Con sentenza del 6 marzo 2020, la Corte di appello di Firenze rigettava l’appello proposto avverso la sentenza definitiva del Tribunale di Firenze n. 2723/2019 del 30 settembre 2019, che aveva pronunciato la separazione personale dei coniugi, con addebito; aveva revocato l’assegnazione dell’ex casa coniugale; aveva disposto l’assegno di mantenimento in favore del figlio maggiorenne non autonomo, nella misura di Euro 400,00 a carico della madre e di Euro 500,00 a carico del padre, oltre le spese straordinarie nella misura del 50% a carico di ciascun genitore; aveva rigettato la domanda di mantenimento formulata dalla coniuge ed aveva compensato per un terzo le spese processuali, ponendo a carico della ricorrente i restanti due terzi.
La Corte di appello, dopo avere rilevato che non sussistevano motivi che potevano fondare una specifica indagine di polizia tributaria, in assenza di sintomi di vita privata e sociale e di un tenore di vita che poteva giustificare tale scelta istruttoria, ha rigettato il primo motivo di appello sull’assegnazione della casa coniugale, evidenziando che il figlio svolgeva un percorso di formazione professionale all’estero per pilota di linea, specialistico ed impegnativo, che lasciava presumere da un lato un trasferimento definitivo nel paese ospitante e dall’altro rientri a casa non definibili, né programmabili, né frequenti e che l’affermazione del Tribunale sulla comproprietà della casa ex coniugale costituiva un obiter dictum del Tribunale che non rivestiva alcuna efficacia esterna, dovendosi i coniugi risolvere l’eventuale controversia sulla proprietà in altra sede.
La Corte di appello, inoltre, riteneva infondato il secondo motivo di appello sulla quantificazione dell’importo di mantenimento del figlio, in quanto il ragazzo era maggiorenne e, seppure ancora non autosufficiente, viveva da solo in uno Stato estero, con la conseguente legittimazione piena ed esclusiva della moglie a chiedere la modificazione della situazione stabilita in sentenza; era infondato anche il terzo motivo di appello sulla domanda di mantenimento della moglie non sussistendo in atto un tenore di vita della famiglia anteatto particolarmente elevato di cui il solo marito aveva mantenuto il livello e che tenuto conto dei redditi e della comproprietà indicata della casa familiare, la differenza retributiva non giustificava tale contributo; infine, riteneva giustificato il carico delle spese di lite nel giudizio di primo grado in considerazione della soccombenza reciproca delle parti.
E’ giurisprudenza della Suprema Corte che l’articolo 337 sexies c.c. (introdotto dal Decreto Legislativo n. 154 del 2013, in vigore dal 7 febbraio 2014), nella parte in cui prevede che “il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli”, ha una ratio di protezione nei confronti di questi ultimi, tutelandone l’interesse a permanere nell’ambiente domestico in cui sono cresciuti, per mantenere le consuetudini di vita e le relazioni che in esso si radicano (Cass., 18 settembre 2013, n. 21334).
L’assegnazione della casa coniugale non rappresenta, infatti, una componente delle obbligazioni patrimoniali conseguenti alla separazione o al divorzio o un modo per realizzare il mantenimento del coniuge più debole ed è espressamente condizionata soltanto all’interesse dei figli, essendo scomparso il criterio preferenziale costituito dall’affidamento della prole, a fronte del superamento, in linea di principio, dell’affidamento monogenitoriale in favore della scelta, di regola, dell’affido condiviso (Corte Costituzionale, 30 luglio 2008, n. 308).
La Cassazione ha, infatti, ribadito che la scelta cui il giudice è chiamato non può prescindere dall’affidamento dei figli minori o dalla convivenza con i figli maggiorenni non ancora autosufficienti che funge da presupposto inderogabile dell’assegnazione e che suddetta scelta non può essere condizionata dalla ponderazione tra gli interessi di natura solo economica dei coniugi o tanto meno degli stessi figli, in cui non entrino in gioco le esigenze della permanenza di questi ultimi nel quotidiano loro habitat domestico inteso come centro della vita e degli affetti dei medesimi (Cass., 22 novembre 2010, n. 23591).
Con l’ulteriore corollario che l’assegnazione della casa coniugale è “uno strumento di protezione della prole e non può conseguire altre e diverse finalità” e che “detta assegnazione non ha più ragion d’essere soltanto se, per vicende sopravvenute, la casa non sia più idonea a svolgere tale essenziale funzione” (Cass., 22 luglio 2015 n. 15367; Cass., 12 ottobre 2018, n. 25604).
