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Cessazione della materia del contendere

Cessazione della materia del contendere, sopravvenuta carenza di interesse della parte alla definizione del giudizio.

Pubblicato il 13 March 2023 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI ROMA
I SEZIONE LAVORO

RG 1051/2022

Il Giudice designato, dr.ssa, in funzione di

Giudice del lavoro, all’esito dell’udienza del 27-2-2023, svoltasi con le modalità della trattazione scritta, ha depositato la presente:

SENTENZA n. 2015/2023 pubblicata il 27/02/2023

nella causa in materia di lavoro, proposta da:

XXX s.p.a. in persona dei legali rappresentanti pro tempore

ricorrente-opponente

contro

YYY

() resistente-opposto

DISPOSITIVO

Dichiara cessata la materia del contendere in ordine alla domanda di reintegrazione.

Condanna la società opponente a corrispondere all’opposto l’indennità risarcitoria ex art. 18 l. 300/70 commisurata alla retribuzione globale di fatto spettante sulla base dell’inquadramento nell’area 2 liv 1 CCNL di settore applicato ratione temporis dalla società e maturati dal recesso impugnato siano alla reintegrazione, detratto quanto già corrisposto dalla società e tale titolo, oltre al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali dovuti per il medesimo periodo ed oltre accessori dalla maturazione al saldo Condanna l’opponente al pagamento delle spese di lite del presente giudizio liquidate in euro 5000, spese generali nella misura del 15%, iva e cpa. Roma, 27-2-2023

Il Giudice

( dott. M.L. Frate ) Oggetto: ricorso in opposizione ex art. 1 co. 51 e ss. L. 92/2012

Conclusioni delle parti: come in atti

Ragioni della decisione

Con ricorso ex art. 414 c.p.c. ed ex art. 1 comma 51 l. 92/2012 iscritto telematicamente in data 17-1-2022 la parte ricorrente in epigrafe ha convenuto in giudizio YYY, per proporre opposizione all’ordinanza ex art. 1 comma 48 e segg. L. 92/2012 emessa in data 14-12-2021 (RG 14076/20202).

Premessa una ricostruzione delle vicende fattuali e processuali della fattispecie, ha censurato l’impugnato provvedimento sotto vari profili, ed ha concluso come in atti, chiedendo al Tribunale:

“Che l’Ill.mo Tribunale adito, rigettata ogni contraria istanza, a modifica dell’Ordinanza impugnata voglia disporre la sospensione del presente giudizio in attesa della definizione con pronuncia passata in giudicato avente ad oggetto la questione presupposta dell’accertamento della titolarità del rapporto di lavoro.

In ogni caso rigettare il ricorso avversario perché infondato in fatto e diritto

Con vittoria di spese, competenze ed onorari”

Ritualmente evocato in giudizio si è costituito YYY, contestando la domanda e ribadendo la correttezza della impugnata ordinanza.

Ha concluso chiedendo al Tribunale di:

“Piaccia all’Onorevole Tribunale adito, ogni contraria istanza ed eccezione reietta rigettare il ricorso in opposizione siccome inammissibile, improponibile e comunque infondato in fatto e in diritto e per l’effetto confermare l’ordinanza opposta;

in via subordinata confermato l’ordine di reintegra dichiarare che lo YYY ha diritto ad essere inquadrato nella seconda area professionale terzo livello e condannare la ricorrente al pagamento dell’indennità risarcitoria ritenuta di giustizia, con liquidazione delle spesse di lite secondo quanto ritenuto di giustizia”.

Esperito con esito negativo il tentativo di conciliazione, concesso termine per il deposito di note, all’esito dell’odierna udienza, svoltasi con le modalità della trattazione scritta, lette le note di trattazione scritta, il giudice ha depositato la presente sentenza.

La domanda è fondata e va accolta nei limiti di cui n appresso.

Ricostruzione della vicenda processuale.

