REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE D’APPELLO di CAGLIARI I SEZIONE CIVILE
composta da:
ha pronunciato la seguente
SENTENZA 376/2020 pubblicata il 03/07/2020
nella causa civile iscritta al n. r.g. /2018 promossa da:
XXX, rappresentato e difeso, in virtù di procura speciale a margine della citazione in appello, dagli avv.ti, elettivamente domiciliato presso il loro studio, in,
APPELLANTE
contro
YYY, ZZZ, elettivamente domiciliati in, presso lo studio dell’avv., che li rappresenta e difende in virtù di procura speciale a margine della comparsa di costituzione e risposta,
APPELLATI
KKK,
APPELLATO contumace
CONCLUSIONI
Nell’interesse dell’appellante:
“voglia la corte d’appello: in via principale e nle merito: riformare la sentenza impugnata, accertare e dichiarare l’esclusione di ogni addebito a carico del geom. XXX; con vittoria di spese e compensi, oltre al rimborso forfetario per spese generali oltre IVA e CPA dei due gradi.
Nell’interesse degli appellati:
“ si conclude perché la corte d’appello voglia rigettare l’appello, con vittoria di spese ed onorari.” SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 16 marzo 2018, ai sensi dell’art. 281 sexies cpc, pronunciando sulla domanda proposta da YYY e ZZZ per ottenere il risarcimento dei danni a carico dell’impresa KKK, cui era stato commissionato l’appalto per la realizzazione di una casa per civile abitazione, che aveva manifestato dei gravi difetti costruttivi, accertati in sede di ATP, il Tribunale di Cagliari ha condannato in via solidale tanto l’impresa costruttrice quanto il direttore dei lavori, geom. XXX, chiamato in causa dall’impresa, originaria unica convenuta in giudizio.
In via preliminare, il primo giudice ha disposto l’integrazione dell’ordinanza ammissiva dei mezzi di prova emessa in data 8.9.2011, nella parte in cui, senza pronunciarsi espressamente in merito, aveva omesso di provvedere sulla richiesta di interrogatorio formale – dedotto nella II^ memoria 183 comma VI^ c.p.c. di parte convenuta – nei confronti del terzo chiamato.
A questo riguardo, il tribunale ha rilevato che la difesa del convenuto aveva chiesto l’integrazione della menzionata ordinanza, dalla prima udienza successiva all’adozione di essa e sino all’udienza di precisazione delle conclusioni: infatti, anche all’udienza da ultimo tenutasi in data 12.1.2017 la parte convenuta aveva richiamato le conclusioni già formulate, richiamo che doveva, quindi, intendersi alle conclusioni da ultimo rassegnate, ovvero quelle dell’udienza del 3.7.2014, in cui era stata reiterata l’istanza, già formulata all’udienza del 16.10.2012 di ammissione dell’interrogatorio formale del convenuto (rectius terzo chiamato) allora contumace.
Previa integrazione dell’ordinanza 8.9.2011 mediante ammissione dell’interrogatorio formale dedotto dal convenuto KKK nella II^ memoria 183 comma VI^ c.p.c. al chiamato XXX, il primo giudice ha ritenuto pienamente utilizzabili le risposte rese dal XXX medesimo, personalmente comparso all’udienza del 21.11.2011, per rendere l’interpello ed esaminato sia pure con riserva dal Got delegato per l’espletamento della prova.
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E’ stata, sempre in via preliminare, respinta l’eccezione di prescrizione siccome infondata.
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Nel merito, il primo giudice ha precisato che risultava per tabulas (vd. scrittura privata di appalto doc. 1 di parte ricorrente nel procedimento di ATP) oltre ad essere una circostanza incontroversa che l’impresa convenuta avesse rivestito il ruolo di costruttore.
Ha, quindi, richiamato i principi giurisprudenziali consolidati alla cui stregua le disposizioni di cui all’art. 1669 cod. civ. mirano a disciplinare le conseguenze dannose di quei difetti che incidono profondamente sugli elementi essenziali dell’opera e che influiscono sulla durata e solidità della stessa, compromettendone la conservazione.
