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Codice Civile
Codice Penale

Chiusura del conto corrente sopravvenuta in corso di giudizio

Domanda di ripetizione inammissibile, accertamento del saldo di conto corrente, espunzione degli interessi e commissioni.

Pubblicato il 17 February 2022 in Diritto Bancario, Giurisprudenza Civile

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO DI VELLETRI SECONDA SEZIONE CIVILE

Il Tribunale in composizione monocratica, in persona del Giudice dott.ssa, ha emesso la seguente

SENTENZA n. 310/2022 pubblicata il 11/02/2022

nella causa civile di primo grado iscritta al n. 2340 del ruolo generale per gli affari contenziosi dell’anno 2015, trattenuta in decisione all’udienza cartolare del 21.10.2021 e vertente

TRA

XXX e YYY, elettivamente domiciliati in

ATTORI

E

BANCA ZZZ S.p.A. elettivamente domiciliata in

CONVENUTA

OGGETTO: contratti bancari.

CONCLUSIONI

All’udienza di precisazione delle conclusioni del 21.10.2021, svoltasi secondo le modalità della c.d. trattazione cartolare, le parti concludevano come da note scritte depositate (e da intendersi qui integralmente richiamate) e la causa veniva trattenuta in decisione, con assegnazione dei termini ex art. 190 c.p.c.

PREMESSO IN FATTO CHE:

Con atto di citazione notificato in data 1.04.2015, gli attori in epigrafe convenivano in giudizio la Banca ZZZ S.p.A. (d’ora in avanti, per comodità, anche ZZZ S.p.A.), esponendo:

– di aver intrattenuto con la banca convenuta il rapporto di conto corrente n. /12, acceso “dopo l’anno 2000” e ancora in essere;

-di aver richiesto alla banca con comunicazione del 22.09.2014 copia degli estratti conto, ottenendone solo alcuni dietro versamento dell’importo di euro 195,00;

-di aver altresì inviato prima dell’instaurazione del giudizio, precisamente in data 11.03.2015, specifica richiesta alla banca ex art. 119 T.U.B. per ottenere copia del contratto e di tutti gli estratti conto relativi al rapporto intercorso; -di aver richiesto una perizia di parte sul predetto rapporto di conto corrente, dalla quale era emersa l’applicazione di tassi di interesse particolarmente elevati;

-in particolare, vi era stata da parte della Banca l’applicazione, al rapporto di conto corrente in questione, di interessi illegittimi, perché usurari e anatocistici e comunque ultralegali pur in assenza di pattuizione scritta, e di commissioni di massimo scoperto nulle siccome indeterminate e prive di giustificazione causale;

-che la Banca aveva altresì illegittimamente esercitato, nel corso del rapporto, lo ius variandi nonché aveva illegittimamente antergato e/o postergato i giorni di valuta;

-che a causa di tale comportamento contrario a buona fede, avevano subito altresì un danno, in termini tanto di perdita subita quanto di mancato guadagno, atteso che, se non vi fosse stata la ritenzione di somme non dovute da parte della banca, essi le avrebbero impiegate per i normali scopi dell’impresa, implementandone i ricavi.

Sulla scorta di tale ricostruzione in fatto, con l’atto di citazione gli attori domandavano, previa acquisizione in via istruttoria ai sensi dell’art. 210 c.p.c. della documentazione relativa al rapporto in essere, accertarsi l’illegittimità della capitalizzazione trimestrale, della prassi di variazione unilaterale dei tassi, della applicazione di c.m.s. nulle e, per l’effetto, previo ricalcolo del rapporto di dare avere tra le parti, chiedevano la condanna della Banca alla ripetizione, ex art. 2033 c.c., delle somme indebitamente trattenute, oltre al risarcimento dei danni subiti.

**********
Si costituiva in giudizio la Banca ZZZ S.p.A., la quale eccepiva preliminarmente l’inammissibilità dell’azione di ripetizione dell’indebito, trattandosi di conto corrente ancora in essere; ancora in via preliminare, la convenuta eccepiva l’estinzione quantomeno parziale, per intervenuta prescrizione, del diritto alla ripetizione delle somme versate dagli attori per tutto il periodo fino all’1.04.2015 (data di notifica della citazione) o, comunque, fino all’11.03.2015 (data della missiva ex art. 119 T.U.B.).

Nel merito, la ZZZ S.p.A. deduceva la genericità dell’atto di citazione e il mancato assolvimento dell’onere di allegazione e prova in capo agli attori. Chiedeva, pertanto, il rigetto di tutte le domande attoree, ivi compresa quella di risarcimento del danno.

Nello specifico, deduceva che: il contratto di apertura del c/c. n. /12 (che provvedeva a depositare con la comparsa di risposta, unitamente agli estratti conto, in ossequio alla richiesta ex art. 119 T.U.B. dei correntisti) era stato aperto addirittura in data 27.09.1993 e recava tutte le pattuizioni debitamente sottoscritte dai correntisti; successivamente al 2000, la capitalizzazione degli interessi era consentita in conformità alla delibera CICR; non erano stati applicati interessi ultralegali in assenza di una pattuizione; non erano stati applicati interessi usurari; era stata applicata la commissione di massimo scoperto pattuita nel contratto e comunque la stessa non doveva essere computata ai fini del calcolo del TEG fino alla data del 29.01.2009; il c.d. ius variandi era sempre stato esercitato nel rispetto delle condizioni contrattuali e normative vigenti; i giorni di valuta erano stati sempre correttamente conteggiati.

**********
Con la prima memoria ex art. 183, VI comma, c.p.c., preso atto delle difese e delle eccezioni svolte dalla Banca, gli attori precisavano e modificano le proprie domande, chiedendo al Tribunale di: “nel merito ACCERTARE E DICHIARARE: la nullità ed inefficacia delle condizioni generali di contratto di apertura del credito e di conto corrente per violazione degli artt. 1284, 1346, 2697 e 1418 comma 2, ACCERTARE E DICHIARARE: nullità della clausola contrattuale anatocistica relativa al contratto di cui in narrativa e per l’effetto l’inefficacia della capitalizzazione trimestrale post luglio 2000 degli interessi sugli interessi unilateralmente applicata dalla banca per violazione dell’art. 25 del d.lgs. n. 342/1999, ACCERTARE E DICHIARARE: la nullità della clausola di modifica unilaterale dei tassi d’interesse nonché delle altre condizioni contrattuali in quanto non approvate specificatamente dal cliente, secondo quanto disposto dall’art. 1341 c.c.; ACCERTARE E DICHIARARE: l’applicazione da parte dell’Istituto di credito di tassi di interesse usurari superando i limiti imposti dalla legge 7 marzo 1996 n. 108 incorrendo nell’usura oggettiva e soggettiva come indicato nella perizia di parte depositata; ACCERTARE E DICHIARARE: la nullità ed inefficacia dell’addebito in c/c, da parte della banca delle commissioni di massimo scoperto per violazione degli artt. 1284 c. 3, 1325 e 1418 c. 2, e 1346 c.c.; ACCERTARE E DICHIARARE: l’illegittimità del calcolo dei c.d. giorni di valuta concretizzandosi in una modifica unilaterale ed arbitraria del saggio d’interesse per i motivi esposti in narrativa e per l’effetto DICHIARARE: risolto il contratto intercorso tra le parti alla data della notifica dell’atto di citazione ORDINARE: alla parte qui convenuta, di procedere alla rettifica della segnalazione alla Centrale Rischi della Banca d’Italia stessa con l’indicazione “sofferenza contestata” secondo quanto disposto dal 13° aggiornamento della Circolare n.139/1991 della Banca d’Italia, ove avvenuta ORDINARE: all’istituto di credito di rideterminare il “dare e avere” tra le parti mediante il ricalcolo contabile dell’intero rapporto applicando il saggio legale, senza capitalizzazione degli interessi sugli interessi, del tasso ultra legale ed usurario, della commissione di massimo scoperto e della valuta, come potrà essere accertato anche in sede di CTU invocata CONDANNARE: la banca convenuta alla restituzione delle somme illegittimamente addebitate e/o riscosse oltre agli interessi legali e rivalutazione monetaria a far data dalla costituzione in mora come quantificate in narrativa con il ricalcolo del dare avere tra le parti di cui sopra oltre spese di CTP salva la maggiore o minore somma accertata in corso di causa a seguito della CTU”.

