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Codice Civile
Codice Penale

Cessione del credito e competenza arbitrale in un contratto di concessione

La sentenza chiarisce la validità della notifica di cessione del credito da parte di un’impresa cessionaria nei confronti di un ente pubblico, anche in assenza di un’espressa accettazione da parte di quest’ultimo. Inoltre, la sentenza si sofferma sulla validità ed efficacia delle clausole compromissorie unilaterali o asimmetriche, ribadendo che solo la parte a cui è attribuito il diritto potestativo di ricorrere all’arbitrato può scegliere se adire il giudice ordinario o gli arbitri.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

————– CORTE DI APPELLO DI ANCONA I° SEZIONE PER LE CONTROVERSIE CIVILI Composta dai seguenti magistrati:
dr. NOME COGNOME Presidente dr.
NOME COGNOME Consigliere rel.
dr. NOME COGNOME ha pronunciato la seguente

SENTENZA N._905_2024_- N._R.G._00000032_2022 DEL_10_06_2024 PUBBLICATA_IL_10_06_2024

nella causa in grado di appello iscritta al n° 32/2022 del ruolo generale e promossa , in persona del sindaco pro tempore (c.f./p.i.
elettivamente domiciliato in Fermo , presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME che lo rappresenta e difende come da mandato in calce allegato all’atto di citazione in appello;
già in persona del legale rappresentante pro tempore (c.f./p.i.
), rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME come da mandato allegato alla comparsa di costituzione e risposta;
– appellato- OGGETTO
Appello avverso la sentenza n. 275 del 9/6/2021 pronunciata dal Tribunale di Fermo

CONCLUSIONI

DELLE PARTI
Per l’appellante:
Piaccia all’Ecc.ma Corte di Appello adita, ogni contraria istanza, deduzione ed eccezione disattesa, accogliere lo spiegato appello e, in totale riforma della Sentenza impugnata n. 275 del 9.6.2021 emessa dal GOT Dott.ssa NOME COGNOME del Tribunale di Fermo nella causa n. 1078/2018 RG, accogliere l’ opposizione al decreto ingiuntivo n. 237/18 del 23.3.2018 del Tribunale di Fermo proposta con atto di citazione notificato in data 09.05.2018 e, per l’effetto, accogliere le conclusioni rassegnate in primo grado e di seguito trascritte: in via preliminare nel rito:

accertare e dichiarare per i motivi di cui in narrativa il difetto di competenza del Tribunale adito per essere la causa di competenza arbitrale e, per l’effetto, revocare e/ o dichiarare nullo e/o inefficace il decreto ingiuntivo opposto, con condanna alle spese di lite in favore del opponente;

nel merito , per tutti i motivi spiegati in narrativa, revocare e/o dichiarare nullo e/o inefficace l’opposto Decreto Ingiuntivo n. 237/18 del 23.3.2018 del Tribunale Civile di Fermo, in quanto basato su pretesa infondata in fatto ed in diritto;

nel merito in subordine , e si opus previa ammissione di CTU contabile, accertare e dichiarare, per le ragioni spiegate in narrativa, che il è tenuto a pagare a quale credito ceduto in suo favore da parte di a titolo di aggio per il servizio svolto per l’anno 2017 e limitatamente e fino al causa, dando atto che l’eventuale sussistenza e l’esatta entità del credito ceduto da sono condizionati al soddisfacimento del minimo garantito annuale in favore del pari ad Euro 39.007,00 per l’anno 2017 e, per l’effetto, respingere la domanda di condanna e revocare e/o dichiarare nullo e/o inefficace l’opposto Decreto Ingiuntivo n. 237/18 del 23.3.2018 del Tribunale Civile o, in via subordinata, disporre la compensazione tra il credito a titolo di minimo annuo garantito in favore del per l’anno 2017 e l’eventuale credito a titolo di aggio spettante a ceduto a per l’anno 2017 e, per l’effetto, rigettare la domanda dichiarando che nulla è dovuto dal o, in subordine, condannare a pagare il all’eventuale differenza in favore di revocando e/o dichiarando nullo e/o inefficace il Decreto ingiuntivo opposto; rigettare, in ogni caso, ogni domanda ed eccezione comunque proposta nel presente giudizio da in persona del legale rapp.te pro -tempore nei confronti del , in persona del Sindaco pro -tempore Dott.ssa in quanto infondata in fatto ed in diritto.
Con vittoria di spese, compensi e accessori del doppio grado.

