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Codice Civile
Codice Penale

Buoni postali, obblighi informativi

Esclusione della applicabilità ai titolari di buoni postali fruttiferi delle norme positive in materia di tutela dei consumatori.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Tribunale di Bergamo
Sezione Quarta Civile

Il Tribunale, nella persona del giudice ha pronunciato la seguente

SENTENZA n. 2051/2019 pubblicata il 01/10/2019

nella causa civile di I Grado iscritta al n. /2018 R.G. promossa da

XXX (), rappresentato e difeso dall’avv. ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in, come da procura allegata all’atto di citazione

ATTORE contro

POSTE ITALIANE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in come da procura generale allegata alla comparsa di costituzione e risposta

CONVENUTA

CONCLUSIONI: All’udienza del 14 maggio 2019 i procuratori delle parti hanno precisato le rispettive conclusioni nei termini di seguito riportati.

PARTE ATTRICE

Voglia l’Ill.mo Tribunale adito, respinta ogni contraria eccezione e deduzione avversaria:

in via principale
I. accertare che il Decreto Ministeriale 13.06.1986 sia all’attore per i buoni postali fruttiferi oggetto del presente contenzioso, conseguentemente dichiarare che la società Poste Italiane S.p.A. debba adempiere correttamente al rispetto delle condizioni economiche riportate a tergo dei buoni postali fruttiferi, per tutte le considerazioni giuridiche indicate negli scritti difensivi depositati nell’interesse dell’attore con il conseguente pagamento dell’importo in favore del signor XXX ai danni della società convenuta pari a complessivi € 33.306,06 oltre interessi legali dalla data della domanda al saldo; in via subordinata

II. accertare e dichiarare la disapplicazione ex art. 5 l. 2248/1865 all. E del D.M. 13.06.1986 perché illegittimo e contrario alla legge:

1) per difetto di motivazione del D.M. sopra citato che indica genericamente “ritenuta l’urgenza” per la modifica di tassi di interesse dei buoni postali fruttiferi in scadenza trenta anni dopo l’entrata in vigore del D. M. di cui si chiede la disapplicazione;

2) per la mancanza della prova circa la richiesta del parere al Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio, previsto per legge ex DPR 156/73;

3) per la mancanza di prova in relazione alla messa a disposizione delle tabelle integrative presso i Pubblici Uffici Postali come espressamente previsto nell’art. 173, comma III, DPR 156/1973;

4) per la mancata prova relativa alla comunicazione personale all’attore della modifica intervenuta, e per tutte le argomentazioni giuridiche inserite negli scritti difensivi depositati nell’interesse dell’attore medesimo e dei pareri proveritate agli atti, con la conseguente condanna della società Poste Italiane S.p.A., in favore del signor XXX al pagamento della somma complessiva di € 33.306,06 oltre interessi legali dalla data della domanda al saldo; in via ulteriormente subordinata

III. accertare e dichiarare l’inadempimento della società Poste Italiane S.p.A. in violazione degli artt. 1337 e 1375 c.c. e, conseguentemente, condannare la società Poste Italiane S.p.A. al risarcimento del danno subito dall’attore nella misura che si quantifica in € 33.306,06 oltre interessi legali dalla data della domanda al saldo; in ogni caso

IV. con vittoria di spese, diritti ed onorari di giudizio
PARTE CONVENUTA

contrariis reiectis, piaccia all’Ecc.mo Tribunale adito così giudicare: in via preliminare di rito:

o qualificata l’emissione dei Buoni Postali di causa, ex art. 1 R.D.L. n. 2106/1924, forma di indebitamento dello Stato a mente dell’art. 2, lett. m), D.P.R. n. 398/2003, e dell’art. 9 D.Lgs. n. 213/1998, dichiararsi ex art. 37 C.C. il difetto di giurisdizione del G.O. in favore del G.A., a mente dell’art. 133, lett. v), D.Lgs. n. 104/2010; nel merito:

o in via principale: respingersi la domanda attrice per carenza di legittimazione passiva della convenuta, a mente dell’art. 4, co. 2, D.M. 05.12.2003; spese interamente rifuse;

o in ogni caso: respingersi comunque la domanda attrice, siccome infondata in fatto e diritto, per tutte le causali di cui in narrativa; spese integralmente rifuse;

Svolgimento del processo
Con atto di citazione ritualmente notificato alla controparte, XXX ha adito il Tribunale di Bergamo, deducendo:

– di avere acquistato nei mesi di marzo e aprile 1986 n. 3 buoni postali fruttiferi della serie P;

– di avere convenuto con la controparte, all’atto della sottoscrizione dei titoli, l’applicazione dei saggi riportati nella tabella posta sul retro di ciascuno dei buoni acquistati.

