Con ricorso depositato il 4.03.2019, XXX impugnava la sentenza con la quale il Tribunale di Palmi aveva pronunciato la separazione personale da YYY, chiedendo che, in riforma della stessa sentenza, la separazione personale dei coniugi fosse addebitata alla moglie, rigettando la domanda della YYY di riconoscimento del diritto al mantenimento a carico del ricorrente, stante l’addebito alla stessa della separazione, e la circostanza che ella non aveva provato la sussistenza delle condizioni previste dall’art. 156 c.c. per tale riconoscimento; in subordine, veniva chiesto che fosse ridotto l’importo dell’assegno di mantenimento.
Si costituiva in giudizio YYY chiedendo il rigetto dell’appello principale, e che fosse ordinato al soggetto, individuato quale terzo, tenuto a corrispondere anche periodicamente somme di danaro al Napoli, di versare direttamente all’appellata la somma stabilita a titolo di assegno mantenimento, ai sensi dell’art. 156, 6 ° comma, cod. civ.
Con sentenza del 31.10.23 la Corte territoriale, in parziale accoglimento dell’appello proposto da XXX, ed in riforma della sentenza impugnata, rigettava la domanda di assegno di mantenimento a favore di YYY, confermandola nel resto.
Al riguardo, la Corte d’appello osservava che: l’appellante attribuiva alla controparte la responsabilità della intollerabilità della convivenza come conseguenza dell’avvenuta violazione, da parte di quest’ultima, dei dovere coniugali per avere ella trascurato il marito, dedicandosi spesso ai social network, pur in presenza del marito, o per avere eluso i compiti di assistenza di quest’ultimo, come quando non aveva partecipato ai funerali del padre, nonché per avere abbandonato il domicilio domestico, senza però aver provato che gli episodi descritti fossero stati la causa dell’intollerabilità della convivenza.
Infatti, secondo un principio consolidato nella giurisprudenza della Cassazione “il volontario abbandono del domicilio familiare da parte di uno dei coniugi, costituendo violazione del dovere di convivenza, è di per sé sufficiente a giustificare l’addebito della separazione personale, a meno che non risulti provato che esso è stato determinato dal comportamento dell’altro coniuge o sia intervenuto in un momento in cui la prosecuzione della convivenza era già divenuta intollerabile ed in conseguenza di tale fatto” (Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 648 del 15/01/2020).
Nella specie, il materiale probatorio acquisito non consentiva di affermare che il comportamento di uno od entrambi i coniugi fosse stata la causa del fallimento della convivenza; non era ravvisabile il diritto al mantenimento dell’appellata, in quanto l’istruttoria espletata in primo grado consentiva di accertare che ella avesse rifiutato un’offerta di lavoro (entrambi i testi escussi avevano confermato tale circostanza) e che non avesse mai fornito, nelle difese successive alle dichiarazioni dei testi, le ragioni di tale rifiuto, né provato di aver ricercato un’occupazione, poiché aveva solo dedotto di avere inviato un curriculum in banca e di avere difficoltà a trovare un lavoro perché priva di autovettura.
Sulla scorta di tali elementi, della durata del matrimonio, dell’assenza di prole, dell’età della moglie al momento della separazione, non era condivisibile la decisione del Tribunale di primo grado e la conseguente attribuzione di un assegno di mantenimento dell’importo di € 250.
La YYY non aveva in alcun modo provato – ma neppure dedotto – quale fosse il tenore di vita tenuto durante il matrimonio, peraltro durato appena quattro anni (dal 2006 al 2010, anno in cui si era trasferita presso i genitori), e che risultava pacifico non solo che ella fosse disoccupata e che al suo sostentamento provvedeva il marito, ma anche che tra i due coniugi vi fosse una rilevante disparità economica (come confermato dalle indagini patrimoniali disposte nel corso della causa di primo grado).
YYY ricorreva in cassazione.
In tema di separazione personale dei coniugi, l’attitudine al lavoro proficuo dei medesimi, quale potenziale capacità di guadagno, costituisce elemento valutabile ai fini della determinazione della misura dell’assegno di mantenimento da parte del giudice, qualora venga riscontrata in termini di effettiva possibilità di svolgimento di un’attività lavorativa retribuita, in considerazione di ogni concreto fattore individuale e ambientale e con esclusione di mere valutazioni astratte e ipotetiche (Cass., n. 5817/2018: in applicazione di tale principio la Suprema Corte ha rigettato il ricorso avverso la sentenza del giudice di merito, che aveva escluso il diritto al mantenimento del coniuge, in ragione della pacifica esistenza di proposte di lavoro immotivatamente non accettate).
In materia di separazione dei coniugi, grava sul richiedente l’assegno di mantenimento, ove risulti accertata in fatto la sua capacità di lavorare, l’onere della dimostrazione di essersi inutilmente attivato e proposto sul mercato per reperire un’occupazione retribuita confacente alle proprie attitudini professionali, poiché il riconoscimento dell’assegno a causa della mancanza di adeguati redditi propri, previsto dall’art. 156 c.c., pur essendo espressione del dovere solidaristico di assistenza materiale, non può estendersi fino a comprendere ciò che, secondo il canone dell’ordinaria diligenza, l’istante sia in grado di procurarsi da solo (Cass., n. 20866/2021; n. 24049/21; n. 234/20215).
Nella specie, in applicazione del citato consolidato orientamento della Suprema Corte, la questione della rilevante disparità delle condizioni reddituali tra i coniugi era da ritenere preclusa dall’accertamento preliminare della mancata prova dell’adeguata ricerca di lavoro, tanto più che era emersa la mancata accettazione di un’offerta di lavoro e la mancata allegazione dei motivi del rifiuto.
Corte di Cassazione, Sezione Prima, Ordinanza n. 3354 del 10 febbraio 2025
La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di
Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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