N. R.G. 208/2023
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO di TORINO
Terza Sezione Civile Il Tribunale, nella persona del GOP dott. NOME COGNOME ha pronunciato la seguente
SENTENZA N._5530_2024_- N._R.G._00000208_2023 DEL_02_11_2024 PUBBLICATA_IL_04_11_2024
Nel procedimento iscritto al n. r.g. 24831/2022 promosso da:
C.F. , con l’Avv. NOME COGNOME ATTORE OPPONENTE contro , in persona del legale rappresentante pro tempore, Rag.
P.IVA , (già persona del legale rappresentante pro tempore, Rag.
P.IVA per fusione), con l’Avv. COGNOME CONVENUTO OPPOSTO
Oggetto: opposizione a decreto ingiuntivo, prestazione d’opera intellettuale.
CONCLUSIONI
Per parte opponente:
come comparsa conclusionale del 04/10/2024, che richiamano quelle in atti.
“in INDIRIZZO
-) accogliere la presente opposizione, -) conseguentemente revocare l’opposta ingiunzione in quanto nulla, inammissibile, infondata in fatto e in diritto e comunque non provata;
– ) in ogni caso respingere ogni pretesa di parte ingiungente opposta per le ragioni allegate nell’opposto decreto in quanto improcedibile, inammissibile, nulla, infondata in fatto e in diritto e comunque non provata;
– Con vittoria di spese e onorari di causa da distrarsi in favore del presente avvocato, dichiaratosi antistatario”.
Per parte opposta:
come da note scritte di precisazione conclusioni del 03/07/2024, che richiamano quelle di cui alla comparsa di costituzione e risposta e reiterate nelle successive memorie difensive.
“IN VIA PRELIMINARE Concedere l’esecuzione provvisoria del decreto ingiuntivo opposto atteso che l’opposizione non è fondata;
Nella denegata ipotesi di mancato accoglimento della domanda sopra svolta, per i motivi indicati nella comparsa di costituzione e risposta, qui integralmente richiamati, rigettare l’opposizione in quanto infondata in fatto e in diritto e per l’effetto confermare il decreto ingiuntivo opposto NEL MERITO Respingere le domande tutte di parte attrice, così come formulate nell’atto di citazione.
E per l’effetto condannare l’attuale parte attrice al pagamento della somma di euro 19.444,96, così come ingiunta con decreto ingiuntivo n. 8134/2022, al netto dell’acconto versato successivamente al deposito del ricorso per decreto ingiuntivo, oltre interessi di legge dal dovuto al saldo, oltre alle spese, diritti ed onorari liquidati in euro 540,00 per compenso, euro 145,50 per spese, oltre al 15% per rimborso spese forfettarie, CPA e successive occorrende.
IN SUBORDINE Nella denegata ipotesi di accoglimento, anche parziale, delle domande attore, ricondurre le stesse a veriore somma da accertarsi in corso di causa.
IN VIA ISTRUTTORIA In via principale Ammettersi prova per interpello e testi sulle circostanze di fatto esposte in narrativa, con riserva di ulteriormente dedurre, capitolare ed indicare testi.
Con il favore delle spese e competenze di causa oltre CPA come per legge”.
Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione.
Parte attrice proponeva opposizione al decreto ingiuntivo n. 8134/2022 del Tribunale di Torino, R.G. n. 17383/2022 del 11/11/2022, avente ad oggetto l’importo di euro 20.588,42, oltre interessi legali dalle singole scadenze sino al saldo, spese della procedura monitoria, liquidate in € 540,00 per compensi, € 145,50 per esborsi, oltre 15%, Iva e Cpa..
Parte convenuta opposta si costituiva in giudizio contestando in fatto e in diritto le difese avversarie e chiedendo la condanna di controparte al pagamento della somma di € 19.444,96, così come ingiunta ricorso per decreto ingiuntivo ed il rigetto delle domande ex adverso formulate ovvero, in subordine, l’accertamento della veriore debenza avversaria.
Alla prima udienza, rinviata ex art. 168 bis c. 5 c.p.c. al 04/05/2023 e posticipata dapprima all’08/06/2023 e poi al 26/06/2023 in pendenza di trattative tra le parti, parte opposta instava per la concessione della provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo e la concessione dei termini ex art. 183 c. 6 c.p.c. e parte opponente si opponeva.
A scioglimento della riserva assunta all’udienza predetta, con ordinanza del 01/07/2023, il Giudice concedeva la provvisoria esecutorietà del decreto ingiuntivo opposto ed i termini per le memorie istruttorie.
