REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE D’APPELLO DI VENEZIA PRIMA SEZIONE CIVILE
composta dai magistrati dott.ssa NOME COGNOME Presidente dott. NOME COGNOME Consigliere rel. dott. NOME COGNOME Consigliere ha pronunciato la seguente
SENTENZA N._356_2025_- N._R.G._00001954_2022 DEL_02_03_2025 PUBBLICATA_IL_02_03_2025
nelle cause riunite di II° grado n. 1954/2022 + 1922/2022 R.G., rispettivamente promosse con atti di citazione d’appello notificati il 13.10.2022 e il 17.10.2022, vertenti:
la n. 1954/2022 R.G. TRA , C.F. con sede in Carrè (VI), INDIRIZZO in persona del liquidatore e legale rappresentante, dr. , rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME con domicilio eletto presso quest’ultimo, in Venezia – INDIRIZZO, appellante principale/convenuta e attrice in riconvenzionale in primo grado , C.F. , rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME con domicilio eletto presso i difensori, in Vicenza, INDIRIZZO appellato e appellante incidentale/attore in primo grado la n. 1922/2022 R.G. TRA , C.F. , rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME, con domicilio eletto presso i difensori, in Vicenza, C.F. C.F. principale/attore in primo grado , C.F. con sede in Carrè (VI), INDIRIZZO, in persona del liquidatore e legale rappresentante dr. , rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME, con domicilio eletto presso quest’ultimo, in Venezia INDIRIZZO 663, appellata /convenuta e attrice in riconvenzionale in primo grado aventi ad oggetto: appello avverso la sentenza del Tribunale di Vicenza n. 425/2022, pubblicata il 14.3.2022 a definizione del procedimento n. 6912/2014 R.G. Tribunale Vicenza, promosso da nei confronti di con atto di citazione notificato il 16.7.2014;
causa trattenuta in decisione in relazione alle seguenti conclusioni delle parti costituite:
conclusioni di “In riforma della sentenza n° 425/2022 del Tribunale di Vicenza, pubblicata in data 14.03.2022, così giudicare:
1) respingersi la domanda formulata da nei confronti di e, conseguentemente, dichiarare che non ha diritto al compenso richiesto per l’attività di unico socio accomandatario della società e in subordine vi ha rinunciato;
2) in subordine, dichiarare che ha diritto al compenso di € 3.540,63 in ragione d’anno, per l’attività di unico socio accomandatario e liquidatore di per l’attività di liquidatore della medesima società dal 16.7.2009 al 4.4.2012, essendo il compenso per il precedente periodo prescritto ex art. 2948, n. 4 c.c. e/o 2449 c.c.;
3) dichiarare che non ha giustificato il prelievo dal conto corrente bancario intestato a della somma di € 55.571,62
e conseguentemente condannare a risarcire a la somma di € 55.571,62, oltre interessi e rivalutazione da ciascun prelievo al rimborso.
4) Nella ipotesi in cui la Corte d’Appello di Venezia dichiari che ha diritto ha un compenso dalla società , compensarsi detto credito con il maggiore debito di nei confronti della società a titolo di indebito prelievo della somma di € 55.571,62.
5) Dichiararsi inammissibile l’appello incidentale proposto da e, in subordine infondato.
6) Dichiarare il primo motivo d’appello incidentale infondato per essere la domanda di condanna, allo stato, inammissibile.
8)
Dichiarare inammissibile l’appello che ha dato luogo al giudizio n. 1992/2022 R.G. perché notificato oltre il termine di mesi sei dalla pubblicazione della sentenza appellata.
9) In subordine, respingersi l’appello proposto dal dr. che ha dato luogo al giudizio 1992/2022 R.G. 10) Spese e competenze dei due gradi di giudizio rifusi”;
conclusioni di “Nel merito:
rigettare tutti i motivi d’appello proposti da , in riforma della gravata sentenza n. 425/2022
R.G. Sent. del Tribunale di Vicenza pubblicata in data 14 marzo 2022, non notificata, poiché inammissibili e/o infondati in fatto e in diritto per le ragioni di cui in narrativa e per l’effetto confermare nel merito la sentenza impugnata in ordine all’accertato diritto al pagamento in favore di della somma di € 35.406,30, oltre interessi legali dal dì della giudiziale domanda al saldo.
