REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE DI LAMEZIA TERME
SEZIONE UNICA CIVILE
Il Tribunale di Lamezia Terme, in composizione monocratica, nella persona del giudice, dott.ssa, ha pronunciato la seguente
SENTENZA n. 658/2023 pubblicata il 04/08/2023
nella causa civile iscritta, in grado di appello, al n. 508 del Ruolo Generale Affari Contenziosi dell’anno 2013 e vertente tra
COMUNE DI XXX, in persona del Sindaco legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avv.;
appellante
CONTRO
YYY S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv., giusta procura alle liti in atti;
appellata
OGGETTO: appello avverso la sentenza n. 6 del 2013, emessa dal Giudice di Pace di XXX e depositata in data 25 gennaio 2013.
CONCLUSIONI: come da note di trattazione scritta autorizzate in vista dell’udienza del 24 marzo 2023.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione ritualmente notificato, il Comune di XXX, in persona del Sindaco legale rappresentante p.t., ha proposto appello avverso la sentenza n. 6 del 2013 del Giudice di Pace di XXX, in cui il giudice di primo grado aveva rigettato l’opposizione al decreto ingiuntivo n. 21/2011 spiegata dall’odierno appellante.
In particolare, il Comune di XXX deduceva che: – con ricorso per decreto ingiuntivo, depositato in data 9 giugno 2011, la YYY S.r.l. chiedeva di ingiungere al Comune di XXX il pagamento della somma complessiva di euro 3.190,00, quale corrispettivo per l’esecuzione dell’ordinanza contingibile e urgente adottata dal medesimo ente in data 15 febbraio 2011; – il Giudice di Pace di XXX, con decreto n. 21 del 15 giugno 2011, aveva ingiunto all’ente comunale il pagamento in favore della società opposta della somma complessiva di euro 2.970,00, oltre interessi e spese del procedimento monitorio, – avverso il decreto ingiuntivo aveva proposto opposizione il Comune di XXX, ex art. 645 c.p.c., chiedendo la revoca del decreto n. 21 del 2011; – il Giudice di Pace di XXX, con sentenza n. 6 del 2013 rigettava l’opposizione spiegata, confermando il decreto ingiuntivo opposto. Proponeva appello il Comune di XXX, eccependo in via preliminare il difetto di giurisdizione del giudice adito in favore del giudice amministrativo, in virtù della natura amministrativa del provvedimento da cui sarebbe scaturito il diritto di credito vantato dalla società appellata.
In egual modo, l’ente locale eccepiva la nullità della sentenza del giudice di prime cure giacché carente di motivazione, oltre al difetto di legittimazione passiva del Comune di XXX a resistere in giudizio in luogo del Comune di Marcellinara. Nel merito, chiedeva la revoca del decreto ingiuntivo opposto poiché privo di prova scritta.
Si costituiva in giudizio la YYY S.r.l., la quale resisteva al gravame, domandandone il rigetto e la contestuale conferma della sentenza impugnata, eccependo in via preliminare l’inammissibilità dell’appello ex art. 342 c.p.c. Proponeva altresì appello incidentale, già proposto in sede di opposizione, avente ad oggetto la domanda di ingiustificato arricchimento ex art. 2041 c.c. nei confronti della p.a. appellante, con condanna al pagamento per la stessa della somma di euro 2.970,00.
Con provvedimento del 28 gennaio 2014, il Tribunale rigettava la richiesta di sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza impugnata avanzata dal comune opponente. La controversia veniva istruita mediante l’acquisizione della documentazione prodotta dalle parti e, dopo alcuni rinvii interlocutori, è stata trattenuta in decisione all’udienza del 24 marzo 2023, con la concessione dei termini di cui all’art. 190 c.p.c. per il deposito di comparse conclusionali e di memorie di replica.
MOTIVI DELLA DECISIONE
In via preliminare deve essere valutata l’eccezione di inammissibilità dell’appello formulata dalla società opposta ai sensi dell’art. 342 c.p.c., la quale non merita accoglimento.
