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Assegno di mantenimento, indagini patrimoniali polizia tributaria

Per la Suprema Corte, l’esercizio del potere di disporre indagini patrimoniali con l’avvalimento della polizia tributaria, che costituisce una deroga alle regole generali sull’onere della prova, rientra nella discrezionalità del Giudice di merito, e non può essere considerato anche come un dovere imposto sulla base della semplice contestazione delle parti in ordine alle loro rispettive condizioni economiche.

Pubblicato il 15 September 2024 in Diritto di Famiglia, Giurisprudenza Civile

Nel 1999 i coniugi XXX e YYY concordavano le condizioni di separazione (chiesta dalla moglie nel 1992) e, successivamente, nel 2007, a seguito di procedimento di modifica delle condizioni di separazione instaurato dalla XXX, il Tribunale di Treviso poneva a carico del marito l’assegno mensile di Euro 1500,00, di cui Euro 1000,00 a titolo di contributo al mantenimento della moglie ed Euro 500,00 a titolo di contributo al mantenimento della figlia ZZZ, che era rimasta invalida al 100% a seguito di un incidente stradale subito nel settembre del 1987 (quando aveva appena 5 anni e per il quale aveva ricevuto dall’assicurazione la somma di Lire 383.000.000).

Con ricorso del 25/11/2015 lo YYY chiedeva la cessazione degli effetti civili del matrimonio con revoca dell’obbligo economico a suo carico.

La XXX chiedeva il rigetto del ricorso e l’aumento dell’importo dell’assegno per lei e per la figlia pari al doppio.

Nel corso dell’istruttoria il Tribunale disponeva CTU per accertare le condizioni reddituali e patrimoniali dei due coniugi.

Il Tribunale, con sentenza del 9/4/2020, poneva a carico di YYY l’obbligo di corrispondere alla moglie, a titolo di concorso al mantenimento della figlia maggiorenne portatrice di handicap ZZZ, la somma di Euro 500,00, oltre alla somma di Euro 1000,00, a titolo di assegno divorzile.

Il Tribunale compensava integralmente tra le parti le spese di lite, ponendo definitivamente a carico di entrambe le parti, in via solidale, le spese di CTU.

Proponeva appello la XXX chiedendo la somma di Euro 2000,00 a titolo di assegno divorzile, insistendo per la richiesta di indagini della polizia tributaria per accertare i redditi della madre e della compagna dello YYY, ed infine contestava la decisione di prime cure per aver compensato le spese di giudizio e per aver posto a carico solidale delle parti le spese della CTU.

Si costituiva lo YYY chiedendo il rigetto dell’appello e proponendo appello incidentale.

Inoltre, evidenziava che la XXX si era appropriata ed aveva speso interamente le somme ricevute dalla figlia ZZZ per il risarcimento del danno, operando quindi a danno del patrimonio familiare.

Chiedeva anche che le spese della CTU fossero poste a carico della XXX che aveva rifiutato la conciliazione proposta in sede di CTU, così come pure le spese legali sorte successivamente al rifiuto.

La Corte d’Appello di Venezia accoglieva l’appello proposto dalla XXX e determinava l’assegno divorzile nella misura di Euro 1300,00 mensili.

Rigettava l’appello incidentale, evidenziando che la parte lo aveva proposto “senza specificazione di motivi ad hoc“. Poneva le spese della CTU a carico dell’appellato.

Compensava le spese di entrambi i gradi nella misura di un mezzo e condannava lo YYY alla rifusione della quota residua in favore della moglie.

La Corte territoriale evidenziava che non era possibile “determinare se la cessione delle quote della società che gestiva e gestisce la società cui fa capo il ristorante KKK sia simulata” non essendo alcuna prova “stata dedotta in merito”.

Reputava congrua la valutazione del CTU “quanto al valore della quota ceduta”.

Rilevava che dall’istruttoria espletata era emersa “la certa esistenza di palese differenza di capacità reddituale” avendo dichiarato lo stesso YYY “di percepire Euro 3000,00 mensili”.

In ogni caso – aggiungeva il Giudice d’appello – “l’appellato gestisce locale certamente produttivo di reddito, in termini e misura ben superiore al canone di affitto pagato alla società citata – quella le cui quote furono quasi per intero cedute all’attuale compagna dello YYY – fatto già rilevato dal giudicante in primo grado“.

Inoltre, YYY era usufruttuario di un immobile di apprezzabile valore, mentre la XXX non percepiva reddito ed era onerata di canone di locazione, rendendosi evidente “lo squilibrio reddituale”, non potendosi trascurare “il fatto che l’appellante ha sostanzialmente dedicato – fatto pacifico – il proprio tempo alla cura della figlia, portatrice di gravissimo handicap”.

Per soddisfare la funzione perequativa e quella compensativa dell’assegno divorzile la Corte d’Appello reputava di aumentare l’assegno in Euro 1300,00 mensili.

Le spese della CTU dovevano essere poste a carico dello YYY in quanto era stata svolta proprio per valutare la reale capacità reddituale dello stesso, che era di “impossibile individuazione, anche per palese scarsa collaborazione dello YYY medesimo”.

Avverso tale sentenza proponeva ricorso principale la XXX.

