Repubblica Italiana
In nome del Popolo Italiano
La Corte D’Appello di Catanzaro
SEZIONE LAVORO
riunita in camera di consiglio e così composta:
ha pronunciato la
Sentenza n. 1901/2018 pubblicata il 01/02/2019
nella causa iscritta al n. del Ruolo Generale delle controversie in materia di lavoro e di previdenza per l’anno 2017 e vertente
Tra
I.N.P.S. in persona del legale rappresentante, rappresentato e difeso dagli avv.ti,
appellante
E
YYY, rappresentato e difeso dall’avv.,
appellato
FATTO E DIRITTO.
1.Con ricorso depositato il 30.6.2017, l’INPS ha chiesto la riforma della sentenza del
Giudice del lavoro di Castrovillari che ha dichiarato il diritto di YYY “alla reiscrizione nell’elenco nominativo dei braccianti agricoli per l’ anno 2008, con aggiornamento della posizione contributiva e assicurativa a fini pensionistici”.
1. 1-In particolare, il Tribunale, dopo avere affermato che le irregolarità contabili, amministrative e gestionali rilevate in sede ispettiva e poste a fondamento del provvedimento di cancellazione “ non possono ripercuotersi sulla posizione del singolo lavoratore se non viene palesemente dimostrato il rapporto di lavoro fittizio”, ha ritenuto che la prova testimoniale espletata fosse sufficiente a dimostrare che in quell’anno la ricorrente aveva regolarmente lavorato come bracciante alle dipendenze dell’azienda agricola “*** Soc. Coop.”.
1.2 L’INPS ha censurato tale decisione deducendo che:
a) le testimonianze raccolte non sono idonee a contrastare la portata presuntiva del verbale di accertamento redatto dai propri organi ispettivi, i quali hanno desunto l’inesistenza del rapporto di lavoro del ricorrente in base alla stima tecnica, eseguita ai sensi dell’art. 8, c. 2, del d.lgs. n. 375/1993, che rivelava la sproporzione tra il numero di giornate di lavoro dichiarate dall’azienda per cui la ricorrente assumeva di aver lavorato e quelle giustificate dai terreni sui quali risultava che la stessa azienda avesse operato;
b) la prova per testi è inammissibile -in quanto resa dai colleghi di lavoro , i quali essendo stati interessati del medesimo accertamento ispettivo, hanno palese interesse alla risoluzione della controversia in senso favorevole al ricorrente- ed, in ogni caso, non conducente, atteso che i dichiaranti non hanno riferito dell’esistenza di alcun concreto elemento sintomatico della subordinazione;
c) dal CUD e dalle buste paga prodotte non si possono ricavare elementi di prova a conforto della tesi attorea, considerato che nelle controversie previdenziali i documenti provenienti dal datore di lavoro hanno solo un’efficacia indiziaria che, nella specie, è inficiata dal ruolo che il datore di lavoro ha avuto nella anomala vicenda accertata dagli ispettori.
2. -L’appellato, preliminarmente, ha eccepito l’inammissibilità del gravame per genericità dei motivi, ovvero in quanto carente dell’indicazione del valore della controversia richiesta dall’art. 152 disp. att. c.p.c.; nel merito, ne ha chiesto il rigetto assumendone l’infondatezza, con condanna in suo favore delle spese di lite in ogni caso perché l’INPS non ha impugnato il relativo capo della sentenza.
Il Collegio, sentiti i procuratori delle parti, ha deciso come da separato dispositivo.
3. Va respinta l’eccezione preliminare di inammissibilità sollevata dall’appellata per sostenere che l’atto di gravame non è conforme al paradigma del novellato art. 434 c.p.c., perché non indica le parti della sentenza sottoposte a critica e le “modifiche” alla ricostruzione fattuale e giuridica operata dal tribunale.
Ed invero, ai fini dell’ammissibilità del gravame l’art. 434 c.p.c, in coerenza con lo schema generale dell’art. 342 c.p.c., richiede soltanto che l’atto di appello indichi i passaggi argomentativi della sentenza che l’appellante intende censurare e formuli, rispetto ad essi, le proprie ragioni di dissenso, sì da esplicitare l’idoneità di tali ragioni a determinare le modifiche della decisione impugnata (cfr. Cass. 2143/2015).
E nella specie l’INPS ha indicato le parti della sentenza (relative alla valutazione delle risultanze probatorie) che non condivide e le ragioni di critica che dovrebbero, nella sua prospettiva, indurre a rivederle per negare fondamento alla domanda che invece il primo giudice ha accolto. Ciò con particolare riguardo alla valutazione degli esiti della prova, testimoniale e documentale, raccolta.