Con ordinanza 19/11/2023 il Giudice scioglieva la riserva assunta all’udienza ex art. 184 c.p.c. del 06/11/2023 ed ammetteva le prove testimoniali dedotte dalle parti delegando per l’assunzione il GOP che, rinviata su istanza delle parti l’udienza del 01/03/2024, vi provvedeva all’udienza del 17/05/2024.
Terminata l’istruttoria orale il GOP rimetteva il fascicolo al Giudice titolare, che delegava nuovamente il GOP per la decisione.
L’udienza di precisazione conclusioni veniva tenuta nelle forme di cui all’art. 127 ter c.p.c. e, concessi termini ex art. 190 c.p.c., la procedura veniva trattenuta in decisione.
***** 1. L’opponente, società che si occupa di organizzare corsi di lingue, esponeva di aver affidato a (già in data 03/12/2019 (doc. n. 1) i servizi di elaborazione dei dati contabili ed in data 07/10/2019 (doc. n. 2) la consulenza tributaria e l’amministrazione del personale.
Allegava che all’inizio dell’anno 2021, complice la congiuntura economica derivata dalla diffusione della nota pandemia Covid-19, si vedeva costretta a richiedere all’opposta la dilazione delle scadenze di pagamento di cui ai predetti contratti.
L’opposta dal secondo trimestre del 2021 si limitava a curare la gestione del personale, sospendendo ogni attività contabile, affidata a far data dall’aprile 2021 dalla al rag.
L’opponente documentava la comunicazione di messa in mora con intimazione di pagamento di € 12.338,59 (doc. n. 4) del 3/5/2022 e la lettera di risoluzione del contratto del 17/5/2022, ove l’opposta comunicava l’interruzione definitiva dei propri servizi (doc. n. 5).
Le trattative volte alla definizione di un piano di rientro del dovuto (docc. nn. 6, 7, 8, 9, 10) non sortivano esito positivo.
Parte opponente provvedeva a due ulteriori versamenti in acconto sul maggior dovuto di € 983,71 del 01/07/2022 e di € 1.143,46 del 29/09/2022, regolarmente documentati (docc. nn. 11,12).
Nel merito eccepiva la nullità del contratto di gestione del personale per mancata iscrizione contratto e la conseguente inesigibilità delle parcelle e ripetizione di quelle già corrisposte.
Deduceva altresì che le attività oggetto del decreto ingiuntivo erano state affidate e saldate al rag. quantomeno dall’aprile 2021.
Svolgeva altresì eccezione di parziale adempimento con riferimento agli acconti di € 983,71 del 01/07/2022 e di € 1.143,46 del 29/09/2022 e, da ultimo, eccepiva la nullità della clausola penale (art. 4 doc. n. 1) perchè abusiva e comunque a solo vantaggio del predisponente ed, in subordine, la riduzione ad equità della penale riferita al doc. n. 1 di € 3.321,60 di cui alla fattura n. 1097/02.
1.1.
Parte opposta ricostruiva in modo parzialmente aderente all’opponente la vicenda in fatto, documentando (doc. n. 33) di aver proposto svariati piani di rientro, di aver inviato il primo dei tre solleciti formali, contenente nuova proposta di rientro (doc. n. 32), di aver formalizzato la risoluzione di entrambi i contratti di consulenza in data 17/05/2022, ai sensi degli artt. 4 dei contratti.
Confermava di aver ricevuto il versamento di € 983,71, decurtato dalle somme dovute, mentre solo ad esito del deposito del ricorso per decreto ingiuntivo (22/09/2022), l’ulteriore acconto di € 1.143,46 (30/09/2022), residuando un debito per sorte capitale di € 19.444,96.
Sulle eccezioni sollevate da controparte e, segnatamente, con riferimento all’eccepita nullità del contratto di amministrazione del personale parte opponente evidenziava che il socio accomandatario dello rag.
è professionista iscritto all’Ordine dei Dottori commercialisti e degli Esperti Contabili di (Iscr. Albo ODCEC di n. 1817 sez.A).
Egli, in quanto tale, poteva ben svolgere attività di consulenza del lavoro, con obbligo di comunicazione al Servizio Ispezione del Lavoro della D.t.l.
delle provincie ove svolgono attività (art. 1 L. 12/1979), come da comunicazione del 16/10/1995 (doc. n. 35).
