REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DI APPELLO DI ROMA
SEZIONE PER LA PERSONA E LA FAMIGLIA
così composta:
riunita in camera di consiglio, ha emesso la seguente
SENTENZA n. 1816/2020 pubblicata il 19/03/2020
nel procedimento in secondo grado iscritto al n. dell’anno 2017, trattenuto in decisione all’udienza del 13/02/2020, promosso da
XXX (C.F.),
rappresentata e difesa dall’avv.
– Appellante – contro
YYY (C.F.), rappresentato e difeso dall’avv.
– Appellato, appellante incidentale – e
con l’intervento del Procuratore Generale
OGGETTO: Appello avverso la sentenza del Tribunale di Roma n. /2016 pubblicata il 18/11/2016, in punto di Divorzio contenzioso – Cessazione effetti civili.
CONCLUSIONI DELLE PARTI
L’appellante:
1. Disporre preliminarmente il sequestro, ai sensi dell’art. 224 c.p.c., dell’originale del documento impugnato di falso in particolare la comparsa di costituzione e risposta con mandato a margine datata Latina-Roma 30.07.2013 a firma dell’avv.;
2. disporre la sospensione del giudizio e fissare il termine entro il quale riassumere la causa di falso davanti al competente Tribunale;
3. dichiarare la nullità della sentenza impugnata ex art 159 c.p.c.;
4. in subordine ove la Corte adita non ritenesse accoglibile la richiesta principale Voglia riformare la sentenza impugnata, nelle parti già specificate e per l’effetto riconoscere alla sig.ra XXX l’assegno divorzile nella misura di € 200,00 o nella maggiore o minore ritenuto di giustizia nonché riconoscere al figlio *** l’assegno di mantenimento nella misura di € 250,00 mensili; rimettere, in ogni caso in termini l’appellante al fine di depositare documentazione utile e necessaria alla ricostruzione della capacità reddituale e al tenore di vita tenuto durante il matrimonio e dopo il matrimonio nonché richiedere prova per testi sulle medesime circostanze riservando all’esito l’indicazione dei testi e la corretta formulazione dei capitoli.
L’appellato:
– rigettare l’appello principale proposto dalla sig.ra XXX contro l’appellata sentenza n. 21661/2016, emessa dal Tribunale civile di Roma, in quanto infondato in fatto e in diritto
– e, in parziale riforma della stessa, revocare il contributo di mantenimento per il figlio *** a carico del sig. YYY
Con integrale vittoria di spese e competenze ed onorari del doppio grado.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con la sentenza indicata in epigrafe il Tribunale di Roma – che con la precedente sentenza non definitiva n. del 14 marzo 2014 aveva pronunciato la cessazione degli effetti civili del matrimonio – ha revocato, a far data dalla pubblicazione, l’assegno per il mantenimento della figlia Ilaria; ha ridotto a 150 € l’assegno mensile a carico di YYY per il mantenimento del figlio ***, ponendo le spese straordinarie a carico di entrambi i genitori nella misura del 50% ciascuno; ha assegnato la casa familiare a XXX; ha respinto la domanda di assegno divorzile da questa formulata; ha compensato le spese del giudizio. A sostegno della decisione il Tribunale ha osservato:
– che la figlia *** (nata nel 1992) aveva ormai raggiunto l’indipendenza economica, dal momento che lavorava stabilmente presso un centro estetico percependo una retribuzione di circa 1.000 € mensili;
– che viceversa non era emersa prova sufficiente del raggiungimento della completa autonomia patrimoniale da parte del figlio *** (nato nel 1991), essendo emerso dalle prove testimoniali che questo aveva lavorato solo per un breve periodo, percependo una retribuzione “ai limiti della sopravvivenza”, pari a circa 500 € lordi mensili;
– che tuttavia doveva tenersi conto del fatto che il ragazzo era comunque in grado di produrre redditi, sia pur minimi, e beneficiava del fatto di vivere con la madre nella casa familiare senza sostenere oneri locativi; e dunque l’assegno poteva essere ridotto a 150 €, dagli originari 250 €;
– che l’assegno di divorzio aveva la funzione di consentire al coniuge più debole la tendenziale conservazione del tenore di vita fruito nel corso del matrimonio, ma che XXX non aveva dato prova sufficiente a dimostrare di non essere in grado di provvedere adeguatamente ai suoi bisogni, in quanto nulla aveva dedotto circa il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, e non aveva prodotto la documentazione necessaria ad illustrare la sua situazione patrimoniale; non vi era quindi prova della sussistenza di una sproporzione reddituale tra le parti, anche considerato che essa ritraeva un vantaggio patrimoniale dal godimento della casa familiare, di proprietà anche dell’ex coniuge.