Al riguardo, deve sottolinearsi che il tenore letterale della disposizione ora richiamata evidenzia che il campo di applicazione dell’ordinanza di inammissibilità è quello dell’impugnazione che difetta dell’indicazione di motivi specifici tassativamente predeterminati.
Sul punto, la recente ordinanza della Suprema Corte (Cass. ord. n. 13535/18), nel ribadire quanto già in precedenza affermato dalle Sezioni Unite (Cass., Sez. Unite n. 27199/17), ha asserito che l’art. 342 c.p.c. debba essere interpretato nel senso che l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice. Tuttavia, ciò non impone l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, ovvero la trascrizione totale o parziale della sentenza appellata, tenuto conto della permanente natura di “revisio prioris instantiae” del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata (da ultimo, Cassazione civile, Sez. un., 13/12/2022, n. 36489).
Tanto premesso, in riferimento all’appello in oggetto, i motivi di impugnazione spiegati da parte appellante appaiono sufficientemente indicati, avendo la stessa individuato le parti della sentenza impugnate nonché gli errori del giudice di prime cure, sottoponendoli a critica.
Ancora in via pregiudiziale deve essere esaminata l’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dal Comune di XXX nell’atto di appello, giacché la controversia in esame rientrerebbe tra le materie devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi all’art. 133 c.p.a.
Più da vicino, parte opponente al riguardo ha asserito: – che il credito vantato dalla YYY scaturisse dall’ordinanza prot. n. 1300 del 15 febbraio 2011, adottata dal sindaco del Comune di XXX e avente ad oggetto il sequestro e la distruzione di una carcassa di bovino, collocata in sicurezza presso la società odierna appellata (cfr. fascicolo di primo grado); – che l’ordinanza in questione fosse stata adottata ai sensi degli artt. 50 e 54 del d.lgs. n. 267 del 2000 (Testo Unico degli Enti Locali) e come tale rientrante nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 133, comma primo, lett. q), c.p.a.; – che da ciò ne sarebbe derivato che il diritto di credito azionato rinvenisse il proprio titolo nell’ordinanza de qua, con conseguente proposizione del ricorso per decreto ingiuntivo dinanzi al giudice amministrativo territorialmente competente, ex art. 118 c.p.a.
L’eccezione è priva di pregio e, come tale, deve essere rigettata.
Ed invero, l’insegnamento giurisprudenziale consolidato in materia ritiene che “ai fini del relativo riparto tra giudice ordinario e giudice amministrativo, occorre premettere che la giurisdizione va determinata sulla base della domanda, non rilevando la prospettazione compiuta dalla parte ma il petitum sostanziale, il quale deve essere identificato non solo e non tanto in funzione della concreta pronuncia che si chiede al giudice, quanto in funzione della causa petendi” (da ultimo, Cassazione civile sez. un., 14/04/2023, n. 10063).
In altre parole, ciò che viene in rilievo ai fini del riparto di giurisdizione è la natura della posizione giuridica del rapporto sostanziale del privato che agisce in giudizio a tutela dei propri interessi, ovvero se detto rapporto sia o meno espressione dell’esercizio del potere o se invece sia riconducibile ad un rapporto paritario di tipo privatistico.
Tanto premesso, giova rammentare che i provvedimenti contingibili e urgenti che il sindaco ha il potere di adottare nella sua qualità di ufficiale di governo o di rappresentante della comunità locale per fare fronte ad imprevedibili ed eccezionali situazioni di minaccia all’interesse generale (in base alla disciplina prevista dal d.lgs. n. 267 del 2000), determinano il sorgere a favore della Pubblica Amministrazione ed a carico del privato cui il provvedimento è rivolto, rispettivamente, di un diritto soggettivo ed una obbligazione, aventi ad oggetto una prestazione fungibile di fare o di non fare (Cassazione civile sez. III, 25/05/2007, n. 12231).