Nel merito in via incidentale si chiede che la Corte d’Appello adita,
in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Vicenza n. 425/2022 Reg. Sent., emessa all’esito del giudizio n. 6912/2014 R.G. e pubblicata in data 14 marzo 2022, non notificata, voglia condannare la alla restituzione in favore di del credito da finanziamento soci del sig. di euro 23.807,97 risultante nel bilancio 2012 prodotto dalla convenuta nel presente giudizio, come richiesto dal CTU rag. in sede di consulenza tecnica e come confermato nei successivi bilanci della al 31 dicembre 2018 e al 31 dicembre 2019. In ogni caso, si chiede che l’adita Corte d’Appello voglia condannare l’appellata a rifondere al dott. le spese di lite del primo e del secondo grado di giudizio in via integrale, senza parziale compensazione tra le parti, ponendo altresì in capo a in via esclusiva, le spese di CTU liquidate in favore del rag. dal giudice di prime cure.
Con vittoria di competenze e spese legali di entrambi i gradi di giudizio.
In via istruttoria, per quanto occorrer possa, si reitera l’ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c. formulato in sede di prime cure volto ad ottenere dalla società l’esibizione e la produzione in giudizio dei bilanci di esercizio e delle dichiarazioni dei redditi societari di dalla sua costituzione alla data di revoca della carica di amministratore comminata a danno del sig. , in via subordinata eventualmente relative all’ultimo decennio antecedente detta revoca, nonché sino ad oggi, precisandosi che tali documenti non hanno potuto essere prodotti in questa sede dall’odierno attore in a mezzo del precedente patrocinio del dott. (doc. 3 fascicolo primo grado, attore). Si chiede altresì l’acquisizione del fascicolo d’ufficio di prime cure del giudizio n. 6912/2014 R.G. del Tribunale di Vicenza, contenente altresì l’accertamento tecnico effettuato in corso di causa”.
Fatti di causa e svolgimento del processo.
Con l’atto di citazione indicato in epigrafe, il dott. conveniva in giudizio avanti al Tribunale di Vicenza la società , allegando:
di aver costituito, unitamente al fratello, la società (rif. atto costitutivo in data 29.11.1967, n. 6694 di Rep. Notaio di Schio);
di esserne stato, fin dalla costituzione, socio accomandatario e unico amministratore, nonché, dalla messa in liquidazione della società (il 15.11.2006), liquidatore unico;
di non avere mai ricevuto alcun compenso per l’attività di amministratore nonostante l’impegno profuso nella società per oltre quarant’anni, e quindi chiedendo, sulla base di tali premesse, il riconoscimento del compenso per l’attività svolta negli ultimi dieci anni quale amministratore/liquidatore, nonché la restituzione di tutto quanto versato a titolo di finanziamento socio, concludendo, nello specifico, nei seguenti termini:
“1. accertare e dichiarare che il sig. prestato attività di amministratore della società convenuta dalla sua costituzione fino alla sua revoca intercorsa in data 4.12.2012 e che in assenza di previsioni di gratuità di tale carica e di previsioni di ripartizioni degli utili comprensive di tale compenso, egli ha diritto al compenso per l’attività di amministratore prestata;
2) conseguentemente, anche sulla base dei fatturati societari e/o delle dichiarazioni reddituali societarie dalla costituzione di a oggi, e della loro comparazione, condannarsi la Società , a corrispondere al sig. il compenso per la carica di amministratore ivi esercitata, in misura non inferiore alla somma di € 10.000,00 per ciascuna delle dieci annualità antecedenti
la prima formale richiesta di compenso per l’attività di amministratore svolta dalla difesa di (doc. 1) e comunque antecedenti la revoca della carica di amministratore (doc. 2), e così in misura non inferiore alla somma complessiva pari ad € 100.000,00, relativamente al decennio anteriore alla revoca della carica, occorsa con atto n. 107462 Rep. Notaio in sede di CTU in corso di causa sulla base dei diversi parametri eventualmente espressi, oltre rivalutazione monetaria e interessi legali;
3. condannare la società al pagamento e/o restituzione in favore di di tutte le anticipazioni, versamenti, finanziamenti, pagamenti anche in forma contante che risultino documentate nel corso di causa come effettuate dal medesimo sig. favore di anche per tramite del socio e anche a titolo di finanziamento societario, incluso il credito da finanziamento soci del sig. di euro 23.807,97 risultante nel bilancio 2012 prodotto da nel presente giudizio, come richiesto dal C.T.U. rag. in sede di consulenza tecnica; 4. condannare la società alla rifusione per soccombenza in favore del ricorrente di competenze, ed onorari del giudizio, oltre ad accessori di legge”.