In particolare, la ricorrente ha sostenuto che il marito avesse fittiziamente intestato la propria attività commerciale, legata al mondo della ristorazione, ed i propri beni immobili alla nuova compagna, JJJ

Il Tribunale, però, anziché disporre indagini tramite polizia tributaria, disponeva CTU limitata all’analisi dei dati offerti dallo YYY, senza estendere l’indagine a soggetti terzi “specificamente indicati dalla signora XXX così come specificamente indicati erano i beni e le attività che si assumevano oggetto di intestazione fittizia”.

Per la ricorrente l’indagine tributaria doveva essere svolta sulla ditta individuale **KKK di YYY e sulla società **KKK di JJJ, di cui il ricorrente era socio di minoranza 10%.

L’immobile ove veniva esercitata l’attività di ristorazione sarebbe stato fittiziamente cointestato dallo YYY alla compagna “e poi a quest’ultima interamente ceduto nel 2011”.

Inoltre, lo YYY era usufruttuario di un compendio immobiliare costituito da un’ampia area scoperta ove era stata edificata una villa, mentre la nuda proprietà era della JJJ.

YYY, dunque, si sarebbe “formalmente spogliato di tutto il suo patrimonio mobiliare ed immobiliare, mediante una serie di operazioni negoziali dirette a precostituire un’apparente situazione di contrazione delle proprie risorse economiche (anche a scapito di entrambe le figlie)”.

Per la ricorrente dallo stesso elaborato peritale emergeva chiaramente “che i redditi dichiarati dal sig. YYY erano palesemente incongrui con gli studi di settore, e la movimentazione dei conti correnti indicava chiaramente la presenza di una disponibilità di notevoli somme di denaro corrispondenti alla riserva occulta”.

Pertanto, solo disponendo le indagini tributarie “si sarebbe rispettato il disposto dell’art. 5, comma 9, della legge 898/70″.

L’occultamento dei redditi sarebbe avvenuto con l’ausilio di soggetti terzi: la madre e la compagna dello YYY.

Per la Suprema Corte, l’esercizio del potere di disporre indagini patrimoniali con l’avvalimento della polizia tributaria, che costituisce una deroga alle regole generali sull’onere della prova, rientra nella discrezionalità del Giudice di merito, e non può essere considerato anche come un dovere imposto sulla base della semplice contestazione delle parti in ordine alle loro rispettive condizioni economiche.

Si è anche chiarito che, in tema di determinazione dell’assegno di mantenimento in sede di scioglimento degli effetti civili del matrimonio, l’esercizio del potere del Giudice che, ai sensi dell’art. 5, comma 9, della legge n. 898 del 1970, può disporre – d’ufficio o su istanza di parte – indagini patrimoniali avvalendosi della polizia tributaria, costituisce una deroga alle regole generali sull’onere della prova.

L’esercizio di tale potere discrezionale non può sopperire alla carenza probatoria della parte onerata, ma vale ad assumere, attraverso uno strumento a questa non consentito, informazioni integrative del “bagaglio istruttorio” già fornito, incompleto o non completabile attraverso gli ordinari mezzi di prova; tale potere non può essere attivato a fini meramente esplorativi, sicché la relativa istanza e la contestazione di parte dei fatti incidenti sulla posizione reddituale del coniuge tenuto al predetto mantenimento devono basarsi su fatti specifici e circostanziati (Cass., sez. 1, 28 gennaio 2011, n. 2098; Cass., sez. 6-1, 15 novembre 2016, n. 23263).

Nel caso esaminato, la Corte d’Appello, sia pure implicitamente, ha dimostrato la superfluità dell’ulteriore accertamento patrimoniale sulla base di eventuali indagini tributarie, avendo il Giudice di prime cure già accertato attraverso l’espletamento di apposita CTU le capacità reddituali e patrimoniali di entrambi i coniugi.

La Corte d’Appello ha dato ampia giustificazione della differenza reddituale tra i due coniugi, reputando però congrua “la valutazione del CTU quanto al valore della quota ceduta”.

Inoltre, la Corte territoriale, nello stabilire il quantum dell’assegno divorzile ha valutato:

a) la circostanza che lo stesso YYY aveva dichiarato di percepire Euro 3000,00 mensili;

b) il fatto che lo YYY gestiva un locale “certamente produttivo di reddito, in termini e misura ben superiore al canone di affitto pagato alla società citata – quella le cui quote furono quasi per intero ceduti all’attuale compagna dello YYY – fatto già rilevato dal giudicante in primo grado”;

c) lo YYY non era gravato di alcun onere locativo;

d) il marito era “usufruttuario di un immobile di apprezzabile valore”; e) la XXX non percepiva reddito ed era onerata di canone di locazione;

f) la XXX “ha sostanzialmente dedicato – fatto pacifico – il proprio tempo alla cura della figlia, portatrice di gravissimo handicap.

Pertanto, proprio l’approfondimento istruttorio già compiuto nel corso del giudizio di prime cure, ha indotto la Corte d’Appello, seppur implicitamente, a negare l’effettuazione di indagini della polizia tributaria.

Corte di Cassazione, Sezione Prima, Ordinanza n. 22730 del 12 agosto 2024

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