– di aver ottenuto il rimborso dei buoni in applicazione dei tassi di interesse introdotti dal D.M. 13 giugno 1986, inferiori a quelli di cui alla suddetta tabella.

L’attore ha quindi sostenuto la non opponibilità a sé delle modifiche introdotte con il D.M. 13 giugno 1986, concludendo in via principale per la condanna di Poste Italiane S.p.a. al pagamento della somma di euro 33.306,06, a titolo di differenza tra l’importo maturato in applicazione della tabella riportata sul retro dei buoni e la minore somma ottenuta in sede di riscossione degli stessi.

In via subordinata, l’attore ha chiesto di procedere alla disapplicazione del D.M. 13 giugno 1986 ai sensi dell’art. 5 della L. 2248/1865, all. E, e conseguentemente di condannare la convenuta al pagamento della somma risultante dal computo dei tassi di interesse originariamente previsti.

In via ulteriormente subordinata, XXX ha chiesto la condanna di Poste Italiane S.p.a. al pagamento della somma di euro € 33.306,06, a titolo di risarcimento del danno derivante dalla violazione degli artt. 1337 e 1375 c.c.

Poste Italiane S.p.a. si è costituita in giudizio con comparsa di costituzione e risposta depositata in data 20 luglio 2018, con la quale ha dedotto, in via preliminare, la sussistenza della giurisdizione del

Giudice Amministrativo, a norma dell’art. 133, lett. v), del D.Lgs. 104/2010, sul presupposto della qualificazione dell’emissione dei buoni postali fruttiferi come forma di indebitamento dello stato ai sensi dell’art. 2, lett. m), del D.P.R. 398/2003.

Nel merito, la parte convenuta ha eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva ai sensi dell’art. 4, comma 2, del D.M. 5.12.2003, e ha comunque chiesto il rigetto della domanda attorea.

Senza svolgimento di attività istruttoria, all’udienza del 14 maggio 2019, le parti hanno precisato le rispettive conclusioni e, concessi i termini di cui all’art. 190 c.p.c., la causa è stata trattenuta in decisione.

MOTIVI DELLA DECISIONE
La decisione della presente controversia presuppone l’esame di una questione preliminare, attinente alla verifica della sussistenza della giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria, e l’analisi, nel merito, di tre temi sostanziali: il primo di essi riguarda l’eccezione di carenza di legittimazione passiva formulata Poste Italiane S.p.a.; il secondo ha per oggetto la individuazione del saggio degli interessi da applicare ai buoni postali fruttiferi acquistati dall’attore; il terzo attiene alla configurabilità della responsabilità risarcitoria di Poste Italiane S.p.a. per la violazione dei principi di cui agli artt. 1337 e 1375 c.c.

1. Sulla giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria.

Poste Italiane S.p.a. ha eccepito la carenza di giurisdizione del giudice ordinario, argomentando sulla natura di titoli di stato dei buoni postali fruttiferi.

In particolare, Poste Italiane S.p.a.:

– ha richiamato la definizione di titoli di Stato di cui all’art. 2, lettera m), del D.P.R. n. 398/2003 (“Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di debito pubblico”), in forza della quale sono titoli di Stato: tutte le forme di indebitamento dello Stato, a breve, medio e lungo termine”, comunque rappresentate e/o denominate;

– ha evidenziato che i buoni postali sono emessi dal Ministero delle Finanze e sono solo collocati e gestiti da Poste Italiane S.p.a., con conseguente riconducibilità di essi alla nozione di debiti dello

Stato;

– ha dedotto la carenza di giurisdizione del giudice ordinario sulla vicenda di causa, a norma dell’art. 133 lett. v), D.Lgs. n. 104/2010, il quale stabilisce che siano devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo “le controversie tra lo Stato e i suoi creditori riguardanti l’interpretazione dei contratti aventi per oggetto i titoli di Stato o le leggi relative ad essi o comunque sul debito pubblico”;

Il Tribunale ritiene che l’eccezione sia infondata, poiché quella dedotta in causa è una controversia tra privati – un cittadino ed una società per azioni – ed ha per oggetto la misura degli interessi dovuti in forza di un contratto di diritto privato, sia pure disciplinato da norme speciali.