In via istruttoria, si insiste nell’ammissione delle istanze istruttorie dedotte con le memorie 2) e 3) ex art. 183 comma VI cpc e nella richiesta di CTU contabile, opponendosi alle avverse istanze istruttorie per i motivi in dette memorie spiegati.

Per l’appellata:
Voglia l’Ill.ma Corte d’Appello, per i motivi di cui sopra:
dichiarare inammissibile e, in ogni caso, rigettare in quanto infondato l’appello promosso dal avverso la sentenza n. 275/21 pubblicata dal Tribunale di Fermo il 9 giugno 2021 nel giudizio di primo grado avanti al Tribunale di Fermo –RG 1078/18 di – nuova denominazione di , in ogni caso, rigettare in quanto infondata ogni domanda ed eccezione proposta dal e, per l’effetto, confermare la sentenza impugnata e, dunque, il decreto ingiuntivo;

in via subordinata: condannare il al pagamento di ogni diversa somma ritenuta dovuta nei confronti di per sorte capitale e relativi interessi di mora e anatocistici e somme ai sensi dell’art. 6 D. Lgs. n. 231/02 in ogni caso:
con vittoria di compensi e spese.

RAGIONI IN FATTO E DIRITTO DELLA DECISIONE

Con la sentenza in epigrafe il Tribunale di Fermo ha rigettato l’opposizione proposta dal al DI n. 237/2018, emesso nei suoi confronti ed in favore di per il pagamento della complessiva somma di € 10.699,52, oltre interessi di mora ed anatocistici e maggior danno ex art. 6 comma II d.lgs 231/2002, quale credito ceduto da riferito alle fatture n. 85/2017, n. 836/17, n. 651/17, n. 17VE00286, n. 1424VE/17 e n. 1072/17, emesse da tale ultima società a titolo di aggio per il servizio di accertamento e riscossione svolto nell’anno 2017. In particolare, il Tribunale, previo rigetto dell’eccezione di incompetenza all’emissione del DI sollevata dal in relazione alla clausola compromissoria contenuta nell’art. 22 del capitolato d’oneri, ha ritenuto sussistente il credito azionato in via monitoria stante la genericità delle contestazioni svolte dall’Ente anche in punto di quantum, del riconoscimento da parte del medesimo dei fatti costitutivi della pretesa creditoria (e comunque della debenza in via subordinata di un importo inferiore rispetto a quello ingiunto) e della mancanza di qualsivoglia contestazione all’esito della notifica della cessione. ha proposto appello, riproponendo in questa sede sostanzialmente i azionato in INDIRIZZO o, in via subordinata, la sua debenza in misura inferiore;
2) la non opponibilità al dell’avvenuta cessione del credito medesimo;
3) il difetto di competenza del Tribunale Ordinario in favore degli arbitri.

Ha concluso pertanto come in epigrafe.

ha resistito al gravame, chiedendone il rigetto.

Per ragioni di ordine logico-giuridico deve essere innanzitutto esaminata l’eccezione di difetto di competenza del Tribunale Ordinario, reiterata dall’appellante in forza dell’art. 22 contenuto nel capitolato d’oneri.

