Secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale, il mediatore – tanto nell’ipotesi tipica in cui abbia agito in modo autonomo, quanto nell’ipotesi in cui si sia attivato su incarico di una delle parti (c.d. mediazione atipica) – ha, ai sensi dell’articolo 1759 c.c., comma 1, l’obbligo di comportarsi secondo correttezza e buona fede, nel cui ambito è incluso l’obbligo specifico di riferire alle parti le circostanze dell’affare a sua conoscenza, ovvero che avrebbe dovuto conoscere con l’uso della diligenza qualificata propria della sua categoria, idonee ad incidere sul buon esito dell’affare.
Dalla lettura combinata dell’articolo 1759 c.c., comma 1, con gli articoli 1175 e 1176 c.c., nonché con la disciplina dettata dalla L. n. 39 del 1989, si desume, invero, la natura professionale dell’attività del mediatore, il quale (pur non essendo tenuto, se non in forza di uno specifico impegno contrattuale, a svolgere apposite indagini di natura tecnico-giuridica) riveste comunque un ruolo che gli permette di “svolgere ogni attività complementare o necessaria per la conclusione dell’affare”.
L’obbligo ex articolo 1759 c.c., comma 1, consente di configurare la responsabilità del mediatore anche ove questi dia informazioni obiettivamente non vere su fatti di indubbio rilievo, dei quali egli non abbia consapevolezza e che non abbia controllato.
In questi limiti possono rilevare, in caso di mediazione immobiliare, le informazioni afferenti alla contitolarità del diritto di proprietà, all’insolvenza di una delle parti, all’esistenza di elementi atti a indurre le parti a modificare il contenuto del contratto, ad eventuali prelazioni ed opzioni, al rilascio di autorizzazioni amministrative, alla provenienza di beni da donazioni suscettibili di riduzione, alla solidità delle condizioni economiche dei contraenti, alle iscrizioni o trascrizioni sull’immobile e alla titolarità del bene in capo al venditore.
Hanno peso, in particolare, ai fini dell’obbligo di informazione di cui all’articolo 1759 c.c., comma 1, le circostanze relative alla valutazione ed alla sicurezza dell’affare, che possano influire sia sulla prestazione del consenso al contratto, sia comunque nel senso di determinare le parti a concludere il contratto a diverse condizioni (Cass., Sez. II, 16 gennaio 2019, n. 965; Cass., Sez. II, 28 ottobre 2019, n. 27842; Cass., Sez. II, 2 maggio 2023, n. 11371).
Nel delineare l’ambito della responsabilità del mediatore professionale, la giurisprudenza esclude che questa possa estendersi ad indagini di carattere tecnico, quale quella nella specie consistente nella verifica delle condizioni per il rilascio del certificato di agibilità che esulano obiettivamente dal novero delle cognizioni specialistiche esigibili in relazione alla categoria professionale di appartenenza (Cass., Sez. II, 21 febbraio 2017, n. 4415).
Una responsabilità del mediatore può porsi, in ordine alla mancata informazione circa la conseguibilità del certificato di agibilità, nei soli casi in cui il mediatore abbia taciuto informazioni e circostanze delle quali era a conoscenza, ovvero abbia riferito circostanze in contrasto con quanto a sua conoscenza, ovvero ancora laddove, sebbene espressamente incaricato di procedere ad una verifica in tal senso da uno dei committenti, abbia omesso di procedere ovvero abbia erroneamente adempiuto allo specifico incarico.
Poiché la L. n. 39 del 1989 subordina l’esercizio dell’attività di mediazione al possesso di specifici requisiti di capacità professionale, configurandola come attività professionale, l’obbligo di informazione gravante sul mediatore a norma dell’articolo 1759 c.c. va commisurato alla normale diligenza alla quale è tenuto a conformarsi nell’adempimento della sua prestazione il mediatore di media capacità e, pertanto, deve ritenersi che il suddetto obbligo deve riguardare non solo le circostanze note, ma tutte le circostanze la cui conoscenza, in relazione all’ambito territoriale in cui opera il mediatore, al settore in cui svolge la sua attività ed ad ogni ulteriore utile parametro, sia acquisibile da parte di un mediatore dotato di media capacità professionale con l’uso della normale diligenza.
Non rientra tuttavia nella comune ordinaria diligenza, alla quale il mediatore deve conformarsi nell’adempimento della prestazione ai sensi dell’articolo 1176 c.c., lo svolgimento, in difetto di particolare incarico, di specifiche indagini di tipo tecnico-giuridico.
Seppure il mediatore non sia tenuto, in difetto di un incarico particolare in proposito, a svolgere, nell’adempimento della sua prestazione (che si svolge in un ambito contrattuale), specifiche indagini di natura tecnica al fine di individuare circostanze rilevanti per la conclusione dell’affare a lui non note, egli è gravato, tuttavia, di un obbligo di corretta informazione, secondo il criterio della media diligenza professionale, il quale comprende, in senso positivo, l’obbligo di comunicare le circostanze a lui note o comunque conoscibili con la comune diligenza che si richiede al mediatore, nonché in senso negativo, il divieto di fornire non solo informazioni non veritiere, ma anche informazioni su circostanze delle quali non abbia consapevolezza e che non abbia controllato, poiché il dovere di correttezza e quello di diligenza gli imporrebbero in tal caso di astenersi dal darle.
Egli deve tacere delle circostanze delle quali non abbia sicura contezza.
Il generale dovere di correttezza, cui fa riscontro l’affidamento della parte nella veridicità delle affermazioni del mediatore sullo stato e sulle caratteristiche essenziali dell’immobile, gli impone, per contro, d’informare chi sia interessato all’acquisto circa la propria inconsapevolezza in ordine alla verità di quanto egli affermi, chiarendo che le notizie fornite sono incontrollate.
Qualora il mediatore infranga tali regole di condotta, è legittimamente configurabile una sua responsabilità per i danni sofferti, per l’effetto, dal cliente.
In relazione alle operazioni di acquisto immobiliare, sono così certamente comprese, fra le informazioni oggetto dell’obbligo di informazione a carico del mediatore, quelle riguardanti il rilascio del certificato di abitabilità.
Tale certificato, infatti, attestando la rispondenza dell’immobile ai requisiti igienici, sanitari e urbanistici, e la conformità al progetto approvato ovvero alla concessione in sanatoria, costituisce requisito giuridico essenziale per il legittimo godimento e la commerciabilità del bene, sì che la sua mancanza, pur non impedendo in sé la conclusione del contratto di vendita, può indurre una parte a non ritenere di suo interesse obbligarsi alla stipula dell’atto, quanto meno alle condizioni predisposte, anche in considerazione del rischio che l’abitabilità non sia ottenuta (Cass., Sez. II, 9 agosto 2022, n. 24534).
Dunque, il mediatore è tenuto a comunicare le circostanze a lui note relative alla valutazione e alla sicurezza dell’affare, come pure a informare le parti, sulla documentazione necessaria, da un punto di vista urbanistico-edilizio, per il regolare passaggio di proprietà e per la commerciabilità del bene, ma ciò non implica, a meno che egli sia stato in tal senso specificamente incaricato, un dovere per lo stesso di assumere particolari informazioni o di effettuare indagini e controlli presso la pubblica amministrazione sulla regolarità urbanistico-edilizia dell’immobile.
Corte di Cassazione, Sezione Seconda Civile, Ordinanza n. 17385 del 16 giugno 2023
La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di
Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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