La giurisdizione del giudice amministrativo è dunque da escludere sia in forza del dato testuale della norma richiamata da Poste Italiane S.p.a. (la quale prevede la giurisdizione esclusiva per le controversie in cui sia parte lo Stato), sia alla luce della giurisprudenza costituzionale in materia di giurisdizione esclusiva.

La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 204/2004, ha infatti ribadito il ruolo primario del criterio di riparto fondato sulla consistenza delle posizioni giuridiche azionate in giudizio, individuando l’esistenza di determinati limiti costituzionali alla discrezionalità del legislatore nell’individuazione delle materie oggetto di giurisdizione esclusiva. I suddetti limiti sono ricavabili dal concetto di “particolari materie” di cui all’art. 103, co. 1, della Costituzione: in altri termini, la Costituzione, nello stabilire che le materie attribuite alla giurisdizione esclusiva del G.A. devono essere particolari rispetto a quelle devolute alla giurisdizione generale di legittimità, intende affermare che esse devono partecipare alla loro medesima natura, che è contrassegnata dalla circostanza che la P.A. agisca come

Autorità. Le particolari materie di cui all’art. 103 della Costituzione devono pertanto caratterizzarsi per “la inscindibilità delle questioni di interesse legittimo e di diritto soggettivo, e per la prevalenza delle prime”.

Ponendosi in questa prospettiva, con riguardo specificamente ai buoni postali, occorre rammentare che anche quando i servizi postali erano collocati da un’azienda dello Stato (l’Azienda Autonoma Poste e Telecomunicazioni dello Stato, la quale, con la L. n. 71 del 1994, fu trasformata nell’Ente

Poste, avente natura di ente pubblico economico, e quindi, nel 1997, nell’attuale Poste Italiane S.p.a.), essi erano organizzati e gestiti in forma d’impresa ed i rapporti con gli utenti erano fondamentalmente soggetti al regime del diritto privato (v. Corte di Appello di Brescia n. 1092/2019). In altri termini, la gestione dei servizi postali, ivi compresa la collocazione dei buoni postali è sostanzialmente priva di lineamenti autoritativi e le controversie che da essi discendono, quando non coinvolgono contestazioni sulla legittimità di provvedimenti autoritativi che ne scandiscono la regolamentazione, sottendono all’evidenza situazioni giuridiche di diritto soggettivo come tali attratte nella giurisdizione del giudice ordinario.

2. Sulla legittimazione passiva di Poste Italiane S.p.a.

Poste Italiane S.p.a. ha inoltre eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva rispetto al credito azionato, richiamando il disposto dell’art. 4 del D.M. 5 dicembre 2003.

Tale norma ha stabilito, per un verso, il subentro del Ministero dell’Economia e delle Finanze alla Cassa Depositi e Prestiti nei rapporti concernenti (fra l’altro) “i buoni fruttiferi postali relativi alle serie e sottoscritti nei termini indicati nell’allegato elenco n. 2” (tra cui quelli oggetto di causa) e, per altro verso, l’affidamento alla Cassa Depositi e Prestiti della gestione di tutte le attività concernenti i rapporti trasferiti.

Da essa deriverebbe la legittimazione passiva del “Ministero delle Finanze, rappresentato ex lege dalla Cassa Depositi e Prestiti”, in ragione della espressa assegnazione a quest’ultima della attività di rimborso dei buoni postali.

Sotto altro profilo, la difesa di parte convenuta ha fatto rilevare che i buoni postali di cui si discute sono stati emessi dal Ministero delle Finanze ai sensi dell’art. 1 del R.D. 2106/1924 e sono stati solo collocati dalla Amministrazione delle Poste (Azienda Autonoma del Ministero delle Poste e Telecomunicazioni), soggetto distinto dalla società per azioni Poste Italiane, istituita in forza della deliberazione C.I.P.E. del 18 dicembre 1997. Ciò posto, si formulano le seguenti osservazioni.