Il Tribunale ha rigettato l’eccezione in parola, rilevando che costituiva giurisprudenza pacifica quella per cui il GO è sempre competente ad emettere un decreto ingiuntivo, nonostante l’esistenza di una clausola compromissoria;
che la clausola dedotta in giudizio deferiva alla competenza di un collegio arbitrale unicamente le controversie inerenti le decisioni eventualmente assunte dalla Giunta comunale;
che tale evenienza costituiva una mera facoltà per il gestore e non un obbligo;
che la clausola non era stata oggetto di duplice sottoscrizione ex art. 1341 c.c..
assume l’erroneità dei motivi posti a base del rigetto dell’eccezione in esame, da un lato invocando il mutamento di indirizzo giurisprudenziale affermato dalla Suprema Corte con ordinanza n. 24153 del 25/10/2013;
dall’altro rilevando che ai sensi dell’art. 808 quater c.p.c. la clausola doveva essere estesa a tutte le controversie insorte tra il comune ed il concessionario;
dall’altro ancora sostenendo il carattere vincolante della clausola compromissoria in quanto contenuta in un capitolato d’oneri;
ed infine assumendo la non applicabilità al caso di specie dell’art. 1341 c.c., non essendosi in presenza di condizioni generali di contratto destinate a regolare in modo uniforme una pluralità indefinita di rapporti contrattuali.

Il motivo non appare meritevole di accoglimento per le ragioni che seguono.

Innanzitutto, deve richiamarsi il principio di diritto consolidato nella giurisprudenza della Suprema ordinari, essendo tuttavia consentito alle parti, nell’esercizio di una libera ed autonoma scelta, di derogare a tale regola agendo “a tutela dei propri diritti” davanti a giudici privati, riconosciuti tali dalla legge, in presenza di determinate garanzie.

L’autonomia delle parti si manifesta qui, non già (come è ovviamente possibile, e come avviene nell’arbitrato “contrattuale“) come atto di disposizione del diritto, ma come atto incidente sull’esercizio del potere di azione che a quel diritto è connesso.

L’autonomia delle parti, nel settore dei diritti disponibili, opera come presupposto del potere, loro attribuito, di far decidere controversie ad arbitri privati, nelle forme e secondo le modalità stabilite dall’ordinamento giuridico” (cfr. Cass. ord. 24153 del 25/10/2013) per affermare che, in presenza di compromesso o clausola compromissoria in arbitrato rituale italiano, il contrasto circa l’attribuzione della cognizione della controversia al collegio arbitrale italiano o al giudice ordinario impone la preventiva verifica della validità ed efficacia, nonché del contenuto effettivo degli atti negoziali di devoluzione ad arbitri (in tal senso vedi ord. cit). Deve pertanto essere esaminata in via preliminare l’eccezione di inefficacia dell’art. 22 del capitolato d’oneri (sub doc. 1 nel fascicolo del per la mancata specifica approvazione per iscritto ai sensi dell’art. 1341 c.c., contrastata dall’appellante sul rilievo che la clausola è destinata a disciplinare un unico rapporto contrattuale che accede ad una concessione pubblica.

In punto di fatto la cessionaria ha contestato detta circostanza rilevando che il richiamato art. 22 disciplina anche le controversie con concessionario subentrato a Tale ultima affermazione non appare corretta.

Dalla documentazione prodotta dall’appellante Comune risulta infatti:

che con determina n. 85 del 28/6/2012 (all. 2) il ha affidato ad il servizio di gestione, accertamento, liquidazione e riscossione anche coattiva dell’imposta comunale sulla pubblicità e dei diritti sulle pubbliche affissioni compresa che a seguito di contratto di affitto di azienda tra il servizio di concessione de quo è stato ceduto a detta ultima società (all. 3) con decorrenza dal 1/7/2015;
che la cessione è stata comunicata al in data 3/7/2015 (all. 4);
che all’esito di formale aggiudicazione con contratto in data 3/8/2017 RAGIONE_SOCIALE.a.
in liquidazione e in amministrazione straordinaria e in amministrazione straordinaria hanno ceduto ad il ramo di azienda esercente il servizio di riscossione (all. 6);
che la cessione è stata comunicata con pec del 4/8/2017 al Comune (all.
7), il quale con determina n. 170 del 28/9/2017 (all. 8) ha preso atto del subentro.