Dalle incontestate deduzioni ricostruttive e dalla documentazione versata in atti dalle parti in entrambe le fasi del giudizio emergono le seguenti circostanze:

con un primo ricorso ex art. 414 c.p.c., rubricato al numero RG 14076/20 YYY conveniva XXX spa innanzi il Tribunale di Roma al fine di accertare l’esistenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato a decorrere dal 15-12-2008, ancora in essere per assenza di un atto idoneo a risolverlo ed ordinare a XXX la regolarizzazione della posizione lavorativa del ricorrente anche sotto l’aspetto dei versamenti contributivi ed assicurativi dovuti (doc 1 fasc ric).

A sostegno di tale domanda il ricorrente aveva dedotto: di avere lavorato per XXX a decorrere dal 15-12-2008, che solo formalmente era alle dipendenze delle società *** prima e *** Soc. Coop. a r.l. poi; che in realtà aveva sempre prestato servizio alle dirette dipendenze di XXX per la gestione del servizio posta e corrispondenza nonché presso il Training Center di Roma per la gestione e formazione dei dipendenti; che la sede di lavoro era stata dapprima in via, presso l’ufficio corrispondenza, dal 2013 al 2017 in via dove era stato addetto in via esclusiva al Training Center e successivamente di nuovo presso l’ufficio corrispondenza; che aveva lavorato alle dirette dipendenze della convenuta svolgendo mansioni identiche a quelle degli altri dipendenti e di essersi occupato anche di logistica a partire dal 2019; che per lo svolgimento della sua attività aveva utilizzato beni e strumenti di XXX e che aveva un indirizzo mail.

In tale giudizio si costituiva XXX, svolgendo ampie difese e contestando la domanda. In particolare deduceva: che essa convenuta aveva stipulato (anche per il tramite di XXX *** s.c.p.a., società che per contro del Gruppo XXX si occupa della gestione commerciale degli acquisti di beni mobili, materiali ed immateriali e di servizi) una serie di contratti di appalto con la società cooperativa *** avente ad oggetto servizi di movimentazione di materiali e merci e la prestazione di servizi generali presso gli stabili di direzione; che con tali contratti XXX aveva inteso realizzare un graduale processo di esternalizzazione di detti servizi con progressiva cessazione del loro svolgimento da parte del personale della Banca; che *** aveva una adeguata organizzazione e risorse con competenza professionale per gestire i servizi affidati in ordine ai quali XXX si è obbligata a rispettare le prescrizioni normative in materia di lavoro; che lo YYY non aveva mai lavorato alle dipendenze della convenuta né aveva mai ricevuto direttive dal personale XXX; che l’attività del predetto presso i locali XXX era avvenuta solo in esecuzione del contratto di appalto; che la convenuta era rimasta estranea alla gestione del rapporto di lavoro sotto ogni aspetto ivi incluso l’orario di lavoro; che la circostanza della condivisione dell’ambiente lavorativo non era significativa in quanto presso le sedi della convenuta tali locali sono open space; che *** era una società di primario livello, operante nel settore del facility management in grado di assicurare un’ampia gamma di servizi (tutti specificamente dettagliati) e che era dotata di una propria organizzazione; che i contratti di appalto stipulati erano genuini e non sussisteva una interposizione illecita di manodopera; che le deduzioni avversarie al riguardo erano del tutto generiche.

Nelle more di tale giudizio, il ricorrente conveniva in giudizio XXX con ricorso ex art. 1 co. 47 l. 92/2012, rubricato al n. RG 18373/2021 e premesso (qui in sintesi) di avere lavorato alle dipendenze di XXX a decorrere dal 15-12-2008 al 30-11-2020 con rapporto di lavoro solo formalmente intestato alla società cooperativa a r.l. ***; che era stato estromesso dal luogo di lavoro in data 30-11-2020 per volontà della convenuta; che tale estromissione doveva qualificarsi come licenziamento, di cui deduceva la nullità perché intimato in forma orale. Chiedeva pertanto al Tribunale, ai sensi e per gli effetti dell’art. 18 l. 300/70 la condanna della convenuta alla reintegrazione nel posto di lavoro ed al pagamento di una indennità risarcitoria.