L’obbligazione del destinatario del provvedimento (che, nell’ambito del catalogo degli atti amministrativi, assume la qualificazione di vero e proprio ordine) rientra nel novero delle obbligazioni pubbliche dei privati nascenti da atto amministrativo, quelle, cioè, che trovano fondamento esclusivo e ragione nell’esplicazione del potere autoritativo che la Pubblica Amministrazione ha di incidere nella sfera giuridica del privato.
Applicando i principi enunciati al caso di specie, se è pur vero che il credito de quo trova la propria giustificazione nell’ordinanza sindacale adottata dal Comune di XXX, tuttavia ciò che viene in rilievo nel caso in esame è la fase successiva all’esercizio del potere della p.a., poiché riguarda l’autonomo rapporto che intercorre tra il privato che ha eseguito la prestazione e l’amministrazione tenuta al rimborso della stessa, a prescindere dalla natura provvedimentale dell’atto presupposto.
Tutt’al più, la devoluzione alla giurisdizione esclusiva del g.a. dei provvedimenti contingibili e urgenti adottati dal sindaco rileva sotto il diverso profilo del sindacato di legittimità dell’ordinanza in esame, giacché al giudice ordinario è inibita qualsiasi valutazione in merito, anche in via incidentale, stante la previsione normativa di cui all’art. 133, comma 1, lett. q), c.p.a.
Come risulta in atti, dunque, dal momento che l’ordinanza sindacale n. 1300 del 15 febbraio 2011 non è stata sottoposta ad alcuna impugnazione entro il termine di decadenza dinanzi al giudice amministrativo competente, la stessa deve intendersi ormai consolidata in tutti i suoi elementi.
Quanto invece al merito della controversia, l’appello è fondato e deve essere accolto per le ragioni che a breve si diranno.
Nel proprio atto introduttivo di giudizio, difatti, il Comune di XXX ha chiesto la riforma della sentenza di prime cure impugnata nella parte in cui il giudice di pace appellato aveva confermato in sede di opposizione il decreto ingiuntivo n. 21 del 15 giugno 2011, sebbene in assenza di prova scritta.
Il motivo è condiviso da questo Tribunale e, pertanto, merita di essere accolto.
Ed invero, come risulta per tabulas dagli atti del giudizio, l’unico titolo posto alla base del decreto ingiuntivo emesso a favore dell’odierna appellata è la fattura di pagamento prodotta dalla medesima YYY S.r.l. relativa ai costi di sequestro e abbattimento della carcassa di bovino collocata presso la stessa società, per una somma complessiva di euro 2.970,00 (cfr. fascicolo di primo grado, fattura n. 1114 del 18 febbraio 2011).
A mente dell’insegnamento giurisprudenziale sul punto, si ritiene che “la fattura di pagamento è titolo idoneo per l’emissione del decreto ingiuntivo, ma in caso di opposizione a decreto ingiuntivo la stessa non è idonea a costituire prova del credito azionato” (ex multis, Cassazione civile sez. VI, 14/10/2022, n.30309; Corte appello Firenze sez. III, 28/10/2022, n.2421; Tribunale Pisa sez. I, 04/01/2023, n.13).
Difatti, la produzione della sola fattura commerciale, proveniente dalla stessa parte che intenderebbe avvalersene, non costituisce di per sé prova del danno, tanto più ove la stessa non sia accompagnata da quietanza di pagamento (Cass. civ., Sez. VI, ord. n. 3293/2018). Ciò posto, il giudice di prime cure ha errato nel ritenere provata la sussistenza di un titolo idoneo a riprova del credito posto alla base del decreto ingiuntivo opposto, giacché nel corso del giudizio null’altro è stato allegato dalla YYY a riprova del credito vantato e degli eventuali costi sostenuti.