2. La sentenza è stata impugnata da XXX, la quale in via preliminare ha proposto querela di falso avverso la sottoscrizione recante il suo nome apposta alla procura alle liti in primo grado, deducendo di non averla mai rilasciata all’avv. *** che l’aveva difesa in quella fase del giudizio, avendo essa conferito ad altro professionista, l’avv. ***, l’incarico di rappresentarla; ha quindi chiesto la sospensione del giudizio per la riassunzione della causa di falso innanzi al Tribunale, e in subordine ha chiesto la rinnovazione di tutti gli atti compiuti dal deposito dell’atto nullo in poi, con sua contestuale rimessione in termini per le richieste istruttorie. Nel merito, con il primo motivo ha impugnato il capo della sentenza con cui è stata respinta la sua domanda di assegno divorzile deducendo di aver consegnato la propria documentazione reddituale e bancaria all’avv. ***, ma questa non si era poi costituita nel giudizio di primo grado e non aveva prodotto i documenti; che comunque dagli argomenti di prova acquisiti al processo risultava una notevole disparità tra i coniugi, in quanto essa aveva una capacità reddituale di 400 € al mese, si era sposata a 23 anni e si era dedicata completamente alla famiglia, il matrimonio era durato 15 anni, e all’età di oltre 50 anni essa non aveva possibilità di trovare lavoro a tempo indeterminato con reddito adeguato.
Con il secondo motivo ha poi impugnato la riduzione dell’assegno per il mantenimento del figlio ***, deducendo che l’importo di 150 € non gli consentirebbe di soddisfare nemmeno le primarie esigenze di vita.
2.1. YYY ha chiesto il rigetto dell’appello, proponendo a sua volta appello incidentale.
Quanto alla querela di falso ha rappresentato che nel corso del giudizio di primo grado l’appellante era stata presente in alcune udienze in compagnia dell’avv. ***, e non poteva quindi ignorare che questa la stesse rappresentando. Nel merito, ha contestato l’impugnazione deducendo che l’appellante non aveva prodotto la propria documentazione fiscale e reddituale, nemmeno dopo che – pur essendosi essa costituita tardivamente – il giudice istruttore le aveva assegnato un termine per depositarla; che egli percepiva solo una pensione di 1.600 €, era portatore di una grave infermità, e comunque secondo la più recente giurisprudenza il diritto all’assegno divorzile presupponeva che il coniuge richiedente non fosse in grado di garantirsi l’autosufficienza economica, senza alcun diritto a mantenere il medesimo tenore di vita; che dai documenti da lui prodotti già in primo grado risultava che in passato il figlio *** aveva svolto un’attività lavorativa tale da garantirgli l’indipendenza economica, e quindi il suo diritto all’assegno di mantenimento era cessato e non poteva rivivere. Ha quindi concluso chiedendo il rigetto dell’appello e, in via di appello incidentale, la revoca dell’assegno per il figlio ***; a tal fine ha anche dedotto nuovi mezzi di prova, da lui ritenuti indispensabili ai fini della decisione.
2.2. Il Procuratore Generale non ha formulato richieste, non essendo coinvolti interessi di soggetti minorenni e non ravvisandosi violazioni di legge, e all’udienza del 13 febbraio 2020 la causa è stata trattenuta in decisione sulle conclusioni delle parti sopra riportate.
3. La presentazione della querela di falso proposta dall’appellante non può essere autorizzata, in quanto l’atto con cui essa è stata proposta non contiene alcuna indicazione circa gli elementi di prova della dedotta falsità della sottoscrizione; indicazione che è invece espressamente richiesta dall’art. 221, 2°comma cod. proc. civ. a pena di nullità.
4. Con il primo motivo di appello XXX ha lamentato che abbia errato il Tribunale nel non riconoscerle un assegno di divorzio, anche solo sulla base della documentazione acquisita al processo.
4.1. Sotto tale profilo è necessario premettere – alla luce delle deduzioni svolte dall’appellante circa la natura dell’assegno di divorzio ed i presupposti perché questo possa essere concesso – che in proposito le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno recentemente affermato i seguenti princìpi di diritto (Cass. Sez. Un. n. 18287 del 11/07/2018):
– “Il riconoscimento dell’assegno di divorzio in favore dell’ex coniuge, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi dell’art. 5, comma 6, della l. n. 898 del 1970, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante, e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicandosi i criteri equiordinati di cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell’assegno. Il giudizio dovrà essere espresso, in particolare, alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all’età dell’avente diritto”;
– “All’assegno divorzile in favore dell’ex coniuge deve attribuirsi, oltre alla natura assistenziale, anche natura perequativo-compensativa, che discende direttamente dalla declinazione del principio costituzionale di solidarietà, e conduce al riconoscimento di un contributo volto a consentire al coniuge richiedente non il conseguimento dell’autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, bensì il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate”;
– “La funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, anch’essa assegnata dal legislatore all’assegno divorzile, non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi”.
