TRIBUNALE ORDINARIO DI PARMA
Sezione Lavoro
SENTENZA n. 133/2021 pubblicata il 10/12/2021
Il Tribunale di Parma, in funzione di giudice del lavoro, nella persona del giudice designato per la trattazione, dott.ssa, nella causa iscritta al n. 35/2018 RG., promossa da:
XXX COOPERATIVA SOCIALE ONLUS, rappresentata e difesa,
giusta procura rilasciata in calce al ricorso dagli Avv.ti
RICORRENTE – OPPONENTE
contro
YYY, rappresentata e difesa – giusta procura alle lite allegata all’atto di precetto – dall’Avv.
RESISTENTE – OPPOSTA
con la chiamata in causa di
AGENZIA DELLE ENTRATE – RISCOSSIONE, rappresentata e difesa – giusta procura in calce alla comparsa di costituzione – dall’Avv.
TERZA CHIAMATA IN CAUSA
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
1. Lo svolgimento del processo.
1.1. Con ricorso in opposizione a precetto del 17.12.2017, XXX si opponeva al precetto ricevuto in notificazione in data 09.01.2017, su istanza di YYY, contenente l’intimazione di pagamento, pena l’avvio dell’esecuzione, dell’importo di € 37.306,86 (di cui € 31.400,16 per sorte capitale, € 400,11 per interessi, € 5.106,92 per spese legali liquidate ed € 399,67 per spese di precetto); importo calcolato in virtù di quanto disposto dalla sentenza della Corte d’Appello di Bologna n. 1124/2017 del 03/10/2017, depositata il successivo 31/10/2017.
In estrema sintesi, con il deposito dell’atto introduttivo del presente giudizio, XXX, premettendo di aver notificato ricorso in Cassazione avverso la sentenza n. 1124/2017 della Corte d’Appello di Bologna, evidenziava che:
i) la sentenza n. 1124/2017 della Corte di Appello di Bologna aveva ordinato la reintegrazione della YYY, ritenendola licenziata illegittimamente, condannando altresì l’opponente al pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dal licenziamento alla riassunzione, oltre rivalutazione ed interessi, nonché alla rifusione delle spese legali dei due gradi di giudizio nella misura del 50%, oltre accessori;
ii) l’opposta aveva esercitato l’opzione per il pagamento, in luogo della reintegrazione, di un’indennità pari a 15 mensilità di retribuzione globale di fatto, ai sensi dell’art. 18, co. 3,S.L. e, in virtù dei conteggi conseguenti, aveva precettato il pagamento di € 37.306,86; iii) prima della notifica del suddetto atto di precetto, l’opponente era stata però destinataria, quale terza pignorata, di un atto di pignoramento presso terzi ex art. 72 bis del D.P.R. 602/1973 e succ. modifiche ed integrazioni, a mezzo del quale, Parma Riscossione S.p.A. Agente per la Riscossione dei Tributi della Provincia di Parma, aveva agito esecutivamente nei confronti della sig.ra YYY, sui crediti da questa vantati nei confronti dell’opponente, per un totale complessivo di Euro 62.169,94.
In virtù di tali ragioni, XXX – chiesta in via preliminare la sospensione dell’efficacia del titolo esecutivo in favore dell’opposta e l’estensione del contraddittorio nei confronti di A.E.R. – agiva in giudizio per ottenere l’accertamento del diritto di A.E.R., quale creditore pignorante, di vedersi attribuite le somme riferite al credito vantato dalla YYY, dichiarando che la lavoratrice non avrebbe diritto di procedere a esecuzione forzata per effetto del precetto notificato.
In altre parole, l’opponente, pur riconoscendosi debitrice delle somme precettate (salva ripetizione in ipotesi di accoglimento delle proprie domande all’esito del giudizio di legittimità), si opponeva al pagamento delle predette somme a favore della lavoratrice, stante il vincolo sul predetto credito in favore di A.E.R., discendente dal pignoramento da quest’ultima in precedenza notificato.