La società convenuta si è costituiva in causa non contestando che l’attore fosse stato l’unico socio accomandatario di dalla sua costituzione fino alla messa in liquidazione (il 15.11.2006), e quindi il liquidatore fino alla sua revoca per giusta causa disposta dall’assemblea dei soci in data 4.4.2012, ma eccependo l’infondatezza della domanda attorea sostenendo che il socio accomandatario non può essere assimilato all’amministratore di una società di capitali in ragione della sostanziale differenza dei presupposti di fatto e di diritto sottesi alle due figure apicali. In via subordinata eccepiva la prescrizione quinquennale del diritto al compenso vantato dall’attore non avendo questi mai messo in mora la società prima della notifica dell’atto di citazione.
In via di ulteriore subordine eccepiva la quantificazione della pretesa.
Proponeva altresì domanda riconvenzionale per mala gestio in relazione a una serie di inadempienze allo stesso direttamente imputabili – e segnatamente:
i) omessa convocazione dell’assemblea per l’approvazione del bilancio ai sensi dell’art 9 dello statuto sociale per gli esercizi 2007, 2008, 2009 e 2010;
ii) omessa presentazione della dichiarazione dei redditi e pagamento della tassa CCIAA – e a una pluralità di prelievi (in tesi indebiti) effettuati dalla cassa della società per complessivi 55.571,62
€, di cui non sarebbe stata fornita dal dr. nessuna adeguata giustificazione.
Sulla base di tali premesse in fatto chiedeva quindi:
“1) respingersi le domande attoree perché infondate;
2) In via subordinata, quantificarsi il corrispettivo dell’attività di amministratore della società convenuta negli ultimi cinque anni;
da tale importo devono dedursi le perdite maturate nel quinquennio, in quanto l’Attore, quale unico socio accomandatario risponde illimitatamente delle , condannarsi l’attore a risarcire la convenuta per l’attività di mala gestio posta in essere nella qualità di liquidatore della società convenuta dal 7.01.2008 alla data di revoca avvenuta il 4.4.2012, importo quantificato in € 51.000,00 oltre a interessi e rivalutazione, salvo maggiore o minore quantificazione in corso di causa.
5) Spese, e competenze di causa rifusi”.
La causa è stata istruita mediante C.T.U. in relazione al seguente quesito:
“esaminati gli atti della contabilità della Convenuta e assunta ogni opportuna informazione, determini il CTU sulla base dei valori correnti di mercato, il compenso spettante all’attore per l’attività di amministratore svolta quale socio accomandatario della accerti, altresì, se i prelevamenti contestati all’attore siano o no inerenti all’attività della società”, e quindi decisa in relazione alle seguenti conclusioni delle parti costituite – per parte attrice [ ] “1) Accertare e dichiarare che il sig. ha prestato attività di amministratore per la società convenuta dalla sua costituzione fino alla sua revoca intercorsa in data 4.12.2012, e che in assenza di previsioni di gratuità di tali carica e di previsioni di ripartizioni degli utili comprensiva di tale compenso e gli ha diritto al compenso per l’attività di amministratore prestata; 2) conseguentemente, anche sulla base dei fatturati societari e /o della dichiarazione dei redditi societarie dalla costituzione di ad oggi e della loro comparazione, condannarsi la società , a corrispondere al signor il compenso per la carica di amministratore ivi esercitata, in misura di € 10.000,00= per ciascuna delle dieci annualità antecedenti la prima formale richiesta di compenso di attività di amministratore svolta alla difesa di doc. 1) e comunque antecedenti la revoca di amministratore doc. 2) e così in misura non inferiore alla somma complessiva pari ad € 100.000,00=, relativamente al decennio anteriore alla revoca della carica, occorsa con atto n. 107462 rep. Notaio del 4.12.2012, o al pagamento al medesimo titolo della diversa somma accertata in sede di CTU in corso di causa sulla base dei diversi parametri eventualmente espressi, oltre rivalutazione monetaria interessi legali; 3) Condannare la società al pagamento e/o restituzione in favore di di tutte le anticipazioni, versamenti, finanziamenti pagamenti anche in forma contante che risultino documentazione nel corso di causa come effettuate dal medesimo sig. a favore di anche per tramite del socio , ed anche a titolo di finanziamento societario, incluso il credito da finanziamento soci del sig. di € 23.807,97 risultante dal bilancio 2012 prodotto da nel ) Condannare la società per soccombenza in favore del ricorrente per competenze ed onorari oltre ad accessori di legge”; per parte convenuta [ :
“1) respingersi le domande attoree perché infondate;
2) In via subordinata, quantificarsi il corrispettivo dell’attività di amministratore della società convenuta negli ultimi cinque anni;
da tale importo devono dedursi le perdite maturate nel quinquennio, in quanto l’Attore, quale unico socio accomandatario risponde illimitatamente delle perdite.