Infatti, secondo pacifica giurisprudenza i gravi difetti della costruzione richiamati dall’art. 1669 c.c. consistono in qualsiasi alterazione dell’opera, conseguente ad un’inadeguata sua realizzazione, che, pur non riguardando parti essenziali della stessa e non determinandone, pertanto, la rovina od il pericolo di rovina, si traducano, tuttavia, in vizi funzionali di quegli elementi accessori o secondari che dell’opera stessa consentono l’impiego duraturo cui è destinata e tali, quindi, da incidere negativamente ed in considerevole misura sul godimento di essa, ciò che li distingue nettamente dai vizi e dalle difformità denunziabili, ex art. 1667 c.c. (vd., ex pluribus Cass. 6.12.00 n. 15488, 2.10.00 n. 13003, 14.2.00 n. 1608, 7.1.00 n. 81).
E, venendo al caso concreto, ha ritenuto che i vizi lamentati dagli attori ossia avvallamenti in alcune parti della pavimentazione, distacco delle pareti e numerose crepe, rientrassero pienamente nell’ambito di applicabilità della norma in questione perché la realizzazione dell’opera era avvenuta non a regola d’arte e/o con materiali inidonei.
Ed invero, attraverso l’espletata istruttoria, era risultato comprovata la presenza dei gravi difetti precisati nella CTU espletata in corso di causa che aveva posto in rilievo quanto segue: “Sul fabbricato sono presenti numerosi vizi e ravvisabili mancanze nella modalità di esecuzione dell’opera rispetto alla regola d’arte, in particolare:
1. Fessurazioni orizzontali delle murature portanti e/o di tamponamento uno o due corsi più in basso del cordolo del solaio di copertura e fra gli spigoli superiori delle finestre contigue; La causa è imputabile al calcestruzzo utilizzato per il getto del solaio di copertura avente un elevato rapporto acqua/cemento e/o granulometria fine e/o privo di protezioni durante la maturazione a cui è conseguito un elevato ritiro. Poiché il calcestruzzo è penetrato dei fori verticali del laterizio, il collegamento creatosi fra la soletta ed il muro perimetrale ha fatto spostare le lesioni dovute al ritiro verso il basso, nelle zone di minor resistenza (nel paramento murario, gli spigoli superiori dei vani finestra sono l’elemento di debolezza più prossimo alla copertura).
2. Fessurazioni orizzontali in corrispondenza del solaio tra piano terra e primo; Il vizio è analogo al precedente anche se meno evidente, può essere imputato (oltre che alle cause già indicate) anche alla deformabilità del solaio che tende a sollevare il cordolo staccandolo dalla muratura (la deformazione del solaio tra piano terra e primo è la causa anche delle fessurazioni nei tramezzi al primo piano, vizio n. 7) e di tempi esecutivi presumibilmente troppo rapidi (per cui il piano primo potrebbe essere stato edificato prima che il solaio intermedio avesse completato il proprio ritiro).
3. …
4. Fessurazioni verticali o inclinate al di sotto dei fori finestra; Questo tipo di fessura è causato da un cedimento/assestamento della base su cui appoggia il muro e/o dall’essicamento rapido dei radiatori al di sotto della finestra.
5. Fessurazioni inclinate sulla tamponatura anteriore; La frattura è stata provocata dalla deformazione della trave del solaio sottostante (luce netta m 5,65; per la deformazione si veda la freccia con il numero 5 in allegato n. 2). La cosiddetta “freccia” (deformazione massima della trave) pur essendo ammissibile dal punto di vista della sicurezza strutturale (l’elemento non manifesta alcuna crepa) è incompatibile con la rigidità della muratura che, nell’abbassamento, si è lesionata.
6. Cedimenti nel piano di calpestio al piano terreno; Gli abbassamenti anormali della pavimentazione che si sono manifestati nella sola ala sinistra del fabbricato (in cui non è presente piano interrato, si veda l’area di interesse nell’allegato n. 3) sono imputabili a:
– errata modalità di posa in opera del pietrame del vespaio;
– materiali non conformi (utilizzo di terre) alla base del vespaio;
– mancata asportazione dello strato più superficiale (cd. strato vegetale) e successiva costipazione del terreno sottostante il vespaio.