In primo luogo, il D.M. 5 dicembre 2003, richiamato da Poste Italiane S.p.a. a sostegno della propria eccezione, non contiene disposizioni riguardanti quest’ultima. La suddetta normativa è, invece, volta a disciplinare i rapporti tra la Cassa Depositi e Prestiti e il Ministero dell’Economia e delle Finanze. In particolare, con tale provvedimento:

– è stato disposto il trasferimento di una serie di rapporti dalla Cassa Depositi e Prestiti (divenuta società per azioni) al Ministero dell’Economia e delle Finanze (art.3, commi 1-4);

– è stato stabilito espressamente che “i rapporti trasferiti restano regolati dalle disposizioni legislative e regolamentari e dai provvedimenti e dalle convenzioni applicabili al momento del trasferimento” (art. 3, comma 5).

– è stato previsto il mantenimento di una serie di competenze in capo alla Cassa Depositi e Prestiti con riguardo alla gestione dei rapporti trasferiti al Ministero (art. 4). In altri termini, il D.M. 5 dicembre 2003 regolamenta i rapporti interni di provvista tra Ministero e Cassa depositi e prestiti, mentre non incide sulle attribuzioni e le competenze di Poste Italiane S.p.a..

Conseguenza logica di quanto argomentato è che la legittimazione passiva di Poste Italiane S.p.a. va verificata alla luce del DPR 156/1973 e delle disposizioni che hanno disciplinato la trasformazione della Amministrazione delle Poste e Telecomunicazioni nell’Ente Poste e, successivamente, la trasformazione di quest’ultimo in Poste Italiane S.p.a.. Non assume portata dirimente la circostanza, pacifica, che sia l’Azienda Autonoma Poste e Telecomunicazioni dello Stato sia Poste Italiane S.p.a. abbiano rivestito (la prima) e rivestano attualmente (la seconda) la qualità di meri collocatori dei buoni postali. E’, invece, rilevante che, nei rapporti con i risparmiatori, l’Azienda Autonoma del Ministero delle Poste e Telecomunicazioni fosse espressamente indicata come il soggetto tenuto a rimborsare i buoni postali (si veda infatti la indicazione stampigliata sui singoli titoli da cui si evince la possibilità di riscuotere le somme maturate presso l’ufficio postale di rilascio del buono stesso e, con preavviso di sei giorni, anche presso altri uffici postali).

Può dunque affermarsi che all’epoca di emissione dei buoni di cui si discute l’Amministrazione delle Poste e Telecomunicazioni fosse il soggetto legittimato passivo delle richieste di rimborso formulate dai risparmiatori. Pertanto, resta solo da verificare se le attribuzioni originariamente facenti capo alla Azienda Autonoma del Ministero delle Poste e Telecomunicazioni siano state trasferite all’Ente Poste e, successivamente, a Poste Italiane S.p.a..

Al riguardo, è sufficiente richiamare l’art. 2 del D.L. 487/1993 (con cui è stata disposta la trasformazione in Ente Poste della Amministrazione delle Poste e Telecomunicazioni), il quale prevede che l’Ente Poste “svolge le attività e i servizi determinati nello statuto e nel contratto di programma, nonché, fino all’adozione dei medesimi, le attività e i servizi esercitati dall’Amministrazione delle poste e delle telecomunicazioni alla data di entrata in vigore del presente decreto”. La successiva trasformazione dell’Ente Poste in società per azioni non ha poi comportato modifiche di competenze.

Per tutto quanto sin qui argomentato, va affermata la legittimazione passiva di Poste Italiane S.p.a. con riferimento al rimborso dei buoni postali collocati dalla Amministrazione delle Poste e delle Telecomunicazioni.