**********
Acquisita la documentazione prodotta dalle parti entro il maturare delle preclusioni, la causa è stata istruita tramite consulenza tecnico-contabile. In particolare, all’ausiliario è stato demandato il compito di ricostruire il rapporto e le condizioni del conto corrente, di accertare la sussistenza di anatocismo, usura, addebito di commissioni nulle, illegittimo ius variandi e di corretto conteggio di giorni di valuta. Peraltro, nel corso delle operazioni peritali, gli attori hanno altresì contestato l’invalidità del contratto originario in quanto sottoscritto solo dagli stessi e non anche dal funzionario della Banca e, perciò, nullo per difetto di forma.

Dopo il deposito della relazione definitiva, il precedente G.U., preso atto del revirement giurisprudenziale in tema di rapporti tra usura e c.m.s. nonché in materia di c.d. usura sopravvenuta, ha affidato al consulente anche due quesiti integrativi.

All’esito dell’integrazione peritale, la causa è pervenuta alla scrivente, medio tempore subentrata nella titolarità del fascicolo, per la precisazione delle conclusioni e trattenuta in decisione all’udienza cartolare del 21.10.2021.

OSSERVA IN DIRITTO 

1 – Delimitazione del thema decidendum:

Giova premettere, ai fini della delimitazione del thema decidendum, che gli attori hanno instaurato il presente giudizio proponendo domanda di accertamento dell’applicazione, da parte della Banca convenuta, di competenze e interessi illegittimi al rapporto di conto corrente n. /12, aperto nel 1993 presso la filiale di della ZZZ S.p.A., nonché domanda ex art. 2033 c.c. di ripetizione delle somme indebitamente trattenute da quest’ultima.

Per contro, la Banca convenuta ha eccepito, in rito, la inammissibilità o comunque l’improcedibilità delle domande e, nel merito, la genericità ed infondatezza delle avverse doglianze, nonché la intervenuta prescrizione decennale di tutte le rimesse fino alla data di instaurazione del presente giudizio (1.04.2015).

**********
2 - Ripartizione dell’onere della prova:

Ciò posto, vanno innanzi tutto chiariti alcuni fondamentali principi sulla ripartizione dell’onere della prova in fattispecie quali quella per cui è causa.

Non è infatti superfluo evidenziare che, nei giudizi promossi dal cliente–correntista per far valere la nullità di clausole contrattuali o l’illegittimità degli addebiti in conto corrente, in vista della ripetizione di somme richieste dalla Banca in applicazione delle clausole nulle o, comunque, in forza di prassi illegittime, grava senz’altro sulla parte attrice sia l’onere di allegazione specifica dei fatti posti alla base della domanda, sia il correlativo onere della prova.

Infatti, in ossequio alla regola generale di cui all’art. 2697 c.c., in caso di ripetizione di indebito incombe all’attore fornire la prova non solo dell’avvenuto pagamento ma anche della mancanza di causa debendi ovvero del successivo venir meno di questa (cfr. ex multis Cass. Sez.  3, Sentenza n.  7501 del 14/05/2012, Rv. 622359 – 01, secondo cui “chi allega di avere effettuato un pagamento dovuto solo in parte, e proponga nei confronti dell’accipiens l’azione di indebito oggettivo per la somma pagata in eccedenza, ha l’onere di provare l’inesistenza di una causa giustificativa del pagamento per la parte che si assume non dovuta”).

Pertanto, il correntista che intenda far valere il carattere indebito di talune poste passive –assumendo che le stesse siano il portato dell’applicazione di interessi usurari o di clausole imposte unilateralmente dalla Banca a seguito di illegittimo esercizio di ius variandi, ovvero dell’addebito di spese, commissioni o altre “voci” non dovute- ha lo specifico onere di produrre non solo il contratto costituente il titolo del rapporto dedotto in lite, ma anche gli estratti conto periodici dalla data di avvio del rapporto.

Ne consegue che, nel caso di specie, la parte attrice era, innanzi tutto, gravata dell’onere di provare il contenuto delle clausole contrattuali asseritamente ”nulle”, nonché l’avvenuto pagamento di somme indebite.

Peraltro, la Suprema Corte ha avuto modo di evidenziare che l’onere della prova grava sul correntista attore non solo allorquando lo stesso agisca per ottenere la ripetizione di somme indebitamente pretese dalla Banca, ma anche nel caso in cui il medesimo correntista promuova mera azione di accertamento negativo.

E così, la Corte di Cassazione –in fattispecie analoga a quella in esame- ha argomentato come segue: “Va premesso che la giurisprudenza di questa Corte ha costantemente ritenuto che qualora l’attore proponga domanda di accertamento negativo del diritto del convenuto e quest’ultimo non si limiti a chiedere il rigetto della pretesa avversaria ma proponga domanda riconvenzionale per conseguire il credito negato dalla controparte, ambedue le parti hanno l’onere di provare le rispettive contrapposte pretese. […] In tal senso è stato altresì ritenuto che l’onere probatorio gravante, a norma dell’art. 2697 cod. civ., su chi intende far valere in giudizio un diritto, ovvero su chi eccepisce la modifica o l’estinzione del diritto da altri vantato, non subisce deroga neanche quando abbia ad oggetto “fatti negativi”, in quanto la negatività dei fatti oggetto della prova non esclude né inverte il relativo onere, gravando esso pur sempre sulla parte che fa valere il diritto di cui il fatto, pur se negativo, ha carattere costitutivo. […] In particolare, la stessa non va in senso difforme da quanto ritenuto proprio in tema di interessi anatocistici da questa Corte laddove ha affermato che nei rapporti bancari in conto corrente, una volta che sia stata esclusa la validità, per mancanza dei requisiti di legge, della pattuizione di interessi ultralegali a carico del correntista, la banca deve dimostrare l’entità del proprio credito mediante la produzione degli estratti conto a partire dall’apertura del conto e cioè dal saldo zero. Tale principio è stato affermato nella fattispecie inversa a quella in esame in cui era la banca ad avere agito tramite decreto ingiuntivo per ottenere il pagamento dello scoperto di conto, mentre nel caso di specie si verte in tema di accertamento negativo proposto dai correntisti al quale quindi si applica un diverso onere probatorio. Dunque, nel caso di specie il principio applicabile è che chi esperisce una azione di accertamento negativo deve fornire la prova della fondatezza della propria domanda. […] Le stesse (n.d.r. correntiste ricorrenti), nell’affermare un dovere di rilevamento d’ufficio da parte del giudice di nullità afferenti alle clausole contrattuali, confondono tale potere con quello istruttorio e con l’onere della prova in ordine ai rapporti di dare ed avere intercorsi tra le parti. Il giudice può infatti accertare d’ufficio una nullità inerente al contratto sulla base della documentazione e delle risultanze istruttorie fornite dalla parte cui incombeva il detto onere o comunque presenti in atti, ma non può esercitare d’ufficio attività istruttorie sopperendo al mancato assolvimento dell’onere relativo che è in capo ad una delle parti in relazione ai rapporti intercorsi con la controparte”, (Cass. civ. sez. I, 7 maggio 2015, n. 9201).

