CORTE DI APPELLO DI NAPOLI
IV SEZIONE CIVILE
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
La Corte, in persona dei sottoscritti Magistrati:
SENTENZA n. 1828/2022 pubblicata il 02/05/2022
nel giudizio iscritto al numero di R.G. 5468/2015, avente ad oggetto appello avverso la sentenza non definitiva n. 1646/2009 del Tribunale di Benevento pubblicata in data 24/7/2009 e la sentenza definitiva dello stesso Tribunale n.
2488/2015 pubblicata in data 24/11/2015, vertente
TRA
XXX DELLA PROVINCIA DI BENEVENTO (P.I.), in
persona del legale rapp.te p.t., difeso dall’avv.
APPELLANTE
E
YYY (C.F.), difeso
APPELLATO
CONCLUSIONI
Le parti hanno concluso come da note depositate per la trattazione scritta dell’udienza del giorno 16/11/2021, disposta ai sensi dell’art. 221, comma 4, D.L. n. 34/2020, convertito con modificazioni in L. n. 77/2020 e successive integrazioni.
RAGIONI IN FATTO E DIRITTO
Con atto di citazione notificato il 29/12/2005 YYY agiva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Benevento, chiedendo condannarsi il XXX della Provincia di Benevento (d’ora in poi, per brevità, “XXX”) al pagamento, in proprio favore, della somma di € 66.500,00, oltre interessi, a titolo di indennizzo per ingiustificato arricchimento, ai sensi dell’art. 2041 c.c., per l’espletata attività professionale consistente nella redazione di tre perizie di variante, resesi necessarie durante la realizzazione delle opere di “completamento infrastrutture primarie nell’agglomerato industriale di ***” di cui alla delibera CIPE del in ordine al piano annuale di attuazione della L. n. 64/1988, riguardo alle quali esso istante era stato nominato direttore dei lavori. Precisava l’attore che in un precedente giudizio il Tribunale di Benevento aveva accolto la sua domanda volta al pagamento delle competenze professionali maturate per l’attività di direzione lavori, rigettando però la pretesa relativa al pagamento delle competenze concernenti le perizie di variante, rilevando sul punto la carenza di valido titolo contrattuale, in mancanza del relativo incarico formalizzato in un atto scritto, richiesto dalla legge ad substantiam a pena di nullità, stante la natura di ente pubblico dal XXX.
Il convenuto, costituitosi in giudizio, eccepiva, in via preliminare, la prescrizione del diritto azionato, deducendo, in via subordinata, l’infondatezza della domanda perché priva di ogni riscontro probatorio.
Con sentenza non definitiva n. 1646/2009 il Tribunale di Benevento rigettava l’eccezione di prescrizione, provvedendo con separata ordinanza per il prosieguo del giudizio, nel corso del quale veniva disposta C.T.U.
Nella prima udienza successiva il XXX formulava riserva di appello avverso la suindicata pronuncia non definitiva.
Con sentenza definitiva n. 2488/2015 il Tribunale di Benevento, in accoglimento della domanda attorea, condannava il XXX al pagamento, in favore del YYY, della somma di € 65.549,93, oltre interessi legali, con decorrenza dall’approvazione delle perizie di variante, e spese processuali.
