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Caduta in SPA: responsabilità del gestore e concorso di colpa

Il gestore di una SPA è responsabile dei danni subiti da un cliente per la caduta su gradini bagnati, ma la responsabilità si riduce in caso di concorso di colpa del danneggiato. L’attore ha l’onere di provare il nesso causale tra la cosa e il danno, mentre il convenuto deve provare il caso fortuito. Il risarcimento del danno non patrimoniale deve essere personalizzato in base alle tabelle del Tribunale di Milano.

Pubblicato il 09 January 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile

N. R.G. 23302/2021

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO di MILANO DECIMA CIVILE

Il Tribunale, nella persona del Giudice dott. NOME COGNOME ha pronunciato la seguente

SENTENZA N._27_2025_- N._R.G._00023302_2021 DEL_02_01_2025 PUBBLICATA_IL_02_01_2025

nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 23302/2021 promossa da:

(C.F. , con il patrocinio dell’avv. NOME COGNOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO 41012 COGNOME presso il difensore avv. NOME COGNOME ATTORE/I contro (C.F. ), con il patrocinio dell’avv. COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO 47900 RIMINI presso il difensore avv. COGNOME NOME CONVENUTO/I (C.F. ), con il patrocinio dell’avv. COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO 22100 COMO presso il difensore avv. COGNOME NOME TERZO CHIAMATO

CONCLUSIONI

Le parti hanno concluso come da fogli depositati in via telematica in data 4/7/2024 per parte attrice, 3/7/2024 per parte convenuta e 5/7/2024 per la terza chiamata e allegati al verbale d’udienza di precisazione delle conclusioni.

C.F. Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione L’attore chiede il risarcimento dei danni subiti a seguito di una caduta avvenuta all’interno della SPA dell’Hotel Baia Flaminia in data 31/08/2020.

Riferisce in atto di citazione che, nell’uscire dalla vasca idromassaggio per recarsi in area relax, scivolava sui gradini in discesa, che si presentavano umidi e bagnati e non erano dotati né di zigrinature antiscivolo, né di corrimano.

Invoca la responsabilità ex art. 2051 c.c. della società convenuta e chiede il risarcimento del danno alla persona subito a seguito della caduta, nonché un’ulteriore somma per il danno da vacanza rovinata.

La società convenuta contesta la responsabilità, affermando che l’Area benessere dell’hotel è adeguata alla normativa in materia di sicurezza.

Afferma che i gradini su cui avvenne la caduta sono in materiale antiscivolo e dotati di strisce zigrinate, mentre non è necessaria la presenza di corrimano.

Fa rilevare che la presenza di acqua a terra in una SPA è naturale ed eccepisce che l’attore non abbia usato la normale prudenza, con ciò integrando il “caso fortuito” idoneo ad esonerare la società convenuta dalla responsabilità ex art. 2051 c.c..

Chiede in ogni caso, per l’eventualità di una condanna, di essere manlevata dalla propria di cui ha chiesto la chiamata in causa.

La causa è stata introdotta con ricorso ex art. 702 bis c.p.c..

Successivamente è stata disposta la conversione del rito e ammesse le prove orali articolate dalle parti.

Esaurite le prove orali è stata disposta una CTU sulla persona dell’attore.

La domanda attorea è parzialmente fondata e va accolta nei limiti e per le ragioni di seguito indicate.

Nel merito, parte attrice fa valere in giudizio una responsabilità da cose in custodia ex art. 2051 c.c. in capo alla convenuta, asserendo che l’evento lesivo, ossia la caduta, sia stata causata dalla presenza di acqua sui gradini della SPA non dotati di dispositivi antiscivolo, né di corrimano.

In ordine alla responsabilità da cose in custodia, quale risulta qualificabile la fattispecie oggetto di causa, deve essere preliminarmente rammentato l’orientamento più recente seguito dalla giurisprudenza di legittimità.