In una ulteriore pronuncia la Suprema Corte ha altresì avuto modo di evidenziare che “Nei rapporti bancari in conto corrente, una volta che sia stata esclusa la validità, per mancanza dei requisiti di legge, della pattuizione di interessi ultralegali a carico del correntista, la rideterminazione del saldo del conto deve avvenire attraverso i relativi estratti a partire dalla data della sua apertura, così effettuandosi l’integrale ricostruzione del dare e dell’avere, con applicazione del tasso legale, sulla base di dati contabili certi in ordine alle operazioni ivi registrate, inutilizzabili, invece, rivelandosi, a tal fine, criteri presuntivi od approssimativi. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, che aveva ritenuto non provato l’intero andamento di un rapporto ultraventennale, avendone il correntista, gravato del corrispondente onere per aver agito ex art. 2033 c.c., prodotto, tardivamente, solo alcuni estratti conto in aggiunta a quelli relativi all’ultimo decennio depositati dalla banca, non risultando nemmeno incontroverso il saldo ad una determinata data)”, (Cass. Sez.  1 , Sentenza n.  20693 del 13/10/2016, Rv. 641850 – 02).

Né, in senso contrario, potrebbe invocarsi una qualche difficoltà del correntista di disporre della documentazione relativa ai contratti sottoscritti e, in particolare, alle movimentazioni ed annotazioni effettuate in conto corrente. Ed infatti, il titolare di un rapporto di conto corrente, quale parte contraente, non può non avere la disponibilità del documento contrattuale, anche alla luce delle previsioni di cui all’art. 117 TUB; inoltre, la disciplina di settore contempla il diritto del medesimo correntista di ricevere periodicamente gli estratti riportanti tutte le annotazioni eseguite in conto corrente nel periodo di riferimento e le condizioni in concreto applicate.

Ad ogni buon conto, non può non rammentarsi che, proprio con riferimento ai rapporti bancari, il legislatore accorda al “cliente” un utile strumento per ottenere dalla banca la documentazione relativa ai rapporti intrattenuti ed alle operazioni poste in essere.

Invero, già l’art. 8 della legge n. 154 del 17 febbraio 1992 (Norme sulla Trasparenza bancaria), al comma quarto, prevedeva espressamente il diritto del cliente di ottenere dalla banca copia della documentazione di ogni singola operazione posta in essere in relazione a determinati contratti bancari, quali quello di deposito e di conto corrente. In particolare, la disposizione citata così recitava: “Il cliente ha diritto di ottenere, entro un congruo termine, e comunque non oltre sessanta giorni, copia della documentazione inerente a singole operazioni poste in essere a partire dal quinto anno precedente nell’ambito di rapporti di deposito o conto corrente, con facoltà per gli enti e i soggetti di cui all’art. 2 di ottenere il rimborso delle spese”.

Una maggiore tutela è stata, poi, contemplata dall’art. 119, ultimo comma, del D.Lgs. n. 385/1993 (Testo Unico Bancario) che, nel testo vigente, prevede in particolare quanto segue: “Il cliente, colui che gli succede a qualunque titolo e colui che subentra nell’amministrazione dei suoi beni hanno il diritto di ottenere, a proprie spese, entro un congruo termine e comunque non oltre novanta giorni, copia della documentazione inerente a singole operazioni poste in essere negli ultimi dieci anni”.

Con la disposizione da ultimo citata – nel testo modificato dall’art. 24 del D.Lgs. 4 agosto 1999 n. 342- il diritto, già riconosciuto espressamente dalla Legge sulla Trasparenza Bancaria, è stato notevolmente ampliato, a) con la previsione della facoltà di richiedere la documentazione inerente a qualsiasi contratto perfezionato; b) con l’ulteriore previsione per cui il “cliente” o i suoi aventi causa hanno il diritto di chiedere la documentazione delle operazioni poste in essere negli ultimi dieci anni e non più soltanto di quelle degli ultimi cinque anni. A fronte di ciò, è stato ampliato e fissato in novanta giorni – e non più in sessanta – il termine entro il quale la banca deve evadere la richiesta di consegna della documentazione.

In un contesto di tal tipo, il cliente-attore, avendo uno specifico strumento per procurarsi la documentazione relativa alle operazioni poste in essere nell’ambito dei rapporti intrattenuti con la banca, in tanto può avvalersi del rimedio di cui all’art. 210 c.p.c., in quanto deduca e dimostri di essersi tempestivamente attivato per ottenere, ex art. 119 TUB, la consegna della documentazione bancaria necessaria per gli accertamenti richiesti e di non aver ottenuto fattivo riscontro.

Ebbene, nel caso di specie è incontestato l’invio alla Banca, subito prima dell’instaurazione del giudizio (v. comunicazione dell’11.03.2015), della richiesta di trasmissione della documentazione inerente al rapporto di conto corrente ai sensi dell’art. 119 T.U.B.

Detta richiesta è stata poi reiterata con l’atto di citazione, in via istruttoria, ai sensi dell’art. 210 c.p.c., e la Banca, all’atto della costituzione in giudizio, ha provveduto a depositare la documentazione pressoché integrale del rapporto di c/c n. 6268/12, in particolare il contratto di apertura del conto e gli estratti conto analitici, con esclusione dei movimenti scalari e degli estratti relativi ad alcuni, circoscritti trimestri. Detta mancanza, peraltro, non ha impedito, come si dirà, la ricostruzione analitica e la rettifica del saldo ad opera del CTU.

**********
3 – La preliminare questione di nullità del contratto di conto corrente n. /12 per difetto di forma scritta ad substantiam

Tanto premesso, occorre innanzi tutto esaminare la questione, emersa nel corso delle operazioni peritali e che riveste evidente carattere preliminare, concernente l’asserita nullità del contratto di conto corrente per cui è causa.

Nella prospettiva degli attori tale nullità discende dalla violazione delle norme contenute nel T.U.B. che prescrivono l’obbligo di forma scritta ad substantiam per i contratti bancari. Nel caso di specie, detto requisito non risulterebbe osservato, in quanto il contratto prodotto in giudizio dalla Banca reca la sola sottoscrizione dei sig.ri XXX e YYY, non anche quella del funzionario preposto dall’istituto di credito. Per tale ragione, gli attori hanno chiesto e il CTU ha eseguito anche un ricalcolo alternativo, mediante applicazione dei tassi di cui all’art. 117 T.U.B.

Sennonché, a giudizio del Tribunale, nel caso di specie, non si ravvisa alcuna ipotesi di nullità, per difetto di forma scritta, del contratto di conto corrente stipulato in data 27.09.1993, motivo per cui non si terrà in alcun conto la predetta ipotesi di ricalcolo formulata dal CTU.

Sul punto, va richiamato l’orientamento ormai granitico della giurisprudenza, secondo il quale, in materia di contratti di intermediazione finanziaria (ma lo stesso principio si considera, ormai pacificamente, applicabile anche ai contratti bancari), il vincolo di forma imposto dalla normativa speciale va inteso secondo quella che è la funzione propria della norma (artt. 23 T.U.F. e 117 T.U.B.) “e non automaticamente richiamando la disciplina generale della nullità: la specificità della disciplina consente, infatti, di scindere i due profili del documento come certezza della regola contrattuale e dell’accordo. Ne consegue, pertanto, che alcuna rilevanza dovrà essere attribuita alla sottoscrizione del delegato della banca sul contratto quadro, quando questo è firmato dall’investitore, una copia gli è stata consegnata ed il contratto ha avuto esecuzione, rimanendo assorbito l’elemento strutturale della sottoscrizione dell’intermediario che, reso certo il raggiungimento dello scopo normativo con la sottoscrizione del cliente sul modulo contrattuale e la consegna di copia della scrittura in oggetto, non verrebbe a svolgere alcuna specifica funzione” (cfr. per tutte Cass., Sez. Unite, sent. n. 898/2018).