Il XXX proponeva appello avverso le suindicate sentenze, convenendo il YYY dinanzi a questa Corte e deducendo, quali motivi di impugnazione:
– quanto alla sentenza non definitiva, che il Giudice di primo grado aveva superato la questione della prescrizione sull’errato presupposto che il momento dell’arricchimento da parte di esso esponente, con conseguente decorrenza del termine ordinario di prescrizione decennale, si sarebbe verificato con l’approvazione del certificato di collaudo delle opere in data 23/10/1996;
– che, invece, il momento dell’utilitas e del suo riconoscimento, implicito e/o esplicito da parte di esso XXX, andava individuato nell’atto di consegna degli elaborati o, al più, negli atti di approvazione delle perizie di variante;
– che, come affermato dalla Suprema Corte, è vero che il collaudo dell’opera pubblica costituisce un’implicita accettazione della stessa da parte della P.A., ma è altrettanto vero che, affinché la prescrizione possa decorrere dalla data del collaudo, è necessario che in precedenza non vi sia stato alcun riconoscimento dell’utilitas dell’opera, decorrendo altrimenti il termine prescrizionale da tale precedente riconoscimento (v. Cass. 29/3/2005, n. 6570);
– quanto alla sentenza definitiva, che il Giudice di primo grado aveva precisato, ponendosi in contrasto con quanto stabilito nella precedente pronuncia non definitiva, che il termine iniziale di prescrizione andava individuato nel momento della comunicazione da parte della Cassa Depositi e Prestiti in data 20/12/1996, con la quale la stessa rendeva noto che stava per essere predisposto il mandato di pagamento del finanziamento;
– che, invece, come innanzi esposto, detto termine coincideva con le date di consegna degli elaborati o, al più, con quelle di approvazione delle tre perizie di variante oggetto di causa (19/4/1991, 29/3/1993 e 4/10/1993), con la conseguenza che, in mancanza di utili atti interruttivi, la notificazione dell’atto introduttivo del giudizio di primo grado in data 29/12/2005 era successiva alla maturazione del termine decennale di prescrizione;
– che nell’impugnata decisione gli interessi sulla somma attribuita al professionista erano stati significativamente riconosciuti con decorrenza dalle suindicate date di approvazione delle perizie di variante;
– che la sentenza impugnata era erronea perché gli interessi andavano eventualmente riconosciuti a far data dalla messa in mora;
– che il Giudice di prime cure aveva erroneamente riconosciuto al YYY la paternità anche della prima perizia di variante, così come aveva erroneamente quantificato l’indennizzo ex art. 2041 c.c. nella medesima somma richiesta dal predetto sulla base delle tariffe professionali.
Pertanto chiedeva, previa sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza definitiva, accogliersi l’appello ed, in totale riforma delle impugnate sentenze, rigettarsi la domanda proposta dal YYY.
Costituitosi in giudizio, l’appellato chiedeva rigettarsi tutti i motivi di appello, in ragione dalla dedotta infondatezza degli stessi, con conseguente integrale conferma delle decisioni impugnate.
Con ordinanza resa in data 6/4/2016 veniva rigettata la richiesta di sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza impugnata.
Acquisito il fascicolo relativo al giudizio di primo grado, la causa veniva riservata per la decisione.
Così riassunti i termini della controversia, in punto di ammissibilità dell’appello occorre preliminarmente osservare che il XXX, ai sensi dell’art. 340, comma 2°, c.p.c., ha correttamente impugnato entrambe le sentenze pronunciate nel giudizio di primo grado dal Tribunale di Benevento, ossia quella non definitiva n. 1646/2009, con la quale veniva rigettata l’eccezione di prescrizione dell’azione, e quella definitiva n. 2488/2015, con la quale veniva accolta nel merito la domanda proposta dal YYY. Va aggiunto che l’attore come emerge dal verbale dell’udienza del 6/11/2009, costituente la prima udienza successiva alla comunicazione della suindicata sentenza non definitiva, formulava tempestivamente espressa riserva di appello ex art. 340, comma 1°, c.p.c.
Quanto al merito, rileva la Corte che l’appello è fondato e deve, pertanto, essere accolto.
In particolare, occorre in primo luogo precisare che, com’è pacifico tra le parti, nessun dubbio si pone circa la sussidiarietà, a norma dell’art. 2042 c.c., dell’azione avanzata dal YYY, essendo calato il giudicato sull’insussistenza di valido titolo contrattuale – a base della pretesa al compenso professionale per l’attività di progettazione – per carenza della forma scritta del relativo accordo, richiesta dalla legge ad substantiam, a pena di nullità, stante la natura di ente pubblico del XXX (v. sentenza n. 1187/2005 del Tribunale di Benevento depositata in data 13/6/2005, di cui alla produzione di parte appellante).