Nella sentenza n. 2094/2013 la Corte di Cassazione ha precisato i principi giuridici che governano la materia e che possono così riassumersi:

la responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia prevista dall’art. 2051 c.c. prescinde dall’accertamento del carattere colposo dell’attività o del comportamento del custode e ha natura oggettiva, necessitando, per la sua configurabilità, del mero rapporto eziologico tra cosa ed evento;

tale responsabilità prescinde, altresì, dall’accertamento della pericolosità della cosa e sussiste in relazione a tutti i danni da essa cagionati, sia per la sua intrinseca natura, sia per l’insorgenza di agenti dannosi, essendo esclusa solo dal caso fortuito, che può essere rappresentato anche dal fatto del danneggiato, avente un’efficacia causale idonea a interrompere il nesso causale tra cosa ed evento dannoso (Cass. 7.04.2010 n. 8229; Cass. 19.02.2008 n. 4279; Cass. 5.12 2008 n. 828811).

Di conseguenza, ove vi sia rapporto di custodia, la responsabilità ex art. 2051 c.c. è esclusa dal caso fortuito, che individua un fattore riconducibile a un elemento esterno, avente i caratteri dell’imprevedibilità e dell’inevitabilità.

Sul punto la Suprema Corte ha infatti affermato che “la responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia, prevista dall’art. 2051 cod. civ., ha carattere oggettivo, essendo sufficiente, per la sua configurazione, la dimostrazione da parte dell’attore del verificarsi dell’evento dannoso e del suo rapporto di causalità con il bene in custodia:

una volta provate queste circostanze, il custode, per escludere la sua responsabilità, ha l’onere di provare il caso fortuito, ossia l’esistenza di un fattore estraneo che, per il suo carattere di imprevedibilità e di eccezionalità, sia idoneo ad interrompere il nesso causale” (Cfr, Cass. n. 16029/2010 e Cass. n. 2660/2013).

Da quanto affermato derivano precise conseguenze in tema di onere probatorio gravante sulle parti.

L’attore che agisce per il risarcimento del danno ha infatti l’onere di provare:

a) il fatto lesivo, come verificatosi in concreto;

b) il rapporto eziologico tra la cosa e l’evento lesivo;

c) il danno conseguenza.

Dall’altro lato il convenuto, per liberarsi della sua responsabilità, avrà l’onere di provare l’esistenza di un fattore estraneo alla sua sfera soggettiva, idoneo ad interrompere il nesso causale;

in altre parole, il convenuto custode dovrà fornire la prova del caso fortuito, ossia la prova di un evento eccezionale, imprevedibile ed inevitabile che – inserendosi nel decorso causale – abbia interrotto il nesso eziologico tra la cosa in custodia e il danno (cfr. Cass. civ., n. 22684/2013; Cass. civ., n. 378/2013; Cass. civ., n. 15720/2011) Al riguardo la giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di precisare in alcune recenti pronunce che “la prova del nesso causale è particolarmente rilevante e delicata nei casi in cui il danno non sia l’effetto di un dinamismo interno alla cosa, scatenato dalla sua struttura o dal suo funzionamento (scoppio della caldaia, scarica elettrica, frana della strada e simili), ma richieda che al modo di essere della cosa si unisca l’agire umano ed in particolare quello del danneggiato, essendo essa di per sé statica e inerte” (Cass. civ. sez. III, sent. 5 febbraio 2013 n. 2660; Cass. civ. sez. III. , sent. 29 novembre 2006 n. 25243).

In questi casi sorge, pertanto, la necessità “di ulteriori accertamenti, quali la maggiore o minore facilità di evitare l’ostacolo;

il grado di attenzione richiesto allo scopo, ed ogni altra circostanza idonea a stabilire se effettivamente la cosa avesse una potenzialità dannosa intrinseca, tale da giustificare l’oggettiva responsabilità del custode.