In altri termini, secondo le Sezioni Unite, il requisito di forma scritta delineato dagli artt. 23 T.U.F. e 117 T.U.B. deve ritenersi pienamente rispettato nel caso in cui il contratto sia stato sottoscritto dal solo cliente, che ne abbia altresì ricevuto una copia, ed il rapporto abbia avuto regolare esecuzione, a nulla rilevando che sul documento non risulti apposta altresì la sottoscrizione dell’intermediario finanziario o bancario.

Sulla scorta di tale principio, il requisito della forma deve dirsi senza dubbio rispettato nella fattispecie in esame, ove sul contratto risultano le sottoscrizioni – non disconosciute – di entrambi gli attori.

È pertanto infondata la prospettata questione di nullità, per difetto di forma scritta, dei contratti dedotti in giudizio.

* * *

4 – La documentazione esaminata dal CTU:

 

Ciò premesso sulla validità, sotto tale profilo, del contratto, considerato che la Banca ha provveduto a depositare in giudizio la documentazione contabile (contratto e buona parte degli estratti conto), è stata disposta come già accennato una CTU contabile, al fine di ricostruire in modo attendibile l’intero rapporto intercorso tra le parti.

Ed invero, sul punto si osserva che, come la giurisprudenza di legittimità ha più volte precisato, la mancanza di una parte degli estratti conto o, addirittura, del documento contrattuale non è di per sé preclusiva di un approfondimento istruttorio, tramite consulenza tecnica, delle allegazioni attoree.

La CTU, infatti, può essere disposta anche quando la serie di estratti conto prodotta in giudizio non sia quella relativa a tutte le movimentazioni in conto corrente, dall’apertura di quest’ultimo, purché si tratti di serie tendenzialmente continue, suscettibili di dar luogo ad una ricostruzione attendibile del rapporto. Ciò in quanto gli estratti non costituiscono “prova esclusiva” dell’andamento del rapporto negoziale. Ne consegue che il giudice è tenuto a valutare se, alla luce di tutto il compendio probatorio in atti, sia comunque possibile ricostruire, in modo attendibile, i rapporti di dare e avere fra le parti, ad esempio valorizzando altre prove documentali oppure il comportamento processuale delle parti (cfr. Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 9526 del 04/04/2019, secondo cui: “Nei rapporti bancari in conto corrente, una volta esclusa la validità di talune pattuizioni relative agli interessi a carico del correntista, la rideterminazione del saldo del conto deve avvenire attraverso la produzione in giudizio dei relativi estratti a partire dalla data della sua apertura; non trattandosi tuttavia di prova legale esclusiva, all’individuazione del saldo finale possono concorrere anche altre prove documentali, nonché gli argomenti di prova desunti dalla condotta processuale tenuta del medesimo correntista).

Sulla scorta di tali principi, nel caso concreto, la mancanza di taluni estratti conto (nello specifico, quelli relativi al periodo dall’1.04.2004 al 30.06.2005) non si è ritenuta ostativa all’espletamento di ctu contabile; d’altronde, la correttezza di tale valutazione discende dal fatto che il consulente non ha evidenziato al Giudice difficoltà di sorta nel procedere ad un accertamento comunque dotato di piena attendibilità scientifica.

A ciò si aggiunga che, nella specie, la mancanza di veri e propri estratti conto per quel lasso temporale, non è stato di ostacolo all’accertamento chiesto dagli attori altresì in quanto: 1) per il periodo antecedente alla data dell’1.04.2005 non vi sono atti interruttivi della prescrizione – eccepita dalla Banca – sicché in ogni caso si sarebbe dovuto escludere quel periodo; 2) il CTU ha avviato la ricostruzione del saldo a partire dall’1.07.2005 (data in cui riparte la serie completa degli estratti conto), coerentemente con il principio per cui, nelle controversie in cui ad agire è il correntista e non la Banca, gravando come sopra chiarito sul primo l’onere della prova e di produzione di tutta la documentazione relativa al conto, la mancanza dei primi estratti non impedisce l’accertamento e il ricalcolo, dovendosi peraltro mantenere fermo l’eventuale saldo a debito del cliente (come nella specie effettuato), proprio perché era costui onerato di produrre anche la documentazione relativa al periodo antecedente.

Ciò posto, con riferimento al rapporto di conto corrente dedotto in giudizio, il ctu ha esaminato la documentazione in atti e, in conformità con i quesiti formulati, escluso il periodo antecedente già coperto da prescrizione, ha correttamente operato il ricalcolo dall’1.07.2005 al 31.03.2015 (data dell’ultimo estratto conto disponibile del periodo immediatamente precedente la notifica della citazione).

Con specifico riferimento all’eccezione di prescrizione, peraltro, preme per completezza osservare come la stessa sia stata correttamente formulata dalla Banca convenuta, avendo le Sezioni Unite della Corte di Cassazione affermato che l’onere di allegazione gravante sull’istituto di credito che, convenuto in giudizio, voglia opporre l’eccezione di prescrizione al correntista che abbia esperito l’azione di ripetizione di somme indebitamente pagate nel corso del rapporto di conto corrente assistito da un apertura di credito, è soddisfatto con l’affermazione dell’inerzia del titolare del diritto, e la dichiarazione di volerne profittare, senza che sia anche necessaria l’indicazione di specifiche rimesse solutorie» (Cass., sez. un., 13 giugno 2019, n. 15895; ma già Cass., 22 febbraio 2018, n. 4372).

**********
5 – L’eccezione di inammissibilità della domanda di ripetizione ex art. 2033 c.c.

Come detto, la Banca convenuta ha preliminarmente eccepito l’inammissibilità della domanda di ripetizione dell’indebito proposta dagli attori, sul presupposto che il rapporto di conto corrente sarebbe stato ancora in essere alla data di notifica della citazione.

L’eccezione è fondata.

È infatti la stessa parte attrice a dedurre sin dall’atto introduttivo che il conto corrente n. /12 era ancora in essere, né risulta che la chiusura del conto sia sopravvenuta in corso di giudizio, non rivenendosi nel fascicolo alcuna documentazione a riprova di ciò.

A tal proposito, pienamente condivisibile appare il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità e di merito secondo il quale l’annotazione in conto di una posta di interessi (o di commissione di massimo scoperto o altre spese) illegittimamente addebitati dalla banca al correntista comporta un incremento del debito dello stesso correntista, o una riduzione del credito di cui egli ancora dispone, ma in nessun modo si risolve in un pagamento, nel senso che non vi corrisponde alcuna attività solutoria in favore della banca. Di conseguenza, il correntista potrà agire per far dichiarare la nullità del titolo su cui quell’addebito si basa, allo scopo eventualmente di recuperare una maggiore disponibilità di credito, nei limiti del fido accordatogli, ma non potrà agire per la ripetizione di un pagamento che, in quanto tale, da parte sua non ha ancora avuto luogo, atteso che di pagamento, nella descritta situazione, potrà parlarsi soltanto dopo che, conclusosi il rapporto di apertura di credito in conto corrente, la banca abbia esatto dal correntista la restituzione del saldo finale, nel computo del quale risultino compresi interessi non dovuti e, perciò, da restituire se corrisposti dal cliente all’atto della chiusura del conto (cfr. Cass. Civ. n. 24418/10).

La parte attrice, d’altra parte, non ha allegato, né dimostrato, la chiusura del rapporto in questione in epoca anteriore all’introduzione del presente giudizio (anzi ha essa stessa dedotto che il rapporto è ancora in essere), né ha specificamente dedotto l’esistenza di annotazioni relative a rimesse aventi carattere solutorio in quanto effettuate in assenza di affidamenti o in presenza di saldi negativi di ammontare maggiore rispetto agli affidamenti concessi, non fornendo peraltro – come sopra già evidenziato – alcuna prova dei presupposti della sua pretesa restitutoria.