Il Giudice di Pace, difatti, non ha tenuto conto che i contratti stipulati dalle pubbliche amministrazioni (e dunque dagli enti locali), quale quello di prestazione di servizi di cui alla fattispecie concreta, richiedono la forma scritta ad substantiam (così come previsto dalla normativa in materia, specie dalla legge sulla contabilità generale dello Stato).
Sul punto, deve essere rammentato che la pubblica amministrazione non può assumere impegni o concludere contratti se non nelle forme stabilite dalla legge e dai regolamenti, il cui mancato rispetto produce la nullità assoluta dell’atto, rilevabile anche d’ufficio (Cassazione civile, sez. I, 26/10/2007, n. 22537).
La regola della forma scritta richiesta ad substantiam rappresenta, difatti, uno strumento di garanzia del regolare svolgimento dell’attività amministrativa, sia nell’interesse del cittadino che nell’interesse della stessa pubblica amministrazione. Detto principio risponde all’esigenza di identificare con precisione l’obbligazione assunta e il contenuto negoziale dell’atto e, specularmente, di rendere possibile l’espletamento della indispensabile funzione di controllo da parte dell’autorità, quale espressione dei principi di buon andamento ed imparzialità dell’amministrazione sanciti dalla Costituzione all’art. 97.
Ebbene, a tali principi non si è tuttavia uniformato il Giudice di pace, il quale ha considerato sufficiente, per ritenere legittimamente obbligato il Comune al pagamento del corrispettivo, il provvedimento contingibile e urgente emesso dal sindaco.
In altre parole, l’ordinanza sindacale impositiva dell’obbligo di sequestrare e abbattere il bovino non avrebbe potuto, in assenza di un valido contratto stipulato per iscritto, far sorgere da sola alcun obbligo di prestazione a carico del mattatoio YYY.
Tanto premesso, deve essere riformata la sentenza del giudice di prime cure nella parte in cui ha ritenuto provata in sede di merito la sussistenza del credito posto alla base del decreto ingiuntivo opposto, con conseguente revoca dello stesso.
Per continuità logica, in ragione dell’accoglimento dell’appello principale, deve essere a questo punto esaminato l’appello incidentale proposto dalla YYY, avente ad oggetto l’azione di ingiustificato arricchimento nei confronti della p.a., così come prevista dall’art. 2041 c.c.
Al riguardo, in primo luogo deve essere valutata la proponibilità di detta azione nel corso del presente giudizio, a fronte dell’eccezione di inammissibilità sollevata dal Comune di XXX.
In argomento, invero, deve sottolinearsi come la giurisprudenza ritiene in maniera uniforme che “nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo l’azione di ingiustificato arricchimento, che è diversa nella “causa petendi” e nel “petitum” da quella di adempimento contrattuale, può essere esercitata dal creditore opposto, purché l’esigenza nasca dalle difese dell’opponente contenute nell’atto di opposizione e la relativa domanda sia formulata nella comparsa di costituzione e risposta, a pena di inammissibilità rilevabile d’ufficio” (Cassazione civile, Sez. Un., 27/12/2010, n. 26128).
Inoltre, l’azione di ingiustificato arricchimento può essere proposta solo quando ricorrano due presupposti: a) la mancanza di qualsiasi altro rimedio giudiziale in favore dell’impoverito; b) la unicità del fatto causativo dell’impoverimento sussistente quando la prestazione resa dall’impoverito sia andata a vantaggio dell’arricchito, con conseguente esclusione dei casi di cosiddetto arricchimento indiretto, nei quali l’arricchimento è realizzato da persona diversa rispetto a quella cui era destinata la prestazione dell’impoverito.
Tuttavia, avendo l’azione di ingiustificato arricchimento uno scopo di equità, il suo esercizio deve ammettersi anche nel caso di arricchimento indiretto nei soli casi in cui lo stesso sia stato realizzato dalla Pubblica Amministrazione, in conseguenza della prestazione resa dall’impoverito ad un ente pubblico, ovvero sia stato conseguito dal terzo a titolo gratuito (Cassazione civile sez. III, 13/10/2022, n. 29937).
