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Assenza di causa del contratto di mutuo fondiario

Il mutuo fondiario non è un mutuo di scopo, poiché nessuna delle norme da cui è regolato impone una specifica destinazione del finanziamento concesso.

Pubblicato il 26 April 2021 in Diritto Bancario, Giurisprudenza Civile

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE ORDINARIO DI CASSINO

nella persona del Giudice designato dott.ssa, ha emesso la seguente

SENTENZA n. 584/2021 pubblicata il 20/04/2021

nella causa civile iscritta al n. del ruolo generale per gli affari contenziosi dell’anno 2017, posta in decisione all’udienza del 2.12.2020 e vertente

TRA

XXX c.f. e YYY c.f., elett.te domiciliata in presso lo studio dell’avvocato, che lo rappresenta e difende giusta procura in calce all’atto di citazione

ATTORI

E

ZZZ S.P.A. p.i. 00348170101, elett.te domiciliata in, rappresentata e difesa dall’avv. giusta giusta mandato in calce alla comparsa di costituzione in sostituzione della propria mandataria

CONVENUTA

OGGETTO: opposizione all’esecuzione.

CONCLUSIONI

Le parti hanno precisato le conclusioni come da verbale dell’udienza del 2.12.2020 e la causa è stata trattenuta in decisione con assegnazione dei termini di cui all’art. 190 c.p.c.

IN FATTO E IN DIRITTO

Con atto di citazione regolarmente notificato, XXX e YYY proponevano opposizione all’esecuzione immobiliare ex art. 615 cpc 2^ comma avverso il pignoramento immobiliare dalla *** s.p.a. quale procuratrice di ZZZ s.p.a. che aveva colpito i beni a suo tempo concessi in ipoteca quale garanzia del mutuo fondiario stipulato in data 30.06.2008 rep. N. raccolta n. 5750.

Si opponevano all’opposizione per cui è causa, ritenendo non dovute le somme richieste, poiché il mutuo presentava diversi profili di nullità, in primis l’assenza di causa, per essere stato contratto al solo scopo di consolidare una pregressa esposizione debitoria relativa al passivo di conto corrente n. in essere con la ZZZ, rapporto affetto da molteplici profili di nullità e a due finanziamenti per i quali risultava un debito di € 5.045,43 e di € 4.402,43, per un totale di € 9.807,86. La restante somma di € 142.904,95 veniva riversata sul conto corrente indicato, che all’epoca presentava un’esposizione debitoria di € 55.175,33, che pure si è contestato. Anzi affermavano di essere loro stessi creditori per via dei diversi profili di nullità che caratterizzavano entrambi i rapporti, pure una volta operata la compensazione fra le reciproche poste attive e passive.

Deduceva, comunque, nell’atto di citazione l’illegittima applicazione del tasso di interesse passivo ultralegale senza pattuizione scritta e indeterminato perché da calcolarsi mediante rinvio alle clausole uso piazza, l’illegittima applicazione della capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi e della relativa clausola, l’illegittima corresponsione delle commissioni di massimo scoperto, l’illegittima applicazione di spese e onere non previsti contrattualmente, la previsione e l’applicazione di tassi di interesse usurari. In forza di tali rilievi, chiedeva rideterminarsi il rapporto di dare e avere tra le parti, anche in considerazione della data di contabilizzazione delle operazioni per tutti i rapporti per cui è causa. Deduceva, infine, la unilaterale e illegittima modifica delle condizioni contrattuali e la violazione dei canoni di correttezza e buona fede nell’esecuzione del rapporto.

Concludeva chiedendo, l’accertamento del rapporto di dare ed avere tra le parti in forza delle invocate illegittimità sia del contratto di mutuo, sia del rapporto di conto corrente e la ripetizione di quanto illegittimamente versato e percepito dalla Banca, nonché il risarcimento di tutti i danni subiti. Le suddette nullità dovevano, inoltre, ritenersi estese anche alle fideiussioni rilasciate.

In termini probatori evidenziava come prive di riscontro fossero rimaste le richieste inoltrate nel 2015 e nel 2017 alla Banca creditrice di consegna del contratto di conto corrente e degli estratti conto dall’inizio del rapporto.

Si costituiva in giudizio la ZZZ s.p.a., in principio mediante mandataria, contestando l’avverso atto di opposizione, affermando la legittimità del mutuo e delle richieste operate, nonché dell’operato della Banca durante l’esecuzione del rapporto. Giudicava inammissibili le richieste formulate dagli attori Instaurato il contraddittorio, concessi i termini ex art. 183 comma 6 c.p.c., veniva nominata la dott.ssa *** quale consulente tecnico per l’esatta ricostruzione dei rapporti di dare e avere del solo contratto di mutuo, previa verifica dei profili di illegittimità dedotti dalla parte opponente. L’elaborato peritale veniva depositato e, quindi, terminata l’istruttoria, la causa era trattenuta in decisione, secondo quanto sopra riportato.