Si costituiva la convenuta nell’ambito di tale procedimento sommario, richiamando le difese esplicate nel precedente procedimento ex art. 414 cpc avente ad oggetto l’accertamento della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra le parti e deducendo in diritto: il difetto di legittimazione passiva della società in quanto il licenziamento era stato comminato dalla società ***; violazione del ne bis in idem, avendo il ricorrente richiesto nell’altro procedimento l’accertamento della persistenza di un rapporto di lavoro per assenza di atti idonei a risolverlo; il difetto di interesse ad agire in quanto tale effetto sarebbe conseguenza dell’accoglimento della domanda di accertamento della persistenza di un rapporto di lavoro tra le parti; in via subordinata sospendere il giudizio in attesa della definizione del giudizio relativo alla esistenza del rapporto di lavoro tra le parti.

Concludeva per l’inammissibilità, improcedibilità o rigetto della domanda, o, in subordine la sospensione del giudizio, in attesa della definizione del procedimento connesso.

Nel frattempo con sentenza del 7-12-2021 il Tribunale, in accoglimento del ricorso ex art. 414 c.p.c. promosso dallo YYY dichiarava la sussistenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato ordinando alla Banca di procedere alla regolarizzazione lavorativa del predetto.

Il giudice designato per il procedimento sommario disponeva l’acquisizione dei verbali di udienza del procedimento connesso e con ordinanza n. 116197/2021 del 14-12-2021 accoglieva la domanda e dichiarava l’inefficacia del licenziamento intimato dalla cooperativa ***, datore di lavoro fittizio e la giuridica inesistenza di un licenziamento imputabile ad XXX, datore di lavoro reale, condannando per l’esito quest’ultima alla riammissione in servizio del ricorrente ed al pagamento delle retribuzioni arretrate dal dì della messa in mora (12-1-2021) sino alla riammissione in servizio, sulla base di una retribuzione mensile di euro 2267,04 oltre interessi e rivalutazione monetaria dalla rivalutazione al saldo. Con condanna alle spese della convenuta soccombente liquidate in complessivi euro 1500 oltre oneri e accessori.

Il presente giudizio
Avverso detta ordinanza XXX ha proposto opposizione, censurando l’impugnata ordinanza sotto vari profili, ampliando e richiamando le già esplicate difese.

In via pregiudiziale ha dedotto la necessità di sospendere il presente giudizio ex art. 295, essendo pendente il giudizio avente ad oggetto la titolarità del rapporto di lavoro, o, in ogni caso, ex art. 337 2° comma c.p.c. in quanto l’opponente era in procinto di proporre appello avverso la sentenza resa in data 7-12-2021 nel giudizio ex art. 414 cpc .

Si è costituito lo YYY nel giudizio di opposizione chiedendone la declaratoria di inammissibilità/improponibilità o comunque infondatezza. In subordine, confermato l’ordine di reintegra, dichiarare il diritto dello YYY ad essere inquadrato nella seconda area professionale terzo livello con condanna della opponente al pagamento della indennità risarcitoria ritenuta di giustizia.

Esperito con esito negativo il tentativo di conciliazione, all’esito della odierna udienza, svoltasi con modalità cartolare, il giudice ha depositato la presente sentenza.

La questione di rito

L’opponente reitera in questa sede la domanda di sospensione del giudizio ex art. 295 cpc ovvero ex art. 337 cpc.

Sul punto questo giudice richiama integralmente le argomentazioni spese dal giudice della fase sommaria (pagg. 2 /5 della ordinanza) in quanto ritenute totalmente condivisibili ed alle quali resta ben poco da aggiungere.

Con particolare riferimento alla ipotesi di sospensione ex art. 337 cpc inoltre, si osserva (qui in sintesi non essendo questo l’oggetto del giudizio), anche tenuto conto di quanto da ultimo affermato dalla Cassazione, con ordinanza 24347/2022 che dalle prove raccolte nel giudizio connesso (oggetto di appello) ed acquisite agli atti del fascicolo sommario, non emergono elementi per discostarsi dalla de***ione resa dal giudice, con riferimento alla sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato resa tra le parti dal 1512-2008.