4. Va parimenti respinta l’eccezione sollevata ai sensi dell’art. 152 disp. att. c.p.c., per non avere l’INPS indicato nell’atto di gravame il valore della controversia atteso che nelle more del presente giudizio la Corte Costituzionale, con sentenza n.241/2017 del 24.10.2017 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’ultimo capoverso della citata disposizione che imponeva l’onere di dichiarare l’esatto valore della prestazione dedotta in giudizio a pena di inammissibilità del ricorso.
5. Nel merito, l’appello va accolto perché fondato, e tanto è sufficiente a superare l’ulteriore profilo di inammissibilità denunciato dall’appellato con riferimento all’art. 348 bis cpc
5.1-Alla disamina del merito, va premessa una opportuna precisazione sulla ripartizione degli oneri probatori gravanti sulle parti, avendo il Tribunale adombrato e l’appellato riproposto come suo specifico argomento difensivo che sia l’Istituto a dovere provare la fittizietà del rapporto di lavoro subordinato in agricoltura che ha comportato la cancellazione dell’interessato dai relativi elenchi.
5.2-Rileva la Corte che l’opposizione alla cancellazione dall’elenco dei braccianti agricoli non introduce un giudizio impugnatorio di un atto dell’Autorità, ma, sottopone al giudice dei diritti la verifica della sussistenza delle tassative e specifiche condizioni ( svolgimento di attività a agricola in regime di subordinazione e numero minimo di giornate) per l’iscrizione medesima. Ne consegue che , ai sensi dell’art. 2697 c.c., incombe sul lavoratore, che agisca per ottenere la suddetta iscrizione, l’onere di provare il lavoro subordinato e l’avvenuta effettuazione di almeno 51 giornate di lavoro agricolo; senza che assuma alcuna rilevanza, sul piano della ripartizione degli oneri probatori, la circostanza che la domanda di accertamento del diritto all’iscrizione sia stata presentata a seguito di un provvedimento amministrativo, di diniego o di cancellazione dell’iscrizione, rimanendo questo fuori dal thema decidendum.
5.3-Tanto appare essere il corollario del principio affermato costantemente dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui “l’azione giudiziaria in materia di assicurazioni sociali non costituisce una forma di impugnazione del provvedimento amministrativo dell’ente previdenziale di rigetto della richiesta dell’assicurato diretta a conseguire la prestazione previdenziale ovvero di revoca di una precedente attribuzione, bensì rappresenta la trasposizione in sede processuale della tutela che la legge accorda all’assicurato, con la conseguenza che il giudice è chiamato non a verificare la legittimità, o meno, del provvedimento amministrativo, bensì ad accertare in modo autonomo la fondatezza della pretesa dell’assicurato” (Cass. 2386/1985).
In tal senso è, d’altra parte, anche il più recente insegnamento della Suprema Corte che, in controversia di analoga natura, ha statuito che: “L’iscrizione di un lavoratore nell’elenco dei lavoratori agricoli svolge una funzione di agevolazione probatoria ai fini dell’attribuzione di prestazioni previdenziali che viene meno qualora l’INPS, a seguito di un controllo, disconosca l’esistenza del rapporto di lavoro, esercitando la facoltà di cui all’art. 9 del d.lgs. n. 375 del 1993. Ne consegue che, in tal caso, il lavoratore ha l’onere di provare l’esistenza, la durata e la natura onerosa del rapporto dedotto a fondamento del diritto all’iscrizione e di ogni altro diritto consequenziale, fermo restando che, nella controversia avente ad oggetto la prestazione previdenziale, lo “status” di lavoratore agricolo può essere accertato solo incidentalmente” (Cass. 2739/2016).
6- Passando, quindi, a scrutinare la presente fattispecie nell’ottica dei principi esposti, si osserva che il ricorrente ha allegato di avere lavorato nell’anno 2008 dal 20 al 30 giugno e dal 1^ al 31 luglio in Lorenzo del Vallo, dal 1^ al 31 agosto in Cammerata, effettuando <pulizia dei terreni e raccolta pesche> dalle 6.30 alle 17 per una paga giornaliera di euro 35; ha, quindi, inteso dare prova di tale rapporto con testi e produzione documentale (il “foglio di assunzione” e buste paga).