Orbene, esaminando le comunicazioni effettuate da prima e poi, nonché la delibera comunale n. 170, emerge con evidenza come nella specie vi sia stata una cessione in favore dei predetti concessionari, che si sono succeduti nel tempo, dell’unico contratto di affidamento concluso dal comune in forza della determinazione n. 85 del 28/6/2012 specificamente richiamata nelle comunicazioni di cessione e nella determina di presa d’atto dell’ultima cessione.

Pertanto, ancorché la giurisprudenza della Suprema Corte ritenga ormai applicabile anche ai contratti conclusi dalla PA il disposto di cui all’art. 1341 c.c. (cfr. Cass. sent. n. 19949 del 26/09/2007), non sussistono nella specie i presupposti per applicare la citata disposizione.

Non basta, infatti, che uno dei contraenti (nella specie il abbia formulato l’intero contenuto del contratto che l’altro contraente deve accettare in blocco o ricusare, senza aver modo di concorrere alla sua formazione, ma occorre che lo schema sia predisposto e le condizioni generali siano fissate per servire ad una serie indefinita di contratti, circostanza non ricorrente nel caso di specie.

In secondo luogo, viene in rilievo la questione relativa all’opponibilità alla società cessionaria da parte del della clausola di deferimento ad arbitri della controversia.

avrebbe potuto opporre all’originario creditore, tra le quali va ritenuta compresa anche quella, di natura processuale, derivante dal negozio compromissorio stipulato con l’originario creditore inserito nel contratto dal quale nasce il credito ceduto” (cfr. Cass. SU sent.
n. 12616 del 17/12/1998; Cass. sent. n. 24681 del 21/11/2006; ord. n. 29261 del 28/12/2011).

Deve a questo punto essere vagliato il contenuto della clausola di deferimento ad arbitri per verificare l’effettiva compromissione agli stessi della decisione sulle controversie relative all’esecuzione della concessione.

L’art. 22 (“Controversie”) del capitolato d’oneri prevede che “Le controversie che dovessero sorgere tra il ed il gestore del servizio nella esecuzione del presente contratto, delle relative prestazioni, o per qualsiasi altra causa, saranno sottoposte alla Giunta Comunale che, sentito il gestore, prenderà le proprie decisioni in merito.

Contro queste decisioni è data facoltà al gestore di ricorrere al Collegio Arbitrale che sarà composto da un esperto nominato dal uno nominato dal gestore e un terzo, con funzioni di presidente, nominato di comune accordo dalle parti;
…”.

Il Tribunale ha interpretato restrittivamente la clausola ritenendo che risultano deferite alla competenza del collegio arbitrale le sole controversie inerenti alle decisioni eventualmente assunte dalla Giunta Comunale.

Sul punto questa Corte ritiene fondato il motivo di appello che lamenta l’erroneità delle richiamate conclusioni raggiunte dal primo giudice, in quanto l’obiettività ambiguità della clausola sopra trascritta consente di interpretare la convenzione di arbitrato in senso estensivo, ricomprendendo tutte le controversie che derivano dal rapporto cui accede la convenzione medesima in forza del disposto di cui all’art. 808 quater c.p.c..

Ed infatti, da un lato la rubrica della clausola si riferisce evidentemente a tutte le controversie derivanti dall’esecuzione del rapporto di concessione e tale interpretazione è confortata dall’incipit della clausola, dall’altro viene previsto un procedimento amministrativo da svolgersi in via della giunta, come nel caso di specie dove, a fronte della richiesta con pec del 24/10/2017 della società cessionaria di pagamento dell’aggio maturato dalla cedente nell’anno 2017, il si è limitato a disattendere la stessa, eccependo in compensazione il controcredito maturato a titolo di “minimo garantito”, senza sentire il gestore e/o la cessionaria e senza avviare formalmente il procedimento interno amministrativo. Questa Corte ritiene che anche tale ultima ipotesi debba essere ricompresa nella previsione della clausola compromissoria, non potendosi rimettere alla sola parte pubblica il potere di determinare i presupposti per l’operatività della clausola medesima attivando o meno (peraltro in un tempo neanche precisato) il procedimento amministrativo ed emettendo o meno l’impugnanda decisione.