Inoltre, la nozione di convivenza rilevante ai fini dell’assegnazione della casa familiare ex articolo 337 sexies c.c. comporta la stabile dimora del figlio maggiorenne presso la stessa, sia pure con eventuali sporadici allontanamenti per brevi periodi e con esclusione, quindi, dell’ipotesi di rarità dei ritorni, ancorché regolari, configurandosi in tal caso, invece, un rapporto di mera ospitalità; deve pertanto sussistere un collegamento stabile con l’abitazione del genitore, caratterizzato da coabitazione che, ancorché non quotidiana, sia compatibile con l’assenza del figlio anche per periodi non brevi per motivi di studio o di lavoro, purché vi faccia ritorno appena possibile e l’effettiva presenza sia temporalmente prevalente in relazione ad una determinata unità di tempo (Cass., 17 giugno 2019, n. 16134, richiamata anche dalla Corte territoriale).
Anche di recente, la Corte di Cassazione ha affermato che con riferimento all’assegnazione della casa familiare, il parametro della prevalenza temporale è certamente dirimente, atteso che è solo l’effettiva e fisica presenza del figlio nella casa familiare a giustificarne l’assegnazione al coniuge già collocatario, sicché detta assegnazione va negata se difetta la prevalenza temporale effettiva della presenza del figlio nell’abitazione (Cass., 31 dicembre 2020, n. 29977).
I principi di diritto richiamati hanno trovato applicazione nel caso in esame, avendo la Corte territoriale affermato, con un accertamento di merito non sindacabile in sede di legittimità, che l’assegnazione della casa doveva comportare una stabile dimora e un collegabile stabile con l’abitazione del genitore, e che, nel caso in esame, il figlio attualmente stava svolgendo un corso per pilota di linea in Gran Bretagna (cfr. pag. 4 della sentenza impugnata), un percorso, dunque, di formazione professionale all’estero per pilota di linea, specialistico ed impegnativo, che lasciava presumere un trasferimento definitivo nel paese ospitante e rientri a casa non definibili, né programmabili, né frequenti.
Per quanto concerne, invece, la quantificazione del contributo dovuto dal genitore non collocatario per il mantenimento del figlio minore, deve osservarsi il principio di proporzionalità, che richiede una valutazione comparata dei redditi di entrambi i genitori, oltre alla considerazione delle esigenze attuali del figlio e del tenore di vita da lui goduto (Cass., 1 marzo 2018, n. 4811; principio richiamato anche da Cass., 16 settembre 2020 n. 19299, in motivazione).
In particolare, il giudice può disporre, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico, al fine di realizzare tale principio di proporzionalità, e, nel determinare l’importo dell’assegno deve considerare le “attuali esigenze del figlio”, che si concretizzano in bisogni, abitudini, legittime aspirazioni della minore, e in genere nelle sue prospettive di vita, le quali non potranno non risentire del livello economico – sociale in cui si colloca la figura del genitore (Cass., 6 novembre 2009, n. 23630).
Nella specie, dal contesto motivazionale della pronuncia impugnata, emerge con chiarezza un sicuro riferimento a tali esigenze, ancorché necessariamente correlate alle condizioni economiche dei genitori.
La Corte d’Appello, infatti, nel confermare le statuizioni del giudice di primo grado (rispettivamente Euro 400,00 per la moglie ed Euro 500,00 per il marito), ha affermato che entrambi i coniugi erano massimamente impegnati, anche con i rispettivi risparmi, nel mantenimento della scuola specialistica del figlio maggiorenne che negli anni ammontava complessivamente ad Euro 100.000,00 e che era a carico di entrambi, rilevando, inoltre, che i coniugi godevano di entrate stipendiali non profondamente diverse; l’uno era dipendente delle Ferrovie e percepiva circa Euro 2.000,00 mensili (oltre un rendita INAIL pari a 270,00 Euro mensili e all’attività di arbitro sportivo per un reddito annuo indicato in Euro 5.000,00 – 6.000,00) e l’altra era insegnante elementare e percepiva circa 1.800,00 mensili.
Inoltre, non è superfluo rilevare che il diniego di esercizio del potere officioso di disporre indagini sui redditi e sui patrimoni delle parti non è censurabile in sede di legittimità, ove, sia pure per implicito, tale diniego sia logicamente correlabile ad una valutazione sulla superfluità dell’iniziativa per ritenuta sufficienza dei dati istruttori (Cass., 18 giugno 2008, n. 16575), come è accaduto nel caso in esame, dove la Corte territoriale espressamente ha ritenuto del tutto superflui ulteriori accertamenti istruttori (cfr. pag. 4 della sentenza impugnata).
Corte di Cassazione, Ordinanza n. 27374 del 19 settembre 2022
La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di
Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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