REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
La Corte d’Appello di L’Aquila
riunita in camera di consiglio nelle persone dei sottoindicati Magistrati:
ha pronunciato la seguente
SENTENZA n. 1101/2022 pubblicata il 19/07/2022
nella causa civile di appello iscritta al n. 1521\2018
R.G.A.C., promossa dalla
s.p.a. XXX,
APPELLANTE
contro YYY e ZZZ, rappresentati e difesi dall’avv.
APPELLATI
per la riforma dell’ordinanza resa ex art. 702-ter, co. 5 c.p.c. dal Tribunale di Teramo il 30\10\2018.
CONCLUSIONI DELLE PARTI
Per l’appellante:
“…in accoglimento dell’appello, condannare parte appellata alla restituzione di quanto corrisposto da XXX in esecuzione dell’impugnata ordinanza, oltre alle spese, diritti ed onorari del doppio grado ed alla restituzione delle spese di lite liquidate per il giudizio di prime cure”.
Per gli appellati:
““Piaccia all’Ecc.ma Corte di Appello di L’Aquila, ogni contraria istanza ed eccezione disattesa e respinta, – in via preliminare, accertata la mancata impugnazione relativa al capo dispositivo dell’ordinanza appellata con il quale XXX Spa era stata condannata alla restituzione in favore dei sigg.ri YYY e ZZZ della somma di € 15.391,89, dichiarare che su di essa si è ormai formato il giudicato, in considerazione di acquiescenza implicita parziale formatasi ai sensi e per gli effetti della norma di cui all’art. 329, 2° comma c.p.c.;
– sempre in via preliminare, dichiarare l’inammissibilità dell’atto di appello ai sensi della norma di cui all’art. 342 c.p.c. per le motivazioni esXXX in narrativa;
– in via principale, rigettare l’atto di citazione in appello perché comunque infondato sia in fatto che in diritto e per l’effetto confermare in ogni statuizione l’ordinanza RG. 1653/2017, Rep. 1418/18, emessa dal Tribunale di Teramo in data 30.10.2018. Con vittoria di spese e compensi di lite di entrambi i gradi di giudizio;
– in via subordinata, in caso di accoglimento dell’appello, disporre la compensazione delle spese di lite di entrambi i gradi di giudizio”.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE
1.1) In primo grado YYY e ZZZ hanno dedotto d’avere acquistato, a gennaio del 1986, 3 buoni fruttiferi postali (BFP), serie P, di durata trentennale e del valore nominale di 1.000.000 di lire ciascuno; che alla scadenza ciascun buono -sulla base delle condizioni stampate sul buono stesso, che individuavano la misura degl’interessi- avrebbe dato loro diritto a ricevere una somma pari a £ 25.556.863 (e quindi ad € 13.199,01), mentre la s.p.a. XXX aveva riconosciuto dovuta (e perciò pagato) la minor somma di € 8.063,99- hanno chiesto la condanna delle XXX al pagamento della differenza.
1.2) XXX ha chiesto il rigetto della domanda, rappresentando che quei buoni erano stati emessi in un periodo storico caratterizzato, in Italia, da un’apprezzabile svalutazione della moneta, per cui garantivano tassi d’interessi elevati, così da renderli appetibili sul mercato.
1.3) Ma una volta messa sotto controllo l’inflazione, con D.M. del Ministero del Tesoro emesso il 16\6\1986 (in attuazione della relativa facoltà che veniva attribuita allo Stato dall’art. 173 del D.P.R. 156\19873, di variare i tassi d’interesse dei BFP), lo Stato aveva ridotto quei tassi, per cui la somma dovuta era quella che era già stata pagata.
1.4) All’esito il Tribunale ha accolto la domanda aderendo a quella giurisprudenza secondo cui (Cass. 13979\2007; 19002\2017) “nella disciplina dei buoni postali fruttiferi dettata dal testo unico approvato con il d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, il vincolo contrattuale tra emittente e sottoscrittore dei titoli si forma sulla base dei dati risultanti dal testo dei buoni di volta in volta sottoscritti; ne deriva che il contrasto tra le condizioni, in riferimento al saggio degli interessi, apposte sul titolo e quelle stabilite dal d.m. che ne disponeva l’emissione deve essere risolto dando la prevalenza alle prime, essendo contrario alla funzione stessa dei buoni postali -destinati ad essere emessi in serie, per rispondere a richieste di un numero indeterminato di sottoscrittori- che le condizioni alle quali l’amministrazione postale si obbliga possano essere, sin da principio, diverse da quelle espressamente rese note al risparmiatore all’atto della sottoscrizione del buono”.
2.1) Con l’appello XXX ribadisce che il tasso d’interesse applicabile è quello stabilito col D.M., tasso che è destinato a prevalere su quello riportato a stampa sul documento, che era stato originariamente proposto ed accettato.