Con riferimento all’esatto adempimento contrattuale la convenuta assumeva di aver regolarmente adempiuto al proprio incarico professionale inerente la consulenza tributaria sino alla risoluzione contrattuale, anche alla luce della mancata contestazione delle pro forma inviate con il doc. n. 32), laddove da controparte giungevano unicamente istanze di dilazione dei pagamenti senza contestazione alcuna (doc. n. 36 – 10).
Deduceva altresì parte opposta che, a mente dell’art. 4 di entrambi i contratti, la morosità del committente integrava presupposto di risoluzione del contratto ed, ai sensi dell’art. 4.3, il committente che abbia determinato la risoluzione del contratto, era obbligato ad adempiere al pagamento di una penale, pari al compenso definito ed accettato dalle parti per un’annualità di consulenza.
Dette clausole, sottoscritte dalle parti ai sensi degli artt. 1341-1342 c.c. ed in quanto tali soggette a sottoscrizione autonoma e separata rispetto a quelle riferentesi ad altri patti contrattuali erano, a detta di parte opposta, pienamente valide, anche alla luce della chiara determinazione dell’ammontare della penale.
1.2.
Con riferimento alle testimonianze escusse all’udienza del 17/05/2024 si evidenzia quanto segue.
Il sig. che curava direttamente la contabilità dell’opponente quale dipendente dello confermava che la committenza aveva da sempre riconosciuto il corretto operato dell’opposta, non sollevando alcuna obiezione né sull’attività espletata né sulle somme richieste che corrispondevano ad un “compenso stabilito contrattualmente”.
Inoltre circa il ritardo nei pagamenti il teste affermava “tale circostanza la evinco sia dalla conoscenza del fatto in sé che dalla ritardata registrazione delle fatture come da documento n. 33 che mi viene rammostrato e che rappresenta la corrispondenza tra le parti per la proposizione di piano di rientro.
ADR Le richieste di dilazione del pagamento non venivano rivolte a me personalmente ma ne ero a conoscenza.
Le dilazioni venivano accordate esclusivamente dal dott. COGNOME confermando la continua richiesta da parte dell’opposta di rimodulazione dei piani di rientro.
Confermava altresì che l’attività compiuta dal nuovo consulente della fosse riferibile al 2022, concernendo incombenze e scadenze imputabili al periodo successivo a quello della risoluzione dei contratti di consulenza sottoscritti con lo essendosi l’attività dell’opposta conclusa con la registrazione delle fatture dell’anno di imposta 2021.
Inoltre specificava “non sono a conoscenza diretta dell’attività espletata dal nuovo consulente ma sono a conoscenza delle richieste che ci ha fatto il nuovo studio per espletare la propria attività.
Le richieste formulate erano prodromiche alla presentazione della dichiarazione 2022 (redditi 2021).
NOME Non ricordo il nome del nuovo studio e non ricordo se ho ricevuto personalmente la richiesta della documentazione.
Solo io mi occupavo della contabilità dell’opponente e poi c’era un’altra collega che si occupava della tenuta delle paghe”.
Affermava altresì che le dichiarazioni dei redditi, Irap e Isa vengono presentate nei mesi di giugno /luglio e confermava la circostanza che la prima nota è stata completata dal nuovo consulente di parte attrice perché ancora nei primi giorni di maggio 2022, parte attrice riferiva ci fossero delle ricevute da registrare che avrebbe trasmesso successivamente (doc. n. 34 confermato dal teste).
Confermava inoltre che i docc. nn. 1, 2 (contratto di elaborazione dati contabili e consulenza tributaria e quello di amministrazione del personale) erano stati predisposti dallo e, con precipuo riferimento al compenso determinato nei suddetti contratti, aggiungeva “il compenso per la tenuta della contabilità era quantificato sulla base del numero di fatture da registrare.
Di norma il contratto rimane fisso negli anni a meno che non ci siano oscillazioni nel numero di emissione di Confermava che a far data dal mese di aprile 2021 lo sospendeva ogni attività in favore della subordinandone l’esecuzione all’avvenuto saldo delle proprie competenze e che per effetto della sospensione dei servizi operata dalla controparte, a partire dalla fine del terzo trimestre del 2021, la si era vista costretta ad affidare la gestione della contabilità ad un nuovo professionista, NOME COGNOME.
Sulle richieste di documentazione da parte del nuovo consulente affermava di non ricordare “la richiesta delle fatture.
Qualche richiesta certamente è stata fatta per adempiere alle incombenze indicate nel capitolo.
Il bilancio 2021 viene presentato di norma a maggio – giugno 2022.