3) in via subordinata, dichiararsi prescritto il diritto dell’Attore;
4) In via riconvenzionale condannarsi l’Attore a risarcire la Convenuta per l’attività di mala gestio posta in essere nella qualità di liquidatore della società convenuta dal 7.01.2008 alla data di revoca avvenuta il 4.04.2012, importo quantificato in € 51.000,00 oltre ad interessi e rivalutazione, salvo maggiore o minore quantificazione.
5) Spese, e competenze di causa rifusi.
Concessione dei termini ex art. 190 c.p.c.” – con la sentenza qui impugnata, con la quale il giudice ha:
– condannato pagamento in favore di della somma di € 35.406,30, oltre agli interessi legali dalla domanda giudiziale al saldo;
– compensato le spese di lite nella misura di due terzi e condannato a rimborsare all’attore il restante terzo;
– posto in via definitiva le spese di C.T.U. per un terzo a carico dell’attore e per due terzi a carico della società, nello specifico argomentando la decisione sulla base delle seguenti considerazioni:
la posizione degli amministratori, che nella società in nome collettivo regolarmente costituita è soggetta, salvi gli aspetti connessi allo speciale tipo sociale, alla disciplina generale dettata per la società semplice in virtù del rinvio contenuto nell’art. 2293 cod. civ., non è dissimile nella società collettiva irregolare o di fatto, per effetto del più generale richiamo operato dall’art. 2297 dello stesso codice.
Pertanto, poiché l’art. 2260 cod. civ. determina l’equiparazione degli amministratori ai mandatari, anche per quanto attiene alla presunzione di onerosità di cui all’art. 1709 cod. civ., senza possibilità di distinguere la ipotesi della nomina contenuta nell’atto costitutivo dall’ipotesi di nomina fatta successivamente, l’amministratore di società in nome collettivo – sia essa regolarmente costituita oppure irregolare o di fatto – ha diritto al compenso in entrambe le ipotesi anzidette, salvo che vi sia una pattuizione di gratuità idonea a superare l’indicata presunzione di onerosità ovvero risulti che del diritto al compenso per la prestazione dell’attività amministrativa si sia tenuto con l’attribuzione di una speciale partecipazione agli utili; poiché nessun compenso era previsto a favore dell’amministratore, va applicato il criterio utilizzato dal C.T.U. per quantificare il compenso spettante all’attore (le tariffe ministeriali applicabili agli amministratori giudiziari) appare congruo.
La carenza documentale impedisce di aumentare o diminuire tale compenso;
la domanda attorea sub 3 [relativa alla restituzione dei versamenti effettuati a titolo di finanziamento socio] è del tutto generica e non trova alcun supporto nella documentazione in atti;
la domanda riconvenzionale della convenuta [a titolo di risarcimento del danno da mala gestio consistito negli abusivi prelevamenti dalla cassa sociale] è risultata sprovvista di prova.