Le suddette cause potrebbero essere alternative o concorrere fra loro, in ogni caso gli avvallamenti trovano ragione nello spazio al di sotto dei pavimenti e sono ascrivibili ad imperizia nella realizzazione del vespaio e/o del suo sottofondo.
7. Fessurazioni nei tramezzi; I tramezzi risultano fessurati:
– al piano terra: a causa dell’abbassamento del pavimento (area sinistra in cui non è presente il piano interrato);
– al piano primo: per via della deformazione del solaio.
La deformazione dei solaio è causa anche delle fessurazioni della tamponatura al piano terra (vizio n. 5) e concausa della profonda crepa sul prospetto principale sopra la terrazza. Quest’ultima fessurazione, in particolare, risulta molto più aperta delle altre perché i due fenomeni di ritiro del calcestruzzo del solaio di copertura e di abbassamento del solaio di interpiano si sono sovrapposti.
8. Cavillature distribuite genericamente sugli intonaci ed in corrispondenza dei giunti di malta; Le cavillature sono dovute ad un comportamento anomalo dell’intonaco rispetto al supporto: il fenomeno è dovuto sia alle caratteristiche dell’intonaco che alle modalità di posa in opera ed al funzionamento di questo in fase di esercizio (alto dosaggio di cemento, messa in opera senza preventiva bagnatura, pareti soleggiate o battute dal vento, …).
9. Umidità di risalita al piano terreno ed in cantina;
L’acqua normalmente contenuta nel sottosuolo si è diffusa all’interno dei materiali che costituiscono le murature evidenziandosi sotto forma di macchia scura e continua ed il distacco delle tinteggiature. Il problema dell’umidità di risalita ha interessato una porzione limitata delle murature.
10. Muffe e percolazioni all’intradosso del solaio al piano terreno. Fessure e cavillature (anche molto sottili), oltre che un problema estetico, hanno consentito infiltrazioni d’acqua con conseguente formazione di muffe (dovute anche a ponti termici ed al mancato isolamento del solaio) e percolamento d’acqua nei muri.
I vizi sopra elencati sono dovuti a disattenzioni esecutive, uso di materiali non conformi, deformazione dei solai (con le relative travi).”
Tanto precisato, il tribunale ha ritenuto che la presenza di detti gravi vizi giustifica l’applicazione nei confronti dell’appaltatore della invocata responsabilità di cui all’art.1669 c.c. secondo cui “quando si tratta di edifici o altre cose immobili destinate per loro natura a lunga durata, se, nel corso di dieci anni dal compimento, l’opera – per vizio del suolo o per difetto della costruzione – rovina in tutto in parte ovvero presenta evidente pericolo di rovina o gravi difetti, l’appaltatore è responsabile nei confronti del committente o dei suoi aventi causa, purché sia fatta la denunzia entro un anno dalla scoperta”.
La norma, ha rilevato il primo giudice, seppur non configura a carico del costruttore una responsabilità oggettiva ovvero una presunzione assoluta di colpa, pone certamente nei di lui confronti una presunzione iuris tantum la quale, verificandosi i presupposti necessari per la operatività dell’art.1669 cit. (ovvero l’esistenza dei gravi difetti quali quelli di cui si detto), può essere vinta non con la generica prova di aver usato nella esecuzione della costruzione tutta la diligenza possibile, ma con la specifica dimostrazione, attraverso fatti positivi, precisi e concordanti, della mancanza di responsabilità.
Tuttavia, nel caso di specie, – acclarata l’esistenza dei vizi di cui si era detto – l’appaltatore non aveva vinto la presunzione di responsabilità gravante a suo carico: da ciò conseguiva la condanna del medesimo al risarcimento dei danni.
Sotto il profilo della responsabilità dell’impresa, il primo giudice ha evidenziato che quest’ultima si era è limitata ad allegare di essersi attenuta alle direttive impartite dal progettista e D.L. geom. XXX, senza tuttavia neppure allegare di aver manifestato il proprio dissenso rispetto ad istruzioni asseritamente erronee.