Alle medesime conclusioni si perviene anche ragionando a contrario rispetto alle considerazioni svolte dalla giurisprudenza di legittimità formatasi nel contraddittorio con Poste Italiane s.p.a. (e non con la Cassa Depositi e Prestiti s.p.a.), in materia di buoni postali fruttiferi, laddove la Corte di Cassazione ha rilevato che “compete all’amministrazione postale il diritto di ripetere gli interessi riscossi dai sottoscrittori in conformità al tenore letterale dei buoni postali, ove questo non corrisponda alle indicazioni dettate al riguardo da apposito decreto ministeriale, essendo detti buoni titoli di legittimazione e non titoli di credito” (cfr. Cass. 9218/2006; Cass. n. 27809 del 2005 e Cass. SS.UU. 13979/2007).

3. Sull’individuazione del saggio degli interessi da applicare nella fattispecie concreta

L’attore sostiene che i buoni postali fruttiferi sottoscritti nell’anno 1986, prima del D.M. del 13 giugno sopra citato, debbano essere rimborsati in conformità ai tassi di interesse indicati sul retro di ciascun titolo e non già al saggio inferiore calcolato dall’Ufficio Postale.

A questo riguardo, XXX, per un verso, ha dedotto l’inefficacia della variazione in peius dei tassi di rendimento dei buoni di cui è giudizio, in ragione del mancato rispetto della norma di cui all’art. 118 del Testo Unico Bancario, in materia di ius variandi, dichiarata applicabile ai buoni postali fruttiferi dall’art. 2 comma 3 del DPR 14 marzo 2001 n. 144; per altro verso, ma pervenendo alle medesime conclusioni, ha evidenziato come la possibilità di modificazione peggiorativa dei tassi di rendimento dei buoni postali fruttiferi sia in ogni caso condizionata, in ossequio ai principi di tutela del risparmio ricavabili dall’art. 47 della Costituzione e comunque in applicazione degli artt. 1175 e 1375 c.c., alla preventiva comunicazione al risparmiatore della variazione di rendimento.

Poste Italiane s.p.a., di contro, ha giustificato la mancata liquidazione di quanto indicato su ciascun buono, rappresentando che, come consentito dall’art. 173 D.P.R. n. 156/1973 (all’epoca vigente), successivamente all’emissione dei buoni in oggetto, era intervenuto il D.M. del Tesoro del 13 giugno 1986 che aveva variato (riducendolo) il saggio d’interesse dei buoni anche con riferimento alle serie precedenti.

*

Il Tribunale rileva che la fattispecie in esame si riferisce a buoni postali della serie “P”, espressamente compresi nell’intervento di “Modificazione dei saggi d’interesse sui libretti e sui buoni postali di risparmio” di cui al sopravvenuto D.M. del Tesoro del 13 giugno 1986 (pubblicato su Gazz.Uff. del 28 agosto 1986, n. 148).

In forza dell’art. 6 di tale D.M., “sul montante dei buoni postali fruttiferi di tutte le serie precedenti a quella contraddistinta con la lettera «Q», compresa quella speciale riservata agli italiani residenti all’estero, maturato alla data del 1° gennaio 1987, si applicano, a partire dalla stessa data, i saggi di interesse fissati col presente decreto, per i buoni della serie «Q»”.

Il suddetto intervento di modifica trova la propria fonte di legittimità nell’art. 173 del D.P.R. 29/03/1973 n. 156 (come sostituito dal D.L. n. 460 del 30 settembre 1974, convertito nella legge n. 588 del 25 novembre 1974), vigente all’epoca dei fatti di causa ed applicabile al presente giudizio. Più precisamente, l’art. 173 del D.P.R. n. 156/1973 è stato abrogato dall’art. 7 del D.lgs n. 284 del 30.07.1999, che ha tuttavia espressamente salvato la sua efficacia nei confronti di tutti “i rapporti già in essere alla data di entrata in vigore dei medesimi decreti”.

L’art. 173 del D.P.R. n. 156/1974 prevedeva che le variazioni del tasso d’interesse dei buoni postali fruttiferi – disposte con decreto del Ministro del Tesoro di concerto con quello delle Poste e Telecomunicazioni, da pubblicarsi nella Gazzetta Ufficiale – avrebbero potuto avere effetto non solo per i buoni di nuova emissione, ma anche nei confronti dei buoni già emessi in precedenza (dovendosi, in questo caso, considerare questi ultimi rimborsati e convertiti in titoli della nuova serie). Il comma 3 del medesimo articolo precisava, inoltre, che gli interessi sarebbero stati corrisposti sulla base della tabella riportata a tergo dei buoni, la quale, però, per i titoli i cui tassi fossero stati modificati dopo l’emissione, era da intendersi integrata da altra tabella (destinata evidentemente a riportare le accennate modifiche) messa a disposizione presso gli uffici postali.