Il Tribunale ha altresì escluso la competenza arbitrale ritenendo che la clausola contempli una mera facoltà e non un obbligo per il gestore.

ha censurato detta ratio decidendi, affermando l’obbligatorietà della clausola perché contenuta nel capitolato d’oneri, per il valore di forza di legge riconosciuto dall’art. 1372 c.c. alle previsioni contrattuali e in considerazione della rubrica della clausola medesima.

L’assunto non appare condivisibile in quanto, da un lato, tutti i criteri interpretativi offerti dal appaiono non dirimenti (affermando il solo valore vincolante della clausola contrattuale i primi due e risultando del tutto generica la rubrica della clausola in esame) e, dall’altro, perché la clausola in questione non è riconducibile ai due meccanismi tipici per deferire all’arbitro la decisione delle controversie e cioè la clausola compromissoria ed il compromesso.

Ed infatti, a differenza di questi ultimi la clausola in esame non rimette il potere di definire la controversia in via arbitrale ad entrambi i contraenti, ma al solo gestore.

Si è in presenza quindi di una c.d. clausola compromissoria unilaterale o asimmetrica, in cui una delle parti ha la “facoltà” di scelta se adire il giudice ordinario o fare ricorso agli arbitri.

In dottrina si discute della validità delle clausole compromissorie unilaterali, contrapponendosi ad un orientamento positivo che, facendo leva sull’esercizio dell’autonomia privata, afferma il potere delle parti di derogare alla giurisdizione e alla competenza, uno negativo, che trova la sua argomentazione nella natura tipica dei sistemi di deroga disciplinati dal nostro ordinamento giuridico (compromesso e clausola compromissoria) ovvero nella illegittimità della rinuncia preventiva di una delle parti alla facoltà di adire il giudice ordinario. La giurisprudenza della Suprema Corte già da tempi risalenti (cfr. Cass. sent. n. 2837 del 19/10/1960 e n. 2096 del 22/10/1970) ha ritenuto valida la clausola compromissoria unilaterale riconducendola nell’ambito del c.d. patto di opzione, di cui all’art. 1331 c.c., escludendone altresì la natura potestativa.

In tempi più vicini i giudici di legittimità con sentenza n. 9314 del 9/4/2008 hanno ribadito che “la clausola contrattuale di deroga alla competenza territoriale può essere validamente pattuita sia a favore di entrambe le parti, sia a favore di una parte sola.

In quest’ultimo caso la parte favorita ha la facoltà di introdurre la lite sia davanti al giudice indicato nel contratto sia dinanzi a quello che sarebbe competente secondo i criteri ordinari, mentre l’altra parte è obbligata a promuovere eventuali controversie dinanzi al giudice indicato nel contratto” in quanto “essenziale per l’efficacia della deroga di competenza è che il patto si riferisca ad uno o più affari determinati… non che attribuisca competenza esclusiva, e però tale portata deve essere espressamente prevista… Modo di determinare gli affari interessati dalla deroga può essere quello che li individua in ragione della direzione soggettiva della pretesa fatta valere in giudizio, ovverosia la deroga può essere stipulata a favore di una sola delle parti e ciò sia con riguardo alle sole liti passive sia riguardo alle sole liti attive sia a tutte le liti.

Una clausola di questo tipo impone a chi agisce contro la parte favorita di rivolgersi al Giudice indicato nella clausola di proroga, mentre consente alla parte avvantaggiata di agire anche davanti ai diversi Giudici competenti secondo le pertinenti norme”.

Detti principi trovano conferma anche nelle pronunce successive della Suprema Corte in materia di deroga unilaterale sia della competenza territoriale (cfr. Cass. ord. n. 15103 del 21/07/2016; n. 15202 del 16/07/2020) sia della giurisdizione (cfr. Cass. S.U. sent.
n. 3624 del 8/3/2012).