Analogamente, era mancata qualsiasi dimostrazione e prova tanto della circostanza che il KKK avesse suggerito ai committenti di effettuare delle indagini idrogeologiche sul terreno per verificare le capacità delle future fondamenta quanto che i committenti avessero chiesto al KKK di procedere comunque, in difetto di dette indagini, alla realizzazione dell’abitazione.
Il primo giudice ha, quindi, richiamato i principi elaborati dalla giurisprudenza costante, per i quali l’appaltatore, dovendo assolvere al proprio dovere di osservare i criteri generali della tecnica relativi al particolare lavoro affidatogli, è obbligato a controllare, nei limiti delle sue cognizioni, la bontà del progetto o delle istruzioni impartite dal committente e, ove queste siano palesemente errate, può andare esente da responsabilità soltanto se dimostri di avere manifestato il proprio dissenso e di essere stato indotto ad eseguirle, quale “nudus minister”, per le insistenze del committente ed a rischio di quest’ultimo. Pertanto, in mancanza di tale prova, l’appaltatore è tenuto, a titolo di responsabilità contrattuale, derivante dalla sua obbligazione di risultato, all’intera garanzia per le imperfezioni o i vizi dell’opera, senza poter invocare il concorso di colpa del progettista o del committente, né l’efficacia esimente di eventuali errori nelle istruzioni impartite dal direttore dei lavori, E di più, neppure, eventuali errori nelle istruzioni del Direttore dei Lavori esimono l’appaltatore da responsabilità, essendo egli tenuto a controllarli e correggerli, secondo diligenza e perizia e dovendo egli sempre uniformarsi alle regole tecniche (ex multis: Cass. civ. 8016/2012).
Ha, infine, tenuto in considerazione l’allegazione di parte convenuta secondo cui i gravi difetti sarebbero derivati da cause di natura idrogeognostica, escludendo tuttavia detta causale dato che nella relazione di ATP, senz’altro utilizzabile nei confronti dell’appaltatore, si dava atto che, per un verso, i terreni su cui è stata edificata l’opera erano contraddistinti da parametri meccanici di media qualità con valori di carichi ammissibili generalmente accettabili, con un buon grado di addensamento e di compattezza e, per altro verso, era stata esclusa la possibilità che la falda acquifera potesse aver influito sulle fondazioni dell’edificio in oggetto o su altre sue parti, per la profondità della falda, situata a 5 mt dal piano di campagna. Da qui la conseguenza che i gravi difetti per cui si procedeva fossero, alla stregua del criterio del “più probabile che non”, riconducibili eziologicamente ai vari profili di non conformità alle regole dell’arte ampiamente illustrati nella ctu.
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Analoghe considerazioni ha svolto il Tribunale con riguardo alla posizione del geom. XXX.
Premesso che nei suoi confronti si verificava l’estensione automatica della domanda al terzo medesimo, onde il giudice poteva direttamente emettere nei suoi confronti una pronuncia di condanna anche se l’attore non ne abbia fatto richiesta, senza per questo incorrere nel vizio di extrapetizione (Cass. 254/06, 2524/99, 2471/00, 1294/03, 17954/08), ha esteso al terzo progettista e direttore dei lavori, chiamato in causa dall’appaltatore al fine di accertarne la responsabilità esclusiva o concorrente, la domanda di risarcimento dei danni subiti dalla parte attrice (vd. per un’applicazione del principio: Cass. civ. 20610/2011).
Ha, quindi, dichiarato la responsabilità solidale del geom. XXX e dell’impresa.
A questi fini, ha precisato che “in tema di responsabilità conseguente a vizi o difformità dell’opera appaltata, il D.L. per conto del committente presta un’opera professionale necessitante l’impiego di peculiari competenze tecniche di tal che egli deve utilizzare le proprie risorse intellettive ed operative per assicurare, relativamente all’opera in corso di realizzazione, il risultato che il committente si aspetta di conseguire, onde il suo comportamento deve essere valutato non con riferimento al normale concetto di diligenza, ma alla stregua della “diligentia quam in concreto”: rientrano pertanto nelle obbligazioni del D.L. l’accertamento della conformità sia della progressiva realizzazione dell’opera al progetto, sia delle modalità dell’esecuzione di essa al capitolato e/o alle regole della tecnica, nonché l’adozione di tutti i necessari accorgimenti tecnici volti a garantire la realizzazione dell’opera senza difetti costruttivi.”