La domanda di ripetizione proposta dagli attori, quindi, è inammissibile, potendosi dunque procedere in questa sede solo all’accertamento del saldo, previa espunzione degli interessi e delle altre commissioni eventualmente nulle.

Peraltro, la mancata chiusura del conto e, quindi, l’inammissibilità della domanda di ripetizione dell’indebito, non può essere superata dalla domanda nuova, proposta da parte attrice con la prima memoria ex art. 183, VI comma, c.p.c., di risoluzione del contratto di conto corrente.

Sul punto, va infatti chiarito gli attori non hanno in alcun modo allegato e dedotto le ragioni giustificative della risoluzione del contratto, la quale, come noto, può essere pronunciata solo in presenza di determinati presupposti (artt. 14531455 c.c.).

Né può ritenersi che la generica domanda di risoluzione inserita nella prima memoria debba essere dal Giudice riqualificata quale domanda di accertamento del recesso: è infatti ormai pacifico in giurisprudenza che qualora il contraente non inadempiente abbia agito per la risoluzione – giudiziale o di diritto – ed il risarcimento del danno, costituisce domanda nuova quella volta ad ottenere la declaratoria dell’intervenuto recesso, avuto riguardo alla disomogeneità strutturale e funzionale esistente tra la domanda di risoluzione giudiziale e quella di recesso (cfr. da ultimo Cass. n. 21971 del 12/10/2020).

Ciò nondimeno, sarà chiaramente facoltà degli attori l’esercizio in ogni tempo del diritto di recesso dal contratto di conto corrente in questione, recesso che, ove comunicato alla Banca nelle forme e con il preavviso pattuiti (art. 6 del contratto), legittimerà altresì i correntisti alla ripetizione delle somme risultanti a proprio credito all’esito del ricalcolo del saldo.

**********
6 – Sul merito del rapporto:

6.1. Illegittima applicazione di interessi anatocistici:

L’analisi condotta dal CTU sul conto corrente per cui è causa, acceso nel 1993 e tuttora aperto, ha condotto all’individuazione e all’espunzione della capitalizzazione illegittima degli interessi sia nel periodo antecedente che successivo al 2000 e, quindi, fino al 31.03.2015.

Infatti, è risultato che il contratto originario aveva previsto, in particolare, la capitalizzazione annuale degli interessi creditori e quella trimestrale per gli interessi debitori, dunque, non la pari periodicità. È emerso, poi, dagli atti, che successivamente alla nota delibera CICR del 2000 art. 7, la Banca si sia adeguata alle prescrizioni della delibera de qua mediante comunicazione in Gazzetta Ufficiale n. 141 del 19.06.2000 (prodotta in atti dalla Banca), non anche mediante una nuova pattuizione sottoscritta tra le parti.

Tenuto conto di ciò il CTU ha ritenuto che la capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori sia stata praticata in violazione del precetto normativo di cui all’art. 1283 cod. civ. anche per il periodo post 2000: infatti, pur essendosi la Banca adeguata al regime di reciprocità dopo la delibera CICR del 9 febbraio 2000, la deroga alla previsione di cui all’art. 1283 c.c. non è stata formalizzata in una convenzione approvata e sottoscritta dalla correntista.

Pertanto, il CTU ha provveduto ad un ricalcolo mediante applicazione del regime di capitalizzazione semplice.

Tale conclusione è stata particolarmente avversata dall’istituto di credito convenuto che, sul presupposto dell’esaustività dell’adeguamento mediante comunicazione pubblicata in Gazzetta, ha più volte reiterato, finanche negli scritti conclusionali, la richiesta di integrazione della CTU sul punto.

Ebbene, osserva il Tribunale che, pur dovendosi dare atto dell’esistenza di orientamenti contrastanti in seno alla giurisprudenza di merito, la Corte di legittimità sia oramai da tempo addivenuta alla medesima e granitica conclusione fatta propria dal CTU. Nello specifico, la Corte di Cassazione ha oramai più volte ribadito il principio secondo cui “nei contratti di conto corrente bancario stipulati in data anteriore all’entrata in vigore della delibera CICR 9 febbraio 2000, la dichiarazione d’illegittimità costituzionale del D.Lgs. n. 342 del 1999, art. 25, pronunciata dalla Corte costituzionale con sentenza n. 425 del 2000, pur non avendo interessato il comma 2 di tale disposizione, che costituisce il fondamento del potere esercitato dal CICR mediante l’adozione della predetta delibera, ha inciso indirettamente sulla disciplina transitoria dettata dall’art. 7 di tale provvedimento, in quanto, avendo fatto venir meno, per il passato, la sanatoria delle clausole che prevedevano la capitalizzazione degl’interessi, ha impedito di assumerle come termine di comparazione ai fini della valutazione dell’eventuale peggioramento delle condizioni precedentemente applicate, in tal modo escludendo la possibilità di provvedere all’adeguamento delle predette clausole mediante la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, come consentito dal comma 2 dell’art. 7, e rendendo invece necessaria una nuova pattuizione (cfr. Cass., Sez. I, 19/05/2020, n. 9140; 21/10/2019, nn. 26769 e 26779). A sostegno di tali conclusioni, si è osservato che a) la pronuncia di incostituzionalità ha investito il solo tema della validazione delle clausole anatocistiche fino al momento in cui è divenuta operante la delibera 9 febbraio 2000, ma non ha direttamente inciso sull’attribuzione al CICR del potere di regolamentare il transito dei vecchi contratti nel nuovo regime, b) la portata retroattiva della pronuncia d’incostituzionalità impone tuttavia di considerare nulle le clausole anatocistiche inserite in contratti conclusi prima dell’entrata in vigore della delibera CICR, c) la circostanza che la delibera sia stata adottata anteriormente alla pronuncia d’incostituzionalità non comporta che, ai fini del giudizio di comparazione previsto dal comma 2 dell’art. 7 della delibera, possa conferirsi rilievo all’applicazione di fatto delle predette clausole, prescindendo dall’invalidità delle stesse, d) la comparazione non deve avere ad oggetto le condizioni contrattuali nel loro complesso, ma solo la clausola anatocistica, da valutarsi in relazione al principio della pari periodicità nel conteggio degl’interessi, stabilito dall’art. 2, comma 2, della delibera, e) in mancanza di una clausola valida che preveda, per almeno una delle due tipologie di interesse (attivo o passivo) una capitalizzazione da attuarsi con una data frequenza, è impossibile stabilire se il predetto criterio sia favorevole o sfavorevole per il correntista. (così Cass., 21 ottobre 2019, n. 26769 e Cass., 21 ottobre 2019, n. 26779; Cass., 19 maggio 2020, n. 9140 e, da ultimo, Cass. 21.06.2021 n. 17634).

Ne deriva che, in linea con quanto sostenuto dalla difesa di parte attrice e con le conclusioni del CTU, l’istituto di credito non poteva adeguarsi alla nuova normativa mediante mera pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana e mediante informazione per iscritto alla clientela alla prima occasione utile, occorrendo ad assicurare la validità della clausola che prevedeva la capitalizzazione degli interessi per il periodo successivo alla delibera CICR del 2000 un’apposita convenzione scritta, al pari di quella richiesta per la stipulazione dei contratti soggetti alla nuova disciplina.

Conclusivamente, deve ritenersi corretta l’operazione di ricalcolo del CTU, che ha espunto l’anatocismo, circostanza che ha reso superflua l’integrazione di consulenza e/o la riconvenzione del CTU chiesta dalla Banca in sede di precisazione delle conclusioni e in comparsa conclusionale.