Il merito

Deve innanzi tutto dichiararsi la cessazione della materia del contendere in ordine alla domanda di declaratoria di inefficacia del recesso impugnato e di conseguente reintegrazione proposta con il ricorso introduttivo ai sensi della l. 92/2012 essendo pacifico che il ricorrente sia stato riammesso in servizio in esecuzione della ordinanza emessa in data 14-12-2021, con attribuzione del 1° livello retributivo, seconda area.

Sul punto si richiamano, anche ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c. le argomentazioni svolte da altro giudice di questo Tribunale in un caso analogo (sent. n. 10644/2022, RG 34562), in quanto integralmente condivisibili.

Ed invero premesso che l’art. 100 c.p.c. prevede che per proporre una domanda in sede giurisdizionale è necessario avervi interesse e che l’interesse ad agire sorge dalla necessità di ottenere dal processo la tutela dell’interesse sostanziale e presuppone l’affermazione della lesione di questo interesse e l’idoneità del provvedimento domandato a tutelarlo, costituendo una condizione dell’azione, la cui sussistenza è necessaria per ottenere un giudizio nel merito sulla fondatezza della domanda, si deve rilevare nel caso di specie che, a seguito della riammissione in servizio del ricorrente a decorrere dalla data suindicata, nessun interesse attuale e concreto può riconoscersi in capo alle parti, le quali non hanno alcuna esigenza di ottenere dal giudice un risultato utile giuridicamente apprezzabile allo stato degli atti in ordine alla domanda di declaratoria di inefficacia del licenziamento impugnato e della conseguente reintegrazione nel posto di lavoro.

Deve allora ritenersi sussistere una situazione dalla quale risulta concretamente venuta meno ogni ragione di contrasto tra le parti ed il difetto di interesse ad agire ed a contraddire, rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado in ordine a tale domanda. La pronuncia di cessazione della materia del contendere postula, infatti, che siano sopravvenuti nel corso del giudizio fatti tali da determinare la totale eliminazione delle ragioni di contrasto tra le parti e, conseguentemente, il venire meno dell’interesse ad agire ed a contraddire e della conseguente necessità di una pronuncia del giudice sull’oggetto della controversia (Cass. n. 23289/2007 e n. 2567/20007) : “La cessazione della materia del contendere- che deve essere dichiarata dal giudice anche d’ufficio- costituisce, nel rito contenzioso davanti al giudice civile, una fattispecie di estinzione del processo creata dalla prassi giurisprudenziale, che si verifica quando sopravvenga una situazione che elimini la ragione del contendere tra le parti, facendo venire meno l’interesse ad agire e contraddire, e cioè l’interesse ad ottenere un risultato utile, giuridicamente apprezzabile e non conseguibile senza l’intervento del giudice, da accertare avendo riguardo all’azione proposta e alle difese svolte dal convenuto”. Con riguardo alla posizione di chi ha agito in giudizio è necessario, pertanto, che la situazione sopravvenuta soddisfi in modo pieno il diritto esercitato, in modo che non residui alcuna utilità alla pronuncia di merito (Cass n. 4034/2007; n. 6909/2009 e n. 10533/2009): “La cessazione della materia del contendere si ha per effetto della sopravvenuta carenza di interesse della parte alla definizione del giudizio, postulando che siano accaduti nel corso del giudizio fatti tali da determinare il venir meno delle ragioni di contrasto tra le parti e da rendere incontestato l’effettivo venir meno dell’interesse sottostante alla richiesta di pronuncia di merito, senza che debba sussistere un espresso accordo delle parti anche sulla fondatezza (o infondatezza) delle rispettive posizioni originarie nel giudizio, perché altrimenti non vi sarebbero neppure i presupposti per procedere all’accertamento della soccombenza virtuale ai fini della regolamentazione delle spese, che invece costituisce il naturale corollario di un tale genere di pronuncia, quando non siano le stesse parti a chiedere congiuntamente la compensazione della spese”).