Occorre premettere che la parte opponente né ha depositato il contratto di conto corrente né tutti gli estratti conto, ma soltanto alcuni estratti conto a partire dall’anno 1996 per poi seguire con alcuni estratti conto del 1997, del 1998, 1997, 2002, 2003, 2006, 2007 e 2008 e, al fine di superare l’impossibilità di ricostruzione del rapporto, evidente tenuto conto non solo dell’assenza del contratto di regolamentazione del rapporto ma vieppiù della maggior parte degli estratti conto, chiedeva ordinarsi la produzione in giudizio di tutta la documentazione mancante ai senti dell’art. 210cpc alla Banca convenuta, documentando di essersi attivata con richiesta ex art. 119 TUB fin dal 2013 per l’acquisizione della documentazione medesima.

Occorre considerare che l’ordine di esibizione non è istituto atto a supplire al mancato assolvimento dell’onere probatorio in capo all’istante- nel nostro caso gli opponenti- (cfr. Cass. n. 17948 del 2006) e deve avere ad oggetto solo atti o documenti specificamente individuati o individuabili dei quali sia noto, o almeno assertivamente indicato, un preciso contenuto (cfr. Cass. n. 13702 del 2003), e tra questi non possono rientrare gli estratti conto quando siano genericamente mirati alla ricostruzione della contabilità del rapporto di conto corrente senza che si ipotizzi specificamente quale sia l’utilità di quella acquisizione ai fini della dimostrazione della domanda giudiziale. In particolare, la richiesta ha ad oggetto documenti direttamente accessibili dalla parte ex art. 119 TUB, ossia documenti che la parte, nel diligente assolvimento dell’onere probatorio su di essa gravante, avrebbe dovuto previamente acquisire, atteso che lo strumento di cui all’art. 210 c.p.c. non può essere utilizzato per supplire al predetto onere.

D’altro canto, ai sensi dell’art. 117 TUB, in materia bancaria, “i contratti sono redatti per iscritto e un esemplare è consegnato ai clienti”, mentre ai sensi dell’art. 119 TUB IV comma, oltre al diritto alle comunicazioni periodiche, si prevede pure che il cliente, colui che gli succede a qualunque titolo e colui che subentra nell’amministrazione dei suoi beni hanno diritto di ottenere, a proprie spese, entro un congruo termine e comunque non oltre novanta giorni, copia della documentazione inerente a singole operazioni poste in essere negli ultimi dieci anni, ma in tali termini è convenuto l’obbligo di conservazione della documentazione e non oltre.

Ebbene, la prima richiesta di acquisizione documentazione risale al 2013, ma la stessa risulta generica dal momento che nemmeno è indicata la data o l’anno del contratto di conto corrente che pure potrebbe essere precedente al 01.04.1994 (data di entrata in vigore del TUB)” e dunque non essere stato redatto in forma scritta in difetto di specifico obbligo normativo. Le stesse produzioni attoree attestano invece l’esistenza di documentazione contrattuale risalente già al 1996 e dunque ben anteriore al limite decennale di conservazione anche ai fini della consegna al cliente di cui all’art. 119 TUB rispetto alla richiesta del 2013. Inoltre, non si può ordinare l’esibizione di un documento del quale non si conosce l’esistenza effettiva. L’istanza di parte attrice ex art. 210 c.p.c., di ordinare la produzione del contratto di conto corrente e delle convenzioni successive, dal momento che non si ha cognizione della data di conclusione del contratto e nemmeno della circostanza se lo stesso sia stato redatto in forma scritta.

Occorre precisare che non si è voluto sanzionare la mancata allegazione del contratto, poiché, per quanto detto, non si ha alcuna certezza o indicazione circa l’effettiva esistenza del documento, ma la totale insufficienza degli estratti conto che non hanno permesso di ricostruire le condizioni praticare nel corso del rapporto.

Deve prendersi dunque atto che le domande relative al rapporto di conto corrente non possono essere esaminate per insufficiente assolvimento dell’onere probatorio e di quello allegatorio.

Nemmeno è possibile immaginare di superare i limiti di cui sopra attraverso la riunione del presente giudizio, in cui sono maturate le preclusioni appena descritte attraverso la riunione del presente giudizio a quello di opposizione a decreto ingiuntivo oggi pendente recante Rg n. 737/2019 e relativo al conto corrente per cui è causa. E’ pure il caso di sottolineare che le due cause pendevano in fasi del tutto diverse già quando è stata formulata l’istanza.

Del resto, al di là dell’evidente connessione soggettiva, neanche risulta evidente la connessione oggettiva rivendicata dalla parte opponente, per cui pure discutibile appare la possibilità di cumulo delle domande proposte dall’opponente.