6.2. – Pattuizione del tasso di interesse passivo:

Sul punto il CTU ha potuto verificare la pattuizione in forma scritta e la determinatezza del tasso di interesse passivo e, quindi, l’assenza dell’invalidità dedotta da parte attrice sotto il profilo della violazione dell’art. 1284 c.c.

6.3 – Usura originaria e sopravvenuta:

Con riferimento all’usura, all’esito del supplemento di perizia disposto dal precedente G.U. con ordinanza del 30.09.2020, il CTU, escluse le ipotesi di usura sopravvenuta ipotizzate con la prima relazione peritale, ha potuto riscontrare per alcuni trimestri il superamento del tasso soglia al momento dell’esercizio del c.d. ius variandi da parte della Banca e, quindi, c.d. usura originaria.

In particolare, seguendo le indicazioni dei quesiti integrativi di cui alla citata ordinanza del 30.09.2020, il CTU ha adoperato il criterio di calcolo del T.E.G. così come indicato dalle Sezioni Unite della Suprema Corte nella pronuncia n. 16303/2018, secondo cui -per il periodo compreso tra l’entrata in vigore della L. 108/1996 ed il 31.12.2009- la base di calcolo da confrontare con il tasso soglia va determinata effettuando la separata comparazione del tasso effettivo globale d’interesse praticato in concreto e della commissione di massimo scoperto (C.M.S.) eventualmente applicata rispettivamente con il tasso soglia e con “la C.M.S. soglia”, calcolata aumentando della metà la percentuale della C.M.S. media indicata nei decreti ministeriali emanati ai sensi dell’art. 2, comma 1, della legge n. 108, compensandosi, poi, l’importo dell’eventuale eccedenza della C.M.S. rientrante nella soglia, con il “margine” degli interessi eventualmente residuo, pari alla differenza tra l’importo degli stessi rientrante nella soglia di legge e quello degli interessi in concreto praticati.

Sicché, il criterio da seguire al fine della verifica della usurarietà dei tassi applicati non prevede la sommatoria tout court della commissione di massimo scoperto con tutti i restanti interessi praticati dalla Banca, bensì una separata comparazione del tasso effettivo globale con il tasso soglia e della c.m.s. effettiva con la “c.ms soglia”. Poi, la sommatoria va fatta solo con riferimento alla eventuale eccedenza della c.m.s. effettiva rispetto alla c.d. c.m.s. soglia.

Per il periodo successivo al 31.12.2009, il CTU ha proceduto al ricalcolo tenendo conto del mutamento del quadro normativo ai sensi dell’art. 2 bis d.l. n. 185/2008, convertito con modificazioni in l. n. 2/2009, il cui art. 2, comma 2 stabilisce che le commissioni e le provvigioni derivanti da clausole comunque denominate che prevedono una remunerazione a favore della banca dipendente dall’effettiva durata dell’utilizzazione dei fondi da parte del cliente sono comunque rilevanti ai fini dell’applicazione dell’articolo 1815 c.c.

Procedendo quindi a detta verifica l’ausiliario del giudice ha riscontrato la pattuizione di interessi usurari nei seguenti trimestri: IV trim 2009, I trim. 2010, III trim. 2010, IV trim. 2010, I trim. 2011. Ha specificato che il superamento del tasso soglia si è verificato per effetto della modifica unilaterale delle condizioni contrattuali e non anche, invece, quale mero effetto dell’abbassamento dei tassi-soglia, con ciò superando la risposta che era stata fornita in sede di prima CTU depositata, nella quale si era tenuto conto, data la disomogeneità degli orientamenti giurisprudenziali del tempo (superata dalla sentenza della Cass. a Sez. Unite n. 24675/2017), anche della c.d. usura sopravvenuta stricto sensu intesa.

Peraltro, prima di esaminare le ulteriori censure e la loro fondatezza o meno, preme evidenziare che correttamente il CTU ha calcolato il TEG prendendo a riferimento la categoria di operazione “apertura di credito in conto corrente oltre 5.000,00 euro”.

Prive di pregio appaiono, dunque, le censure mosse dalla Banca convenuta e reiterate anche in sede di comparsa conclusionale, sul presupposto della necessità di effettuare il ricalcolo del TEG avendo a riferimento la categoria “apertura di credito in conto corrente fino a 5.000,00 euro”, stante la mancata prova, nella specie, dell’esistenza di un affidamento.

La tesi non può essere condivisa perché, pur mancando contratti scritti di affidamento, il consulente ha ravvisato nella fattispecie chiari indici della sussistenza di un c.d. fido di fatto. In particolare, si legge nella relazione che “è stato riscontrato per i periodi analizzati dal III trimestre 2005 al I trimestre 2015 la presenza costante di saldi debitori, l’applicazione di CMS differenziate, l’applicazione di corrispettivi su accordato…tali elementi sono indicativi della concessione di un fido di fatto da parte della banca” (v. pag. 19 della relazione).

Né può accogliersi l’obiezione della non configurabilità del c.d. fido di fatto: sul punto, deve infatti darsi seguito all’orientamento della giurisprudenza di merito secondo cui il fido può risultare anche in via di fatto – e non necessariamente da un documento scritto – in presenza proprio degli indici che, nella specie, il CTU ha ravvisato. In particolare, il fido di fatto è ravvisabile qualora a fronte di un rapporto di conto corrente la banca accetti costanti e duraturi saldi negativi senza che risulti l’applicazione di condizioni differenziate per fasce di interessi, né l’esposizione di specifici interessi di sconfinamento o di mora, così da far ritenere sussistente un fido di fatto pari al saldo negativo del c/c di tempo in tempo registrato, fido che quindi viene concesso dalla banca che non pone in essere alcun comportamento contrario a tale acquiescenza (v. Trib. di Busto Arsizio sent. 214 dell’11.02.2021; Trib. Palemo n. 484 del 5 febbraio 2021; Trib. Padova n. 794 del 10.04.2018)

In tema di usura, mette infine conto evidenziare che alcuna applicazione di interessi di mora è stata riscontrata dal consulente, non ponendosi quindi alcun problema di verifica della c.d. mora-usura.

6.4. – Ius variandi e valute

Come richiesto dal quesito, il CTU ha provveduto altresì alla rettifica del saldo tenendo conto degli effetti dei giorni di valuta.

Quanto allo ius variandi, pur essendo emersa l’assenza delle comunicazioni scritte di modifica unilaterale delle condizioni ai correntisti di cui all’art. 118 T.U.B., le variazioni dei tassi sono risultate favorevoli al cliente (cfr. schema di pag. 38 della relazione originaria), mentre è emersa un’unica variazione lievemente peggiorativa in un trimestre del 2013, in alcun modo specificamente contestata da parte degli attori.

6.5. – Nullità della commissione di massimo scoperto:

Parte attrice ha, altresì, eccepito la illegittimità della applicazione della cd. “commissione di massimo scoperto”, sostenendo che la relativa clausola negoziale sia affetta da nullità.

Prima di tutto, va osservato che, in termini generali, nella tecnica bancaria, la commissione di massimo scoperto -tradizionalmente introdotta con una pattuizione accessoria ai contratti di affidamento in conto corrente- era una commissione riconosciuta dal cliente alla banca a fronte dell’impegno di quest’ultima di tenere a sua disposizione l’importo oggetto dell’affidamento.

Tuttavia, nel corso degli anni, tale commissione è stata talvolta applicata anche in maniera diversa rispetto alla sua originaria funzione, non tenendo conto dell’ammontare dei fondi messi a disposizione del cliente, utilizzati o non utilizzati, ma dell’esposizione debitoria massima concretamente raggiunta dal cliente in un determinato periodo di riferimento, solitamente trimestrale, non atteggiandosi quindi a controprestazione di quanto erogato dalla banca al cliente per il periodo di utilizzo dell’affidamento, ma neppure a remunerazione della tenuta a disposizione del cliente di somme da parte della banca.