Ha, quindi, richiamato alcune pronunce di legittimità, alla cui stregua “non si sottrae a responsabilità il professionista che ometta di vigilare e di impartire le opportune disposizioni al riguardo, nonché di controllarne l’ottemperanza da parte dell’appaltatore ed, in difetto, di riferirne al committente: in particolare l’attività del D.L. per conto del committente si concreta nell’alta sorveglianza delle opere che, pur non richiedendo la presenza continua e giornaliera sul cantiere né il compimento di operazioni di natura elementare, comporta il controllo della realizzazione dell’opera nelle sue varie fasi e, pertanto l’obbligo del professionista di verificare, attraverso periodiche visite e contatti diretti con gli organi tecnici dell’impresa, da attuarsi in relazione a ciascuna di tali fasi, se sono state osservate le regole dell’arte e la corrispondenza dei materiali impiegati” (così Cass. 10728/2008).
Nel caso di specie, invece, il XXX– pur avendone rigoroso e preciso onere – non aveva in alcun modo dimostrato di aver correttamente assolto alle obbligazioni su di esso gravanti (circostanza a ben vedere neppure allegata). “Anzi, la difesa del XXX, costituitosi solamente mediante comparsa in data 10.1.2017, malgrado la rituale notifica dell’atto di citazione per chiamata in causa, appare persino incompatibile con l’esecuzione delle periodiche verifiche nel cantiere al fine di controllare il corretto svolgimento degli interventi, avendo costui contestato il titolo della propria responsabilità asserendo di aver rivestito il ruolo di mero direttore dei lavori e non già di direttore di cantiere, il solo, quest’ultimo, a suo dire, che gli avrebbe imposto la presenza giornaliera in cantiere onde seguire tutte le fasi di lavorazione”. Evidentemente, secondo i principi elaborati dalla giurisprudenza, gli assunti difensivi del XXX non potevano essere condivisi.
Circa l’esistenza dei gravi difetti, era poi mancata, da parte del terzo chiamato, alcuna specifica contestazione in merito a quanto lamentato dagli attori. Più in particolare, la difesa del progettista e direttore dei lavori (entrambe le qualità hanno costituito oggetto di confessione da parte del XXX allorché si presentò, ancora contumace, a rendere l’interrogatorio formale), sul punto si era limitata ad eccepire la responsabilità riconducibile in via esclusiva all’impresa dei vizi e difetti – allegazioni che apparivano incompatibili con la negazione dei vizi e difetti in oggetto -.
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il tribunale ha, pertanto, ritenuto la responsabilità solidale del convenuto e del terzo chiamato in causa, che trovava fondamento nel principio di cui all’art. 2055 c.c. in ordine alla quantificazione dell’importo risarcitorio, le somme necessarie per l’eliminazione dei vizi e difetti riscontrati negli immobili erano state individuate dal consulente nei seguenti termini: il costo degli interventi necessari per eliminare i vizi presenti nel fabbricato ammonta a € 25.471,02 oltre I.v.a. Il costo per il rifacimento della pavimentazione del bagno con il relativo sottofondo ammonta ad € 3.146,74 oltre I.v.a. (al momento del sopralluogo il bagno era già stato riparato).
Alla cifra indicata dal C.t.u. (€ 25.471,02 + € 3.146,74=) 28.617,76 oltre I.v.a. doveva detrarsi l’importo relativo all’eliminazione della fessurazione di cui al punto 3 della relazione di c.t.u., ossia i costi concernenti le lavorazioni dei punti 18 (€ 28,50 x 52,00= € 1482,00), 19 (54,24 x 8,00 = € 433,92), 21 (28,50 x 9,50= € 270,75) e 22 (77x 8,50= € 654,50) del computo metrico limitatamente al prospetto laterale sinistro e, quindi, complessivi (1.482,00 + 433,92 + 270,75 + 654,50=) € 2.841,17, trattandosi di fessurazione che potevano essere ascrivibile anche ad un cedimento della base fondale dell’edificio (l’incertezza è dovuta all’assenza di lesioni sul lato opposto del prospetto).