Sulla base di tali premesse, rassegnava, dunque, le seguenti conclusioni:
“-In via preliminare: concedersi inaudita altera parte e prima della fissanda udienza di comparizione delle parti, per i gravi motivi di cui in narrativa, la sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza n. 1124/2017, pronunciata dalla Corte d’Appello di Bologna in data 03/10/2017 (e depositata il successivo 31/10/2017) in favore della sig.ra YYY;
-in via pregiudiziale di rito: autorizzare la chiamata in causa di Agenzia delle EntrateRiscossione S.p.A., C.F. e P.I. 13756881002 con sede in, stanti i diritti vantati dall’ente medesimo sulle somme per cui è opposizione in forza del vincolo attivato con la notifica dell’atto di pignoramento presso terzi meglio individuato nelle premesse del presente atto al punto 6;
-in via preliminare, nel merito: accertare e dichiarare l’efficacia del pignoramento presso terzi del 14/3/2007 (doc. 6) sui crediti da lavoro azionati con il precetto notificato dalla resistente in data 09/01/2018, nonché l’entità del credito della Agenzia delle Entrate-Riscossione S.p.A. assistito dalla relativa garanzia specifica e, per l’effetto, accertare e dichiarare il diritto di quest’ultima a soddisfarsi, in tutto o in parte e comunque nella misura che il giudicante vorrà individuare, sulle medesime somme il cui pagamento è stato intimato dalla Sig.ra YYY con il precetto di cui alla odierna opposizione, disponendone infine il pagamento in favore dell’ente riscossore i tributi;
-nel merito: accogliere il presente ricorso e, per l’effetto, dichiarare l’infondatezza del diritto della sig.ra YYY di procedere ad esecuzione forzata con il giudizio intrapreso con l’atto di precetto notificato in data 09/01/2018 con conseguenziale declaratoria di nullità ed improduttività di effetti giuridici;
-sempre nel merito: fermo restando quanto sopra, previamente accertati e dichiarati i diritti della sig.ra YYY sulle eventuali somme residue, pronunci ogni ulteriore provvedimento conseguenziale in favore della stessa;
-in ogni caso: con vittoria di compensi e spese del presente giudizio, rimborso forfettarie di legge, CPA ed IVA se dovute come per legge.”
1.2. L’opposta, costituitasi in giudizio, contestava gli asserti avversari e, in particolare, deduceva: in via principale i) l’estinzione del pignoramento presso terzi in precedenza promosso da A.E.R. e ii) la nullità del processo esecutivo avviato da quest’ultima; in via subordinata, l’applicabilità, alla procedura esecutiva avviata da A.E.R., dei limiti di cui all’art. 545 c.p.c., e, conseguentemente, la titolarità in proprio favore di almeno 4/5 della pretesa creditoria azionata.
Chiedeva, dunque, l’accoglimento delle seguenti conclusioni:
“Voglia il Signor Giudice del Lavoro Ill.mo, contrariis reiectis e previa ogni declaratoria, anche incidentale, del caso e di legge,
1.- IN VIA PRINCIPALE, rigettare perché prescritte, inammissibili, infondate o come meglio tutte le domande ed istanze proposte da XXX Cooperativa Sociale Onlus nei confronti della signora YYY, rigettando la proposta opposizione all’esecuzione;
2.- IN VIA SUBORDINATA, rigettare l’opposizione all’esecuzione proposta da XXX Cooperativa Sociale Onlus nei confronti della signora YYY per l’importo corrispondente a quattro quinti (4/5) della somma oggetto dell’atto di precetto, ovvero alla differente somma, maggiore o minore, che lo stesso Ill.mo Giudice riterrà di giustizia.
Con vittoria di spese, diritti ed onorari, oltre CPA ed IVA, come per legge”.
Agenzia delle Entrate – Riscossione Spa (anche solo “A.E.R.” o “terza chiamata”):
“Voglia il Giudice del Lavoro di Parma, contrariis reiectis, SOSPENDERE L’ESECUZIONE intrapresa dalla Sig.ra YYY in quanto potenzialmente interessante sul credito agito dall’Agente della Riscossione.
Nel merito: Ci si associa alle conclusioni formulate dal ricorrente.”
1.3. Autorizzata la chiamata in causa di A.E.R., la stessa si costituiva in giudizio, insistendo per l’accertamento del proprio credito e chiedendo di “SOSPENDERE L’ESECUZIONE intrapresa dalla Sig.ra YYY in quanto potenzialmente interessante sul credito agito dall’Agente della Riscossione” nonché, nel merito, aderendo alle conclusione dell’opponente.