Applicando i richiamati principi al caso di specie appare evidente che, riconoscendo l’art. 22 al solo gestore/concessionario il diritto potestativo di demandare la risoluzione della controversia ad un collegio arbitrale (“è data facoltà al gestore di ricorrere al Collegio Arbitrale”), è solo quest’ultimo che ha la facoltà di scegliere di incardinare il giudizio rivolgendosi agli arbitri ovvero al Giudice Ordinario, scelta rispetto alla quale l’amministrazione, priva di analoga facoltà di azione, non è legittimata a sollevare alcuna eccezione di incompetenza. L’eccezione in esame deve pertanto essere rigettata con conseguente conferma in parte qua della sentenza impugnata.

Non meritevole di accoglimento è anche il secondo motivo di appello, con il quale il censura il capo di sentenza che ha rigettato l’eccezione di non opponibilità a sé dell’avvenuta cessione del credito azionato in via monitoria.

Ribadisce l’appellante ente che “nessuna cessione è stata notificata al con le forme previste per gli atti processuali (Cass. Civ. Sez. Trib.
Sentenza n. 5493 del 6.3.2013), secondo la espressa previsione di cui all’art. 69 comma 1 RD n. 2440 del 18.11.1923 che prevede la notifica per Ufficiale Giudiziario”, che nessun consenso alla cessione è stato espresso da esso ente pubblico a norma dell’art. 9 della L. n. 2248/1865 All.E, richiamato dal l’art. 70 RD n. 2440/1923 e che, in difetto di notifica, non risultava decorso il termine per la formazione del silenzio assenso previsto dall’art. 117 d.lgs 163/2006 e dal successivo art. 106 d.lgs 50/2016. La ricostruzione giuridica operata dal non è condivisibile alla luce della giurisprudenza di merito e di legittimità (cfr. quanto agli enti territoriali locali Cass. ord. n. 20739 del 14/10/2015;
e da nell’affermare che il combinato disposto dell’art. 69 della Legge di Contabilità di Stato (RD 2440/1923) e dell’art. 9 della L. 20 marzo 1865 n. 2248 all.

E, richiamato dall’art. 70 della L.C.S., non può trovare applicazione nei confronti degli enti pubblici territoriali diversi dallo Stato perché “riguarda la sola Amministrazione statale e non si applica alle cessioni di credito da corrispettivo di appalto vantati verso enti locali in quanto non espressamente richiamata dall’ordinamento di tali enti ed insuscettibile di applicazione analogica, perché di carattere eccezionale rispetto al regime generale della cessione dei crediti”.

Nella specie deve quindi farsi applicazione ratione temporis (risultando la concessione vigente al momento della sua entrata in vigore) del contenuto precettivo di cui all’art. 106 comma 13 d.lgs 50/2016 in forza del quale “Si applicano le disposizioni di cui alla legge 21 febbraio 1991, n. 52.

Ai fini dell’opponibilità alle stazioni appaltanti, le cessioni di crediti devono essere stipulate mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata e devono essere notificate alle amministrazioni debitrici.

Fatto salvo il rispetto degli obblighi di tracciabilità, le cessioni di crediti da corrispettivo di appalto, concessione, concorso di progettazione, sono efficaci e opponibili alle stazioni appaltanti che sono amministrazioni pubbliche qualora queste non le rifiutino con comunicazione da notificarsi al cedente e al cessionario entro quarantacinque giorni dalla notifica della cessione.

”, norma in parte qua sostanzialmente sovrapponibile al previgente art. 117 comma 3 del d.lgs n. 163/2006.

Non prevedendo tali ultime disposizioni alcuna forma e non risultando applicabile al caso di specie come sopra detto l’art. 69 RD 2440/1923, la notifica effettuata in data 24/10/2017 via pec dalla società cessionaria al la cui consegna risulta riconosciuta dallo stesso appellante oltre che provata documentalmente
(cfr. all. 11 nel fascicolo dell’appellante), risulta validamente effettuata con conseguente decorrenza dalla stessa del termine di 45 giorni previsto dalla legge per la formazione del silenzio assenso.