6.1- In particolare, i testi *** e ***, aventi cause pendenti nei confronti dell’INPS con oggetto analogo a quello della presente controversia, hanno riferito concordemente che nell’ anno di interesse hanno lavorato insieme al ricorrente alle dipendenze dell’azienda agricola 2007 per la raccolta di pesche e operazioni di pulizia, da giugno ad agosto, dal lunedì al sabato di ogni settimana, sotto le direttive del titolare della cooperativa *** e per una retribuzione giornaliera di circa euro 30,00, su terreni raggiunti mediante un furgone aziendale guidato dal dipendente *** .
Le deposizioni divergono tra loro (a) quanto alla durata della giornata lavorativa, che secondo la *** iniziava alle 7 e finiva alle 15.30, mentre secondo la *** iniziava alle 6 e finiva alle 15, (b) quanto alla localizzazione dei fondi che secondo una teste ricadevano nel comune di Cammerata , secondo l’altra anche in Lorenzo del Vallo.
7. -L’INPS ha contrastato tali esiti istruttori con il verbale di accertamento del 16.7.2009, dal quale è emerso che l’amministratore unico della società cooperativa Agricola 2007 (a) non è stato in grado di fornire alcuna documentazione concernente l’attività svolta dalla cooperativa poiché ha asserito che la stessa era stata “inavvertitamente buttata nella spazzatura” dai suoi genitori, benché egli non avesse mai denunciato il fatto; (b) ha dichiarato che la cooperativa non aveva alcun terreno, ma operava sui fondi di aziende delle quali non ricordava il nome; (c) ha sostenuto di non aver mai avuto rapporti con i titolari di quelle aziende, ma solo con i commercianti della zona che gli affidavano la raccolta sui terreni di quelle stesse aziende, e ciononostante non ha saputo indicare neppure un nome dei committenti; (d) ha riferito che la cooperativa, per il trasporto dei raccoglitori, si avvaleva dei quattro furgoni aziendali, del tutto insufficienti se rapportati ai 342 dipendenti denunciati nel 2007 e ai 486 del 2008; (e) i salari dichiarati sono stati pari ad € 832.315 nel 2007 e ad € 589.711 nel 2008, ed egli ha sostenuto di averli corrisposti sempre in contanti.
8- Rileva la Corte che, a fronte di tali emergenze, che valgono a sminuire la valenza probatoria dei documenti (buste paga e comunicazione di assunzione) provenienti da quella stessa parte datoriale sospettata dell’instaurazione di falsi rapporti bracciantili e di appalti simulati, maggiormente pregnante si appalesa l’esigenza che il giudice provveda ad una puntuale e argomentata valutazione delle testimonianze raccolte, in quella logica di comparazione e prudente apprezzamento di tutti i contrapposti elementi acquisiti in causa sollecitata dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. 15481/15; conf.Cass. 5491/16).
8.1- In particolare, la valutazione delle risultanze testimoniali non può prescindere dall’accertamento della credibilità soggettiva dei testimoni, dalla disamina dell’attendibilità oggettiva delle loro propalazioni, dalla verifica degli eventuali elementi di riscontro estrinseco[1], considerato che essi sono titolari di una posizione del tutto assimilabile a quella dell’appellata[2].
Anch’essi, invero, risultano coinvolti nell’accertamento ispettivo del quale i discute e sono perciò interessati a confutarne l’esito e ad affermare, come hanno fatto, la costanza e regolarità della prestazione lavorativa resa insieme all’odierno appellato alle dipendenze della medesima azienda, in una prospettiva di mutuo conforto probatorio alle reciproche posizioni assicurative che l’INPS contesta.
8.2- E tanto concorre ad indebolire la credibilità del loro apporto testimoniale che, sul piano dell’attendibilità intrinseca delle propalazioni rese, si rivela:
(a) privo di indicazioni individualizzanti quanto al rapporto di lavoro dedotto in giudizio, poiché le loro dichiarazioni indistinte sono astrattamente riproducibili in tutte le fattispecie analoghe in cui si fa questione di rapporti bracciantili ( i testi si sono limitati a indicare un orario di lavoro, una generica attività di tipo agricolo, una paga giornaliera);
(b) contraddittorio quanto alla durata della giornata lavorativa e localizzazione dei terreni;
(c) discordante dalle allegazioni del ricorrente in ordine all’orario di lavoro e all’ammontare della paga giornaliera (che il *** ha indicato rispettivamente essere 6.30/17.00 e euro 35,00) .