1.4. Con provvedimento del 26.03.2018, il Giudice Istruttore precedentemente titolare del ruolo, in parziale accoglimento dell’istanza di sospensiva, così disponeva: “In parziale accoglimento dell’istanza ex art. 615, primo comma, e 618 bis c.p.c., sospende l’efficacia esecutiva della sentenza n. 1124/2017pronunciata dalla Corte d’Appello di Bologna in data 03.10.2017 nei limiti di 1/5 dell’importo di € 36.907,19 oggetto dell’atto di precetto”.
1.5. La causa, previo esame della questione relativa alla validità della costituzione di A.E.R., sollevata d’ufficio dal Giudice e risolta in senso positivo con provvedimento del 22.07.2019, veniva rinviata per discussione e decisione sulla base della documentazione agli atti.
1.6. Nelle more, l’opponente e l’opposta davano atto di fatti sopravvenuti e, in particolare, della conclusione di un accordo tra le stesse a mezzo del quale XXX avrebbe corrisposto, a favore della YYY, la somma di € 25.440,00.
1.7. All’udienza del 7.10.2021, chiamata per la discussione e decisione, l’opponente riferiva dell’avvenuto deposito, a mezzo PCT, della sentenza n. 594/2020 della Corte d’appello di Bologna, la quale, facendo seguito all’intervenuta cassazione con rinvio della sentenza n. 1124/2017 (titolo esecutivo su cui si è proceduto alla notifica del precetto), aveva accolto parzialmente l’impugnazione e ridotto le mensilità riconosciute alla lavoratrice a titolo risarcitorio. Dopo la discussione, il giudice decideva dunque la causa sulle conclusioni rassegnate dai procuratori delle parti negli scritti difensivi e a verbale, dando lettura del dispositivo della sentenza ex art. 429 c.p.c. e riservando il deposito della motivazione entro il termine di 60 giorni.
2. I motivi della decisione.
2.1. I principi processuali applicabili alla fattispecie.
Va premesso – in punto di ordine logico di trattazione delle questioni poste dalle parti – che la controversia può essere decisa facendo applicazione del principio processuale della ragione più liquida, in base al quale “la causa può essere decisa sulla base della questione ritenuta di più agevole soluzione – anche se logicamente subordinata – senza che sia necessario esaminare previamente le altre” (Tribunale Roma sez. VI 28 giugno 2017 n. 13588; Tribunale Roma sez. VIII 03 giugno 2017 n. 11238), cioè, in particolare, “senza che sia necessario esaminare previamente tutte le altre secondo l’ordine previsto dall’art. 276 c.p.c.” (Tribunale Reggio Emilia 29 novembre 2012 n. 2039).
La giurisprudenza ha, invero, chiarito che “secondo il principio della c.d. “ragione più liquida”, il giudice, in sede decisoria, non è tenuto a rispettare rigorosamente l’ordine logico delle questioni da trattare, ove sia più rapido ed agevole risolvere la controversia in base ad una questione che, pur se logicamente subordinata ad altre, sia più evidente e quindi più rapidamente risolvibile; tale principio risponde pienamente alle esigenze di economia processuale e di celerità del giudizio, ormai anche costituzionalizzate attraverso l’art 111 Cost., e persegue un modello di attività giurisdizionale intesa non più come espressione della sovranità statale, ma come un servizio reso alla collettività con effettività e tempestività, per la realizzazione del diritto della parte ad avere una valida decisione nel merito in tempi ragionevoli” (Tribunale Milano sez. V 03 dicembre 2014 n. 14383; Tribunale Piacenza 19 febbraio 2011 n. 154) e che “il giudice, in ossequio al superiore principio di economia dei mezzi processuali in connessione con quello del rispetto della scarsità della risorsa giustizia, derogando alla naturale rigidità dell’ordine di esame, può ritenere preferibile risolvere la lite, rigettando il ricorso nel merito o nel rito in base ad una ben individuata ragione più liquida (…) ovvero modificando il detto ordine di esame, sempre che il suo esercizio non incida sul diritto di difesa delle parti in giudizio” (T.A.R. Lazio, Roma, sez. II 07 marzo 2017 n. 3204).