Non avendo pacificamente il comunicato né alla cedente né alla cessionaria il proprio rifiuto alla cessione, questa è ad esso opponibile.

Con il terzo motivo di impugnazione il censura la pronunciata condanna al pagamento delle fatture azionate in via monitoria, deducendo da un lato la mancanza di prova in ordine alla sussistenza del credito e contestando dall’altro il quantum dello stesso.

Sotto il primo profilo, questa Corte deve rilevare, che, pur avendo il eccepito l’inefficacia probatoria dei documenti prodotti dalla società cessionaria a sostegno delle sue pretese, non ha tuttavia contestato le circostanze di fatto poste a base delle stesse.

Al contrario, ha espressamente riconosciuto che la società cedente ha svolto il servizio di gestione, accertamento, liquidazione e riscossione dell’imposta comunale sulla pubblicità (per quanto qui rileva) dal 1/12017 al 31/7/2017 e che durante detto periodo di gestione ha incassato il complessivo importo di € 34.249,25.

La pretesa creditoria è stata infatti contestata in via anche stragiudiziale affermando l’esistenza di un controcredito vantato nei confronti del cedente gestore individuato nel “mimino garantito”, dovuto ex art. 6 del capitolato d’oneri (quantificato nella misura di € 39.007,00 per tutto l’anno 2017) e da porre in compensazione.

In via subordinata il Come sostiene che al più la somma dovuta a titolo di aggio al cedente gestore dovrebbe essere quantificato nella misura di € 2.315,31 (comprensivo di iva), perché “il minimo garantito” deve essere ripartito tra le due concessionarie che si sono susseguite nell’anno 2017 in misura proporzionale ai crediti rispettivamente incassati nel rispettivo periodo di competenza (€ 34.249,25 quanto alla d € 7.073,06 quanto alla La proposta eccezione di compensazione non costituisce circostanza estintiva idonea ad escludere la sussistenza del credito azionato, avendo la società cedente già quantificato lo stesso al netto delle somme dovute a titolo di “minimo garantito”. Questa Corte ritiene infatti corretto il criterio temporale di determinazione dell’importo del minimo garantito di cui ha fatto applicazione il cedente gestore.

In assenza di una specifica norma del (come riconosciuto dallo stesso appellante -cfr. pag. 15 dell’appello), il criterio de quo è desumibile dall’art. 7 del capitolato d’oneri, che fissa una cadenza trimestrale delle riscossioni al “netto dell’aggio” con la precisazione che “l’importo del versamento non potrà essere inferiore alla quota del minimo garantito corrispondente ad ogni rata, salvo conguaglio nei versamenti successivi”.

Di contro privo di agganci sia testuali che interpretativi è il criterio proporzionale indicato dal non condivisibile anche perché rimesso a circostanze del tutto aleatorie come l’entità dell’incasso di ciascun periodo di competenza.

Risultando pertanto il “minimo garantito” dovuto dalla ari ad € 22.754,08 (39.007,00/12 x7), l’aggio maturato in favore di detto gestore è pari ad € 11.495,17 (34.249,25 – 22.754,08) e cioè superiore all’importo ingiunto.

Sempre in punto di quantum il contesta la non applicabilità al caso di specie degli interessi moratori di cui al quarto comma dell’art. 1284 c.c., in quanto il credito inserisce ad un rapporto concessorio.

A riguardo questa Corte ritiene di dover fare applicazione, condividendolo, del principio di diritto affermato dalla Suprema Corte con ordinanza n. 61 del 3/1/2023 per cui “il saggio di interessi di cui all’art. 1284, comma 4, c.c., non è applicabile alle sole obbligazioni di fonte contrattuale, ma anche a quelle nascenti da fatto illecito o da altro fatto o atto idoneo a produrle, valendo la clausola di salvezza iniziale (che rimette alle parti la possibilità di determinarne la misura) ad escludere il carattere imperativo e inderogabile della disposizione e non già a delimitarne il campo d’applicazione”. Ancora, il contesta la condanna al pagamento dell’ulteriore somma di € 240,00 pronunciata ai sensi dell’art. 6 d.lgs 231/2002, in quanto frutto di una errata applicazione della citata disposizione, che al più consentirebbe l’applicazione del solo importo forfettario di € 40,00.