Trattasi di presupposti per l’operatività dell’art. 2051 c.c. che debbono essere dimostrati dal danneggiato, al fine di poter affermare che il danno è conseguenza causale della situazione dei luoghi” (Cass. civ. sez. III, sent. 5 febbraio 2013 n. 2660).

Pertanto, ove si tratti di cosa di per sé statica e inerte, la quale richieda che l’agire umano (ed in particolare quello del danneggiato) si unisca al modo di essere della res, per la prova del nesso causale incombe sul danneggiato l’onere ulteriore di dimostrare che lo stato dei luoghi presenti peculiarità tali da renderne potenzialmente dannosa la normale utilizzazione (Cass. civ. sez III. , sent. 13 marzo 2013, n. 6306).

In mancanza, il danneggiato non potrà far gravare sul danneggiante le conseguenze pregiudizievoli dell’evento, non avendo fornito la prova relativa al nesso eziologico che necessariamente deve sussistere tra quest’ultimo e la cosa in custodia.

Qualora al contrario l’attore riesca a dimostrare il suddetto legame causale, sul custode incombe la prova del caso fortuito per ottenere l’esonero della responsabilità.

In particolare, il fatto estraneo (sia esso del danneggiato, del terzo, o determinato da agente esterno) deve avere i requisiti dell’autonomia, dell’eccezionalità, dell’imprevedibilità, dell’inevitabilità, e quindi, in definitiva, dell’idoneità a produrre in via esclusiva l’evento, ad esclusione di fattori causali concorrenti (Cass. civ. sez. III, sent. 27 gennaio 2005, n. 1655; Cass. civ. sez. III, sent. 4 febbraio 2004, n. 2062; Cass. civ. sez. III, sent. 21 ottobre 2005, n. 20359).

Tanto premesso in termini generali, si osserva che nel caso di specie è certamente sussistente il rapporto di custodia tra la parte convenuta-proprietaria e la in cui si è verificato l’evento lesivo, peraltro, nemmeno oggetto di contestazione.

Nel caso di specie parte attrice allega di essere caduta sui gradini in discesa in uscita dalla vasca di idromassaggio, i quali si presentavano umidi e bagnati e non erano dotati né di zigrinature antiscivolo, né di corrimano.

Alla luce delle prove testimoniali assunte risulta provato, in primo luogo, il sinistro avvenuto la SPA dell’hotel.

Parte convenuta contesta che i testi non abbiano assistito alla dinamica della caduta.

In realtà, entrambe i testi escussi all’udienza del 11/10/2022 erano presenti al momento della caduta.

Il teste , ha infatti riferito:

“Non l’ho visto nel momento in cui è scivolato ma l’ho visto a terra subito dopo i gradini che dalla piscina idromassaggio portano all’area relax.

Era seduto attaccato COGNOME all’ultimo gradino della discesa, dove c’è il quadrato lavapiedi”.

La teste moglie dell’attore ha riportato:

“In quel momento io ero davanti a mio marito.

Ho sentito il signore che è appena uscito e che era davanti a noi con la moglie e procedeva verso l’area relax, dire alla moglie “attenta che si scivola” e subito dopo, mi sono trovata mio marito addosso che era caduto sul sedere.

Aggiungo che eravamo in fila e mio marito era all’inizio della scala, mentre io ero quasi arrivata giù, per cui nel cadere ha fatto tutta la scala, immagino col sedere anche se non l’ho visto ma mi sono girata quando me lo sono ritrovato addosso”.

Le due deposizioni sono perfettamente congruenti e collimano con la dinamica riferita in atto di citazione, che pertanto può ritenersi provata.

E’ altresì provata la circostanza che i gradini fossero bagnati e privi di zigrinature antiscivolo, come riferito dai testi e che la scala fosse priva di corrimano.

Il teste , ha infatti riferito:

“Posso confermare che i gradini erano molto umidi e molto bagnati.

