale.
l’ablazione dell’opera lavorativa in via transitoria.
In buona sostanza, laddove la p.a. abbia reclutato lavoratore che poi ottenga il periodo di aspettativa (e quindi la sospensione dell’esecuzione del rapporto di lavoro), per svolgimento di opera lavorativa presso soggetto terzo, la p.a. datrice potrà comunque fare affidamento sull’utilizzabilità del dipendente, una volta ripresa l’esecuzione del rapporto, per il tempo ritenuto ragionevole dalla legge (5 anni) e presso la sede contemplata in sede di determinazione delle coperture necessarie mediante concorso (ovvero di determinazione dei posti non solo vacanti ma disponibili). Ne risulta pertanto che la ratio dell’art. 35 co 5 bis e l’imposizione aprioristica dell’obbligo di permanenza quinquennale non risulta calzante rispetto alla fattispecie in esame;
detto in altri termini, terminata la sospensione del rapporto contrattuale con la p.a. a quo (ovvero l’aspettativa), l’obbligo di permanenza potrà spiegare i suoi pieni effetti.
Si potrebbe però obiettare, rispetto a tale ricostruzione teleologica, che comunque, in caso di concessione dell’aspettativa a breve termine dall’assunzione, la fuoriuscita anche solo temporanea del dipendente frustrerebbe comunque le esigenze organizzative sottese all’indizione del concorso, in quanto comunque la prestazione lavorativa del neo-assunto non sarebbe utilizzabile nell’immediato.
Ma neppure un simile argomento risulta calzante, in quanto per una simile tale evenienza non risulta funzionale il divieto generalizzato di cui al comma 5 bis dell’art. 35, essendo sufficiente che la p.a. a quo, nel valutare la compatibilità dell’aspettativa senza assegni con le proprie esigenze organizzative, come previsto dal comma 1 dell’art. 23 bis, verifichi se l’assenza del lavoratore, nel breve termine, risulti in linea o meno con la programmazione del fabbisogno di personale che ha determinato alla determinazione dei posti da mettere a concorso. In buona sostanza, il contrappeso discrezionale che si rinviene nel comma 1 dell’art. 23 bis evidenzia come non si renda necessaria, nell’economia dell’istituto dell’aspettativa senza assegni, l’imposizione dello stringente obbligo di permanenza quinquennale.
Parte resistente ha eccepito poi che, laddove si ritenesse la concessione di aspettativa con la posizione all’esito del periodo di prova.
Tale argomento non risulta però di pregio, in quanto il rapporto di lavoro, durante l’aspettativa, risulta sospeso, ragione per la quale il periodo di prova non può decorrere sino al rientro in servizio del lavoratore.
Conforta tale approdo esegetico anche il parere del Dipartimento della Funzione Pubblica della Presidenza del Consiglio dei Ministri depositato in data 7/2/2025 da parte ricorrente (parere DFP- NUMERO_DOCUMENTOP dell’1/07/2022).
Infatti, se tale parere ha ritenuto l’aspettativa ex art. 23 bis con un rapporto di lavoro a tempo determinato, ove, teoricamente, le esigenze della p.a. a quo di copertura della posizione lavorativa sono ancora più riferibili all’immediato (ed ancora più frustrabili, nel senso delineato), non si vede per quale motivo dovrebbe arrivarsi a conclusioni differenti per la fattispecie in cui la p.a. a quo abbia stipulato contratto a tempo indeterminato.
Si deve quindi concludere per la piena distanza applicativa e non sovrapponibilità di disciplina degli artt. 23 bis e 35 co 5 bis del dlvo 165/2001;
ragione per la quale il provvedimento di “revoca” adottato da parte resistente in data 12/12/2024 non può dirsi obbligatoria conformazione del proprio comportamento ad obbligo imperativo di legge, con relativa sospensione dell’esecuzione di precedente atto nullo.
Occorre infine esaminare le ulteriori eccezioni di parte resistente, che devono essere parimenti rigettate;
infatti:
– l’asserita assenza di interesse pubblico alla concessione dell’aspettativa non rileva, posto che la norma contenuta nel comma 1 dell’art. 23 bis, sopra citato, non prevede tanto, ma la sola eventuale opponibilità, con un rifiuto dell’istanza del lavoratore, di eventuali interessi, di natura organizzativa, contrari all’accoglimento;
in ogni caso, la valutazione di tale interesse si è consumata all’atto della concessione, nel novembre del 2024, e non può essere rimessa in discussione, non essendovi norme imperative cui conformare la gestione del rapporto di lavoro, ora per allora;
– neppure rileva l’asserita assenza di formazione “accrescitiva” della ricorrente, durante l’aspettativa dell’amministrazione a quo all’esito dell’esperienza lavorativa “esterna”;
anche laddove questa fosse la ratio dell’istituto in discorso (ma deve evidenziarsi che non vi sono indici normativi positivi da cui desumere tanto), anche in questo caso non vi sarebbero norme imperative da far rispettare, ora per allora, mediante la c.d. revoca del provvedimento del novembre del 2024; e trattasi comunque di valutazione consumata in sede di emissione del primo provvedimento di concessione dell’aspettativa alla ricorrente.
Sussiste pertanto il fumus boni iuris dell’istanza cautelare della Messa.
Sussiste anche il periculum in mora.
La ricorrente ha infatti allegato in punto di fatto, senza incontrare contestazioni da parte del Conservatorio INDIRIZZO, che l’esperienza lavorativa presso il permetterebbe l’acquisizione di anzianità in posizione di docenza maggiormente qualificata rispetto a quella da svolgersi qui in Torino (insegnamento di pianoforte, rispetto alla mera docenza in pratica e lettura pianistica) e di conseguenza permetterebbe alla Messa di acquisire titolo per partecipare in futuro a concorso riservato per l’accesso a tale posizione professionale; le tempistiche di un procedimento di cognizione ordinaria non risultano compatibili con lo svolgimento dell’attività di docenza a tempo determinato presso il Conservatorio di Cuneo.
In conclusione, il ricorso deve essere accolto, non potendo ritenersi valida e legittima la revoca del 12/12/2024, e deve quindi emettersi ordine, rivolto a parte resistente, di dare immediata esecuzione al provvedimento di concessione dell’aspettativa emesso in data 11/11/2024.
3 Vista l’assoluta novità e la controvertibilità della questione, le spese di lite devono essere compensate.
PQM
Il Giudice, per i motivi sopra indicati:
– accoglie il ricorso e, per l’effetto, ordina al Conservatorio di musica INDIRIZZO di Torino di dare immediata esecuzione al provvedimento dell’11/11/2024, con cui è stata concessa aspettativa ex art. Torino,
13/2/2025 IL GIUDICE Dott. NOME COGNOME
La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di
Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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