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Avviso di addebito, INPS non prova rapporto di lavoro dipendente

Il Giudice accoglie il ricorso osservando come l’onere della prova, in un procedimento di opposizione ad avviso di addebito INPS, gravi sull’ente previdenziale. Nel caso di specie, le dichiarazioni rese non hanno valore probatorio privilegiato e risultano insufficienti a provare la sussistenza del rapporto di lavoro e dell’obbligo contributivo.

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Pubblicato il 20 dicembre 2024 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

N. 1096 /2023 R.G.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE DI BRESCIA

SEZIONE LAVORO, PREVIDENZA E ASSISTENZA OBBLIGATORIA in composizione monocratica e in funzione di Giudice del Lavoro, in persona della dott.ssa NOME COGNOME ha pronunciato la seguente

SENTENZA N._1182_2024_- N._R.G._00001096_2023 DEL_07_11_2024 PUBBLICATA_IL_07_11_2024

nella controversia di primo grado promossa in persona del legale rappresentante pro tempore con gli avv. COGNOME NOME e COGNOME RICORRENTE contro in persona del legale rappresentante pro tempore con l’avv. COGNOME

NOME COGNOME RESISTENTE Oggetto:

Obbligo contributivo del datore di lavoro All’udienza di discussione,

i procuratori delle parti concludevano come da rispettivi atti.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con ricorso del 31.05.2023 (infra ) ha proposto opposizione avverso l’avviso di addebito n. NUMERO_CARTA con il quale ha intimato il versamento di Euro 12.665,71 a titolo di contributi asseritamente maturati e non versati presso la “RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE” nel periodo 7/2017-12/2018, oltre sanzioni e oneri accessori.

Ha premesso che il provvedimento opposto si fondava sulle risultanze di un’ispezione eseguita dall’ITL di Brescia, esitata nel verbale unico n. 2021/610-01 del 17.11.2021, con dell’ex dipendente di un orario di lavoro superiore a quello contrattualmente pattuito.

Ha contestato le conclusioni raggiunte dagli ispettori, sottolineando come gli stessi si fossero basati sulle non veritiere dichiarazioni della lavoratrice e dei suoi parenti.

Ha precisato che la era solita permanere presso l’esercizio commerciale al di fuori dell’orario di lavoro in ragione della relazione che la stessa aveva con , figlio del legale rappresentante ed anch’egli dipendente del bar.

Ha evidenziato come l’onere della prova della fondatezza della pretesa azionata con l’avviso di addebito fosse a carico di e ha altresì eccepito la decadenza di cui all’art. 14 l. 689/81.

Con memoria di costituzione ritualmente depositata ha chiesto il rigetto del ricorso o comunque la condanna dell’opponente al pagamento delle somme risultanti come dovute in corso di causa.

Ha richiamato gli accertamenti svolti dall’ITL – citando anche parti delle dichiarazioni acquisite nel corso del procedimento – sottolineando altresì come gli orari dell’esercizio commerciale (3.00-23.00), la natura dell’attività (che implicava la gestione di una cucina) e il numero di soggetti addetti al bar nel periodo in contesa fossero indici del fatto che l’orario contrattuale della lavoratrice fosse sottostimato rispetto a quello reale.

Ha richiamato il valore probatorio dei verbali redatti da pubblici ufficiali nonché delle dichiarazioni acquisite nell’immediatezza dei fatti e ha dedotto, infine, l’irrilevanza dell’art. 14 cit. nella fattispecie in esame.

*** Si premette che l’opposizione ad avviso di addebito, per quanto proposta dal soggetto destinatario del provvedimento, dà origine ad un ordinario giudizio di cognizione avente ad oggetto diritti e gli obblighi inerenti al rapporto previdenziale.

Ne consegue che grava sull’ente previdenziale – convenuto dal punto di vista processuale ma sostanzialmente titolare del rapporto, dal lato attivo – dimostrare i fatti costitutivi della pretesa creditoria azionata nelle forme di cui all’art. 30 d.l. 78/2010 (ex multis Cassazione civile sez. lav., 10/11/2010, n.22862).