Ciò posto, coglie nel segno la doglianza riguardante la prospettata maturazione della prescrizione decennale dell’azione generale di ingiustificato arricchimento di cui all’art. 2041 c.c. (è pacifico che detta azione sia soggetta all’ordinaria prescrizione di dieci anni: v., tra le altre, Cass. 26/3/2018, n. 554; Cass. 14/4/2011, n. 8537). Sul punto, va detto che il Giudice di primo grado rigettava l’eccezione formulata dal XXX, affermando che non sarebbe maturato il termine prescrizionale di dieci anni fra il certificato di collaudo in data 23/10/1996 e la notificazione dell’atto di citazione del 29/12/2005. Ora, ha ragione l’appellante a dolersi dell’erronea identificazione dell’exordium praescriptionis con la data dell’approvazione del collaudo dell’opera pubblica nel cui ambito furono redatte le tre perizie di variante rispetto alle quali il YYY ha avanzato la pretesa di indennizzo ai sensi dell’art. 2041 c.c. Infatti, va premesso che, in materia di azione generale di arricchimento proposta nei confronti di una pubblica amministrazione, la Corte regolatrice, intervenuta a sezioni unite onde comporre un contrasto fra sezioni semplici, ha affermato che il riconoscimento dell’utilità da parte dell’amministrazione non costituisce un requisito dell’azione, con la conseguenza che il depauperato “ha l’onere di provare, solamente, il fatto oggettivo dell’arricchimento (l’esecuzione dell’opera o la fornitura del servizio), senza che la p.a. possa opporre il mancato riconoscimento dello stesso, poiché l’utilitas può emergere dalla mera utilizzazione” (così Cass. sez. un. 26/5/2015, n. 10798; v. anche Cass. 26/06/2018 , n. 16793). Se, pertanto, l’azione in oggetto può essere esercitata una volta che la pubblica amministrazione abbia utilizzato l’opera posta in essere dal privato, ne deriva che è a partire dal momento di tale utilizzazione che inizia a decorrere il termine di prescrizione della stessa, nella prospettiva di cui all’art. 2935 c.c. Con particolare riferimento, poi, alla pretesa fatta valere dal professionista che abbia svolto attività di progettazione nell’interesse di una P.A., l’obbligo indennitario di questa non sorge con la compiuta realizzazione dell’opera in conformità al progetto, ma in virtù del dato oggettivo dell’utilizzazione della prestazione, “che avviene nel momento in cui l’elaborato progettuale viene acquisito dalla pubblica amministrazione e comunque da essa adoperato”, segnando detto momento “il dies a quo per la decorrenza della prescrizione dell’azione, non rilevando a tal fine il riconoscimento soggettivo dell’utilitas da parte dell’ente (cfr. Cass. 18/6/2020, n. 11803, la quale ha affermato che l’azione era esperibile a partire dal contratto di appalto concluso sulla base del progetto, con conseguente decorrenza da tale momento della prescrizione).
Ebbene, in applicazione dei richiamati principi, nella vicenda oggetto di causa l’utilizzazione da parte del XXX delle tre perizie di variante può riscontrarsi nell’avvenuta formale approvazione da parte del Comitato Direttivo dello stesso con delibere del 19/4/1991, del 29/3/1993 e del 4/10/1993, sicché, dopo l’atto interruttivo del 10/7/1995 (v. missiva di costituzione in mora, allegato 7 della produzione di parte appellante), è decorso un periodo di tempo di oltre dieci anni prima della notificazione dell’atto introduttivo del giudizio di primo grado, perfezionatasi in data 29/12/2005. Va aggiunto, in ogni caso, che detta conclusione non muta ove si ritenga definitivamente cristallizzata l’utilizzazione dell’attività professionale del YYY, da parte del XXX, al momento dell’ultimazione dei lavori, ivi compresi quelli in variante, la quale, come emerge dal certificato di collaudo in atti, avveniva in data 3/12/1993 (v. certificato di collaudo, pag. 3). Infatti, trattandosi comunque di data anteriore alla suindicata lettera di costituzione in mora (del 10/7/1995) risulterebbe anche in tal caso decorso il termine prescrizionale di dieci anni prima dell’instaurazione della presente controversia.