ASSENZA di CAUSA del contratto di mutuo fondiario

Gli opponenti assumono la nullità in radice del contratto di mutuo fondiario, deducendo la carenza di causa dell’operazione, perché conclusa unicamente per ottenere una garanzia immobiliare al di fuori dei presupposti causali propri del contratto di mutuo e dunque per ripianare posizioni debitorie non garantite.

La Banca d’Italia – in sede di chiarimenti sul D.Lgs. n. 385/93 – ha avuto modo di affermare che l’art. 38 Tub “non prevede che il credito sia caratterizzato da uno scopo”, non sussistendo “pertanto vincoli di destinazione ex lege alle somme erogate”; il che “non esclude ovviamente la possibilità per le parti di concludere contratti di credito fondiario in cui sia individuata la destinazione dei finanziamenti”.

Per vero, parte della dottrina ha osservato che, nella nozione generale di credito fondiario contenuta all’interno dell’art. 38, comma 1, effettivamente non vi è alcun riferimento ad uno scopo, rimarcando tuttavia come il riferimento, che compare invece nel secondo comma, al valore dell’immobile e al costo delle opere da eseguire sugli stessi (riferimento che si comprende in ragione del riassorbimento nella generica dicitura “credito fondiario”, sia del credito fondiario già disciplinato dagli artt. 4 e ss. della l. 6 giugno 1991, n. 175, sia del credito edilizio già disciplinato dalla medesima legge e dalla stessa qualificato come avente per oggetto “la concessione di mutui ed anticipazioni garantiti da ipoteca destinati alla costruzione, ricostruzione, riparazione, trasformazione, sopraelevazione e recupero di immobili”) presti più di un argomento a sostegno della rilevanza dello scopo anche nel credito fondiario, seppure in via eventuale.

Altra dottrina ha escluso, in via prevalente, che il finanziamento fondiario si caratterizzi in termini di mutuo di scopo pur ammettendo che esso possa in concreto atteggiarsi come tale ogniqualvolta risulti identificata con precisione la destinazione della somma finanziata.

Anche la giurisprudenza di legittimità si è posta su questa linea di pensiero sostenendo che il c.d. mutuo fondiario non costituisca affatto un mutuo di scopo (Cass. 20 aprile 2007, n. 9511; Cass. 11 gennaio 2001, n. 317).

A riguardo, Cass. 26 marzo 2012, n. 4792 ha affermato chiaramente che “il mutuo fondiario non è un mutuo di scopo, poiché nessuna delle norme da cui è regolato impone una specifica destinazione del finanziamento concesso né vincola il mutuatario al conseguimento di una determinata finalità e l’istituto mutuante al controllo dell’utilizzazione della somma erogata, ma si qualifica nella specificità in funzione della possibilità di prestazione, da parte del mutuatario che sia proprietario di immobili rustici o urbani, di garanzia ipotecaria”.

Pertanto, può affermarsi che, essendo il contratto di credito fondiario connotato dalla concessione, da parte di banche, di finanziamenti a medio e lungo termine garantiti da ipoteca di primo grado su immobili (arg. ex art. 38 cit.), lo scopo del finanziamento non entra nella causa del contratto, che è data dall’immediata disponibilità di denaro a fronte della concessione di garanzia ipotecaria immobiliare, con restituzione della somma oltre il breve termine (nei limiti ed alle condizioni previste dalla normativa secondaria di settore); laddove, invece, nel mutuo di scopo, legale o convenzionale, la destinazione delle somme mutuate è parte inscindibile del regolamento di interessi e l’impegno assunto dal mutuatario ha rilevanza corrispettiva nell’attribuzione della somma, quindi rilievo causale nell’economia del contratto (cfr. Cass. n. 943/12).

Pertanto, è lecito il contratto di mutuo fondiario stipulato dal mutuatario, ai sensi del D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, art. 38, per sanare debiti pregressi verso la banca mutuante (cfr. Cass. n. 28663/13; Cass. 19282/2014).

Per vero, tale nozione di mutuo fondiario è fatta propria anche dalla giurisprudenza di merito la quale non ha mancato di affermare, in fattispecie analoghe a quella in commento, come il mutuo utilizzato dalla banca per ripianare l’esposizione debitoria abbia causa lecita. La concessione di una dilazione di pagamento per un credito immediatamente esigibile in cambio di una diversa regolamentazione delle condizioni relative (anche più favorevoli) costituisce, infatti, uno scambio economico effettivo e meritevole di tutela giuridica (cfr. Tribunale di Napoli, sentenza 23-09-2014).

Infatti, il credito fondiario “monetizza” nell’immediato il valore di scambio del bene immobile (cfr. Corte cost, 22 giugno 2004, n. 175), pur senza procedere il mutuatario alla dismissione di esso, e permette, a differenza ad esempio del mutuo ordinario o dell’apertura di credito, una durata medio-lunga, ciò essendo sufficiente ad integrarne la causa concreta.