Non sono a conoscenza di quando sia stato presentato il bilancio 2021 dell’opponente”, d’altro canto confermando che le attività di redazione e deposito del bilancio richiedono la preventiva verifica delle operazioni registrate al fine di esaminarne l’imputabilità nelle varie voci che compongono il bilancio e che con riferimento al bilancio 2021 detta attività di verifica è stata interamente eseguita dallo Studio COGNOME.
Il teste , contattato dall’opposta per attività di consulenza marketing e pubblicità, confermava l’importante flessione dei ricavi subita dall’attività dell’opponente nel periodo pandemico.
Per quanto di rilevanza nel presente giudizio affermava “al dott. COGNOME non sono state consegnate nel periodo Covid (marzo 2020) le fatture precedenti come mi ha personalmente comunicato lo studio del dott. COGNOME e non abbiamo potuto terminare l’analisi.
Non ho infatti preso il lavoro”.
Con riferimento a detta ultima testimonianza se ne deve sancire la totale inconferenza con i fatti per cui è causa, stante il fatto che il teste si è riferito (ad eccezione della circostanza del calo di fatturato) a circostanze temporalmente collocate nel periodo Covid (2020) attinenti la gestione dell’opposta, che aveva presentato nel corso dell’anno successivo le relative dichiarazioni/bilanci.
Il teste amico della RAGIONE_SOCIALE
dell’opposta, confermava la flessione dei ricavi dell’opponente.
Sulla sospensione dell’attività da parte dell’opposta a far data dall’aprile 2021 affermava “7) ricordo che c’erano delle poste fatturate ma non eseguite per cui ho dovuto costituire un file per il nuovo commercialista a tal fine.
Questo determinava l’impossibilità di depositare il bilancio nel 2021.
C’erano 4 fatture nn. 727, 750, 1097, 1095.
Ho convertito il testo delle fatture in un file excel e analizzato le poste fatturate e le attività non eseguite da cui emergeva che attività necessarie e obbligatorie per il deposito del bilancio 2021 non erano state eseguite”.
Parimenti le circostanze riferite al bilancio 2021 da parte del teste risultano inconferenti, per le medesime ragioni esplicate per la precedente testimonianza.
Con riferimento, da ultimo, alla necessità dell’opponente di rivolgersi allo studio COGNOME il teste ha conoscenza delle circostanze capitolate.
Il dott. COGNOME ha ottenuto con difficoltà le informazioni dallo studio come riferitomi dalla signora COGNOME
ADR Mancavano delle registrazioni, la parte degli ammortamenti, la parte di costituzione di alcune poste del bilancio”.
1.3.
Così riassunte le testimonianze audite, i documenti prodotti e le allegazioni di causa, deve affermarsi la non accoglibilità dell’opposizione spiegata.
1.4.
Con riferimento all’eccezione di nullità del contratto di gestione del personale per mancata iscrizione dell’opposta all’albo dei consulenti del lavoro ai sensi della L. 12/1979 devesi precisare quanto segue.
Al fine di salvaguardare gli interessi e rafforzare la tutela di chi fruisce dell’attività dei professionisti, la legge dispone e determina le attività che possono essere svolte solo dai soggetti iscritti in determinati albi o elenchi (art. 2229 c.c.).
Nel caso in esame, trattasi di attività inerente la gestione dei dipendenti riservata ai professionisti iscritti all’Albo dei Consulenti del Lavoro o equiparati a mente dell’art. 1 della Legge n. 12/1979 (TAR Campania-Napoli sentenza 16/12/2019 n. 05967).
La norma in parola recita:
“tutti gli adempimenti in materia di lavoro, previdenza ed assistenza sociale dei lavoratori dipendenti, quando non sono curati dal datore di lavoro, direttamente od a mezzo di propri dipendenti, non possono essere assunti se non da coloro che siano iscritti nell’albo dei consulenti del lavoro a norma dell’articolo 9 della presente legge, salvo il disposto del successivo articolo 40, nonché da coloro che siano iscritti negli albi degli avvocati e procuratori legali, dei dottori commercialisti, dei ragionieri e periti commerciali, i quali in tal caso sono tenuti a darne comunicazione agli ispettorati del lavoro delle province nel cui ambito territoriale intendono svolgere gli adempimenti di cui sopra”. Ad ulteriore conferma che tale attività rientri tra le materie espressamente riservate al consulente iscritto all’albo o ai soggetti equiparati, il dato normativo richiamato trova conferma nell’orientamento della Suprema Corte che afferma come sia “attività riservata al consulente iscritto all’albo (ndr. o ai soggetti ad esso equiparati), che ne risponde personalmente, quella connessa al compimento degli adempimenti relativi al personale dipendente, con ciò dovendosi intendere non ogni attività a qualsiasi titolo collegata alla stessa esistenza, in capo al cliente che si rivolge ad una struttura che svolge attività di consulenza sul lavoro, di uno o più rapporti di lavoro con dipendenti, ma l’espletamento degli adempimenti di natura fiscale o previdenziale, in cui il consulente abilitato, su delega del cliente, opera come sostituto del datore di lavoro” (Cass. Sez. 3, sentenza n. 14247 del 08/07/2020). Parte opposta deduceva e documentava nel corso del giudizio come il Rag.