Tanto premesso, nel caso di specie, come risulta dagli atti depositati nel corso del giudizio (in particolare della comparsa di risposta della YYY in sede di opposizione a decreto ingiuntivo dinanzi al giudice di Pace) e dalle conclusioni sinora raggiunte, devono essere ritenuti sussistenti gli anzidetti requisiti giurisprudenziali di proposizione dell’azione, con contestuale ammissibilità della stessa ai sensi dell’art. 2041 c.c. (cfr. fascicolo di primo grado).
Del resto, al contrario di quanto sostenuto dal Comune di XXX, non è più necessario, da parte dell’Amministrazione, il riconoscimento dell’utilità della prestazione resa dal privato giacché “il riconoscimento dell’utilità da parte dell’arricchito non costituisce requisito dell’azione di indebito arricchimento, sicché il depauperato che agisce ex art. 2041 c.c. nei confronti della P.A. ha solo l’onere di provare il fatto oggettivo dell’arricchimento, senza che l’ente pubblico possa opporre il mancato riconoscimento dello stesso; tuttavia, le esigenze di tutela delle finanze pubbliche e la considerazione delle dimensioni e della complessità dell’articolazione interna della P.A. trovano adeguata tutela nel principio di diritto comune del cd. “arricchimento imposto”, potendo, invece, l’Amministrazione eccepire e provare che l’indennizzo non è dovuto laddove l’arricchito ha rifiutato l’arricchimento ovvero non ha potuto rifiutarlo perché inconsapevole dell'”eventum utilitatis” (Cassazione civile sez. III, 24/04/2019, n. 11209).
Ebbene, venendo al caso di specie, il Comune di XXX non ha fornito la prova del cd. arricchimento imposto, né ha eccepito la mancata esecuzione della prestazione de qua da parte del mattatoio resistente.
Ed invero, l’ente appellante in sede di opposizione a decreto ingiuntivo non ha contestato la mancata esecuzione della prestazione da parte dell’odierna appellata, quanto genericamente che lo smaltimento del bovino non fosse stata seguito da “apposito verbale attestante l’avvenuto smaltimento dall’ASP di Catanzaro e del Servizio Veterinario” (cfr. fascicolo di primo grado).
In argomento, giova rammentare che l’onere di contestazione rappresenta un principio cardine del processo civile, codificato nell’art. 115 c.p.c.: esso impone a ciascuna parte di prendere posizione in modo chiaro, puntuale e specifico sui fatti addotti dall’altra, indicando le ragioni per cui l’allegazione di controparte va contestata e disattesa; la mancata contestazione, alla quale va equiparata la contestazione generica, comporta un effetto particolarmente devastante per la parte, posto che il fatto non contestato si ritiene pacifico e la controparte è esonerata dal relativo onere probatorio (Corte appello Brescia, 23/03/2023, n. 514; Tribunale Terni, 11/04/2023, n. 240).
La circostanza relativa all’esecuzione della prestazione in esame da parte del mattatoio resistente, pertanto, in virtù dell’art. 115 c.p.c. deve intendersi quindi pacificamente acquisita.
La questione, inoltre, è confortata dal fatto che nella medesima ordinanza sindacale lo stesso Comune di XXX ha asserito che il bovino fosse collocato presso il mattatoio F.lli ***, con ordine di notificare all’odierna appellata l’ordinanza in questione.
Nondimeno, la YYY nel corso del giudizio di primo e secondo grado dava atto del fatto che “il Comune, per le vie brevi, non ha mai negato il debito ed ha sempre chiesto alla YYY S.r.l. solamente di pazientare per asserite difficoltà finanziarie”, circostanza mai contestata dal Comune di XXX nel corso del doppio grado di giudizio (cfr. fascicolo di primo grado in atti).
In virtù dei principi enunciati e delle risultanze processuali acquisite, deve essere dunque accolta la domanda di ingiustificato arricchimento spiegata dalla YYY nei confronti dell’ente locale opponente, con le precisazioni che si diranno di seguito.