Ancora in via preliminare si osserva, in ordine al valore probatorio dei verbali redatti da pubblici ufficiali (come gli ispettori dell ITL)fanno fede sino a querela di che quest’ultimo attesta che siano avvenuti in sua presenza o che siano stati da lui compiuti”;

mentre, con riferimento alle informazioni apprese de relato, “le dichiarazioni raccolte…anche se non sono munite di efficacia fino a querela di falso, costituiscono oggetto di libera valutazione del giudice” da valutare in concorso con tutti gli ulteriori elementi emersi (Cassazione civile sez. lav., 14/05/2020, n.8946).

Analoghe considerazioni valgono per le valutazioni, le presunzioni ed i meri apprezzamenti svolti dai pubblici ufficiali che, seppur riportati nei verbali, sono privi di efficacia probatoria privilegiata (Cassazione civile sez. lav., 07/11/2014, n. 23800).

Tanto premesso, applicando i principi enunciati al caso di specie, deve ritenersi che il ricorso sia meritevole di accoglimento.

Deve rilevarsi innanzitutto che, contrariamente a quanto sostenuto in memoria (pag. 7), nessuna dichiarazione è stata raccolta “nell’immediatezza” degli ispettori ovvero “a caldo” in assenza di condizionamenti.

Il procedimento ispettivo, infatti, è stato instaurato a seguito dell’istanza della datata 17.02.2020, presentata cioè oltre un anno dopo rispetto alla cessazione del rapporto di lavoro;

mentre le dichiarazioni acquisite da terzi soggetti risalgono addirittura ai primi mesi del 2021.

A ciò si aggiunga che, nel corso del procedimento amministrativo sono state acquisite informazioni esclusivamente dalla lavoratrice (evidentemente non neutrale rispetto all’esito dell’ispezione), da soggetti a lei strettamente legati (compagno, madre, padre e sorella) nonché da persone con le quali era in rapporto di amicizia, dalla stessa indicate.

Tutte queste circostanze – l’inerzia della dipendente nella presentazione delle rimostranze all’ispettorato, l’acquisizione di informazioni in un’epoca così successiva alla verificazione dei fatti, i legami tra la denunciante e le persone escusse – depongono in senso sfavorevole alla tesi dell’istituto, relativa ad una particolare attendibilità delle dichiarazioni allegate al verbale ITL.

Lo scarso spessore probatorio delle dichiarazioni emerge anche dal fatto che neppure gli ispettori hanno ritenuto integralmente credibile la concludendo il verbale con l’accertamento dell’osservanza da parte della stessa di “un orario normale prossimo se non superiore alle 39 ore settimanali”.

In altri termini, è significativo che gli stessi ispettori abbian accertato, rispetto a quello indicato dalla dipendente, senza peraltro neppure giungere ad una definizione certa delle ore presuntivamente svolte.

In questo contesto, deve rilevarsi come i testi – escussi in sede giudiziale e del tutto neutrali in quanto privi di rapporti significativi con parte ricorrente – hanno confermato di avere visto la in qualità di avventori del solo negli orari corrispondenti a quelli contrattuali: verso le 13.30/15.00; verso le 17.30/18; verso le 22.00/22.30, che per tutti era l’orario di chiusura.

hanno altresì dichiarato che la domenica il bar era chiuso nel periodo di riferimento e il secondo in particolare ha potuto essere preciso sulla circostanza, trattandosi di un periodo coincidente con la propria paternità (“ha fatto un periodo in cui il bar era aperto anche la domenica, non ero ancora padre, sono diventato padre nel 2017 e ricordo che la domenica non era più aperto).

Tutti e tre i testimoni, inoltre, hanno confermato quanto dichiarato da parte ricorrente e cioè che a volte la si trovava al bar per motivi personali e non per svolgere attività lavorativa, avendo un rapporto sentimentale con il figlio del titolare, adibito all’esercizio commerciale.