Hanno proposto separatamente appello la società ( e l’originario attore ( ), incardinando, rispettivamente, il procedimento n. 1957/2022 e il procedimento n. 1922/2022 R.G. Disposta la riunione dei due appelli, avendo ad oggetto l’impugnazione della stessa sentenza;
fissata l’udienza di precisazione delle conclusioni per il 30.5.2024;
le parti hanno concluso nei termini sopra trascritti e la Corte ha riservato la causa in decisione alla scadenza dei termini ordinari di legge concessi per il deposito degli scritti conclusivi (poi effettivamente depositati da entrambe le parti) e l’ha quindi decisa nei termini che di seguito si espongo, assorbita ogni diversa questione.
Ragioni della decisione.
L’appello di (proc. n. 1954/2022 R.G.).
Il primo motivo denuncia i vizi di violazione di legge, sub art. 2697 c.c., e di carenza di motivazione, per avere il giudice erroneamente valutato la distribuzione dell’onere della prova in relazione alla domanda riconvenzionale proposta dalla società con riguardo ai denunciati episodi di mala gestio imputati al liquidatore, dott. ed in particolare malamente apprezzato il dato per cui la responsabilità dell’amministratore ha natura contrattuale, sicché alla società basterebbe allegare l’inadempimento consistente nella distrazione di risorse societarie, spettando a quel punto all’amministratore convenuto controdedurre fornendo la prova del corretto adempimento e dunque della destinazione del patrimonio all’estinzione di debiti sociali, oppure comunque allo svolgimento dell’attività sociale. Avendo contestato nella comparsa di risposta di primo grado a di aver prelevato dal c/c della società la somma di € 55.571,62 e indicato i singoli prelievi, era onere di quest’ultimo allegare e provare, o il mancato prelievo delle somme dal conto della società, ovvero comunque l’inerenza dell’uscita per finalità e interessi accolta e per l’effetto pronunciata la condanna dell’attore-convenuto in riconvenzionale al pagamento della somma indicata.
6.1
Il motivo è fondato.
6.2
Il primo giudice, con succinta motivazione – “La domanda riconvenzionale della convenuta è risultata sprovvista di prova” – ha ritenuto priva di fondamento la domanda avanzata da volta ad ottenere il risarcimento del danno consistito nella distrazione delle somme indicate nell’elenco riassuntivo prodotto sub doc. 3. Ritiene il Collegio che la lettura riduttiva data dal giudice al complesso delle evidenze disponibili non sia condivisibile.
Nello specifico, va in primo luogo rilevato che nella propria comparsa di risposta di primo grado aveva dedotto:
a) che l’ex liquidatore, dott. nell’arco temporale compreso tra il 7.1.2008 e il 21.3.2011 aveva effettuato prelievi ingiustificati dalla cassa sociale per un ammontare complessivo di € 55.571,62 e, b) che tale contestazione era stata effettuata già in sede di convocazione dell’assemblea dei soci fissata il 4.4.2012 per la revoca del liquidatore per giusta causa, e quindi nella riunione assembleare, alla quale il dott. on aveva partecipato, omettendo in tal modo di prendere posizione sulle contestazioni mossegli dall’assemblea dei soci e di giustificare i singoli prelevamenti (cfr. comparsa di risposta di primo grado, pag. 4 e 5: “(omissis) I soci accomandanti, in data 21.02.2012, chiedevano all’Attore nella qualità di liquidatore della società la convocazione dell’assemblea dei soci avente ad oggetto:
“1. Revoca liquidatore.
2. Nomina nuovo liquidatore.
3. Attribuzione poteri e compenso al liquidatore.
4. Eventuale proposizione di azione di responsabilità nei confronti del liquidatore sostituito”.
La convocazione dell’assemblea era stata motivata poiché i soci avevano “accertato gravi irregolarità da lei poste in essere in qualità di liquidatore della società ed in particolare:
1. omessa convocazione dell’assemblea per l’approvazione del bilancio ai sensi dell’art 9 dello statuto sociale, per gli esercizi 2007, 2008, 2009 e 2010;
2. Omessa presentazione della dichiarazione dei redditi, pagamento della tassa CCIAA.
3.