Ne deriva che, nel mutuo fondiario, il finanziamento dietro garanzia ipotecaria ben può essere finalizzato allo scopo soggettivo che le parti si prefiggono, e, se questo è costituito dall’utilizzo della somma per sanare debiti pregressi verso la banca, non per ciò solo può predicarsene l’illiceità. E ciò appare del tutto coerente con la situazione fattuale, in cui l’erogazione di denaro si è certamente realizzata, indipendentemente dall’uso che ne sia seguito.

Superata dunque questa prima obiezione e venendo al piano di ammortamento e ai profili di nullità che lo contraddistinguono, nonché alle condizioni concretamente poste in essere dalla Banca secondo la prospettazione di parte attrice, occorre dare atto che l’unico profilo idoneo a determinare l’illiceità del contratto di mutuo e non la semplice nullità è quello della possibile usurarietà degli interessi applicati. Deve, in proposito osservarsi, che la legge antiusura del 1996 delinea una fattispecie incriminatrice diversa rispetto alla precedente formulazione contenuta nell’art. 644 c.p.: ai tre presupposti dello stato di bisogno, del consapevole approfittamento e della sproporzione, si sostituisce quello della dazione di interessi oggettivamente superiori alla soglia individuata per legge. Sotto il profilo del bene giuridico, ne consegue una estensione verso la tutela del corretto svolgimento di rapporti economici, soprattutto nell’ambito del mercato finanziario. La novella ha, altresì, modificato la disciplina civilistica del contratto viziato da clausole afferenti ad interessi usurari. Infatti, adesso, l’art. 1815, 2°, c.c., nell’attuale formulazione, prevede che, nel caso in cui siano convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi (art. 4 l. n° 108/96). Si tratta di una ipotesi di nullità parziale del contratto (art. 1419, 2° comma, c.c. e 1339 c.c.), che lascia per il resto il regolamento contrattuale valido ed efficace; il contratto di mutuo con interessi usurari (punito dall’art. 644 c.p.), così come gli altri contratti di finanziamento nelle diverse formule, viene trasformato, attraverso il meccanismo della nullità, parziale, in contratto lecito, attraverso la eliminazione (e non più la sostituzione del tasso, con ingresso così di strumenti sanzionatori civili) della clausola. Il contratto, in tal caso, resta valido ed efficace, avendo il legislatore superato con espressa previsione anche la nullità per contrarietà a norme imperative per tutelare il debitore contro la nullità dell’intero contratto, che comporterebbe la immediata esigibilità della somma mutuata e indurrebbe il debitore ad astenersi dal far valere la nullità, onde evitare l’immediata restituzione delle somme.

Ciò non di meno, deve evidenziarsi che, in caso di contratto usurario, la nullità (parziale) è comminata in considerazione della illiceità della causa ( artt. 1343 e 1418 c.c. ), poiché Il carattere imperativo della norma di ordine pubblico che reprime la dazione di interessi usurari ne esclude la liceità anche sotto il profilo civilistico. E, infatti, la visione sistematica della legge, onnicomprensiva dei profili civili e penali, considerando la dazione degli interessi o altri vantaggi usurari come reato, introduce una nullità virtuale conseguente ad una disposizione penale di carattere imperativo.

In relazione a come la norma disegna il reato, può parlarsi, comunque, di usura sopravvenuta in relazione alla necessità di procedere alla verifica di usurarietà delle condizioni contrattuali nel caso di tasso convenuto originariamente in misura lecita (ossia sotto soglia usura o in assenza di previsione) ma che, per effetto di una sopravvenuta variazione in diminuzione del tasso soglia, sia divenuto successivamente superiore al tasso soglia rilevato di tempo in tempo.

Non risultando possibile colpire un contratto o una singola clausola contrattuale con la sanzione della nullità, quando al momento in cui le parti hanno concluso il contratto tale contrarietà all’ordinamento non sussisteva, si affida, allora, al principio della buona fede, intesa in senso oggettivo (e al conseguente divieto dell’abuso del diritto), la funzione di realizzare nell’ambito di tali rapporti contrattuali il giusto equilibrio tra i contrapposti interessi, in ossequio al dovere di solidarietà sociale di cui all’art. 2 cost. In ambito contrattuale, la buona fede impone dunque a ciascuna parte di un rapporto obbligatorio di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra, a prescindere dall’esistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito da singole norme di legge, dotando i vincoli negoziali della “flessibilità” necessaria ad incorporare i valori etici dell’ordinamento giuridico (Cass., 5 marzo 2009, n. 5348; Cass., sez. un., 15 novembre 2007, n. 23726).

In particolare, in termini di tutela del debitore, la conseguenza del superamento dei tassi soglia, determinati secondo i criteri di legge, dei tassi di interesse convenzionali, originariamente non in contrasto con atti normativi, si sposta dunque dal piano del regolamento contrattuale a quello dell’esecuzione del contratto; la Giurisprudenza, richiamando il principio della buona fede, ha individuato nella non esigibilità degli interessi in misura superiore al tasso soglia e nella ripetizione di quelli già versati un equo contemperamento degli interessi delle parti, in conformità e in attuazione del richiamato generale principio (Corte di Cassazione, sez. Un. Civili – 19 ottobre 2017, n. 24675 ).