Tale regola generale è pacifica anche nella giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione, secondo cui “Il principio della “ragione più liquida”, imponendo un approccio interpretativo con la verifica delle soluzioni sul piano dell’impatto operativo, piuttosto che su quello della coerenza logico sistematica, consente di sostituire il profilo di evidenza a quello dell’ordine delle questioni da trattare, di cui all’art. 276 cod. proc. civ., in una prospettiva aderente alle esigenze di economia processuale e di celerità del giudizio, costituzionalizzata dall’art. 111 Cost., con la conseguenza che la causa può essere decisa sulla base della questione ritenuta di più agevole soluzione – anche se logicamente subordinata – senza che sia necessario esaminare previamente le altre” (Cassazione civile sez. VI 28 maggio 2014 n. 12002; Cassazione civile SS.UU. 8 maggio 2014 n. 9936).
2.2. La successione di titoli esecutivi e gli effetti nell’odierno giudizio.
2.2.1. Quanto sopra premesso in tema di applicabilità, alla fattispecie, del principio processuale della ragione più liquida impone preliminarmente di individuare, in quanto dirimente ai fini della decisione, le conseguenze giuridiche correlate alla pronuncia n. 594/2020 della Corte d’appello di Bologna, la quale – come evidenziato – facendo seguito all’intervenuta cassazione con rinvio della sentenza n. 1124/2017 (titolo esecutivo su cui si è proceduto alla notifica del precetto), ha accolto parzialmente l’impugnazione e ridotto le mensilità riconosciute alla lavoratrice a titolo risarcitorio.
Si tratta, in altre parole, di esplicitare l’incidenza della suddetta pronuncia nel presente giudizio nonché le ragioni per cui la sentenza in esame è suscettibile di paralizzare l’avvio dell’esecuzione.
Anticipando, sin da subito, gli esiti della presente disamina, occorre evidenziare che – essendo il precetto un atto prodromico all’avvio dell’esecuzione, mediante il quale il creditore, previa notificazione del titolo esecutivo che intende far valere, intima il pagamento al debitore mettendolo in mora – l’esecuzione che si intende avviare dopo l’avvenuta riforma del titolo esecutivo (la sentenza n. 1124/2017) su cui il precetto si fonda, presuppone che venga notificato il nuovo titolo esecutivo (nella specie la sentenza n. 594/2020) venutosi nel frattempo a creare e idoneo, in quanto tale, a sostituire il precedente riformato.
Al fine di meglio comprendere i passaggi argomentativi sui quali poggia tale conclusione, giova svolgere talune considerazioni, tanto in ordine al tema della successione (o sostituzione) dei titoli esecutivi (e, quindi, sugli effetti riflessi dell’avvenuta cassazione con rinvio della sentenza n. 1124/2017 e della sua successiva riforma ad opera della pronuncia n. 594/2020), quanto sul contenuto e sulla natura del precetto.
2.2.2 E’ pacifico che, per dare avvio all’esecuzione e per tutta la sua durata, deve esistere un titolo esecutivo; e, ciò, già a partire dal momento in cui questa è minacciata con la notificazione dell’atto di precetto (cfr., tra le tante, Cass. n. 7631/02, nonché Cass. n. 11769/02).
Si tratta di presupposto verificabile dal giudice dell’esecuzione anche d’ufficio, all’inizio e per l’intera durata del processo esecutivo (Cass. n. 16541/11); con la conseguenza per cui – in ipotesi di sopravvenuta caducazione del titolo esecutivo – conseguirebbe l’arresto del processo esecutivo con effetto ex tunc (cfr., da ultimo, Cass. n. 11021/11).
Orbene, può accadere che, prima dell’avvio dell’esecuzione, oppure ad esecuzione avviata, il titolo esecutivo giudiziale iniziale venga sostituito da altro titolo, della medesima natura, successivo al primo; il che può accadere, o in ipotesi di sentenza di appello successiva a quella di primo grado, o, come nella fattispecie in controversia, in caso di sentenza di appello pronunciata, a seguito di cassazione con rinvio, in sostituzione della precedente nel frattempo cassata.
In tali ipotesi, qualora si intenda iniziare l’esecuzione in un momento cronologicamente successivo alla pronuncia della sentenza da ultimo emessa, occorre che venga notificata quest’ultima come titolo esecutivo; così come, parimenti, sempre a quest’ultima occorre fare preliminarmente riferimento nell’intimare il precetto, quale titolo giustificativo della pretesa esecutiva.