Non ricordo la presenza di strisce antiscivolo né di corrimano.

A.d.r.

sentii che erano bagnati con i piedi perché li percorsi a piedi scalzi in quanto erano i gradini per entrare in piscina e ricordo di aver detto a mia moglie di stare attenta perché li sentii scivolosi.

A.d.r.

a vista vedevo che i gradini erano umidi.

Erano gradini di marmo”.

Anche la teste lo conferma:

“Non vi erano corrimano o strisce antiscivolo.

Ricordo che lo commentammo col il teste che è appena uscito.

I gradini erano certamente umidi perché tutti passavamo di lì ma non ricordo con certezza se fossero bagnati.

Ricordo bene il particolare delle strisce antiscivolo che non c’erano perché lo commentammo.

” La situazione dei luoghi come rappresentata nel doc. 3 di parte attrice è stata confermata dai testi come rispondente a quella esistente il giorno del sinistro.

Dalle foto è ben visibile l’assenza di dispositivi antiscivolo e di corrimano, mentre parte convenuta non ha fornito la prova che le strisce antiscivolo fossero presenti, come affermato (la fototografia prodotta sub doc. 1 convenuta è priva di data e non è stata confermata da alcun teste).

Alla luce delle testimonianze sopra riportate, la prova del nesso eziologico può essere data mediante presunzioni.

Posto che l’attore è caduto per terra sui gradini (privi di dispositivi antiscivolo e di corrimano), che il pavimento, in quel luogo, era bagnato o comunque umido e che non risultano altre cause che possano giustificare la caduta, deve ritenersi che sussistano indizi univoci e concordanti nel senso dell’esistenza del nesso causale in esame.

Si ritiene, pertanto che l’attore abbia provato i presupposti per invocare la presunzione di responsabilità di cui all’art. 2051 c.c., mentre parte convenuta non ha fornito la prova di un comportamento colpevole del danneggiato atto ad interrompere il nesso causale, posto che il mancato utilizzo delle ciabatte, vista la zona dove è avvenuta la caduta, costituisce una normale modalità di fruizione, peraltro rispondente ad una prassi diffusa, come riportato dai testi.

Tuttavia, alla luce della dinamica dell’evento nonché delle allegazioni delle parti, deve osservarsi che il comportamento tenuto dall’attore, pur non interrompendo il nesso causale, è stato, comunque, tale da integrare un concorso di colpa, idoneo a diminuire la responsabilità del gestore (Cass. n. 10641/02, 1332/94, 11414/04).

In questo senso vengono richiamate le considerazioni della Suprema Corte, secondo cui “la eterogeneità tra i concetti di negligenza della vittima” e di “imprevedibilità” della sua condotta da parte del custode ha per conseguenza che, una volta accertata una condotta negligente, distratta, imperita, imprudente, della vittima del danno da cose in custodia, ciò non basta di per sè ad escludere la responsabilità del custode.

Questa è infatti esclusa dal caso fortuito, ed il caso fortuito è un evento che praevideri non potest.

L’esclusione della responsabilità del custode, pertanto, quando viene eccepita dal custode la colpa della vittima, esige un duplice accertamento:

(a) che la vittima abbia tenuto una condotta negligente;

(b) che quella condotta non fosse prevedibile.