Ai sensi dell’art. 117 del T.U.B. i contratti conclusi con le banche devono essere stipulati per iscritto e devono esplicitamente indicare il tasso di interesse pattuito. Nel caso di inosservanza della forma scritta il contratto è nullo come pure sono nulle e si considerano non apposte le clausole contrattuali di rinvio agli usi per la determinazione dei tassi di interesse e di ogni altro prezzo e condizione praticati nonché quelle che prevedono tassi, prezzi e condizioni più sfavorevoli per i clienti di quelli pubblicizzati (dovendo in questo caso applicare il tasso nominale minimo e quello massimo dei buoni ordinari del tesoro annuali o di altri titoli similari eventualmente indicati dal ministro del tesoro, emessi nei dodici mesi precedenti la conclusione del contratto, rispettivamente per le operazioni attive e per quelle passive). Precisa altresì la Corte di Cassazione (sentenza del 18 aprile 2001, n. 5675) che “In tema di contratti bancari, nel regime anteriore alla entrata in vigore della l. 17 febbraio 1992 n. 154, e del successivo t.u. sulla disciplina bancaria – che introducono norme nuove, a carattere non retroattivo, in tema di trasparenza bancaria, vietando, tra l’altro, espressamente il rinvio agli usi di piazza – la convenzione relativa agli interessi è validamente stipulata, in ossequio al disposto dell’art.1284, comma 3, c.c. (che è norma imperativa, la cui violazione determina nullità assoluta ed insanabile), quando il relativo tasso risulti determinabile e controllabile in base a criteri in detta convenzione oggettivamente indicati e richiamati. Pertanto, una clausola contenente un generico riferimento alle “condizioni usualmente praticate dalle aziende di credito sulla piazza” può ritenersi valida ed univoca solo se coordinata alla esistenza di vincolanti discipline fissate su larga scala nazionale con accordi interbancari, nel rispetto delle regole di concorrenza e non anche quando tali accordi contengano riferimenti a tipologie di tassi praticati su scala locale e non consentano, per la loro genericità, di stabilire a quale previsione le parti abbiano inteso fare concreto riferimento” (cfr. anche Cass. 23 settembre 2002 n.13823).

La Corte, quindi, mantiene fermo l’insegnamento secondo cui il requisito della forma scritta richiesto, a pena di nullità, per la pattuizione di interessi superiori alla misura legale (art.1284, ultimo comma, c.c.) non postula necessariamente che il documento contrattuale contenga l’indicazione in cifre del tasso d’interesse pattuito, ma può essere soddisfatto anche per relationem (essendo sufficiente che le parti richiamino per iscritto criteri prestabiliti ed elementi estrinseci, obbiettivamente individuabili, che consentano la concreta determinazione del tasso convenzionale (cfr. oltre alle sentenze sopra menzionate, Cass. 18 maggio 1996, n.4605; Cass. 11 novembre 1997, n. 11042; Cass. 8 maggio 1998, n. 4696; Cass. 23 giugno 1998, n. 6247; Cass. 19 luglio 2000, n. 9465). Aggiunge tuttavia che una clausola, la quale si limiti a fare riferimento alle condizioni praticate usualmente dalle aziende di credito sulla “piazza”, non è sufficientemente univoca e non può quindi giustificare la pretesa al pagamento di interessi in misura superiore a quella legale, poiché, data l’esistenza di diverse tipologie di interessi, essa non consente, per la sua genericità, di stabilire a quale previsione le parti abbiano inteso concretamente riferirsi.

Inoltre, sempre con riferimento al mutuo, si osservi che la Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza 350/2013, ha stabilito che, quando il tasso di mora, le penali e le eventuali spese, unite al tasso di interesse, insieme, superano il tasso soglia, stabilito dalla legge antiusura 108/96, anche i mutui diventano usurai, al pari degli altri contratti bancari. La Corte di Cassazione, in particolare, oltre a permettere il recupero integrale degli interessi pagati su mutui, leasing e finanziamenti, ha anche affermato che il mutuo ipotecario possa essere annullato se ricorrono alcuni estremi che lo riportino a superare il tasso d’usura – ovviamente al momento della pattuizione-, con applicabilità di tutte le possibilità previste dalla Legge n. 108/96, ivi compresa la restituzione di tutte le somme versate con l’applicazione del articolo 1815 c.c., richiamato anche dall’art. 644 CP e dell’art. 4 della L108/96 che in sintesi prevedono la nullità della clausola contrattuale.