Secondo il più recente orientamento, quindi, la funzione dell’assegno di divorzio non è quella di ricostituire il tenore di vita coniugale, bensì quella di assistere il coniuge incolpevolmente privo di mezzi adeguati e riequilibrare le condizioni economiche degli ex coniugi nei casi in cui vi sia la prova – il cui onere ricade sul richiedente l’assegno – che la sperequazione reddituale esistente al momento del divorzio sia stata causata dalle scelte comuni di vita delle parti, per effetto delle quali uno dei due abbia sacrificato le proprie aspettative professionali e reddituali per dedicarsi alla cura della famiglia, così contribuendo alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio comune o di quello dell’altro coniuge (v. Cass. 17/04/2019 n. 10781).
Al fine di accertare se il coniuge richiedente abbia diritto all’assegno è pertanto necessario in primo luogo verificare se vi sia una rilevante disparità tra le rispettive situazioni economico-patrimoniali degli ex coniugi; una volta raggiunta la prova di tale circostanza, è necessario accertare (e in entrambi i casi, come si è detto, l’onere probatorio ricade sul coniuge richiedente l’assegno, il quale peraltro ben potrà assolverlo anche mediante presunzioni) se questa disparità sia stata causata da scelte condivise in ordine alla gestione del ménage familiare e ai rispettivi ruoli all’interno della famiglia, e se il coniuge economicamente più debole non abbia la possibilità di superare (o quanto meno ridurre) il divario esistente, sotto il profilo delle concrete, effettive ed attuali possibilità di trovare un lavoro o di ottenere una più remunerativa occupazione, in considerazione della sua età, delle pregresse esperienze professionali, delle condizioni del mercato del lavoro e così via. Una volta accertate tali circostanze, l’entità dell’assegno non dovrà essere liquidata in misura corrispondente alla somma di denaro necessaria a mantenere (sia pur in via solo tendenziale) il pregresso tenore di vita, bensì in misura adeguata a colmare il divario avendo riguardo “al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali ed economiche eventualmente sacrificate, in considerazione della durata del matrimonio e dell’età del richiedente”.
4.2. Fermo il divieto di produzione di nuovi documenti in grado di appello previsto dall’art. 345 cod. proc. civ., dalla documentazione fiscale aggiornata, la cui esibizione è stata disposta d’ufficio dalla Corte, risulta che negli anni dal 2011 al 2016 YYY, pensionato e proprietario di un immobile (come risulta dal mod. 730 in atti), ha percepito in media un reddito netto di 22.534 €, pari a 1.878 € per dodici mesi; egli non ha tuttavia prodotto la documentazione bancaria, nonostante questa sia stata espressamente richiesta dalla Corte.
XXX, invece, lavoratrice addetta ad un call center e che ha in godimento la casa familiare di proprietà dell’appellato e della sua famiglia di origine, negli anni dal 2015 al 2017 ha percepito in media un reddito netto di 6.391 € all’anno, pari a 533 € per dodici mesi; nel 2018 il suo conto corrente ha avuto una giacenza media di 147 €. La pur scarna documentazione prodotta in primo grado consente inoltre di affermare che negli anni anteriori la sua situazione reddituale era analoga, posto che dalla sentenza impugnata risulta che essa aveva percepito nel 2012 un reddito lordo di 1.475 €, e in comparsa di costituzione e risposta aveva allegato di lavorare presso un call center percependo 400 € al mese.
Non è del resto contestato che durante il matrimonio – durato 27 anni di cui tuttavia solo 15 di convivenza, sino all’ordinanza presidenziale che ha autorizzato i coniugi a vivere separati – essa si sia interamente dedicata alla cura della famiglia e non abbia perciò costruito una propria carriera lavorativa. All’epoca della pronuncia del divorzio l’appellante aveva 51 anni, e ora ne ha 57; è quindi evidente che essa, priva di pregresse esperienze lavorative e di specifica formazione professionale, non potesse avere all’epoca – e a maggior ragione non abbia – oggi concrete opportunità di trovare un’attività lavorativa che sia più remunerativa dell’attuale e tale da ridurre la sproporzione con i redditi percepiti dall’ex coniuge.
Al contempo, altrettanto pacifico è che YYY abbia nel frattempo intrapreso una nuova convivenza dalla quale ha avuto un figlio, abbia problemi di salute in conseguenza di un aneurisma cerebrale che l’ha colpito nel 2002, sia stato durante la lunga convalescenza (come anche successivamente) completamente ignorato da moglie e figli.