In questo senso, di recente, si è già espressa questa Corte, stabilendo che la mera disattenzione della vittima non necessariamente integra il caso fortuito per i fini di cui all’art. 2051 c.c., in quanto il custode, per superare la presunzione di colpa a proprio carico, è tenuto a dimostrare di avere adottato tutte le misure idonee a prevenire i danni derivanti dalla cosa (Sez. 3, Sentenza n. 13222 del 27/06/2016) (…) La condotta della vittima d’un danno da cosa in custodia può dirsi imprevedibile quando sia stata eccezionale, inconsueta, mai avvenuta prima, inattesa da una persona sensata.. Ciò non significa, peraltro, che tale condotta -ancorché non integrante il fortuito- non possa assumere rilevanza ai fini della liquidazione del danno cagionato dalla cosa in custodia, ma ciò può avvenire, non all’interno del paradigma dell’art. 2051 c.c., bensì ai sensi dell’art. 1227 c.c. (operante, ex art. 2056 c.c., anche in ambito di responsabilità extracontrattuale), ossia sotto il diverso profilo dell’accertamento del concorso colposo del danneggiato, valutabile sia nel senso di una possibile riduzione del risarcimento, secondo la gravità della colpa del danneggiato e le conseguenze che ne sono derivate (ex art. 1227, 1° co. c.c.), sia nel senso della negazione del risarcimento per i danni che l’attore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza (ex art. 1227, 2° co. c.c.)” (cfr. Cass. Civ. sent. n. 25837/2017, Cass. Civ. sent. n. sent. 4035/2021, Cass. Civ., sez. VI – 3, Ordinanza 1° febbraio 2022, n. 3041). Nel caso di specie, l’attore avrebbe dovuto avvedersi della potenziale situazione di pericolo (pavimento bagnato e quindi scivoloso), e superare la stessa attraverso l’adozione di normali cautele nel camminare.

Il rischio di scivolare in prossimità della vasca idromassaggio, infatti, trattandosi di una superficie normalmente bagnata proprio in ragione dell’attività che vi si svolge, va doverosamente calcolato ed evitato adeguandosi alla massima prudenza, non potendosi poi invocare, una volta che una caduta dannosa si è verificata, come fonte di responsabilità esclusiva del proprietario, l’esistenza di una situazione di pericolo che rientra nel rischio generico proprio dei luoghi, evitabile in base a una condotta normalmente diligente. Tenuto conto pertanto di detti elementi, si reputa di riconoscere un concorso di colpa dell’attore nella misura del 50%, sì che il risarcimento del danno deve dunque essere ridotto proporzionalmente.

Rispetto al quantum del risarcimento, deve rilevarsi che la CTU, con conclusioni che si condividono perché ampiamente e logicamente motivate, ha accertato un periodo di inabilità temporanea parziale al 75% pari a giorni venti, un periodo di inabilità temporanea parziale al 50% pari a giorni venti, un periodo di inabilità temporanea parziale al 25% pari a giorni dieci.

Circa i postumi permanenti, ha individuato un danno biologico nella misura del 1-2%.

Per ciò che attiene alla liquidazione del danno alla persona connesso alle lesioni, va, preliminarmente, tenuto presente l’indirizzo assunto negli ultimi anni dalla Corte di Cassazione enunciabile, in sintesi, mediante il richiamo alla pronuncia della stessa Suprema Corte (v. sent n. 7513/2018, Cass. Civ. sent. n. 25164/2020), che ha riassunto con estrema chiarezza l’approdo giurisprudenziale al quale è pervenuta la giurisprudenza di legittimità mediante il travagliato iter susseguito alle sentenze emesse a Sezioni Unite nell’anno 2008 (Cass. SS.UU. novembre 2008 nn. 26972-NUMERO_DOCUMENTONUMERO_DOCUMENTO-26975).

Secondo i principi enunciati, integralmente condivisi dalla scrivente giudice “1) l’ordinamento prevede e disciplina soltanto due categorie di danni:

quello patrimoniale e quello non patrimoniale.

2) Il danno non patrimoniale (come quello patrimoniale) costituisce una categoria giuridicamente (anche se non unitaria.

3) “Categoria unitaria” vuol dire che qualsiasi pregiudizio non patrimoniale sarà soggetto alle medesime regole e ad i medesimi criteri risarcitori (artt. 1223, 1226, 2056, 2059 c.c.).

4) Nella liquidazione del danno non patrimoniale il giudice deve, da un lato, prendere in esame tutte le conseguenze dannose dell’illecito; e dall’altro evitare di attribuire nomi diversi a pregiudizi identici.

