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Cessazione del rapporto di agenzia per recesso del preponente

Cessazione del rapporto di agenzia per recesso del preponente: l’attribuzione dell’indennità è condizionata non soltanto alla permanenza, per il preponente, di sostanziali vantaggi derivanti dall’attività di promozione degli affari compiuta dall’agente, ma anche alla rispondenza ad equità dell’attribuzione, in considerazione delle circostanze del caso concreto ed in particolare delle provvigioni perse da quest’ultimo. Nella base di computo vanno, pertanto, ricomprese non soltanto le provvigioni maturate, ma anche quelle percepite come “fisso provvigionale”.

Pubblicato il 22 September 2024 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Ai fini della determinazione dell’indennità, in caso di cessazione del rapporto di agenzia per recesso del preponente, ex art. 1751 c.c., nella base di computo, vanno ricomprese non soltanto le provvigioni maturate, ma anche quelle percepite come “fisso provvigionale”, atteso che la previsione codicistica fa riferimento, in relazione al profilo del “quantum”, al più ampio concetto di “retribuzioni riscosse” – nel quale va ricompreso il minimo provvigionale garantito – mirando detta previsione ad indennizzare l’agente per la perdita del contratto e, perciò, dei vantaggi che il contratto stesso gli avrebbe procurato.

Vengono in rilievo, in primo luogo, le previsioni contenute nell’art.1751 c.c.1 comma, secondo cui l’indennità in caso di cessazione del rapporto di agenzia (c.d. meritocratica) spetta all’agente quando questi abbia procurato nuovi clienti al preponente o abbia sensibilmente sviluppato gli affari con i clienti esistenti e il preponente riceva ancora sostanziali vantaggi derivanti dagli affari con tali clienti, il pagamento di tale indennità sia equo, tenuto conto di tutte le circostanze del caso, in particolare delle provvigioni che l’agente perde e che risultano dagli affari con tali clienti.

Rilevano inoltre le previsioni contenute nel 3 comma dell’art.1751 c.c. per il quale “: L’importo dell’indennità non può superare una cifra equivalente ad un’indennità annua calcolata sulla base della media annuale delle retribuzioni riscosse dall’agente negli ultimi cinque anni e, se il contratto risale a meno di cinque anni, sulla media del periodo in questione.

Nel caso esaminato, essendo pacifico che l’indennità in questione dovesse spettare in quanto erano stati procurati nuovi clienti e che esistessero gli altri presupposti in relazione all’an, si discuteva soltanto del quantum, regolato dal 3 comma.

Pronunciandosi più volte sul tema, la Suprema Corte ha già osservato che la fattispecie attributiva del diritto in oggetto non è completamente tipizzata, essendo sempre soggetta ad una valutazione di equità del giudice tenuto conto di tutte le circostanze del caso concreto.

Con la sentenza n. 21377 del 29/08/2018, premesso che per quanto riguarda il quantum l’art. 1751, 3 comma, stabilisce che l’importo dell’indennità non può superare una cifra equivalente ad un’indennità annua calcolata sulla base della media annuale delle retribuzioni riscosse dall’agente negli ultimi cinque anni e, se il contratto risale a meno di cinque anni, sulla media del periodo in questione, si è in particolare precisato che la norma prevede non un criterio di calcolo (in relazione a determinate somme neppure sul piano funzionale), ma una misura massima dell’indennità, la cui determinazione è rimessa pure essa ad una determinazione equitativa da parte del giudice; il quale deve esercitarla sulla base dei criteri indicati dalla legge che prevedono nel massimo una indennità annua sulla base della media annuale delle “retribuzioni riscosse”.