Prelievo ingiustificato di euro 55.571.62 dalle casse sociali”.
come risulta dalla copia di convocazione assemblea che si produce sub 1. In data 4.04.2012, si teneva l’assemblea dei soci della società in accomandita semplice Convenuta, nello studio del Notaio in Thiene, il quale redigeva il relativo verbale n. 107.462 rep. che si produce in copia sub 2. Copia autentica del verbale veniva notificata all’Attore dr a mani proprie, dall’Ufficiale Giudiziario del Tribunale di revoca da liquidatore per giusta causa nel termine di giorni trenta dalla notifica e, quindi, entro il 10.11.2012. I soci hanno revocato il dr dalla funzione di liquidatore per giusta causa a seguito di gravi irregolarità poste in essere dal medesimo, come quelle sopra specificate.
L’Attore non ha contestato i fatti al medesimo addebitati dai soci accomandanti, né in assemblea, né al di fuori della medesima.
La Convenuta ha prodotto sub 3) elenco dei prelevamenti effettuati dal dalle casse sociale della Convenuta tra il 7.01.2008 e il 21.03.2011 per complessivi euro 55.571,62
senza che vi siano indicate le ragioni economiche e giuridiche di tali pagamenti e senza che l’Attore abbia dato spiegazioni ai soci.
Per quanto riguarda le dichiarazioni dei redditi omesse l’Attore non ha fornito alcuna spiegazione, come pure l’omesso pagamento di diritti camerali.
La Convenuta, in via riconvenzionale, chiede la condanna dell’Attore a risarcire alla società i danni dal medesimo provocati pari ad € 55.571,62 oltre ad interessi e rivalutazione dalle date del prelievo al saldo e ai danni dal medesimo provati alla società per avere omesso di presentare le dichiarazioni dei redditi della società per gli anni 2007, 2008, 2009 e 2010 e per le sanzioni per omesso pagamento dei contributi camerali, importi che verranno quantificati in corso di causa.
Dopo la sostituzione del liquidatore sono giunte sanzioni per omesso versamento delle tasse automobilistiche e per violazioni del codice della strada poste in essere con automezzo della società dal liquidatore nella persona dell’Attore come verrà provato in corso di causa”).
A fronte di tali contestazioni – da ritenersi sufficientemente “specifiche” in parte qua, essendo stato puntualmente indicato, dapprima nel richiamato avviso di convocazione dell’assemblea, e quindi nell’atto introduttivo del presente giudizio, che nell’arco temporale di riferimento (7.1.2008/21.3.2011) i soci avevano rilevato la presenza di prelevamenti dalla cassa sociale privi di una corrispondente giustificazione finalizzata alle esigenze dell’impresa in liquidazione – l’attore, convenuto in riconvenzionale, pur essendo del tutto ragionevolmente a piena conoscenza dei fatti (omissivi e commissivi) che gli venivano contestati (e comunque avrebbe dovuto esserlo, considerato che all’epoca era l’unico amministratore/liquidatore della società, come tale preposto in via esclusiva alla gestione e alla custodia della cassa della società), ha del tutto omesso di prendere posizione: invero, in prima udienza nulla è stato dedotto, essendosi il difensore limitato ad aderire alla richiesta di concessione dei termini di legge per il deposito delle memorie integrative ed istruttorie ex art. 183, co. 6, c.p.c.;
la prima memoria non è stata depositata;
nella seconda memoria (che comunque non avrebbe potuto deputata) nulla è stato significativamente dedotto, essendosi l’attore limitato alla seguente (generica, e comunque non pertinente) affermazione:
“Nel contestare recisamente il contenuto della comparsa di costituzione avversaria in ogni suo punto, con particolare riguardo alle pretestuose domande riconvenzionali ivi svolte, osserviamo quanto segue (omissis)”, dilungandosi, poi, in considerazioni non pertinenti all’oggetto del giudizio.