Il motivo appare fondato.

Il secondo comma del richiamato art.6 prevede infatti che “Al creditore spetta, senza che sia necessaria la costituzione in mora, un importo forfettario di 40 euro a titolo di risarcimento del danno.

È fatta salva la prova del maggior danno, che può comprendere i costi di assistenza per il recupero del credito”.
In difetto di prova di un danno in misura maggiore, questo può essere liquidato in misura forfettaria nel solo complessivo importo di € 40,00 previsto dalla legge, non prevedendo questa alcun criterio di adeguamento.

Infine, l’appellante contesta la debenza di interessi anatocistici in quanto non richiesti “da controparte nel caso di mancata conferma del decreto ingiuntivo opposto” Può ormai considerarsi assolutamente univoco, oltre che consolidato, l’orientamento giurisprudenziale (cfr. da ultimo Cass. sent. n. 2217 del 01/02/2007; n. 75 del 08/01/2010)
che, nell’escludere l’autonomia del giudizio di opposizione rispetto al precedente procedimento svoltosi inaudita altera parte, riconosce l’unitarietà tra la fase monitoria e quella di opposizione, nel senso che le stesse fanno parte di un unico processo in cui “oggetto dell’opposizione è la stessa lite, i cui termini soggettivi ed oggettivi sono definiti nella domanda d’ingiunzione” (cfr. Cass. SU sent. n. 20596 del 1/10/2007).

Alla luce di detto principio appare evidente che la domanda di pagamento degli interessi anatocistici svolta in sede monitoria risulta acquisita al successivo giudizio di opposizione senza necessità della sua riproposizione anche per l’ipotesi di eventuale revoca del DI opposto.

In definitiva, in parziale accoglimento dell’opposizione deve essere disposta la revoca del DI opposto e l’appellante deve essere condannato al pagamento in favore dell’appellata società della complessiva somma di € 10.499,52 (di cui € 10.387,52 per capitale, € 40,00 a titolo di danno ex art. 6 d.lgs 231/2002 ed € 72,00 per spese non oggetto di contestazione), oltre interessi moratori ex art. 1284 comma quarto c.c. ed interessi anatocistici maturati ex art. 1283 c.c. sugli interessi moratori scaduti da almeno sei mesi prima del deposito del ricorso per DI. Stante l’esiguità dell’accoglimento, le spese della fase monitoria e di entrambi i gradi del giudizio di opposizione seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo in base ai valori medi indicati nelle tabelle allegate al d.m.
n. 55 del 2014 per le cause del relativo scaglione di valore.

La Corte d’Appello di Ancona, definitivamente pronunciando sull’appello proposto avverso la sentenza n. 275 del 9/6/2021 pronunciata dal Tribunale di Fermo, così decide nel contraddittorio delle parti:

in parziale accoglimento dell’appello e in parziale modifica della sentenza impugnata revoca il DI opposto e condanna il al pagamento in favore di parte appellata della complessiva somma di € 10.499,52, oltre interessi moratori ex art. 1284 comma quarto c.c. ed interessi anatocistici maturati ex art. 1283 c.c. sugli interessi moratori scaduti da almeno sei mesi prima del deposito del ricorso per DI.;
condanna il al rimborso in favore dell’appellata delle spese di lite, liquidate nella misura di € 540,00 per compensi ed € 145,50 per esborsi per la fase monitoria, di cui € 2738,00 per compensi del primo grado di giudizio ed € 4.000,00 del presente grado, oltre, per tutte le fasi, spese forfettarie nella misura del 15%, IVA e CPA.
Così deciso nella camera di consiglio in data 5/6/2024
Il Presidente dr. NOME COGNOME Il Consigliere Est.
NOME
NOME COGNOME

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