Ciò in quanto, “la cassazione con rinvio della sentenza di secondo grado che abbia confermato quella di primo grado, posta a fondamento di un’azione esecutiva, produce effetti analoghi alla sentenza di secondo grado di riforma della prima, per come è normativamente sancito anche dall’equiparazione di cui all’art. 336 comma 2, ultimo inciso. Non vi è dubbio che gli atti pre-esecutivi ed esecutivi che siano stati posti in essere dopo la pronuncia della sentenza di appello cassata siano da questa dipendenti e vengano travolti ai sensi della norma da ultimo citata, anche quando si tratti di cassazione con rinvio al giudice di appello ai sensi dell’art. 383 c.p.c.” (Cass. Sez. III, 27 marzo 2009, n. 7537; Cass. Sez. III, 7 febbraio 2013, n. 2955 e Cass. 12 marzo 2013, n. 6113).
A conclusioni parzialmente diverse – sia pur entro i limiti di seguito evidenziati – si giungerebbe in ipotesi di mutamento del titolo esecutivo a processo esecutivo già avviato.
Si potrebbe avere, in tal caso, un fenomeno di trasformazione del titolo esecutivo nel corso del processo esecutivo; ciò poiché, allorquando ad un titolo provvisoriamente esecutivo, posto in esecuzione, ne succeda un altro, che lo confermi (almeno parzialmente), il processo esecutivo iniziato in forza del primo prosegue e gli atti di esecuzione già compiuti in base al primo titolo conservano i loro effetti.
Invero, ancorché tale fattispecie sia espressamente disciplinata solo con riguardo all’ipotesi di sentenza di accoglimento parziale dell’opposizione a decreto ingiuntivo (art. 653 c.p.c.), il principio ivi consacrato è stato esteso – dalla prevalente giurisprudenza – ai diversi casi di successione di sentenze rese nei vari gradi di giudizio.
In tal caso, infatti, “il processo esecutivo prosegue in forza di tale seconda sentenza, che della condanna del primo grado conferma i presupposti, venendo confermata anche l’entità del diritto riconosciuto, in caso di conferma integrale, ovvero soltanto modificata quantitativamente detta entità, in caso di conferma parziale.” (Cass. n. 9161/2013).
In altre parole, al fine di individuare le conseguenze – connesse alla sostituzione del titolo esecutivo – suscettibili di dispiegarsi sotto il profilo dell’esecuzione, occorre verificare, oltre al rapporto di continuità nelle statuizioni tra i diversi titoli, l’eventuale pendenza del processo esecutivo al momento della predetta sostituzione; di talché, “qualora una sentenza d’appello succeda ad una sentenza di primo grado confermandola integralmente o parzialmente, l’effetto sostitutivo comporta che, se l’esecuzione non è ancora iniziata, essa dovrà prendere l’avvio sulla base della sentenza di secondo grado; se, invece, è già iniziata, in base al primo titolo esecutivo, proseguirà, senza soluzione di continuità, in forza della conferma delle statuizioni contenute nella prima sentenza ad opera della seconda, che ne abbia confermato i presupposti (cfr.Cass. n. 6072/12, nonchè Cass. n. 2955/13; ma cfr. anche Cass. n. 3074/13, in senso contrario all’affermazione dell’effetto sostitutivo con efficacia ex tunc, ma tuttavia nel senso della “combinazione” tra il titolo esecutivo costituito dalla sentenza di primo grado e il titolo esecutivo costituito dalla sentenza di secondo grado, quando questa sia di conferma della sentenza di primo grado).” (Cass. 9161/2013).
2.2.3. Facendo coerente applicazione dei principi suesposti alla fattispecie in controversia – stante l’avvenuta notificazione di un precetto fondato su di un titolo esecutivo medio tempore sostituito, prima che l’esecuzione sia iniziata – occorre concludere per la fondatezza della presente opposizione.
Come noto, invero, il precetto può definirsi come l’intimazione ad adempiere all’obbligo risultante dal titolo esecutivo in un termine non inferiore ai dieci giorni, salvo che, ai sensi dell’art. 482 c.p.c., sia autorizzato l’inizio immediato dell’esecuzione, con esonero dal rispetto di tale termine.