Deve quindi essere dichiarata la cessazione della materia del contendere , come peraltro rilevabile anche dalle dichiarazioni delle parti all’udienza del 4-4-2022, in ordine alla domanda di reintegrazione proposta per effetto della declaratoria di inefficacia del licenziamento impugnato.

Ciò specificato, ne residua che oggetto del presente giudizio è la determinazione e quantificazione della indennità risarcitoria. Ed invero, la stessa (vd ordinanza) è stata determinata sulla base di una retribuzione mensile di euro 2267,04 in ragione della riconducibilità delle mansioni svolte alla 3° area 1° livello ccnl applicato.

Tale aspetto è censurato dalla opponente sotto diversi profili.

Al riguardo deve innanzi tutto rilevarsi, come sottolineato dalla opponente che il lavoratore nel ricorso introduttivo non ha formulato alcuna domanda in ordine al superiore inquadramento dedotto, limitandosi a chiedere nelle conclusioni sul punto la condanna della convenuta al pagamento di una indennità risarcitoria “commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto (pari ad euro 2455,96 o alla diversa somma ritenuta di giustizia) dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, nella misura ritenuta di giustizia ai sensi dell’art. 18 comma 1 l. 300/1970”, sostenendo (al punto 8 pag. 2 del ricorso) di avere diritto all’inquadramento nella area 3, 1 livello. Nel presente giudizio, il ricorrente nella propria memoria contesta l’assunto della convenuta in via principale, ribadendo la correttezza della quantificazione, mentre in via subordinata chiede l’accertamento del diritto all’inquadramento nel superiore livello.

Va premesso che, nella valutazione relativa alla determinazione dell’inquadramento di un lavoratore subordinato, il procedimento logico giuridico si articola in tre fasi successive: l’individuazione delle qualifiche e dei gradi previsti dal contratto collettivo di categoria, l’accertamento in fatto delle attività lavorative in concreto svolte, e il raffronto dei risultati di tali due indagini (vd., tra le numerose altre, Cass. Sez. Lav. n. 4791 del 9.3.2004).

Su tale solo presupposto deve evidenziarsi l’assoluta carenza allegatoria delle deduzioni del lavoratore sia nella fase sommaria che nella memoria di costituzione della presente fase di opposizione, sul perché lo stesso avrebbe diritto al superiore inquadramento. Invero non risultano specificati i motivi per cui le mansioni svolte comporterebbero il diritto al superiore livello rivendicato con riferimento alle modalità concrete di svolgimento, l’inquadramento posseduto e quello superiore richiesto. In sostanza il ricorrente si è limitato ad affermare che le mansioni descritte comporterebbero l’ascrivibilità al superiore livello, senza nulla dedurre in ordine alla inapplicabilità del livello attribuito, di cui non allega neppure la declaratoria.

E tale carenza allegatoria non può essere sanata dal giudice neppure ai sensi dell’art. 421 cpc. E ciò senza contare, principalmente, che nella prima fase, il ricorrente non ha formulato alcuna domanda di accertamento del diritto al superiore inquadramento, neppure in via incidentale.

Da quanto detto, deriva che l’ordinanza impugnata deve essere modificata nel senso che, ferma, restando la riammissione in servizio del ricorrente, la disposta condanna della convenuta al pagamento delle retribuzioni arretrate dal dì della messa in mora (12-1-2021) sino alla riammissione in servizio deve essere effettuata sulla base di una retribuzione globale di fatto spettante in ragione dell’inquadramento nell’area 2 livello 1 del ccnl di settore applicato ratione temporis dalla società, ovvero il livello applicato al momento della riammissione in servizio, detratto quanto già percepito dal ricorrente, oltre versamento contributi assistenziali e previdenziali per il medesimo periodo ed oltre accessori dalla maturazione al saldo.

Le spese di lite del presente giudizio seguono la soccombenza.

Si comunichi.

Roma, 27-2-2023

Il Giudice

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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