Tuttavia, a tale affermazione non consegue affatto che gli interessi corrispettivi e quelli moratori vadano cumulati mediante la sommatoria dei tassi corrispondenti. Infatti, l’interesse moratorio è un accessorio del credito che viene ad esistenza solo ipoteticamente, laddove il mutuatario si renda inadempiente, onde sarebbe erroneo applicarlo all’intero capitale da restituire. Tale interesse incide, piuttosto, sulle singole rate di ammortamento che non siano corrisposte o siano tardivamente corrisposte: se anche volesse credersi, dunque, che i due interessi si cumulano, l’interesse moratorio andrebbe calcolato prendendo in considerazione non già l’intero montante, quanto la frazione o le frazioni del debito che sono oggetto di inadempimento.

In altri termini, se è vero che il superamento del tasso soglia debba essere accertato con riferimento al momento in cui gli interessi stessi siano promessi o convenuti, non è altrettanto vero che ai fini della verifica dell’usurarietà possano semplicisticamente sommarsi i tassi degli interessi corrispettivi e di quelli moratori, giacché gli uni in quel frangente sono sicuramente dovuti nella misura pattuita (e quindi sull’intero capitale, se pure il rimborso risulta essere frazionato), mentre gli altri verranno ad esistenza se vi sarà inadempimento e saranno da corrispondere nella misura che potrà determinarsi solo a posteriori, sulla base dell’entità dell’inadempimento stesso.

Sicchè, una eventuale verifica del superamento del tasso soglia andrebbe effettuata parallelamente e separatamente con riferimento ai due tassi, che assolvono a due funzioni diverse.

Le Sezioni Unite della Cassazione (n. 19597 del 18.9.2020), al fine di pronunciarsi sulla questione, ritenuta di massima di particolare importanza ai sensi dell’art. 374, comma 2, c.p.c., se anche gli interessi di mora fossero soggetti, o meno, alla normativa antiusura di cui agli artt. 644 c.p. e 1815 c.c. hanno chiarito che la disciplina antiusura si applica agli interessi moratori, intendendo essa sanzionare la pattuizione di interessi eccessivi convenuti al momento della stipula del contratto quale corrispettivo per la concessione del denaro, ma anche la promessa di qualsiasi somma usuraria sia dovuta in relazione al contratto concluso. Inoltre, la mancata indicazione dell’interesse di mora nell’ambito del T.e.g.m. non preclude l’applicazione dei decreti ministeriali, i quali contengano comunque la rilevazione del tasso medio praticato dagli operatori professionali, statisticamente rilevato in modo del pari oggettivo ed unitario, essendo questo idoneo a palesare che una clausola sugli interessi moratori sia usuraria, perché “fuori mercato”, donde la formula: “T.e.g.m., più la maggiorazione media degli interessi moratori, il tutto moltiplicato per il coefficiente in aumento, più i punti percentuali aggiuntivi, previsti quale ulteriore tolleranza dal predetto decreto; ove i decreti ministeriali non rechino neppure l’indicazione della maggiorazione media dei moratori, resta il termine di confronto del T.e.g.m. così come rilevato, con la maggiorazione ivi prevista.

Un ulteriore problema si pone poi in ordine al tasso di interesse applicabile allorché intervenga la dichiarazione di nullità. Sul punto si ritiene o che, per effetto del meccanismo di integrazione legale previsto dall’art. 1284 c.c., gli interessi siano dovuti nella misura legale (anziché in quella pretesa dalla banca), e ciò per la durata dell’intero rapporto, ovvero che fino all’entrata in vigore della l. n. 154 del 1992 trovi applicazione il tasso di interesse legale e, successivamente, il tasso nominale minimo e di quello massimo dei buoni ordinari del tesoro annuali o di altri titoli similari eventualmente indicati dal Ministro dell’economia e delle finanze, emessi nei dodici mesi precedenti la conclusione del contratto, rispettivamente per le operazioni attive e per quelle passive, secondo il TU in materia bancaria e creditizia (Trib. Monza 4 febbraio 1999).

Sul punto, a tacitazione della querelle, sono intervenute, assai attese, le Sezioni Unite della Suprema Corte (ordinanza n. 19597/2020), che hanno affermato che in caso di accertamento di avvenuto superamento della soglia antiusura da parte del tasso di mora occorre applicare l’art. 1815, comma 2, cod. civ., ma in una lettura interpretativa che preservi il prezzo del denaro.

Hanno reputato, infatti, che la norma citata possa trovare una interpretazione che, pur sanzionando la pattuizione degli interessi usurari, faccia seguire la sanzione della non debenza di qualsiasi interesse, ma limitatamente al tipo che quella soglia abbia superato.

Invero, ove l’interesse corrispettivo sia lecito, e solo il calcolo degli interessi moratori applicati comporti il superamento della predetta soglia usuraria, ne deriva che solo questi ultimi sono illeciti e preclusi; ma resta l’applicazione dell’art. 1224, comma 1, cod. civ., con la conseguente applicazione degli interessi nella misura dei corrispettivi lecitamente pattuiti.