Conseguiva la condanna dei convenuti, in solido tra loro, alla corresponsione in favore degli attori della somma di (28.617,76 – 2.841,17=) € 25.676,59 oltre Iva di legge, importo da intendersi individuato in moneta attuale.
Sulla predetta somma erano, infine, dovuti gli interessi di mora dalla decisione al saldo; a carico del convenuto e dl terzo chiamato sono state poste le spese processuali.
Avverso la sentenza del tribunale di Cagliari ha proposto tempestivo appello il geom, XXX; hanno resistito i signori YYY e ZZZ, mentre il KKK è rimasto contumace.
Rigettata, con ordinanza collegiale, l’istanza di sospensione della sentenza impugnata, la causa è stata tenuta a decisione, precisate le conclusioni ed assegnati i termini di cui all’art. 190 cpc.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di gravame, il XXX si duole dell’integrazione dell’ordinanza istruttoria compiuta dal tribunale in sede di sentenza. L’ordinanza istruttoria, non impugnabile non sarebbe neppure revocabile ai sensi dell’art. 177 cpc . La decisione contraria adottata dal tribunale avrebbe violato la norma ed il contraddittorio, determinando la nullità dell’interrogatorio reso, in difetto di provvedimento ammissivo e di tutti gli atti conseguenti, ivi compresa la sentenza.
Il motivo è inammissibile.
Il primo giudice non ha posto a fondamento dell’accertamento della responsabilità solidale (del KKK) e del XXX le risposte date da questi all’interrogatorio formale: ne consegue che l’appellante non ha nessun interesse ad impugnare- sotto questo profilo- la sentenza.
Il primo giudice ha, infatti, determinato l’esistenza dei gravi difetti dell’opera e la responsabilità del costruttore e del progettista/DL sulla base dell’accertamento tecnico, che ha determinato l’esistenza dei vizi ampiamente descritti nella sentenza e le cause di essi, di cui pure ha dato adeguato conto, senza che su entrambi gli accertamenti, il XXX abbia mosso delle obiezioni di sorta. Del tutto irrilevante è stato, pertanto, nell’economia della decisione, il mezzo istruttorio di cui si chiede la nullità.
Il rilievo circa il difetto di interesse a proporre il gravame sul punto, esime il collegio dalla valutazione circa il fondamento, nel merito, del motivo.
Con il secondo motivo, l’appellante si duole per esser stato ritenuto corresponsabile dei difetti riscontrati: in qualità di DL nominato dal committente la sua responsabilità sarebbe circoscritta al controllo e verifica della corrispondenza tra le opere realizzate ed il progetto; a null’altro sarebbe tenuto e, quindi, nel caso in esame egli sarebbe dovuto andar esente da responsabilità.
Il motivo è infondato.
Come correttamente ritenuto dal primo giudice, il quale ha richiamato sul punto l’orientamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità, il direttore dei lavori è responsabile nei confronti del committente per i vizi determinati dalla erronea esecuzione delle opere, per la loro eventuale non conformità al progetto, ovvero per l’utilizzo- da parte del costruttore- di materiali inadeguati.
La giurisprudenza ha, infatti, stabilito una differente sfera di responsabilità del direttore dei lavori di nomina dell’impresa dal direttore dei lavori nominato dal committente, precisando che “ il primo, quale collaboratore professionale dell’imprenditore, ha il dovere di provvedere, dal punto di vista tecnico, all’esecuzione dell’opera, organizzando e vigilando che essa si svolga in modo non pericoloso per gli addetti ai lavori ed i terzi. Il secondo ha soltanto il compito di controllare la corrispondenza dell’opera al progetto, rispondendo dell’adempimento di tale obbligo solo verso il committente ai sensi dell’art. 2236 cc.” (Cass …..) ed ancora è stato ritenuto che “il direttore dei lavori ha l’obbligo di vigilare, in luogo del committente, sulla progressiva realizzazione dell’opera in conformità al progetto, al capitolato ed alle regole della tecnica, di impartire le opportune disposizioni al riguardo, di controllarne l’ottemperanza da parte dell’appaltatore e di riferirne al committente medesimo, con conseguente responsabilità” ( Tribunale di Milano sez VII n. 1306/2019).