socio accomandatario dello ed attuale amministratore unico della sia professionista iscritto all’Ordine dei Dottori commercialisti e degli Esperti Contabili di (Iscr. Albo ODCEC di n. 1817 sez.A) e quindi appartenente alla categoria dei soggetti equiparati al consulente iscritto all’albo, avendo peraltro curato la relativa comunicazione al Servizio Ispezione del Lavoro della D.T.L. delle provincie, nell’ambito di (doc. n. 35).
Deve quindi disporsi il rigetto dell’eccezione in parola.
1.5.
Con riferimento all’eccepita nullità dell’oggetto del contratto e la conseguente inesigibilità delle parcelle e ripetizione di quelle già corrisposte parte opponente assume che le fatture sottese all’emissione del decreto ingiuntivo opposto comprendano voci, e quindi l’addebito di compensi, per attività di consulenza che sarebbero state svolte da altro consulente.
Invero l’attività della convenuta è stata sospesa a seguito della formalizzazione della risoluzione di entrambi i contratti di consulenza, comunicata con raccomandata del 17/05/2022.
Ai sensi dell’art. 1456 c.c. e dell’art. 4 di entrambi i contratti sottoscritti le parti convenivano espressamente che il contratto si sarebbe risolto nel caso di morosità nel pagamento dei compensi dovuti e, come detto, conformemente alle pattuizioni contrattuali è stato formalizzato per iscritto con valenza dalla data di ricezione della raccomandata.
La risoluzione dei contratti si è quindi verificata, a mente dell’art. 1456 c. 2 c.c. “di diritto quando la parte interessata dichiara all’altra che intende valersi della clausola risolutiva”.
Di converso deve altresì affermarsi come sia pacifico ed incontestato il perdurante inadempimento di parte attrice alla propria prestazione.
Parimenti non ci si può esimere dal rammentare come non sia stata svolta alcuna contestazione nell’immediatezza all’operato dell’opposta, tanto da giungere a numerose documentate rassicurazioni di pagamento direttamente dall’attrice, ciò ad ulteriore riprova della non gravità dei paventati inadempimenti, che hanno evidentemente mantenuto inalterato l’affidamento riposto nell’opera del convenuto.
Conformemente all’insegnamento della Suprema Corte, infatti, in tema di prova dell’inadempimento di un’obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l’adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della dimostrazione del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento, o dall’eccezione d’inadempimento del creditore ex art. 1460 c.c. (cfr. Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 25584 del 12/10/2018). In ossequio al suddetto principio l’opposta ha proficuamente provato la fonte negoziale del proprio diritto, di aver adempiuto alle proprie obbligazioni (sino alla risoluzione contrattuale) e di aver emesso le relative fatture a saldo.
A ciò si aggiunga che le numerose rassicurazioni di un pronto pagamento, unitamente alle richieste rateazioni e, non ultimo, l’assenza di qualsivoglia eccezione all’operato dell’opposta nell’immediatezza della prestazione, sono configurabili come atto di riconoscimento di debito ex art. 1988 c.c..
Il riconoscimento di un debito, infatti, non esige formule particolari, non ha natura negoziale né carattere recettizio e non deve necessariamente essere compiuto con una specifica intenzione riconoscitiva, né esige formule speciali, potendo risultare, implicitamente, anche da un atto compiuto dal debitore per una finalità diversa e senza la consapevolezza dell’effetto ricognitivo (Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza 12/04/2018 n. 9097).
Da tale qualificazione ne discende l’esonero per il beneficiario della dichiarazione dal provarne il rapporto fondamentale sotteso (ad ogni modo documentalmente assolto), con la dimostrazione dei fatti causativi il credito oggetto di ricognizione.