CAPITALIZZAZIONE TRIMESTRALE

Passando all’esame dell’ulteriore questione relativa all’illegittima capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi, occorre rilevare immediatamente che ai sensi dell’art. 7 comma 2, delle norme regolamentari sulle aperture di credito in conto corrente, riportate nel contratto stipulato tra le parti « i conti che risultano, anche saltuariamente, debitori vengono … chiusi contabilmente, in via normale, trimestralmente … applicando agli interessi dovuti dal correntista e alle competenze di chiusura, valuta data di regolamento del conto, fermo restando che a fine d’anno … saranno accreditati gli interessi dovuti dal Banco … ».

Con le sentenze 30 giugno 1999 n. 3096 della sez. III^, 16 marzo 1999 n. 2374 e 11 novembre 1999 n. 12507 della sez. I^, la Corte di Cassazione (in tali termini si era già espressa la giurisprudenza di merito; cfr.: Trib. Vercelli 21 luglio 1994, Foro it., 1995, I, 1662; Pret. Roma 11 novembre 1996, id., Rep. 1998, voce Banca, credito e risparmio, n. 95, Nuova giur. Civ., 1998, I, 183; Trib. Busto Arsizio 15 giugno 1998, Foro it., 1998, I, 2997; nonché, da ultimo, Trib. Monza 23 febbraio 1999, id., 1999, I, 1340), mutando radicalmente il proprio inveterato orientamento (cfr. Cass. 18 dicembre 1998, n. 12675, Foro it., Mass., 1337; 17 aprile 1997, n. 3296, id., Rep. 1997, voce Interessi, n. 13; 1° settembre 1995, n. 9227, id., Rep. 1996, voce cit., n. 10; 20 giugno 1992, n. 7571, Foro it., Rep. 1993, voce cit., n. 16; 30 maggio 1989, n. 2644, Foro it., 1989, I, 3127; 6 giugno 1988, n. 3804, Foro it., Rep. 1988, voce cit., n. 9; 5 giugno 1987, n. 4920, Foro it., 1988, I, 2352; 19 agosto 1983, n. 5409, Foro it., Rep. 1983, voce cit., n. 18; 15 dicembre 1981, n. 6631, id., Rep. 1982, voce cit., n. 6), ha sancito la nullità delle clausole contemplanti la capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi nei contratti bancari, per violazione del disposto di cui all’art. 1283 Cod. Civ..

Com’è noto, tale norma consente che gli interessi scaduti producano ulteriori interessi a condizione che:

A) si tratti di interessi dovuti almeno per un semestre;

B) la capitalizzazione degli interessi sia pattuita con convenzione posteriore alla loro scadenza ovvero sia richiesta con domanda giudiziale.

La disposizione in esame consente, tuttavia, di derogare all’illustrato divieto quando l’anatocismo trovi fondamento in “usi contrari”, i quali, secondo l’unanime orientamento degli interpreti, non possono che avere natura di usi normativi (artt. 1 ed 8 delle disp. Sulla legge in generale), e non anche di usi negoziali (art. 1340 c.c.) o interpretativi (art. 1368 c.c.), perché operando sullo stesso piano della norma, come eccezione al principio ivi affermato, partecipano necessariamente della natura delle regole dettate dal legislatore (cfr. Cassazione 15 dicembre 1981 n. 6631).

Ebbene, le decisioni della Suprema Corte sopra segnalate, sovvertendo il precedente, costante, insegnamento (v. per tutte Cass. n. 4920/87) hanno argomentatamente escluso l’esistenza di una consuetudine (fonte di diritto) in base alla quale nei rapporti tra banca e cliente gli interessi a carico di quest’ultimo possano essere capitalizzati ogni trimestre, evidenziando, per un verso, che la costanza e la generalità della prassi effettivamente instauratasi in tal senso (prassi in concreto ineludibile perché attuata dalle banche mediante clausole uniformi e unilateralmente predisposte), se valgono a realizzare un uso negoziale, non sono invece sufficienti ad identificare un uso normativo (caratterizzato, sul piano soggettivo, dalla consapevolezza di prestare osservanza ad una norma giuridica), e considerando, per altro verso, che nell’ambito dei contratti bancari mancano (segnatamente per quanto concerne il modus operandi del cliente, che stipula secondo schemi negoziali predisposti dalla banca) elementi che consentano di ravvisare nell’anatocismo la comune convinzione dei contraenti di attuare una regola vertente su materia giuridicamente rilevante per la natura delle situazioni da disciplinare.

Occorre dare atto che nell’anno 2000 interveniva la delibera CICR che ha legittimato la capitalizzazione degli interessi, in deroga dunque il divieto generale di anatocismo, purché però le condizioni previste e praticate fossero le medesime per la Banca e il Cliente. La decorrenza di tale normativa è fissata al 1.07.2000.