In altri termini, in base alle disposizioni richiamate, al momento dell’acquisto dei buoni postali fruttiferi di cui è causa, era possibile (e dunque anche prevedibile) che il contenuto dei diritti spettanti ai sottoscrittori dei buoni postali medesimi subisse, medio tempore, variazioni (migliorative o peggiorative per i singoli risparmiatori con riferimento al tasso degli interessi originariamente previsto sui buoni) per effetto di eventuali sopravvenuti decreti ministeriali.

Pertanto, in forza di quanto previsto dall’art. 173 del D.P.R. 29/03/1973 n. 156 modificato nel 1974, con il D.M. del 13 giugno 1986, si è realizzata una (etero)integrazione di fonte legale del rapporto (di natura privatistica) intercorrente tra il risparmiatore e Poste Italiane ai sensi degli art. 1374 c.c. e 1339 c.c., il che ha comportato una automatica sostituzione dei tassi di interesse pattuiti al momento dell’acquisto con quelli indicati nel D.M. del Tesoro del 13 giugno 1986. *

Ciò posto, in risposta alle argomentazioni svolte dalla difesa dell’attore, si evidenzia che le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno di recente affermato la insostenibilità della tesi secondo la quale la disciplina applicabile ai buoni postali emessi all’epoca in cui era in vigore l’art. 173 del D.P.R. n. 156/1973 sia quella vigente al momento della riscossione, poiché la norma abrogatrice del D.P.R. n. 156/1973 ha espressamente stabilito, come si è sopra evidenziato, che i rapporti già in essere continuano a essere regolati dalle norme anteriori (Cass. S.U. n. 3963/2019).

Nella medesima pronuncia, è stata inoltre esclusa la rilevanza, ai fini della efficacia della modificazione dei tassi disposta con il D.M. 13 giugno 1986, della concreta messa a disposizione dei risparmiatori della nuova tabella (integrativa di quella apposta sul retro dei buoni). In particolare, la Corte di Cassazione ha fatto rilevare come sia erroneo ritenere che la messa a disposizione della nuova tabella costituisca un obbligo informativo dalla cui osservanza dipenda la vincolatività della variazione per il risparmiatore.

Sul tema, il Tribunale osserva ancora che l’esistenza del potere del Ministro di intervenire unilateralmente sui tassi pattuiti contrattualmente, trattandosi di un elemento normativo – caratterizzante quel genere di titoli – già vigente al momento dell’acquisto, non contrasta affatto, così come sostenuto dall’attore, con la tutela dell’affidamento ingenerato nei risparmiatori: invero, tale possibilità era contemplata dal testo contrattuale conosciuto e conoscibile da parte del cliente/risparmiatore.

In altri termini, sottoscrivendo i buoni postali fruttiferi emessi nel 1986, nella vigenza della normativa pregressa di cui al cit. D.P.R. n.156/73, “il sottoscrittore era edotto della possibile successiva variabilità del tasso d’interesse, per effetto di un’eventuale posteriore determinazione in tal senso dell’amministrazione pubblica, o doveva comunque presumersi che di ciò fosse edotto, trattandosi di un elemento normativo caratterizzante ormai quel genere di titoli” (così Cass. S.U. n. 13979/07 in motivazione e nei medesimi termini anche Cass. S.U. n. 3963/2019). *

In via gradata, la difesa di parte attrice, al fine di ottenere la liquidazione dei buoni secondo i tassi di interesse previsti al momento della loro sottoscrizione, ha invocato il potere di disapplicazione del giudice ordinario del D.M. 13 giugno 1986, in quanto atto amministrativo illegittimo (L. 2248/1865 all. E).

In particolare, è stato dedotto che il D.M. 13 giugno 1986 sarebbe un atto amministrativo illegittimo per carenza di motivazione, facendo lo stesso riferimento esclusivamente all’urgenza, con riserva di sentire il Comitato Interministeriale del Credito e del Risparmio.

