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Assenze del lavoratore, infortunio o malattia

La Corte territoriale ha, invero, accertato che la patologia sofferta dalla lavoratrice alla caviglia sinistra era causalmente e direttamente collegata all’infortunio subito, senza svolgere altresì la valutazione della ricorrenza di una responsabilità datoriale nell’omissione delle misure necessarie per evitare l’evento e, dunque, trascurando il profilo dell’inadempimento datoriale all’obbligo di protezione imposto dall’articolo 2087 c. c. . Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, Sentenza n. 2527 del 4 febbraio 2020

Pubblicato il 17 February 2020 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Computabilità delle assenze del lavoratore dovute ad infortunio sul lavoro o a malattia professionale nel periodo di comporto

 

La fattispecie di recesso del datore di lavoro, in caso di assenze determinate da malattia del lavoratore, è soggetta alle regole dettate dall’articolo 2110 c.c., che prevalgono, per la loro specialità, sia sulla disciplina generale della risoluzione del contratto per sopravvenuta impossibilità parziale della prestazione lavorativa, sia sulla disciplina limitativa dei licenziamenti individuali, con la conseguenza che, in dipendenza di tale specialità, il datore di lavoro, da un lato, non può unilateralmente recedere o, comunque, far cessare il rapporto di lavoro prima del superamento del limite di tollerabilità dell’assenza (cosiddetto periodo di comporto), predeterminato per legge, dalla disciplina collettiva o dagli usi, oppure, in difetto di tali fonti, determinato dal giudice in via equitativa, e, dall’altro, che il superamento di quel limite è condizione sufficiente di legittimità del recesso, nel senso che non è all’uopo necessaria la prova del giustificato motivo oggettivo né della sopravvenuta impossibilità della prestazione lavorativa, né della correlata impossibilità di adibire il lavoratore a mansioni diverse, senza che ne risultino violati disposizioni o principi costituzionali (Cass. n. 5413 del 2003).

Le assenze del lavoratore dovute ad infortunio sul lavoro o a malattia professionale, in quanto riconducibili alla generale nozione di infortunio o malattia contenuta nell’articolo 2110 c.c., sono normalmente computabili nel previsto periodo di conservazione del posto, mentre, affinché l’assenza per malattia possa essere detratta dal periodo di comporto, non è sufficiente che la stessa abbia un’origine professionale, ossia meramente connessa alla prestazione lavorativa, ma è necessario che, in relazione ad essa ed alla sua genesi, sussista una responsabilità del datore di lavoro ex articolo 2087 c.c. (Cass. n. 5413 del 2003 cit.; Cass. n. 22248 del 2004; Cass. n. 26307 del 2014; Cass. 15972 del 2017; Cass. n. 26498 del 2018).

Più esattamente, la computabilità delle assenze del lavoratore dovute ad infortunio sul lavoro o a malattia professionale nel periodo di comporto non si verifica nelle ipotesi in cui l’infortunio sul lavoro o la malattia professionale non solo abbiano avuto origine in fattori di nocività insiti nelle modalità di esercizio delle mansioni e comunque presenti nell’ambiente di lavoro, e siano pertanto collegate allo svolgimento dell’attività lavorativa, ma altresì quando il datore di lavoro sia responsabile di tale situazione nociva e dannosa, per essere egli inadempiente all’obbligazione contrattuale a lui facente carico ai sensi dell’articolo 2087 c.c., norma che gli impone di porre in essere le misure necessarie secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica – per la tutela dell’integrità fisica e della personalità morale del lavoratore, atteso che in tali ipotesi l’impossibilità della prestazione lavorativa è imputabile al comportamento della stessa parte cui detta prestazione è destinata (Cass. n. 7037 del 2011).

Si è anche sottolineato come nessuna norma imperativa vieti che disposizioni collettive escludano dal computo delle assenze ai fini del cosiddetto periodo di comporto, cui fa riferimento l’articolo 2110 c.c., quelle dovute a infortuni sul lavoro, né tale esclusione – che è ragionevole e conforme al principio di non porre a carico del lavoratore le conseguenze del pregiudizio da lui subito a causa dell’attività lavorativa espletata – incontra limiti nella stessa disposizione, che, come lascia ampia libertà all’autonomia delle parti nella determinazione di tale periodo, così non può intendersi preclusiva di una delle forme di uso di tale libertà, quale è quella di delineare la sfera di rilevanza delle malattie secondo il loro genere e la loro genesi (Cass. n. 14377 del 2012; Cass. n. 9187 del 1997; Cass. n. 6080 del 1985; Cass. n. 889 del 1983).

Nel caso esaminato, la Corte di merito, nel ritenere escluse dal periodo di comporto le assenze conseguenti all’infortunio sul lavoro occorso alla dipendente, ha esclusivamente valutato (anche avvalendosi di consulente tecnico d’ufficio) il collegamento causale tra la patologia che ha determinato l’assenza per malattia e l’infortunio subito, omettendo di effettuare un’indagine sui profili di colpa del datore di lavoro, in tal modo erroneamente interpretando e applicando la disciplina dettata dall’articolo 2110 c.c..

La Corte territoriale ha, invero, accertato che la patologia sofferta dalla lavoratrice alla caviglia sinistra era causalmente e direttamente collegata all’infortunio subito, senza svolgere altresì la valutazione della ricorrenza di una responsabilità datoriale nell’omissione delle misure necessarie per evitare l’evento e, dunque, trascurando il profilo dell’inadempimento datoriale all’obbligo di protezione imposto dall’articolo 2087 c.c..

Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, Sentenza n. 2527 del 4 febbraio 2020

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