5) In sede istruttoria, il giudice deve procedere ad un articolato e approfondito accertamento, in concreto e non in astratto, dell’effettiva sussistenza dei pregiudizi affermati (o negati) dalle parti, all’uopo dando ingresso a tutti i necessari mezzi di prova, opportunamente accertando in special modo se, come e quanto sia mutata la condizione della vittima rispetto alla vita condotta prima del fatto illecito; utilizzando anche, ma senza rifugiarvisi aprioristicamente, il fatto notorio, le massime di esperienza e le presunzioni, e senza procedere ad alcun automatismo risarcitorio.

6) In presenza d’un danno permanente alla salute, costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione d’una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno biologico, e l’attribuzione d’una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi di cui è già espressione il grado percentuale di invalidità permanente (quali i pregiudizi alle attività quotidiane, personali e relazionali, indefettibilmente dipendenti dalla perdita anatomica o funzionale: ovvero il danno dinamico-relazionale).

7) In presenza d’un danno permanente alla salute, la misura standard del risarcimento prevista dalla legge o dal criterio equitativo uniforme adottato dagli organi giudiziari di merito (oggi secondo il sistema c.d. del punto variabile) può essere aumentata solo in presenza di conseguenze dannose de/tutto anomale ed affatto peculiari.

Le conseguenze dannose da ritenersi normali e indefettibili secondo l’id quod plerumque accidit (ovvero quelle che qualunque persona con la medesima invalidità non potrebbe non subire) non giustificano alcuna personalizzazione in aumento del risarcimento.

8)

In presenza d’un danno alla salute, non costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione d’una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno biologico, e d’una ulteriore somma a titolo di risarcimento dei pregiudizi che non hanno fondamento medico-legale, perché non aventi base organica ed estranei alla determinazione medico-legale del grado percentuale di invalidità permanente, rappresentati dalla sofferenza interiore (quali, ad esempio, il dolore dell’animo, la vergogna, la disistima di sé, la paura, la disperazione). 9) Ove sia correttamente dedotta ed adeguatamente provata l’esistenza d’uno di tali pregiudizi non aventi base medico-legale, essi dovranno formare oggetto di separata valutazione e liquidazione (come è confermato, oggi, dal testo degli artt. 138 e 139 cod. ass.,così come modificati nella parte in cui, sotto l’unitaria definizione di “danno non patrimoniale”, distinguono il danno dinamico relazionale causato dalle lesioni da quello “morale”)”.

Sulla scorta di tali enunciazioni di principio, per quanto riguarda la liquidazione del danno non patrimoniale, questo giudice ritiene di dover orientare la liquidazione equitativa in base ai criteri adottati dal Tribunale di Milano con le tabelle per la liquidazione del danno non patrimoniale derivante da lesione alla integrità psico – fisica aggiornate al tempo della decisione (edizione 2024), riconosciute dalla Suprema Corte di Cassazione, in alcune recenti decisioni, quale parametro per la liquidazione equitativa del danno non patrimoniale su tutto il territorio nazionale (es. Cass. 7/6/2011 n. 12408). Nella fattispecie concreta, per il danno biologico temporaneo e permanente, gli importi standard indicati nella tabella milanese a titolo di danno biologico dinamico-relazionale e di sofferenza interiore media presumibile (calcolata quest’ultima con i criteri innanzi esposti) appaiono congrui in relazione all’entità del danno alla salute accertato dal CTU come base di calcolo per la liquidazione complessiva del danno non patrimoniale subito dall’attore.

Non vi sono elementi che giustifichino una ulteriore personalizzazione.

La somma che l’attore richiede qualificandola quale “danno da vacanza rovinata”, si ritiene rientri in parte nella componente dinamico relazionale del danno non patrimoniale, in parte nella componente di sofferenza.