8.3- Parrebbe logica l’obiezione che gli unici soggetti capaci di riferire sull’attività bracciantile del ricorrente sono coloro che con lui l’hanno condivisa e che, trattandosi di attività elementare e reiterativa, si presta ad essere descritta solo nei termini altrettanto elementari e ripetitivi con cui essi l’hanno fatto. Ma altrettanto logica appare la replica che proprio quei connotati delle fonti dichiarative (accomunata dal medesimo interesse) e quelle caratteristiche del contenuto testimoniale (contraddittorio) si dimostrano insufficienti nel particolare contesto che è emerso dall’accertamento ispettivo. Esso, per come s’è detto, giustifica il sospetto non solo dell’artificiosità dei rapporti di lavoro denunciati a fini previdenziali, ma finanche dell’inesistenza dell’attività svolta da un’azienda nei termini sovrabbondanti rivelati dall’accertamento ispettivo dell’INPS.
8. 4- Vana è, infatti, la ricerca di elementi di riscontro estrinseci, capaci di avvalorare tali indicazioni nonché le deposizioni testimoniali raccolte, perché si è già detto della inaffidabilità della documentazione proveniente dalla parte datoriale.
8.5- La conclusione è che le risultanze testimoniali non riescono a raggiungere la soglia probatoria necessaria per asseverare le allegazioni attoree in merito all’esistenza del dedotto rapporto di lavoro in agricoltura. Diversamente opinando, si dovrebbe pervenire alla conclusione che una prova presuntivamente inaffidabile (quella costituita dalla documentazione proveniente dalla parte datoriale) sommandosi ad una prova sospetta (la contraddittoria testimonianza di soggetti interessati) possa portare, attraverso uno scambio di credibilità per così dire “monca”, ad una sentenza favorevole a chi tali prove ha addotto.
9.- A superare le carenti risultanze probatorie non vale l’istanza che l’appellato ha formulato in questo grado del giudizio richiamandosi “alle richieste istruttorie formulate in primo grado”: essa si appalesa inammissibile perché genericamente formulata.
9.1 Né tali mezzi istruttori possono essere ammessi d’ufficio dal Collegio in quanto indispensabili. Sia perché non sono stati dedotti elementi che consentano di ravvisare l’attitudine del nuovo apporto testimoniale a dissipare lo stato di incertezza sui fatti controversi che residua dall’istruttoria già svolta. Sia perché il principio di unità ed infrazionabilità della prova testimoniale osta alla riproposizione in appello di una prova già esaurita in primo grado: sicché la parte non può dolersi in appello dell’incompletezza della prova medesima, chiedendone l’integrazione, quando il mancato esaurimento in primo grado della prova testimoniale ammessa, con l’escussione di tutti i testi ammessi, sia ascrivibile ad inerzia della parte istante che non abbia reiterato istanza di proseguire l’istruttoria, ma, come nella specie, abbia chiesto la decisione della causa ritenendola sufficientemente istruita[3].
10.Occorre quindi ritenere che l’occupazione del ricorrente in agricoltura nel periodo di interesse non è stata provata: ciò determina la riforma della gravata sentenza e il rigetto della domanda.
11.- La controvertibilità degli elementi dimostrativi esaminati, che mina sul piano probatorio le pretese azionate in giudizio, integra al contempo gli estremi delle ragioni gravi ed eccezionali che impongono di compensare tra le parti le spese del doppio grado.
12.- Poco è a dirsi sulla irrituale pretesa dell’appellata di ottenere che, pur nel caso di accoglimento dell’impugnazione, si tenga comunque ferma la condanna alle spese resa in suo favore dal tribunale, poiché l’INPS non ha appellato specificamente il relativo capo della sentenza.
La domanda si pone in contrasto con il principio secondo cui le spese non possono gravare, neppure parzialmente, sulla parte vittoriosa ed è dunque da respingere.
PQM
definitivamente pronunciando sull’appello proposto dall’ I.N.P.S. nei confronti di
YYY avverso la sentenza del Tribunale di Castrovillari del 19.6.2017, così provvede:
accoglie l’appello e in riforma della sentenza impugnata rigetta la domanda di YYY;
compensa le spese del doppio grado.
Catanzaro, 4/12/2018
Il Consigliere estensore
Il Presidente
[1] Cass. 11414/2013: “La capacità a testimoniare differisce dalla valutazione sull’attendibilità del teste, operando le stesse su piani diversi, atteso che l’una, ai sensi dell’art. 246 cod. proc. civ., dipende dalla presenza in un interesse giuridico (non di mero fatto) che potrebbe legittimare la partecipazione del teste al giudizio, mentre la seconda afferisce alla veridicità della deposizione che il giudice deve discrezionalmente valutare alla stregua di elementi di natura oggettiva (la precisione e completezza della dichiarazione, le possibili contraddizioni, ecc.) e di carattere soggettivo (la credibilità della dichiarazione in relazione alle qualità personali, ai rapporti con le parti ed anche all’eventuale interesse ad un determinato esito della lite), con la precisazione che anche uno solo degli elementi di carattere soggettivo, se ritenuto di particolare rilevanza, può essere sufficiente a motivare una valutazione di inattendibilità”. Conf. 7763/2010.