Correva, in proposito, però, l’obbligo per le Banche che volessero adeguarvisi di provvedere a pubblicizzare la relativa volontà, nonché a precisarla e ad esplicarla nel dettaglio.

3.§. Decorrenza delle valute (art. 120 TUB)
Gli interessi sui versamenti presso una banca di denaro, assegni circolari emessi dalla stessa banca e assegni bancari tratti sulla stessa succursale presso la quale è effettuato il versamento sono conteggiati con la valuta del giorno in cui è effettuato il versamento e sono dovuti fino a quello del prelevamento.

Diversamente, per quanto concerne, il mancato invio della documentazione periodica prevista in contratto e dalla legge, deve darsi atto che la trasmissione non è prevista nella forma di raccomandata con ricevuta di ritorno, quindi, è onere della parte, durante lo svolgimento del rapporto, eccepire eventuali mancanze, diversamente, si addosserebbe sull’istituto di credito un obbligo ulteriore, non previsto dalla legge.

Con riguardo ai contratti di mutuo, deve riportarsi l’art. 3 della delibera CICR sopra citata – (Finanziamenti con piano di rimborso rateale) -, che testualmente recita: “1. Nelle operazioni di finanziamento per le quali è previsto che il rimborso del prestito avvenga mediante il pagamento di rate con scadenze temporali predefinite, in caso di inadempimento del debitore l’importo complessivamente dovuto alla scadenza di ciascuna rata può, se contrattualmente stabilito, produrre interessi a decorrere dalla data di scadenza e sino al momento del pagamento. Su questi interessi non è consentita la capitalizzazione periodica.

2. Quando il mancato pagamento determina la risoluzione del contratto di finanziamento, l’importo complessivamente dovuto può se contrattualmente stabilito, produrre interessi a decorrere dalla data di risoluzione. Su questi interessi non è consentita la capitalizzazione periodica.

3. Quando il pagamento avviene mediante regolamento in conto corrente si applicano le disposizioni dell’art. 2 (ovvero quelle stabilite per le operazioni di conto corrente).

Inoltre, sempre con riferimento al mutuo, si osservi che la Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza 350/2013, ha stabilito che, quando il tasso di mora, le penali e le eventuali spese, unite al tasso di interesse, insieme, superano il tasso soglia, stabilito dalla legge antiusura 108/96, anche i mutui diventano usurai, al pari degli altri contratti bancari. La Corte di Cassazione, in particolare, oltre a permettere il recupero integrale degli interessi pagati su mutui, leasing e finanziamenti, ha anche affermato che il mutuo ipotecario possa essere annullato se ricorrono alcuni estremi che lo riportino a superare il tasso d’usura – ovviamente al momento della pattuizione-, con applicabilità di tutte le possibilità previste dalla Legge n. 108/96, ivi compresa la restituzione di tutte le somme versate con l’applicazione del articolo 1815 c.c., richiamato anche dall’art. 644 CP e dell’art. 4 della L108/96 che in sintesi prevedono la nullità della clausola contrattuale.

Ebbene, venendo ora all’accertamento peritale, si consideri quanto di seguito.

Il contratto di mutuo di importo pari a lire 150.000.000 prevedeva un piano di ammortamento della durata di 25 anni e il pagamento di trecento rate mensili, comprensive di capitale e interessi, al tasso fisso del 6,49%. Il tasso di interesse moratorio era stabilito nel 6,49% + 2. Il Taeg rilevato dal CTU, sommando al tasso corrispettivo le commissioni e gli oneri aggiuntivi (eventuali spese di istruttoria, di perizie, di polizze, erogazione mutui, incasso singola rata, cancellazione ipoteche, duplicazione certificazione interessi, etc…), è risultato pari al 6,85%.

Il tasso soglia rilevato nel periodo di riferimento con riferimento alla categoria mutui era del 9,06.

Mai vi è stato superamento del tasso soglia.

La relazione di consulenza tecnica d’ufficio, depositata in data 14.07.2019, si è rivelata chiara ed esaustiva e, poiché le conclusioni della C.T.U. risultano dedotte da un’attenta ed analitica disamina degli elementi di fatto posti a sua disposizione ed appaiono ispirati a criteri valutativi corretti non solo dal punto di vista logico ma altresì conformi ai principi scientifici che presiedono la materia in esame, il Giudice ritiene di farli propri.

Infine, occorre dare atto che nel corso di giudizio vi è stata costituzione del titolare del rapporto in proprio.

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza, al pari di quelle di CTU.

P.Q.M.

Il Tribunale di Cassino così provvede:

1) Rigetta l’opposizione;

2) Rigetta le altre domande di parte opponente;

3) condanna XXX e YYY al pagamento in favore della

ZZZ s.p.a. al pagamento della somma di € 13.430,00 a titolo di compensi, oltre oneri di legge.

Cassino, 20.04.2021

Il Giudice

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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