Il Tribunale non condivide la linea interpretativa indicata dall’attore, giacché il decreto ministeriale del 13 giugno 1986 (il quale ha certamente natura di atto amministrativo, così come più volte affermato dalla giurisprudenza amministrativa cfr. ex multis Cons. St., 4 marzo 2014, n. 1018) va più correttamente qualificato quale atto amministrativo generale, avente destinatari indeterminabili a priori, ma determinabili a posteriori, e destinato a regolare non una serie indeterminata di casi (come l’atto normativo) ma, conformemente alla sua natura amministrativa, un caso particolare e/o una vicenda determinata, esaurita la quale vengono meno anche i suoi effetti (cfr. Cons. St., Ad. Pl.., 4 maggio 2012, n. 9).

In quanto atto amministrativo generale, il decreto ministeriale è in via di principio sottratto dall’obbligo di motivazione ex art. 3, comma 2 della legge 7 agosto 1990, n. 241.

L’onere di motivazione si estende agli atti generali soltanto nelle eccezionali ipotesi in cui questi siano idonei a incidere su una specifica situazione soggettiva qualificata (Cons. Stato 4794/2016).

Tale situazione soggettiva è ravvisabile se l’atto generale sia in grado di ledere l’affidamento qualificato di uno o più destinatari (v. Cons. Stato, IV, 26 aprile 2006, n. 2297, pronuncia alla quale rimanda la sentenza sopra citata, richiamata dalla parte attrice a sostegno delle proprie deduzioni).

Nel caso di specie, tuttavia, non si ravvisa alcun affidamento qualificato in capo all’attore.

In proposito, si reputa sufficiente richiamare le argomentazioni sopra svolte in ordine alla impossibilità per il risparmiatore di invocare l’ignoranza della previsione legislativa sulla modificabilità, anche in peius, dei tassi di interesse vigenti al momento della sottoscrizione del buono postale.

L’art. 173 del D.P.R. 156/1973, come modificato dal D.L. n. 460/1974, è idoneo a escludere la creazione di qualsiasi affidamento sulla stabilità del rendimento dei buoni postali; conseguentemente, il D.M. del 13 giugno 1986 – che ha introdotto una modificazione peggiorativa dei tassi di interesse dei buoni postali secondo il meccanismo di integrazione contrattuale di cui all’art. 1339 c.c. – deve ritenersi sottratto dall’obbligo di motivazione ex art. 3, comma 2 della legge 7 agosto 1990, n. 241.

Infine, non sono fondate le doglianze formulate dall’attore sulla carenza nel D.M. del 13 giugno 1986, dei requisiti minimi di legittimità anche degli atti normativi e a contenuto generale, per i quali il Consiglio di Stato ha precisato che l’onere di motivazione gravante sull’Amministrazione pubblica, “risulta soddisfatto con l’indicazione dei profili generali e dei criteri che sorreggono le scelte predette, senza necessità di una motivazione” (Consiglio di Stato n. 3365/2017)..

Il D.M. 13 giugno 1986, nel richiamare il contesto normativo di riferimento, idoneo a sostenere la legittimità delle disposizioni in esso contenute, può ritenersi coerente con la giurisprudenza sopra citata.

*

Dalle considerazioni che precedono, emerge che i buoni postali nella titolarità degli attori sono stati correttamente liquidati da parte di Poste Italiane S.p.a. nel rispetto di quanto previsto dal D.M. del Tesoro del 13 giugno 1986.

4. Sulla configurabilità di una responsabilità risarcitoria di Poste Italiane S.p.a.

In via ulteriormente gradata, l’attore ha dedotto di avere diritto al risarcimento dei danni patiti per effetto della violazione da parte di Poste Italiane S.p.a degli di obblighi di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1337 e 1375 c.c.

La questione posta a fondamento della pretesa risarcitoria in discussione è quella della mancata comunicazione al risparmiatore, in sede di sottoscrizione del contratto, della suscettibilità di variazione anche in peius dei tassi di rendimento e, una volta intervenuto il D.M. del 13 giugno 1986, della avvenuta modificazione peggiorativa dei tassi stessi.