2 Secondo la migliore dottrina, le valutazioni che richiede la prova testimoniale “attengono alla personalità del teste, alla possibilità che egli abbia davvero e correttamente percepito il fatto che racconta, alla sua capacità di ricordarlo fedelmente, al suo comportamento durante la deposizione, al suo eventuale interesse nella causa, ai suoi rapporti con le parti”.
3 Cass. n. 7176/1997: “In ossequio al principio della non frazionabilità dei mezzi di prova, deve ritenersi inammissibile la richiesta di espletamento, in grado di appello, di una prova testimoniale che non abbia ad oggetto circostanze del tutto diverse e distinte da quelle assunte in primo grado, ma sia, invece, direttamente o indirettamente preordinata ad inficiare le risultanze di quella già espletata in detta fase, onde determinare, attraverso la surrettizia rappresentazione di nuove modalità, fatti e circostanze (ovvero per effetto della stretta connessione delle circostanze da provare con quelle già provate), una diversa valutazione delle vicende già accertate all’esito dell’espletamento del medesimo mezzo istruttorio”. Cfr. Cass. n. 22431/2013 e n. 17322/2015: “l principio di infrazionabilità e contestualità della prova testimoniale, ricavabile dall’art. 244 cod. proc. civ. nel testo vigente prima delle modifiche apportate dalla legge n. 353 del 1990 (applicabile “ratione temporis”), coordinato con la regola sull’ammissione dei nuovi mezzi di prova in appello, comporta l’inammissibilità della prova in secondo grado non solo nel caso in cui essa verta sulle medesime circostanze che hanno già formato oggetto dell’analogo mezzo istruttorio espletato nel grado precedente, ma anche quando, malgrado la diversa formulazione dei capitoli, la stessa sia diretta ad integrare o a confortare le risultanze di quella precedentemente acquisita, riguardando fatti connessi a quelli riferiti dai testi e che ben avrebbero potuto essere accertati nel medesimo contesto”. Cfr. anche Cass. n. 10502/2009: “Anche nell’assetto normativo processuale conseguente all’entrata in vigore della legge n. 353 del 1990 (e successive modif.), improntato oltretutto ad un sistema delle preclusioni istruttorie ancor più rigido rispetto al regime processuale precedente, è inammissibile in appello (salvo il ricorso al rimedio della rimessione in termini, previsto dall’art. 184 bis c.p.c., qualora ne sussistano le condizioni), per il principio dell’infrazionabilità e della contestualità che la caratterizzano, la prova testimoniale che, anche in modo indiretto, si appalesi preordinata a contrastare, completare o confortare le risultanze di quella già dedotta ed assunta in primo grado, e cioè a determinare, attraverso nuove modalità e circostanze, ovvero per la connessione delle circostanze già provate con quelle da provare, una diversa valutazione dei fatti che sono stati oggetto dello stesso mezzo istruttorio nelle precedenti fasi del processo”.
4 Cass. 6259/2014: “Il giudice di appello, allorché riformi in tutto o in parte la sentenza impugnata, deve procedere d’ufficio, quale conseguenza della pronuncia di merito adottata, ad un nuovo regolamento delle spese processuali, il cui onere va attribuito e ripartito tenendo presente l’esito complessivo della lite poiché la valutazione della soccombenza opera, ai fini della liquidazione delle spese, in base ad un criterio unitario e globale, sicché viola il principio di cui all’art. 91 cod. proc. civ., il giudice di merito che ritenga la parte soccombente in un grado di giudizio e, invece, vincitrice in un altro grado”. Cass. 15483/2008: “In materia di procedimento civile, il potere del giudice d’appello di procedere d’ufficio ad un nuovo regolamento delle spese processuali, quale conseguenza della pronunzia di merito adottata, sussiste in caso di riforma in tutto o in parte della sentenza impugnata, in quanto il relativo onere deve essere attribuito e ripartito in relazione all’esito complessivo della lite mentre, in caso di conferma della sentenza impugnata, la decisione sulle spese può essere dal giudice del gravame modificata soltanto se il relativo capo della sentenza abbia costituito oggetto di specifico motivo d’impugnazione …”.
La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di
Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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