Inoltre, con la sentenza n. 486 del 14/01/2016 è stato affermato che “In tema di indennità per cessazione del rapporto di agenzia, a seguito della sentenza della CGUE, 23 marzo 2006, in causa C-465/04, interpretativa degli artt. 17 e 19 della direttiva 86/653, ai fini della quantificazione della stessa, nel regime precedente l’AEC del 26 febbraio 2002 che ha introdotto l'”indennità meritocratica, ove l’agente provi di aver procurato nuovi clienti al preponente o di aver sviluppato gli affari con i clienti esistenti (ed il preponente riceva ancora vantaggi derivanti dagli affari con tali clienti) ai sensi dell’art. 1751, comma 1, c.c., è necessario verificare – non secondo una valutazione complessiva “ex ante” dell’operato dell’agente, ma secondo un esame dei dati concreti “ex post” -se, fermi i limiti posti dall’art. 1751, comma 3, c.c., l’indennità determinata secondo l’accordo collettivo per gli agenti di commercio, tenuto conto di tutte le circostanze del caso e, in particolare, delle provvigioni che l’agente perde, sia equa e compensativa del particolare merito dimostrato, dovendosi, in difetto, riconoscere la differenza necessaria per ricondurla ad equità.”

Gli stessi principi ha riaffermato anche la più recente sentenza n. 6783/2020 la quale, nel richiamare la sentenza n. 16347 del 2007, ha ribadito che “in relazione ai criteri di quantificazione dell’indennità in caso di cessazione del rapporto di agenzia, l’art. 17 della direttiva 86/653/CEE del Consiglio del 18 dicembre 1986, relativa al coordinamento del diritto degli Stati membri concernenti gli agenti commerciali indipendenti come interpretato dalla sentenza della Corte di giustizia Cee, 23 marzo 2006, in causa C-465/04 non impone un calcolo in maniera analitica, bensì consente l’utilizzo di metodi di calcolo diversi e, segnatamente, di metodi sintetici, che valorizzino più ampiamente il criterio dell’equità e, quale punto di partenza, il limite massimo di un’annualità media di provvigioni previsto dalla direttiva medesima.

Ne consegue che l’art. 1751 c.c. deve interpretarsi nel senso che l’attribuzione dell’indennità è condizionata non soltanto alla permanenza, per il preponente, di sostanziali vantaggi derivanti dall’attività di promozione degli affari compiuta dall’agente, ma anche alla rispondenza ad equità dell’attribuzione, in considerazione delle circostanze del caso concreto ed in particolare delle provvigioni perse da quest’ultimo (in senso conforme cfr. anche Cass. n. 23966 del 2008; n. 15203 del 2010; n. 15375 del 2017).

Viene, dunque, risolta anche la specifica questione se sia possibile utilizzare come base di computo del tetto massimo soltanto le provvigioni maturate oppure quelle effettivamente percepite anche come “fisso provvigionale” (in questo caso superiore a quanto effettivamente maturato), riaffermandosi, in primis, che il pagamento deve risultare sempre equo e non deve superare l’importo massimo indicato nella norma; ed in secondo luogo che, dentro questi limiti, possa considerarsi ai fini del quantum in discorso anche il quantum effettivamente percepito come fisso provvigionale, secondo quello che è in concreto avvenuto nel caso di specie.

La disposizione mira ad indennizzare l’agente per la perdita del contratto e perciò dei vantaggi che il contratto gli avrebbe procurato.

Appare pertanto ovvio che, tanto più in caso di recesso anticipato prima dei 5 anni, possa farsi riferimento anche a quanto effettivamente percepito a titolo di provvigioni minime contrattualmente stabilite.

La stessa legge valorizza l’effettività del rapporto sia prendendo in considerazione la media dello stesso minore periodo di tempo di lavoro concretamente svolto, sia richiedendo una valutazione ex post dell’operato dell’agente.

E se il recesso ingiustificato avviene dopo un breve periodo di tempo dall’inizio del rapporto, la perdita può essere correlata a quanto effettivamente percepito, in considerazione del maggior lavoro svolto per la penetrazione del mercato nuovo ed all’impegno profuso nella medesima direzione.

Corte di Cassazione sezione lavoro, ordinanza n. 23043 del 22 agosto 2024

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