Sul tema, si reputano significative le considerazioni svolte nella sentenza delle S.U. della Corte di Cassazione n. 3963/2019, già sopra richiamata, con riferimento alla pretesa, ivi avanzata, di applicazione ai titolari dei buoni postali della disciplina in materia di tutela dei consumatori, in particolare delle norme concernenti la imposizione di obblighi informativi personalizzati cui riconnettere facoltà e diritti intesi a garantire la libera autodeterminazione.

Nella suddetta pronuncia, la Corte di Cassazione, nel negare la estendibilità a Poste Italiane S.p.a. degli obblighi informativi stabiliti a tutela dei consumatori, ha precisato come la normativa relativa ai buoni postali, intesa a incidere autoritativamente sul contratto, si giustifichi “con la soggettività statuale del soggetto emittente e con le garanzie derivanti da tale profilo soggettivo” e ha dato rilievo, da un lato, alla facoltà per il risparmiatore, in caso di variazione del tasso, di riscuotere immediatamente il titolo percependo gli interessi corrispondenti alla originaria fissazione portata dal titolo stesso e, dall’altro lato, al diritto del risparmiatore che non intendesse disinvestire nonostante la sopravvenuta variazione del tasso di interesse, di ricevere, al momento dell’esercizio del suo diritto a riscuotere il proprio credito, l’importo degli interessi corrispondenti al tasso indicato nel titolo, sino alla data della variazione.

L’esclusione, come sopra argomentata, della applicabilità ai titolari di buoni postali fruttiferi delle norme positive in materia di tutela dei consumatori preclude, quantomeno con riguardo alla fase antecedente alla stipulazione del contratto, di reintrodurre l’esigenza di rispetto da parte di Poste Italiane S.p.a. dei medesimi obblighi informativi, mediante la riconduzione di essi alla nozione generale di buona fede nelle trattative.

Nessuna violazione dei principi di correttezza è dunque ravvisabile nella condotta tenuta dal soggetto responsabile della collocazione dei buoni postali fruttiferi al momento della sottoscrizione dei buoni stessi da parte dell’attore, il quale era tenuto a conoscere la caratteristica di variabilità dei rendimenti correlati ad essi, così come, più in generale, l’integrale disciplina dei buoni postali, legislativamente stabilita.

Quanto alla fase successiva, il Tribunale reputa invece astrattamente ipotizzabile – anche in ragione della diversa collocazione nella gerarchia delle fonti dei decreti ministeriali rispetto alle leggi dello stato e alle conseguenze che da ciò derivano in punto di presunzione di conoscenza – che il dovere di correttezza in executivis imponesse all’Amministrazione delle Poste, una volta intervenuta la modificazione peggiorativa dei tassi di cui si discute, l’onere di informare i risparmiatori della modificazione stessa e delle facoltà correlate ad essa.

Peraltro, anche a ritenere accertata la violazione del dovere di correttezza nella fase esecutiva del contratto, l’accoglimento della domanda risarcitoria avanzata dall’attore presupporrebbe la dimostrazione del patimento di un danno concreto.

In particolare, il risparmiatore è tenuto a provare che, ove fosse stato informato tempestivamente della modificazione dei tassi di rendimento dei buoni postali in suo possesso, avrebbe avuto la possibilità, previo disinvestimento, di impiegare diversamente il proprio denaro, ottenendo rendimenti uguali o superiori a quelli originariamente promessi.

Nessuna allegazione in tal senso è stata formulata nel presente giudizio.

Per tutte le considerazioni sin qui svolte, le domande dell’attore devono essere integralmente rigettate. Non ravvisandosi un mutamento di giurisprudenza nella sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 3963/2019, pronunciata nel corso del presente giudizio, le spese seguono la soccombenza e sono poste a carico dell’attore soccombente, nella misura liquidata direttamente in dispositivo.

PQM
il Tribunale, definitivamente pronunciando, disattesa ogni contraria domanda, istanza ed eccezione, così provvede:

1) rigetta le domande proposte da XXX;

2) condanna XXX a rifondere in favore di Poste Italiane S.p.a. le spese di lite, liquidate in euro 6.738,00 per compenso professionale, oltre rimborso forfetario al 15% ex art. 2 comma secondo

D.M. 10 marzo 2014 n. 55, oltre i.v.a. e c.p.a;

Così deciso in Bergamo il 1° ottobre 2019

IL GIUDICE

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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