L’esistenza del rapporto si presume fino a prova contraria, che non è stata efficacemente fornita da parte attrice nel presente processo.
Inoltre, nel corso del giudizio, come da testimonianze riassunte nel precedente punto 1.2. , è emerso che le dichiarazioni dei redditi, Irap e Isa vengono presentate nei mesi di giugno/luglio;
la prima nota è stata completata dal nuovo consulente in quanto, come documentato (doc. n. 34), nei primi giorni di maggio 2022 parte attrice comunicava la presenza di ricevute da registrare che avrebbe mandato in seguito (cfr. testimonianza rag. ).
Tale circostanza collima con il doc. n. 3 di parte opponente ed inoltre, evidentemente tutte le scadenze successive alla risoluzione dovevano essere predisposte dal nuovo consulente stante anche la decadenza del contratto in essere tra le parti e la conseguente carenza di qualsivoglia potere in capo all’opposta.
A medesime conclusioni deve pervenirsi con riferimento al bilancio 2021, da presentarsi nei mesi di maggio/giugno 2022, ed alla presentazione della dichiarazione redditi 2021, da presentarsi nel 2022, e quindi entrambe non di competenza dell’opposto.
Inoltre, dall’esame delle fatture che hanno originato il decreto ingiuntivo opposto non emergono attività successive alla risoluzione contrattuale per le quali, lo si ribadisce, l’opposta non avrebbe avuto legittimazione alcuna.
Parte opponente ha invece dedotto, quali fatti estintivi dell’altrui pretesa, l’inadempimento di controparte, non provando però dette allegazioni né documentalmente o attraverso i testi auditi.
Altresì non è emerso alcun disconoscimento o contestazione delle fatture emesse anteriormente a quanto oggetto del presente giudizio, né alcun inadempimento dell’opposta che, pertanto, ha legittimamente emesso le fatture per l’anno 2021/2022 nn. 127/2022 e 23/2022.
Da ultimo deve rilevarsi che l’elencazione a pagg. 13, 14 e 15 della comparsa conclusionale dell’opponente, inerente attività fatturata per oltre 5.000,00 Euro dall’opposta ed asseritamente non svolta dalla stessa sulla basa della dichiarazione del teste “non abbiamo fatto nulla della contabilità del 2022” non è condivisibile.
Invero dalla lettura integrale della testimonianza e dei capitoli di prova sul quale il teste è stato audito si evince un concetto ben diverso.
Egli infatti afferma “noi abbiamo registrato le fatture dell’anno di imposta 2021”;
attività fatturata, mentre il riferimento al 2022 concerneva la presentazione delle dichiarazioni scadenti nel periodo successivo alla risoluzione contrattuale.
Da ciò ne discende il rigetto dell’opposizione.
1.6.
Parte opponente deduceva, infine, che una parte rilevante del credito azionato riguardasse l’addebito delle penali per risoluzione del contratto previste dagli artt. 4 dei contratti intervenuti tra le parti e che tali clausole fossero abusive poiché sbilanciate a solo vantaggio del predisponente e manifestamente eccessive nell’ammontare.
Dette condizioni, inserite all’interno di un regolamento contrattuale, per definizione comportano uno squilibrio di diritti e obblighi a danno di una parte e a favore di un’altra (artt. 1341, 1342 c.c.).
Come nel caso di specie, esse si rinvengono principalmente in contratti diretti a regolare una serie indefinita di rapporti generalmente predisposti unilateralmente da uno solo dei contraenti, mediante l’impiego di condizioni generali di contratto.
Le condizioni generali di contratto sono efficaci nei confronti dell’aderente se, al momento della conclusione del contratto, l’aderente le conosceva o avrebbe dovuto conoscerle usando l’ordinaria diligenza (art. 1341 c. 1 c.c.) esigibile da un cliente medio del mercato di riferimento.
La norma richiede la conoscenza o la conoscibilità;
per contro, nel secondo comma, al fine dell’efficacia delle clausole, è richiesta la conoscenza effettiva, da provare mediante la sottoscrizione espressa.
Le clausole vessatorie contenute nelle condizioni generali di contratto o nei contratti conclusi mediante moduli o formulari sono efficaci nei confronti dell’aderente se (art. 1341 c. 2 c.c.) – come nel caso di specie – formulate per iscritto e specificatamente approvate per iscritto, pena l’inefficacia delle stesse.
Sul punto l’art. 1341 c.c. si esprime in termini di inefficacia, ma la giurisprudenza ritiene nulle le clausole prive di approvazione specifica (Cass.16394/2009; Cass. 547/2002).