Né, contrariamente a quanto sostenuto dall’appellato, può ritenersi che il collaudo dell’opera pubblica abbia assunto valore di riconoscimento del debito e, quindi, di atto interruttivo del corso della prescrizione, come previsto dall’art. 2944 c.c. Sul punto, occorre sottolineare, in primo luogo, che nella relazione di collaudo la commissione provvedeva alla riapprovazione, tra l’altro, delle perizie di variante, senza che da ciò possa desumersi una volontà riconducibile al XXX di riconoscere il diritto del professionista all’indennizzo ex art. 2041 c.c. Inoltre, come affermato dai Giudici di legittimità, ai fini dell’interruzione della prescrizione, il riconoscimento del diritto è configurabile in presenza, non solo, dei requisiti della volontarietà, della consapevolezza, della inequivocità e della recettizietà, ma anche dell’esternazione, in quanto funzionale a manifestare alla controparte del rapporto la portata ricognitiva alla base dell’effetto interruttivo (v. Cass. 18/6/2020, n. 11803, la quale ha confermato la sentenza d’appello, che aveva ritenuto che una delibera di giunta con cui un’Amministrazione provinciale aveva comunicato a due professionisti di voler corrispondere loro un importo non avesse effetto interruttivo riguardo all’esercizio dell’azione ex art. 2041 c.c., trattandosi del riconoscimento di un diritto alla prestazione contrattuale, differente rispetto a quello relativo all’indennizzo per ingiustificato arricchimento, per cui era stata eccepita la prescrizione). Nella fattispecie in esame, deve analogamente escludersi che la relazione di collaudo dell’opera pubblica possa avere effetto di riconoscimento, quanto ai compensi spettanti al YYY per le perizie di variante in questione, di un debito del XXX a titolo di ingiustificato arricchimento. Infatti, ogni richiamo ai compensi dovuti al YYY, contenuto nella relazione di collaudo depositata in atti, non può che riferirsi alle prestazioni professionali svolte dallo stesso in base all’incarico conferitogli dal committente e, quindi, a titolo contrattuale.
Alla luce delle considerazioni che precedono, in accoglimento dell’appello ed in totale riforma delle impugnate decisioni, la domanda proposta dal YYY non può che essere rigettata. Ed è appena il caso di notare che, nella prospettiva di cui all’art. 336, comma 2°, c.p.c., la riforma della sentenza non definitiva estende i suoi effetti alla successiva sentenza definitiva del giudizio di primo grado, in quanto evidentemente dipendente dalla prima.
Va infine osservato che l’appellante, in sede di precisazione delle conclusioni (v. note per la trattazione scritta dell’udienza del 5/10/2021 e dell’udienza del 16/11/2021, depositate, rispettivamente, in date 5/10/2021 e 16/11/2021), ha chiesto condannarsi la controparte alla restituzione di quanto alla stessa corrisposto in esecuzione della sentenza definitiva impugnata successivamente al rigetto dell’istanza di sospensione dell’efficacia esecutiva della stessa. Ora, è pacifico in giurisprudenza che la richiesta in oggetto, ove, come avvenuto nella specie, il pagamento delle somme di cui alla sentenza di primo grado sia stato effettuato successivamente alla proposizione dell’impugnazione, può essere formulata in detto giudizio sino alla precisazione delle conclusioni (cfr. Cass. 15/3/2021, n. 7144; Cass. 31/3/2015, n. 6457). Ciò posto, rileva la Corte che tale domanda debba trovare accoglimento, avendo il XXX allegato e provato l’avvenuto versamento, mediante bonifici bancari, del complessivo importo di € 162.257,71, quale sorta capitale riconosciuta in sentenza, IVA e CNPAIA, interessi legali, spese di lite ed accessori di legge, il tutto come da fatture emesse dal YYY. Nulla può riconoscersi, invece, all’appellante a titolo di interessi sulla sorta capitale innanzi indicata, in mancanza di espressa domanda formulata sul punto, la quale era necessaria trattandosi di credito di valuta (cfr. Cass. 25/11/2021, n. 36659; Cass. 19/9/2016, n. 18292).