Nessuna altra somma potrà essere liquidata, perché costituirebbe duplicazione risarcitoria.

In definitiva, tenuto conto delle accertate invalidità, dell’età (anni 50), del sesso e delle condizioni di vita dell’attore, delle allegazioni di parte e delle risultanze probatorie, dei menzionati criteri tabellari adottati da questo Tribunale, si stima equo liquidare, per il complessivo risarcimento del danno non patrimoniale da lesione permanente al diritto alla salute, sulla base del 1,5%, la somma già rivalutata di Euro 2.054,50, di cui Euro 1.643,50, a titolo di danno biologico/dinamico relazionale e Euro 411,00 a titolo di sofferenza soggettiva interiore. Per il danno biologico temporaneo, applicata la somma giornaliera di euro 130,00 tenuto conto delle allegazioni della parte in punto di sofferenza e di quando rispetto ad essa stimato dal CTU, stimasi equo liquidare la somma già rivalutata di Euro 3.575,00.

Complessivamente, pertanto, il danno non patrimoniale ammonta a Euro 5.629,50, da ridursi del 50% per effetto del concorso di colpa dell’attore e pertanto Euro 2.814,75.

Detto importo, espresso in valore attuale, deve essere devalutato alla data del fatto (31.08.2020) e quindi maggiorato degli interessi legali sulla somma via via rivalutata dal fatto alla sentenza:

dalla data di questa decorrono poi gli interessi legali fino al saldo (Cass. N.1712/95).

Quanto al danno patrimoniale, risultano adeguatamente documentate spese per Euro 432,65 (vedi doc. 7 e 8 attorei), da rimborsare al 50% e pertanto Euro 216,32.

Infine, va accolta la domanda di manleva proposta dalla società convenuta nei confronti di in ragione della polizza assicurativa responsabilità civile n. 01461123000025NUMERO_DOCUMENTO prodotta in atti.

In ordine alle spese processuali, ai sensi dell’art. 91 c.p.c. consegue alla soccombenza la condanna di parte convenuta a rifondere all’attore le spese processuali.

Le stesse vengono liquidate al valore medio in base al DM 55/2014 sullo scaglione da 1.100, a Euro 5.200,00, in base a quanto liquidato.

Le spese di CTU sono poste definitivamente a carico di parte convenuta.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone:

Accertata la responsabilità di nella misura del 50% per il concorso di colpa dell’attore per il sinistro de quo, per le causali di cui in motivazione, condanna la società convenuta al pagamento a favore dell’attore delle seguenti somme:

– Euro 2.814,75 a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale, somma da devalutarsi alla data del 31.08.2020 e poi da maggiorarsi degli interessi legali sulla somma via via rivalutata dal fatto alla sentenza, oltre interessi legali dalla sentenza al saldo – Euro 216,32 a titolo di danno patrimoniale per il rimborso delle spese documentate oltre a rivalutazione e interessi, dalla data media del 30/09/2020.

Condanna la società convenuta al pagamento delle spese del giudizio di parte attrice che liquida in Euro 145,50 per spese, e Euro 2.552,00, oltre IVA e CPA per compensi d’avvocato.

Ai compensi andrà sommato il 15% per le spese forfettarie ai sensi dell’art. 2 del DM 55/2014.

Condanna la società convenuta a rifondere all’attore le spese di CTU già liquidate.

Dichiara la terza chiamata tenuta tenere indenne manlevare convenuta da ogni somma che sarà tenuta a corrispondere a parte attrice in ragione del presente giudizio a titolo di capitale, interessi e spese.

Condanna la terza chiamata a pagare le spese del giudizio di parte convenuta, che liquida in Euro 2.55200, oltre IVA e CPA per compensi d’avvocato.

Ai compensi andrà sommato il 15% per le spese forfettarie ai sensi dell’art. 2 del DM 55/2014.

Milano, 2 gennaio 2025

Il Giudice dott. NOME COGNOME

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