Questa circostanza, in effetti, è stata ammessa dalla stessa (quando è stata sentita come testimone), ed è significativa perché consente di valutare il reale valore probatorio delle dichiarazioni rese dai testimoni secondo le quali la lavoratrice era assiduamente al bar.

Diversi elementi, peraltro, inducono a ritenere non completamente attendibili i testimoni Prima di tutto, il primo è il compagno della – portatrice di un interesse indiretto per l’esito del giudizio – e il secondo si è qualificato come amico della coppia.

In seconda battuta, ha manifestato, nel corso della deposizione, un atteggiamento particolarmente nervoso (come rilevato anche nel verbale) ed è stato anche evasivo a fronte di alcune domande, dichiarando in modo oggettivamente poco credibile di non essere al corrente dell’esito delle pretese economiche della propria compagna nei confronti del (“penso che la signora abbia fatto delle richieste economiche al signor per il lavoro svolto al bar Fontana…sono all’oscuro di come siano andate le cose tra le parti, se ci sia stato un accordo con riferimento alle pretese Inoltre: – entrambi i testimoni hanno dichiarato che il bar chiudeva alle 23 se non addirittura a mezzanotte, quando la stessa lavoratrice ha dichiarato che chiudeva alle 22;

ha dichiarato che la compagna lavorava con la mattina e ha dichiarato che la domenica mattina il bar era aperto dalla mentre entrambe le circostanze sono state negate dalla stessa (cfr deposizione “con non lavoravo mai, quando lui terminava il turno, subentravo io…si lavorava anche la domenica, l’apertura la faceva ”);

innanzi agli ispettori ha dichiarato che era solito frequentare il dalle 7.30 alle 8.00, ma in udienza ha dichiarato che la mattina e in pausa pranzo non vi si recava mai perché lavorava.

Al quadro probatorio così delineato in senso favorevole alla tesi sostenuta da parte ricorrente deve altresì aggiungersi, quale elemento di rilievo, l’omessa instaurazione da parte della lavoratrice di alcuna controversia nei confronti dell’ex datore di lavoro, nonostante il presunto ingente credito retributivo dalla stessa vantato.

Prive di fondamento risultano, invece, le considerazioni “matematiche” svolte da circa gli orari di apertura del bar e l’impossibilità che un addetto gestisse in autonomia sia la cucina che il servizio.

Invero, la prima non tiene conto del fatto che gli altri due soggetti che lavoravano nell’esercizio commerciale non fossero dipendenti qualsiasi, bensì il titolare e il figlio, socio lavorante;

ciò rende ragionevole una loro presenza nel bar per un numero di ore di molto maggiori, rispetto a quelle della La seconda è stata sconfessata, non solo dalle dichiarazioni del teste e della lavoratrice (che hanno affermato come il bar fosse certamente gestibile anche in pausa pranzo da una persona sola);

ma anche dallo stesso verbale di primo accesso redatto dagli ispettori, che hanno rinvenuto nell’esercizio commerciale, all’orario della colazione, solo Anche sotto questo profilo, dunque, le argomentazioni di non colgono nel segno.

L’eccezione sollevata in ricorso, con riferimento all’art. 14 l. 689/81, è assorbita dall’accoglimento delle argomentazioni di merito.

Le spese di lite possono essere integralmente compensate, considerato che alcune circostanze determinanti ai fini dell’accoglimento del ricorso sono emerse solo nel corso dell’istruttoria giudiziale.

Definitivamente pronunciando ogni contraria istanza ed eccezione disattesa così provvede:

in accoglimento del ricorso, dichiara che nulla è dovuto da per i titoli di cui all’avviso di addebito n. NUMERO_CARTA compensa le spese di lite.

Fissa il termine di 60 giorni per il deposito della sentenza.

Sentenza provvisoriamente esecutiva.

Così deciso in Brescia il 07/11/2024 il Giudice del lavoro NOME COGNOME

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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