Ed invero, l’indennità ex art. 2041 c.c., in caso di assenza di un valido contratto con la P.A., va liquidata nei limiti della diminuzione patrimoniale subita dall’esecutore della prestazione resa in virtù del contratto invalido, con esclusione di quanto lo stesso avrebbe percepito a titolo di lucro cessante se il rapporto negoziale fosse stato valido ed efficace.
Infatti, la liquidazione non può avvenire in misura corrispondente al prezzo fatturato, comprensivo del guadagno (sul punto, Cass Sez Unite, n. 23385 del 11/09/2008 ed a questa conformi: Cass, n. 23780 del 07/11/2014; Cass., n. 19886 del 06/10/2015; Cass., n. 14526 del 15/07/2016).
Ciò posto, poiché parte appellata a riprova del quantum debendi si è limitata ad allegare la sola fattura emessa nei confronti del Comune dei costi sostenuti, ai fini della determinazione dell’indennizzo la stessa può formare oggetto di una valutazione di carattere equitativo ai sensi dell’art. 1226 c.c., a causa della difficoltà della corretta liquidazione nel suo preciso ammontare (Cassazione civile sez. I, 29/05/2019, n. 14670). Detta determinazione, peraltro, è rimessa d’ufficio, anche senza domanda di parte, al prudente apprezzamento del giudice, sia in sede di merito che in grado di appello (Cassazione civile sez. III, 05/02/2021, n. 2831).
Orbene, tenendo conto dei principi sinora espressi e del quantum richiesto da parte appellata a titolo di spese di sequestro e di termodistruzione della carcassa del bovino, appare equo determinare l’ammontare finale dell’indennizzo ex art. 2041 c.c. in euro 2.500,00 (v. anche Tribunale Messina Sez. II, Sent., 28/06/2023, che ha quantificato l’indennizzo, in via equitativa, nella misura dell’80% delle fatture azionate).
Tanto premesso, alla luce di tali principi e di quanto sinora enunciato, deve essere quindi accolta la domanda proposta dall’odierno appellante relativa alla revoca del decreto ingiuntivo opposto, nonché l’appello incidentale spiegato dalla YYY in relazione all’azione di ingiustificato arricchimento, con conseguente riforma della sentenza di primo grado impugnata.
Infine, avuto riguardo alle domande spiegate dalle parti e al loro reciproco accoglimento, assimilabile all’ipotesi di soccombenza reciproca, le spese di lite devono essere integralmente compensate tra le parti.
P.Q.M.
Il Tribunale di Lamezia Terme, Sezione Unica Civile, in persona del giudice monocratico dott.ssa, definitivamente pronunciando sulla causa in oggetto, disattesa ogni contraria istanza, eccezione e difesa, così provvede:
– rigetta l’eccezione preliminare sollevata ai sensi dell’art. 342 c.p.c. e dichiara l’ammissibilità del gravame;
– rigetta l’eccezione di difetto di giurisdizione;
– accoglie l’appello principale proposto dal Comune di XXX e per l’effetto, riforma la sentenza n. 6 del 2013, del Giudice di Pace di XXX, depositata in data 25 gennaio 2013;
– revoca il decreto ingiuntivo opposto n. 21/2011 del Giudice di Pace di XXX;
– accoglie l’appello incidentale di YYY S.r.l. nei limiti di cui in motivazione e, per l’effetto, condanna il Comune di XXX, in persona del Sindaco pro-tempore, al pagamento, in favore di YYY S.r.l., a titolo di ingiustificato arricchimento, della somma di euro 2.500,00, oltre interessi legali dalla presente sentenza fino al saldo effettivo.
– compensa integralmente le spese di lite tra le parti;
– manda alla cancelleria per gli adempimenti di competenza.
Così deciso in Lamezia Terme, 4 agosto 2023.
IL GIUDICE
La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di
Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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