Inoltre, le suddette clausole devono essere indicate specificamente in maniera idonea, con un numero 12708/2014; Corte Cass. 15278/2015; Corte Cass. 22984/2015);
è sufficiente il richiamo, mediante numero o titolo, alla clausola stessa giacché in tal modo si permette al sottoscrittore di conoscerne il contenuto (Corte Cass. 12708/2014), non è però sufficiente il mero richiamo cumulativo o in blocco – sul punto deve ammettersi “l’idoneità di un richiamo al numero della clausola vessatoria (Cass. Ord. 12708/2014; Cass. 18525/2007) e deve negarsi quella di un mero richiamo cumulativo, a clausole vessatorie e non, ma soltanto se si esaurisca nella mera indicazione del numero e non anche, benché sommariamente, del contenuto (Cass. Ord. 5733/2008; Cass. Ord.9492/2012) oppure se sia prevista per legge una forma scritta per il contratto (Cass. Ord. 12708/2014; Cass. Ord. 10119/2015)” (Cass. Ord. 17939/2018) -, a clausole vessatorie e non, che si esaurisca nella mera indicazione del numero;
è valido il richiamo cumulativo allorché sia riportata, anche sommariamente, la descrizione.
In definitiva, ciò che rileva è “se le modalità del richiamo delle clausole onerose operata nel contratto garantiscano l’attenzione del contraente debole verso la clausola sfavorevole compresa fra quelle richiamate e dunque se il predisponente abbia adottato una tecnica redazionale che valga a porre in specifica evidenza le clausole onerose, in modo da rendere pienamente consapevole il sottoscrittore del loro significato e delle conseguenze che derivano dalla loro approvazione” (Corte Cass. Ord. 4404/2014). La clausola di cui all’art. 4 dei contratti, da qualificarsi quale “vessatoria” è intervenuta tra due soggetti giuridici “professionisti o imprenditori” (poiché agenti nell’ambito della propria attività imprenditoriale, con la conseguente inapplicabilità della disciplina consumeristica) e, non facente parte di un richiamo “in blocco” e sottoscritta separatamente ai sensi degli artt. 1341 e 1342 c.c., è pienamente valida, non necessitando alcuna rideterminazione della stessa, che appare sufficientemente determinata nel quantum nell’articolo in parola dei contratti. Deve quindi sancirsi la piena validità della stessa e disporsi il rigetto della relativa eccezione, nonché della conseguente istanza di riduzione ad equità della stessa.
2.
Alla luce, quindi, dell’infondatezza di tutte le doglianze sollevate da parte attrice, l’opposizione deve essere rigettata.
Il decreto ingiuntivo, tuttavia, non può essere confermato.
Infatti, l’avvenuto pagamento da parte dell’attore in opposizione di parte della somma ingiunta nel corso del processo comporta necessariamente la revoca del decreto stesso:
per giurisprudenza pacifica, in caso di adempimento – parziale o totale – verificatosi antecedentemente o successivamente all’emissione del decreto ingiuntivo e prima della decisione dell’opposizione, deve dell’adempimento parziale, non sia stato completamente estinto con il versamento effettuato.
Piena rilevanza, infatti, acquistano i fatti modificativi ed estintivi del credito che si verificano prima o dopo la pronuncia dell’ingiunzione, sul presupposto che il giudizio di opposizione non si esaurisce nel controllo di legittimità originaria dell’ingiunzione e nell’accertare se in quel momento esistevano le condizioni richieste dalla legge, ma procede, sulla base degli elementi acquisiti agli atti, alla verifica attuale della pretesa creditoria.
Da ciò discende, quindi, che il decreto ingiuntivo, anche se validamente emesso, resta travolto dalla successiva sentenza che pronuncia la condanna per un importo inferiore e che detta sentenza di condanna costituisce l’unico ed esclusivo titolo esecutivo, nonostante gli eventuali atti esecutivi precedentemente compiuti in base al decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo conservino i loro effetti, sia pure nei limiti della minor somma riconosciuta in sentenza, non essendovi ragione per mantenere in vita un titolo esecutivo una volta accertata la sopravvenuta soddisfazione, anche parziale, del credito ( Cass. Sez. III, 10/10/2003, n. 15186; Cass. Sez. II, 15/07/2002, n. 10229; Cass. Sez. Unite, 07/07/1993, n. 7448;
Trib. Cassino, 03/05/2007), sicchè nel caso di specie deve disporsi la revoca del decreto ingiuntivo opposto, dovendosi l’accertamento estendere “alla situazione di fatto esistente al momento della pronuncia della sentenza – e non a quello, anteriore, della domanda o dell’emissione del provvedimento opposto – dei fatti costitutivi del diritto in contestazione” (Cass. Sez. Unite n. 7448/1993; Cass. Civ. n. 15702/2004 e n. 15186/2003; Trib. Pescara Sez. Lav. 12/07/2016, n. 695; Trib. Salerno Sez. II, 16/11/2015 n. 4764).