Il problema della validità della c.m.s. è stato affrontato in vario modo dalla giurisprudenza e, con riferimento al periodo anteriore alla data di entrata in vigore della legge di conversione 28 gennaio 2009 n. 2 (e, a fortiori, prima dell’art. 117 bis del TUB successivamente introdotto), si sono affermati diversi orientamenti.

Invero, secondo questo giudice, appare più corretto e conforme alla funzione dello strumento negoziale de quo, ritenere che la c.m.s. abbia valida causa solo laddove prevista come corrispettivo per la messa a disposizione delle somme del fido e sia, pertanto, calcolata sull’importo accordato e non utilizzato, rimanendo priva di causa laddove calcolata sulle somme in concreto utilizzate dal correntista. A ciò si aggiunga che è in ogni caso illegittima l’applicazione della commissione di massimo scoperto ove non prevista per iscritto nel contratto stipulato con il correntista.

Successivamente, è intervenuto l’art. 2 bis del D.L. 29.11.2008 n°185, inserito in sede di conversione nell’art. 1 della L. 28.1.2009 n° 2, che ha previsto la nullità delle clausole contrattuali aventi ad oggetto la c.m.s. nel caso in cui il saldo del cliente risultasse a debito per un periodo continuativo inferiore a trenta giorni, ovvero a fronte di utilizzi in assenza di fido, nonché delle clausole che prevedessero una remunerazione accordata alla banca per la messa a disposizione di fondi a favore di un correntista indipendentemente dall’effettivo prelevamento della somma ed altre restrizioni.

Tuttavia, tale intervento normativo non teneva conto delle ulteriori commissioni sostitutive (es. commissione per istruttoria urgente, commissione per scoperto di conto, recupero spese per ogni sospeso, commissione mancanza fondi, onere per passaggio a debito nel trimestre), frustrando l’obiettivo di trasparenza ed intelleggibilità delle voci di costo e di tutela del risparmio della clientela perseguito dal legislatore.

E’ quindi nuovamente intervenuto l’art. 6 bis del D.L. 6.12.2011 n° 201 (decreto Salva Italia), convertito nella L. 22.12.2011 n° 214, che ha introdotto nel T.U.B. l’art. 117 bis, poi nuovamente modificato nel 2012. Sicché, l’attuale disciplina dettata dall’art. 117 bis del T.U.B. e dal Decreto del Ministro dell’economia e delle finanze n° 644 del 30.6.2012 così articolata prevede:  1) per i contratti di apertura di credito in conto corrente (in base ai quali il cliente ha facoltà di utilizzare e di ripristinare la disponibilità dell’affidamento) e per gli affidamenti a valere su conti di pagamento (ossia su conti aperti presso istituti di pagamento autorizzati ex art. 114-octies lett. b del TUB) l’applicazione nei rapporti tra intermediari abilitati e clienti siano essi consumatori, o professionisti (non vi rientrano gli operatori professionali del mercato finanziario quali le banche, le società finanziarie, le società di gestione del risparmio, i fondi pensione, Poste Italiane SPA) quali unici oneri a carico del cliente di una commissione omnicomprensiva calcolata in maniera proporzionale rispetto alla somma messa a disposizione del cliente ed alla durata dell’affidamento, commissione che deve essere pattuita nel contratto e non deve superare il limite dello 0,5% trimestrale della somma messa a disposizione del cliente, (che esclude le commissioni per l’istruttoria e le spese per il conteggio degli interessi, potendo invece essere poste a carico del cliente le imposte, le spese notarili, gli oneri conseguenti a inadempimento del cliente, le spese per iscrizione ipotecaria e le spese per far fronte a servizi di pagamento per l’utilizzo dell’affidamento) ed un tasso di interesse debitore sulle somme effettivamente prelevate.; 2) per gli sconfinamenti (utilizzo extrafido, o in assenza di fido che faccia registrare uno sconfinamento nel saldo di giornata e non nel solo saldo per valuta richiedendosi l’effettivo addebito autorizzato dall’intermediario sia esso richiesto, o meno dal cliente) l’applicazione esclusiva di una commissione istruttoria veloce, (c.i.v.) che va determinata per ciascun contratto in misura fissa ed espressa in valore assoluto e solo per i clienti che non siano consumatori possono essere previsti tre scaglioni a seconda dell’entità dello sconfinamento, mentre altrimenti non può essere determinata in percentuale rispetto allo sconfinamento, ma non ha un limite fisso predeterminato non dovendo comunque eccedere i costi medi sostenuti dall’intermediario per svolgere l’istruttoria e a questa direttamente connessi e di un tasso di interesse debitore sull’ammontare e per la durata dello sconfinamento (per cui tale tasso non può essere applicato in caso di sconfinamento per la parte utilizzata nei limiti del fido).

Le clausole non conformi a questa disciplina sono nulle in base all’art. 27 bis del D.L. 24.1.2012 n° 1 e successive modifiche ed in base all’art. 117 bis comma 3° del TUB, in quanto l’art. 27 bis nella sua attuale formulazione è stato introdotto per estendere la sanzione della nullità a tutti i casi di violazione della disciplina attuativa dettata dal Decreto CICR sopravvenuto all’art. 117 bis del TUB, il quale ultimo stabilisce che la nullità della clausola non comporta la nullità del contratto escludendo quindi la disciplina della nullità parziale dell’art. 1419 cod. civ..

La disciplina è entrata in vigore l’1.7.2012 e l’adeguamento dei contratti di apertura di credito e conto corrente in corso doveva avvenire ad opera delle banche entro un mese per rispettare il termine dell’1.10.2012 col meccanismo previsto dall’art. 118 del TUB se contemplato nei singoli contratti (che richiede la comunicazione scritta al cliente con un preavviso di almeno due mesi e l’evidenziazione che si tratta di “proposta di modifica unilaterale del contratto”).

Alla luce di tale complessa situazione, devesi ritenere che – con riferimento al periodo antecedente il 2009 (data del primo intervento normativo) – la c.m.s. abbia un’idonea causa giustificatrice solo qualora sia prevista come corrispettivo per la messa a disposizione delle somme del fido e sia, pertanto, calcolata sull’importo accordato e non utilizzato, conformemente alla posizione espressa dalla Suprema Corte, secondo cui la c.m.s. rappresenta “la remunerazione accordata alla banca per la messa a disposizione dei fondi a favore del correntista indipendentemente dall’effettivo prelevamento della somma” (in tal senso Cass. 18.1.2006 n°870), servendo a riequilibrare i costi sostenuti dalla banca per approvvigionarsi del denaro che sarebbe stato concesso alla clientela.

Per contro, la c.m.s. deve essere ritenuta priva di causa laddove calcolata sulle somme in concreto utilizzate dal correntista. Ed infatti, appare legittimo che i contratti di apertura di credito prevedano la c.m.s. come una remunerazione della messa a disposizione di un importo da parte della banca, nella misura in cui detta somma non sia utilizzata: trattasi, invero, di una prestazione dell’istituto di credito che ha (a prescindere dal suo ammontare) un costo per lo stesso, segnatamente nemmeno remunerato dagli interessi, generalmente calcolati solo sull’importo utilizzato se, quando e nella misura in cui si verifichi l’utilizzazione.

D’altro canto, non può riconoscersi un’idonea causa giustificatrice laddove la c.m.s. sia applicata sull’utilizzato, indifferentemente intra o extra fido. Rileva in tal senso non solo e non tanto la previsione di interessi sull’importo utilizzato (la quale già remunera la banca della concreta privazione di liquidità), ma anche e soprattutto l’atteggiarsi della c.m.s. in dette ipotesi.