2.2) E ciò perché l’anzidetto art. 173 del D.P.R. 156\1973 consente allo Stato di modificare i tassi d’interesse a mezzo di un D.M.; e lo Stato s’era poi avvalso della relativa facoltà col D.M. 13\6\1986. 2.4) Aggiunge che i BFP sono meri titoli di legittimazione, e non dei titoli di credito, per cui ad essi non si applicano i principi, propri dei titoli di credito, di autonomia causale, letteralità ed astrattezza; e che la pubblicazione del D.M. 13\6\1986 sulla Gazzetta Ufficiale aveva assolto la funzione d’informare adeguatamente la clientela.
2.5) Deduce ancora che i titoli del debito pubblico trovano la loro disciplina nelle norme dello Stato, e non in un contratto concluso col risparmiatore; e rappresenta che le sentenze che il primo Giudice ha citato a sostegno della sua tesi risolvevano controversie che avevano un diverso contenuto (si trattava di titoli “a termine” e non “ordinari”).
2.6) Gli appellati hanno chiesto il rigetto del gravame, ribadendo che occorreva dare prevalenza alle condizioni pattuite a momento della sottoscrizione, e che erano riportate anche sui buoni, non valendo a modificarle un D.M., che è provvedimento di formazione secondaria e di natura sostanzialmente amministrativa; D.M. che, peraltro, non era stato neppure allegato agli atti.
3.1) Ciò premesso in fatto, occorre considerare che la giurisprudenza è stata a lungo divisa, in relazione alla questione relativa ai tassi che occorreva applicare ai BFP delle serie P e PQ; e quindi alla possibilità, per l’emittente, di modificare i tassi d’interesse in maniera unilaterale, e persino con effetto retroattivo.
3.2) La questione ha trovato una prima soluzione nella sentenza della Corte Costituzionale, n. 26\2020, che ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 173 del DPR 156/1973 con riferimento agli artt. 3 e 47 della Costituzione, laddove “consente di estendere, con decreto del Ministro del tesoro assunto di concerto con il ministro per le XXX e Telecomunicazioni, le modifiche peggiorative dei tassi di interesse ad una o più serie di buoni postali fruttiferi emessi precedentemente al decreto ministeriale stesso”.
3.3) Mentre da ultimo la Suprema Corte (con sent. n. 4748\2022) ha stabilito che “in tema di buoni postali fruttiferi, la disciplina contenuta nell’abrogato art. 173 del d.P.R. n. 156 del 1973, come novellato dall’art. 1 del d.l. n. 460 del 1974, conv. in l. n. 588 del 1974, che consentiva variazioni, anche “in pejus”, del tasso di interesse sulla base di decreti ministeriali, in quanto dettata da una fonte di rango legislativo, ha natura cogente (assicurando il contemperamento tra l’interesse generale di programmazione economica e la tutela del risparmio del sottoscrittore), e come tale idonea a sostituire ex art. 1339 c.c. la statuizioni negoziali della parti: ne deriva che il contrasto tra le condizioni, in riferimento al saggio degli interessi, apposte sul titolo e quelle stabilite dal d.m. che ne disponeva l’emissione deve essere risolto dando la prevalenza alle seconde” …. fissando per tutte le serie precedenti, e con decorrenza 1 gennaio 1987, un regime di calcolo degli interessi meno favorevole di quello risultante dalla tabella posta a tergo dei buoni”.
3.4) Alla luce delle considerazioni che precedono, quindi, l’appello va accolto, ma il contrasto esistente in giurisprudenza, e la novità delle pronunce intervenute nel corso del giudizio giustificano l’integrale compensazione delle spese del doppio grado.
3.5) Da ultimo, ai fini della decisione risulta non decisiva la circostanza che il D.M. 13\6\1986 non sia stato prodotto, una volta che esso mutua, dall’art. 173 del d.P.R. n. 156\1973, natura di fonte legislativa derivata: con la conseguenza che, trattandosi di atto normativo, sebbene non di rango primario, il D.M. in oggetto risulta conoscibile “ex officio” da parte del giudice, e non ha bisogno d’essere depositato dalla parte interessata.
3.6) E comunque, il contenuto del D.M. non ha mai formato oggetto di contestazione nel corso del giudizio, per cui rientra tra i fatti pacificamente acquisiti: con la conseguenza che l’appellate è esonerato dalla prova (art. 115 c.p.c.), e resta perciò esclusa la necessità del deposito del documento.
3.7) XXX chiede ulteriormente che gli appellati vengano condannati a restituire le somme che assume d’avere loro corrisposto in esecuzione della sentenza di primo grado, per capitale e per le spese di lite: ma di tale pagamento non ha offerto la prova, per cui l’istanza va respinta, anche perché, con l’appello, non è stato neppure indicato l’ammontare della somma che sarebbe stata pagata.
P.Q.M.
definitivamente pronunciando sull’appello proposto dalla s.p.a. XXX contro l’ordinanza ex art. 702 ter, co. 5, c.p.c., resa dal Tribunale di Teramo il 30\10\2018, nei confronti di YYY e ZZZ, così provvede:
in accoglimento dell’appello, respinge la domanda avanzata dagli appellati, compensando le spese del doppio grado.
Così deciso in L’Aquila, nella camera di consiglio del 15\2\2022.
Il Presidente estensore
La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di
Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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