Alla luce di tutte le circostanze di cui si è detto e dei principi di diritto sopra enunciati, quindi, deve essere riconosciuto un assegno divorzile in favore di XXX, non essendo questa in grado di procurarsi un reddito adeguato alle condizioni degli ex coniugi, al contributo da essa dato alla conduzione familiare e al reddito di entrambi, valutati tali elementi unitamente alla durata del matrimonio; assegno che in considerazione di quanto sin qui osservato, e considerato che XXX gode della ex casa familiare della quale è comproprietario l’appellato, deve essere liquidato nella somma mensile di 200 €, con decorrenza dal mese successivo alla pronuncia del divorzio.
5. Il secondo motivo dell’appello principale e l’appello incidentale possono essere esaminati congiuntamente, avendo entrambi ad oggetto il diritto ad un contributo di mantenimento in favore del figlio *** e l’entità di questo.
In proposito osserva preliminarmente il collegio che non sono ammissibili le nuove prove dedotte dall’appellato in comparsa di costituzione e risposta: a seguito della novella introdotta dal D.L. n. 83/2012, infatti, l’art. 345 cod. proc. civ. non consente più l’ammissione in grado di appello di nuove prove ritenute indispensabili ai fini della decisione, ma unicamente di quelle non dedotte in primo grado per motivi non imputabili alla parte (circostanza, quest’ultima, non allegata nel caso in esame). Ciò posto, YYY ha prodotto già nel giudizio di primo grado un estratto contributivo da cui risulta che il figlio *** nel 2011 ha prestato attività lavorativa per 233 giorni percependo una retribuzione di 12.727 €, nel 2012 ha lavorato per 300 giorni presso due distinti datori di lavoro guadagnando complessivamente 20.001 €, e nel 2013 è stato occupato per 180 giorni, con una retribuzione di 4.761 €.
Tale circostanza, non specificamente contestata dall’appellante ma effettivamente non presa in considerazione dal primo giudice, è indice del fatto che tra il 2011 e il 2012 il ragazzo, oggi ventinovenne, aveva raggiunto una adeguata capacità di produrre reddito. Il corrispondente obbligo di mantenimento da parte del genitore è quindi cessato, e non può rivivere in caso di successiva perdita dell’occupazione o di negativo andamento della stessa: per giurisprudenza costante, infatti, “Il diritto del coniuge separato di ottenere dall’altro coniuge un assegno per il mantenimento del figlio maggiorenne convivente è da escludere quando quest’ultimo, ancorché allo stato non autosufficiente economicamente, abbia in passato iniziato ad espletare un’attività lavorativa, così dimostrando il raggiungimento di una adeguata capacità e determinando la cessazione del corrispondente obbligo di mantenimento ad opera del genitore. Né assume rilievo il sopravvenire di circostanze ulteriori (come, ad esempio, la negatività dell’andamento dell’attività commerciale dal medesimo espletata), le quali, se pur determinano l’effetto di renderlo privo di sostentamento economico, non possono far risorgere un obbligo di mantenimento i cui presupposti siano già venuti meno” (Cass. n. 26259 del 02/12/2005; nello stesso senso v. anche, più di recente, Cass. n. 6509 del 14/03/2017).
In assenza di più specifiche allegazioni circa percorso scolastico, titoli di studio, formazione professionale ed aspirazioni del figlio, infatti, avendo riguardo al complessivo tenore di vita familiare quale risulta dalle condizioni economico-reddituali delle parti e della stessa figlia Ilaria deve ritenersi che i redditi percepiti nel 2011 e nel 2012 costituiscano indice del raggiungimento da parte sua di una adeguata capacità di produrre reddito.
L’assegno per il mantenimento del figlio *** deve pertanto essere revocato, con decorrenza dalla pubblicazione della presente sentenza.
6. La reciproca soccombenza comporta la compensazione delle spese anche di questo grado di giudizio.
P.Q.M.
la Corte, definitivamente pronunciando sull’appello proposto da XXX nei confronti di YYY avverso la sentenza del Tribunale di Roma n. /2016 depositata il 18/11/2016, in parziale riforma della sentenza appellata, così provvede:
1) Pone a carico di YYY e in favore di XXX un assegno divorzile dell’importo mensile di € 200, con decorrenza dal mese di aprile 2014, annualmente rivalutabile a far data dal mese di aprile 2021 secondo gli indici Istat dei prezzi per le famiglie di operai e impiegati;
2) Revoca l’assegno di mantenimento per il figlio *** posto a carico di YYY, con decorrenza dalla data di pubblicazione della presente sentenza;
3) Dichiara compensate le spese del presente grado di giudizio.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione il 17 marzo 2020
Il Consigliere estensore
La Presidente
La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di
Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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