Ed invero, laddove la c.m.s. sia applicata sull’utilizzato, la stessa – in genere – viene parametrata all’utilizzo più elevato nel trimestre di riferimento, a prescindere dalla durata di detta massima esposizione debitoria. Orbene, è proprio l’irrilevanza della durata della massima esposizione debitoria nel periodo di riferimento a palesare la mancanza di causa della c.m.s. in dette ipotesi: in questi termini, infatti, la c.m.s. perde la logica di un corrispettivo per la somma utilizzata, prescindendo dalla concreta durata della perdita di liquidità della banca, atteggiandosi invece come una sorta di inammissibile clausola penale per il “fatto lecito”, in quanto, da un lato, quantificata in un forfait a prescindere dalla durata dell’erogazione del credito e, dall’altro, inaccettabilmente prevista per quanto è oggetto del contratto di apertura di credito e non anche per l’inadempienza dello stesso. Inoltre, va anche considerato che i contratti di apertura di credito in genere prevedono un interesse moratorio convenzionale specifico per le somme rese disponibili extra fido.

Sulla base di tali considerazioni, si è demandato al CTU il compito di escludere la C.M.S. nel caso di previsione ed applicazione della stessa sull’utilizzato, salvo nel caso in cui, per i periodi successivi alla data di entrata in vigore della legge di conversione n. 2 del 28.1.2009 ed alla data dell’1.7.2012, la banca abbia adeguato le clausole alle nuove normative afferenti tale commissione.

Orbene, deve rilevarsi che nel contratto dedotto in giudizio risulta pattuita la commissione di massimo scoperto e, tuttavia, la stessa appare indeterminata in quanto non risultano chiaramente individuati i criteri di calcolo e applicazione (accordato o utilizzato) e la correlazione temporale ai giorni di effettivo utilizzo dell’importo.

Alla luce delle predette considerazioni, il CTU nell’elaborato peritale originario ha a più riprese specificato il carattere indeterminato della c.m.s.

Peraltro, nella relazione integrativa con la quale era stato chiesto al CTU di rispondere ad ulteriori quesiti in tema di usura, l’ausiliario, che in un primo momento aveva enucleato in euro 3.258,86 l’importo della c.m.s. da espungere (v. tabelle 5 e 6 allegate alla prima relazione), l’ha poi riconteggiata, applicando l’aliquota di cui al contratto di c/c, nella somma di euro 1.179,83.

Sul punto, tuttavia, merita parziale condivisione l’osservazione critica di parte attrice (v. note di trattazione scritta del 18.10.2021 e comparsa conclusionale), secondo cui il CTU pare essere caduto in un equivoco, non avendo nella relazione integrativa finale depositata il 31.07.2021 espunto la c.m.s. ritenuta indeterminata (come aveva correttamente fatto, invece, nella prima relazione), bensì avendola applicata nell’aliquota risultante dall’estratto conto (v. pag. 19 del secondo elaborato).

È evidente, dunque, che nell’indicare di seguito il ricalcolo finale del conto corrente, il Giudice – che è e resta peritus peritorum – deve operare una rettifica di quello indicato dal CTU, mediante eliminazione di tutto l’importo di euro 3.258,86 (anziché di quello inferiore di euro 1.179,83) addebitato a titolo di c.m.s. indeterminata e quindi nulla.

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7 – Conteggio finale:

Sulla base di tutte le suesposte considerazioni, va accertato che il saldo finale del conto corrente n. /12, in essere tra XXX e YYY e la ZZZ S.p.A. alla data del 31.03.2015 è pari a € 11.973,00 a credito dei correntisti.

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8 – Sul risarcimento del danno e sulla segnalazione dalla Centrale Rischi:

Del tutto infondata è l’ulteriore domanda proposta dagli attori, volta ad ottenere il risarcimento del danno causato dall’asserito comportamento contrario a buona fede posto in essere dalla banca convenuta.

A tal proposito, è sufficiente evidenziare che gli attori si limitano a dedurre in modo generico e senza alcun riferimento alla fattispecie concreta che la violazione da parte della banca dei doveri di buona fede – tradottasi in particolare nell’applicazione di interessi e commissioni illegittime – è stata causa di perdite e mancati guadagni. Si legge infatti negli atti di parte “è ovvio che l’odierna attrice avrebbe utilizzato quelle somme per i normali scopi dell’impresa implementadone i ricavi”.

Sennonché, gli attori non hanno mai allegato quale concreto pregiudizio abbiano subito per effetto della condotta scorretta della Banca, omettendo di specificare il tipo di attività imprenditoriale che svolgono, gli scopi per i quali hanno acceso il conto corrente (che, quindi, ben può essere stato stipulato per scopi personali, non risultando neppure dal tenore del contratto che si tratti di un conto corrente per professionisti/imprenditori) e, soprattutto, che impiego avrebbero fatto delle somme trattenute illegittimamente dalla Banca.

Con riguardo, poi, alla domanda proposta con le memorie ex art. 183, VI comma, c.p.c., anche tralasciando l’eccezione di inammissibilità, per violazione del divieto di mutatio, sollevata dalla Banca, tale domanda è completamente destituita di fondamento, non essendovi alcuna prova in atti che il nominativo degli attori sia stato segnalato presso la Centrale Rischi quale nominativo a sofferenza, tanto più che il saldo Banca risultante dall’ultimo estratto conto era comunque un saldo positivo (di euro 28,21), sia pur inferiore a quello ricalcolato in corso di giudizio.

Ne consegue il rigetto delle ulteriori domande proposte.

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9 – Conclusioni e spese di lite:

In conclusione, deve essere accertato che, alla data del 31.03.2015 (ultimo estratto conto disponibile) il saldo finale del conto corrente per cui è causa intestato agli attori è pari ad € 11.973,00, in luogo di quello di € 28,21 risultante dagli estratti conto bancari.

Va invece dichiarata l’inammissibilità della domanda di ripetizione di tali somme proposta dagli attori ai sensi dell’art. 2033 c.c., tenuto conto che il conto corrente risulta ancora aperto.

Devono poi essere rigettate, in virtù di quanto detto, la domanda di risarcimento del danno e quella di cancellazione del nominativo dalla Centrale Rischi.

Le complessive ragioni della decisione giustificano la compensazione, nella misura della metà, delle spese di lite, mentre la residua metà, va posta a carico della Banca convenuta. I compensi si liquidano come in dispositivo in applicazione dei parametri medi previsti dal D.M. 55/2014 per lo scaglione di riferimento (cause di valore indeterminabile, complessità media) e vanno distratti in favore dei procuratori degli attori Leone e Maltese, dichiaratisi antistatari (v. comparsa conclusionale).

Vanno poste a carico della Banca convenuta anche le spese di CTU già liquidate con i decreti del 24.01.2017 e dell’11.02.2022.

La parziale reciproca soccombenza esclude la ricorrenza dei presupposti della lite temeraria invocata dagli attori ai sensi dell’art. 96 c.p.c.

P.Q.M.

Il Tribunale di Velletri, definitivamente pronunciando, così provvede:

1) accerta che il saldo finale del conto corrente n. /12, intestato ad XXX e YYY ed acceso il 27.09.1993, alla data del 31.03.2015 è pari ad un saldo a credito dei correntisti di € 11.973,00, anziché pari ad € 28,21;

2) dichiara inammissibile la domanda di ripetizione dell’indebito;

3) rigetta le ulteriori domande;

4) compensa, in ragione della metà, le spese di lite, e condanna la Banca ZZZ S.p.A. al pagamento, in favore degli attori, della residua metà, che liquida in € 5.500,00 per compensi, € 530,00 per esborsi, oltre rimborso forfettario spese generali, iva e cpa, con distrazione in favore dei procuratori antistatari, avv.ti;

5) pone definitivamente a carico della convenuta le spese di CTU come già liquidate.

Così deciso in Velletri, in data 11.02.2022.

Il Giudice

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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