Quanto al governo delle spese, è opportuno precisare che alla conclusione del rigetto della domanda per prescrizione del credito fatto valere dal YYY si sarebbe pervenuti anche in base all’orientamento della Corte di legittimità precedente la richiamata pronuncia a sezioni unite n. 10798/2015, tenuto conto che l’errore in cui è incorso il Giudice di prime cure è consistito nel ritenere che l’utilità della prestazione ricevuta dal XXX si fosse realizzata a seguito del collaudo, “con la concreta utilizzazione dell’opera”, con ciò confondendo l’utilizzazione dell’opera pubblica realizzata con quella della prestazione professionale di redazione degli elaborati relativi alle perizie di variante. In altri termini, l’utilizzazione dei descritti progetti di variante da parte del XXX avrebbe comunque avuto integrato gli estremi del riconoscimento implicito dell’utilitas (che la Corte regolatrice riteneva in passato necessario ai fini dell’accoglimento della domanda ex art. 2041 c.c.) ben prima del collaudo finale dell’opera, ossia quanto meno alla data dell’ultimazione dei lavori (3/12/1993). Ne discende che le spese del doppio grado di giudizio, liquidate nella misura indicata in dispositivo, debbano porsi a carico del YYY, in virtù del principio della soccombenza, sulla base dei parametri di cui al D.M. n. 55/2014 e successive integrazioni.
P.Q.M.
La Corte di Appello di Napoli, definitivamente pronunciando sull’appello proposto dal XXX della Provincia di Benevento, con atto di citazione notificato in data 1/12/2015, nei confronti di YYY, avverso la sentenza non definitiva n. 1646/2009 del Tribunale di Benevento pubblicata in data 24/7/2009 ed avverso la sentenza definitiva dello stesso Tribunale n. 2488/2015 pubblicata in data 24/11/2015, così provvede:
a) accoglie l’appello e, per l’effetto, in totale riforma delle sentenze impugnate, rigetta la domanda di indennizzo ex art. 2041 c.c. proposta dal YYY con l’atto introduttivo del giudizio di primo grado;
b) condanna il YYY alla restituzione, in favore del XXX per l’Area di Sviluppo Industriale della Provincia di Benevento, delle somme versate in esecuzione dell’impugnata decisione definitiva, pari a complessivi € 162.257,71;
c) condanna il YYY al pagamento, in favore del XXX della Provincia di Benevento, delle spese di lite, che liquida,
– quanto al giudizio di primo grado, in complessivi € 7.475,00, di cui, € 6.500,00 per compensi professionali ed € 975,00 per rimborso spese forfettarie pari al 15%, oltre I.V.A. e C.P.A. come per legge, ponendo definitivamente a carico del YYY le spese relative all’espletata C.T.U.;
– quanto al presente grado di appello, in complessivi € 8.640,00, di cui € 1.165,00 per esborsi, € 6.500,00 per compensi professionali ed € 975,00 per rimborso spese forfettarie pari al 15%, oltre I.V.A. e C.P.A. come per legge.
Così deciso in Napoli il giorno 26/4/2022.
IL PRESIDENTE
IL CONSIGLIERE ESTENSORE
(dott. Michele Caccese)
L’originale di questo provvedimento è un documento informatico sottoscritto con firma digitale (artt. 1, lett. s, 21 e 24 D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82) e depositato telematicamente nel fascicolo informatico ai sensi degli artt. 15 e 35, comma 1, D.M.
21 febbraio 2011, n. 44, come modificato dal D.M. 15 ottobre 2012 n. 209.
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