Questo Giudice ritiene di aderire a quella giurisprudenza, pressoché unanime, che qualifica il precetto come atto stragiudiziale, preliminare all’esecuzione, in quanto destinato esclusivamente al debitore e non ad un giudice, e finalizzato a richiedere l’adempimento alla totalità dell’obbligo, prima che il creditore proceda all’esecuzione forzata.
Questa tesi si fonda, in particolare, sulla lettura combinata degli artt. 480, 481, 491 e 608 c.p.c. (soprattutto in giurisprudenza: Cass. 28.07.2017, n. 18759; Cass., 19.9.2014, n. 19738; Cass., 28.9.2011, n. 19791; Cass., 24.5.2012, n. 8213; Cass., 29.3.2007, n. 7737; Cass., 25.3.2002, n. 4203).
Orbene, qualificato il precetto come atto stragiudiziale prodromico all’avvio dell’esecuzione, è da ritenersi che, essendo nel frattempo stata cassata la sentenza n. 1124/2017 della Corte di Appello di Bologna (titolo in base al quale il precetto è stato notificato), ed essendo stata la stessa sostituita dalla pronuncia n. 594/2020, resa dalla medesima Corte (la quale – come già evidenziato – ha ridotto le mensilità riconosciute alla lavoratrice a titolo risarcitorio), l’esecuzione minacciata (e non ancora iniziata) deve essere inibita; con la conseguenza per cui la stessa non potrà essere avviata, se non previa notifica del nuovo titolo esecutivo e di un nuovo precetto in conformità alle disposizioni del primo.
Si richiamano, sul punto, i principi consacrati dalla Suprema Corte di Cassazione: “Va rilevato, per completezza, che la cassazione della sentenza d’appello con rinvio travolge anche il precetto intimato sulla base della combinazione della sentenza di primo grado esecutiva e di quella d’appello confermativa e ciò ancorché, in ipotesi, la cassazione intervenga su una situazione in cui al precetto era seguita un’opposizione e non aveva avuto corso l’esecuzione, essendo rimasta sospesa l’efficacia del precetto, ai sensi dell’art. 481 c.p.c., comma 2. Invero, in tal caso la pretesa esecutiva minacciata con il detto precetto lo è stata in forza di quella combinazione, cioè sulla base del titolo esecutivo siccome individuato da essa.” (Cass. civ. Sez. III, Sent. 08-022013, n. 3074).
3. Sulle spese di lite.
Quanto alle spese di lite, giova ribadire che, con la recente sentenza n. 77/2018, la Corte Costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 92, comma 2 c.p.c. nella parte in cui non consente di compensare parzialmente o per intero le suddette spese ove ricorrano gravi ed eccezionali ragioni, diverse da quelle tipizzate dal legislatore. Secondo la Corte, devono ritenersi riconducibili alla clausola generale delle “gravi ed eccezionali ragioni” tutte quelle ipotesi analoghe a quelle tipizzate espressamente nell’art. 92 comma 2 c.p.c., ovvero che siano di pari o maggiore gravità ed eccezionalità, con la conseguenza che “l’assoluta novità della questione trattata” e il “mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti” assumono la sola funzione di parametro di riferimento per la determinazione dell’area di operatività della norma e non un ruolo tipizzante esclusivo.
Ebbene, nell’ipotesi de qua, la complessità delle questioni giuridiche sottese alla fattispecie in controversia nonché la circostanza per cui gli esiti del presente giudizio rappresentano la conseguenza di un “fatto sopravvenuto” (tale dovendosi qualificare la successione dei titoli sin qui esaminata) e, infine, la riforma solo parziale della sentenza della Corte d’appello sulla cui base il precetto è stato notificato – costituendo “analoga grave ed eccezionale ragione di compensazione delle spese di lite tra le parti” – autorizzano la compensazione integrale delle predette spese.
P.Q.M.
Il Tribunale di Parma – Sezione Lavoro, in persona del Giudice designato, Dott.ssa, definitivamente pronunciando, ogni altra domanda, istanza ed eccezione rigettata e disattesa:
1) Accoglie l’opposizione per le ragioni di cui in motivazione e, per l’effetto, inibisce all’opposta l’avvio dell’esecuzione.
2) Compensa integralmente le spese di lite tra le parti.
Il Giudice
La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di
Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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