Ancora più di recente, la Corte di cassazione ha precisato che “ il direttore dei lavori per conto del committente, essendo chiamato a svolgere la sua attività in situazioni involgenti l’impiego di peculiari competenze tecniche, deve utilizzare le proprie risorse intellettive ed operative per assicurare, relativamente all’opera in corso di realizzazione, il risultato che il committente si propone di conseguire, sicchè l’inadempimento degli obblighi connessi al suo incarico che abbia concorso in modo efficiente a produrre il danno risentito dal committente genera a suo carico l’identica obbligazione risarcitoria dell’appaltatore avente per oggetto l’esecuzione delle opere necessarie per eliminare i vizi ed eseguire l’opera a regola d’arte” ( Cass. civ. sez. II, 17 febbraio 2020, n. 3855).
Del resto che tale debba essere la posizione giuridica del DL nominato dal committente è nella logica delle cose: la nomina stessa, che è meramente facoltativa negli appalti privati, è giustificata con la necessità di avvalersi di un professionista che, in virtù delle sue cognizioni tecniche, segua la realizzazione dell’opera, accertandosi non solo della conformità di esse al progetto, ma anche al capitolato ed in genere alle regole della buona tecnica. La sua diligenza deve essere valutata non con riguardo al normale criterio di diligenza, ma alla stregua della diligentia quam in concreto cioè tenendo conto delle norme di perizia e delle capacità tecniche esigibili nel caso concreto ( Cass. civ sez. II, 3 maggio 2016, n. 8700).
L’attività del direttore dei lavori, quindi, consiste nella sorveglianza delle opere e, pur non richiedendo la presenza giornaliera in cantiere, comporta comunque il controllo della realizzazione dell’opera nelle sue varie fasi e quindi il suo obbligo di verifica del rispetto delle regole della buona tecnica e dell’impiego dei materiali idonei a conseguirla. (Cass. civ. sez II, 14 marzo 2019, n. 7336).
La difesa dell’appellante vorrebbe escludere la responsabilità del XXX, sulla base del rilievo che la prestazione richiesta al DL nominato dal committente sarebbe limitata a verificare la corrispondenza dell’opera al progetto.
Al riguardo si rileva: la tesi non è condivisibile, alla luce dei principi espressi dalla giurisprudenza richiamata. In ogni caso, è opportuno sottolineare che il XXX aveva rivestito anche il ruolo di progettista.
In questo giudizio, tale veste è stata negata sul rilievo che il progetto, a sua firma, sarebbe stato prodotto con le seconde memorie ex art. 183 cpc e quindi tardivamente, sia perché, in realtà, le opere in questione non sarebbero state realizzate sulla base di quel progetto.
Tale ultima circostanza è, in realtà, del tutto nuova e, in ogni caso, l’appellante non ha proposto uno specifico motivo di doglianza avverso la decisione del tribunale, che ha ritenuto il XXX direttore dei lavori e progettista.
In definitiva, pertanto, l’appello dev’essere rigettato e l’appellante, soccombente anche in questo grado, condannato al pagamento delle spese processuali, liquidate ai sensi del DM 55/2014 e successive modifiche, calcolando gli onorari sui parametri medi corrispondenti al valore della causa ( 26.000/52000), esclusa la fase istruttoria, non tenutasi
Per questi motivi
La corte d’appello, definitivamente decidendo, disattesa ogni altra istanza, eccezione e deduzione:
1) rigetta l’appello proposto da XXX avverso la sentenza … del tribunale di Cagliari, che conferma;
2) condanna l’appellante al rimborso, in favore degli appellati, delle spese di questo grado, che liquida in euro 6615,00 per onorari d’avvocato, oltre al 15% per rimborso forfetario ed accessori di legge; 3) dichiara la sussistenza dei presupposti per applicare l’art. 13 comma quater del DPR 115/2002.
Così deciso in Cagliari, il 2 luglio 2020, nella camera di consiglio civile della I sezione della corte d’appello.
La Presidente
La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di
Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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