Nella fattispecie in esame, quindi, l’importo ingiunto deve essere defalcato della somma di euro 1.143,46 corrisposta dal debitore in epoca successiva al deposito del ricorso per decreto ingiuntivo, per una somma residua di euro 19.444,96, oltre interessi legali dalle singole scadenze sino al saldo effettivo.
2.1.
Le spese di lite, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
I compensi si determinano, tenuto conto dei parametri previsti dal D.M. 147/2022, secondo i valori di liquidazione previsti nello scaglione da euro 5.201,00 ad euro 26.000,00, in base ai valori minimi tenuto conto del valore e della complessità della procedura, per tutte le fasi processuali effettivamente svolte, in Euro 460,00 per Fase di studio della controversia;
Euro 389,00 per Fase introduttiva del giudizio;
Euro 840,00 per Fase istruttoria del giudizio;
Euro 851,00 per Fase decisionale;
per complessivi euro 2.540,00 oltre 15% per rimborso forfettario spese generali, oltre C.P.A. e IVA (se dovuta) sugli importi imponibili come per legge.
Non risultano esborsi documentati.
2.2. Parte opponente deve altresì essere condannata a rifondere le spese di lite della fase monitoria, così come ivi liquidate.
Infatti, “il procedimento che si apre con la presentazione del ricorso e si chiude con la notifica del decreto di ingiunzione non costituisce un processo autonomo rispetto a quello aperto dall’opposizione, ma dà luogo ad una fase di un unico giudizio in rapporto al quale funge da atto introduttivo, in cui è contenuta la proposizione della domanda, il ricorso presentato per chiedere il decreto di ingiunzione.
Perciò, il giudice che con la sentenza chiude il giudizio davanti a sé, deve pronunciare sul diritto al rimborso delle spese sopportate lungo tutto l’arco del procedimento e tenendo in considerazione l’esito finale della lite.
Nel liquidare tali spese, il giudice può bensì escludere dal rimborso quelle affrontate dalla parte vittoriosa per chiedere il decreto di ingiunzione, qualora mancassero le condizioni di ammissibilità di tale domanda, ma non viola affatto il discorso degli articoli 91 e 92 c.p.c. qualora ritenga di non farlo, lasciandole a carico della parte opponente che, all’esito del giudizio, è rimasta soccombente sulla pretesa dedotta in lite.
A maggior ragione il giudice può lasciare le spese della fase monitoria a carico della parte ingiunta, allorquando la revoca del decreto ingiuntivo, sia dipesa dal pagamento della somma recata dal decreto monitorio nel corso del giudizio di opposizione” (Cass., Sez. I, 01/02/2007, n. 2217; Cass., 18/10/2002, n. 1418; Cass., Sez. III, n. 9/08/2007, n. 17469), esattamente come avvenuto nella fattispecie in esame.
Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone:
– RIGETTA integralmente l’opposizione proposta da – DATO ATTO dell’intervenuto versamento, nelle more del giudizio, della somma totale di Euro 1.143,46 da parte di – REVOCA il decreto ingiuntivo n. 8134/2022 del Tribunale di Torino, R.G. n. 17383/2022 del 11/11/2022;
– CONDANNA l’opponente al pagamento in favore del convenuto opposto (già della somma di € 19.444,96, oltre interessi legali dalle singole scadenze sino al saldo effettivo.
– CONDANNA parte attrice opponente a rimborsare a parte convenuta le spese di lite, che si liquidano in Euro 2.540,00 per compensi, oltre 15% per rimborso forfettario spese generali, oltre C.P.A. e IVA (se dovuta) sugli importi imponibili come per legge.
– CONDANNA parte attrice opponente a rimborsare a parte convenuta opposta (già le spese di lite della fase monitoria, come già liquidate in tale sede e, specificatamente, € 540,00 per compensi, € 145,50 per esborsi, oltre 15%, Iva e Cpa.
Torino, 2 novembre 2024.
Il GOP dott. NOME COGNOME
La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di
Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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