Così stando le cose, la natura indebita dei prelevamenti per l’importo complessivo indicato deve ritenersi “non contestata”, e quindi provata ex art. 115 c.p.c., trattandosi di fatti esattamente enucleati nel prospetto prodotto da sub doc. 3 (le cui emergenze risultano, tra l’altro, esattamente corrispondenti a quelle della scheda contabile denominata “ ” contenuta sub doc. 19 del fascicolo di parte nel procedimento n. 5134/2020 R.G. Tribunale Vicenza prodotto in questa sede dalla stessa difesa dell’appellato sub doc. 5 del proprio fascicolo di parte, e nel complesso ulteriormente riscontrate dai bilanci di a partire dal 2009 e fino al 2019) che il liquidatore era tenuto ad illustrare e giustificare in termini adeguati, considerato che l’amministratore di una società di persone è equiparato al mandatario quanto al regime di responsabilità applicabile, che ha natura contrattuale (cfr. Cassazione, sez. 1, Ordinanza n. 12567 del 12.5.2021, Rv. 661366 – 02:
“Anche in tema di società di persone, la responsabilità dell’amministratore per i danni cagionati alla società amministrata ha natura contrattuale, sicché a fronte di somme fuoriuscite dall’attivo della società, a titolo di utili o compensi erogati, quest’ultima, nell’agire per il risarcimento del danno, può limitarsi ad allegare l’inadempimento, consistente nella distrazione di dette risorse, mentre compete all’amministratore la prova del corretto adempimento e dunque della destinazione del patrimonio all’estinzione di debiti sociali oppure allo svolgimento dell’attività sociale”; altresì Cass. n. 17441 del 2016, Rv. 641164 – 0).
Ne consegue che il dott. convenuto in un giudizio di responsabilità per prelievi ingiustificati dalle casse sociali effettuati nella sua qualità di liquidatore, come tale tenuto al rendimento del conto (arg. ex artt. 2315, 2293, 2260, 1713 c.c.), era onerato di dimostrare la specifica finalità – diversa dalla mera locupletazione – per la quale il prelievo contestato era stato effettuato.
Con la precisazione che ai fini in esame non sarebbe comunque bastata una giustificazione dei prelevamenti come retribuzione dell’incarico, per fini sociali, ovvero come anticipo sugli utili futuri, atteso che all’epoca dei fatti la società era già in liquidazione, sicché le risorse disponibili essere necessariamente destinate in via esclusiva alla soddisfazione dei debiti e alla liquidazione del patrimonio.
Va inoltre sottolineato che la valutazione fatta dal C.T.U. in parte qua (v. Relazione, pag. 7:
“3.2.
L’accertamento, e per quale importo, dell’inerenza dei prelevamenti di cui all’allegato n. 3) alla comparsa di risposta di.
Il doc. allegato al n. 3 di parte convenuta è una tabella di due facciate, riportante svariate movimentazioni in uscita datate tra il 2008 ed il 2011 per complessivi euro 55.571,62.
Non è possibile stabilire l’inerenza o meno di tali uscite finanziarie all’attività di impresa della società mancando agli atti i partitari completi della contabilità aziendale.
In tal caso non vi sono criteri alternativi sui quali basare alcun giudizio”), e poi recepita dal giudice, ribalta in termini inammissibili sulla società depauperata l’onere di dimostrare l’inerenza dei prelevamenti fatti dal proprio liquidatore alle esigenze dell’impresa, mentre tale onere non può che spettare al liquidatore che quei prelevamenti, non titolati, ha effettuato in corso di liquidazione.
6.3
In definitiva, è tenuto a rimborsare a la somma di € 55.571,62, oltre agli interessi al tasso legale ex art. 1284, co. 1, c.c. (il giudizio risulta proposto ante D.L. 12 settembre 2014, n. 132, convertito con modificazioni dalla L. 10 novembre 2014, n. 162, che ha disposto, con l’art. 17, comma 2, che le presenti modifiche producono effetti rispetto ai procedimenti iniziati a decorrere dal trentesimo giorno successivo all’entrata in vigore della legge di conversione del decreto medesimo) dalla domanda al saldo.
Il secondo motivo contesta la sentenza nella parte in cui ha riconosciuto all’attore il diritto al compenso (sia pure in misura ridotta rispetto a quanto dallo stesso richiesto).
Nello specifico, risulterebbe trascurato il dato che nelle società di persone, in presenza di un potere gestorio originario e derivante direttamente dal contratto sociale, senza il conferimento di uno specifico mandato da questo separato, non sarebbe ravvisabile in capo al socio amministratore un diritto al compenso per l’attività di gestione in concreto prestata.
Il socio accomandatario, poi, avrebbe diritto al compenso solo laddove questo sia stato espressamente previsto dallo Statuto sociale e vi sia una conforme delibera dell’assemblea dei soci.
Nella fattispecie, invece, l’attore non avrebbe provato che lo Statuto sociale di prevedesse un compenso per il socio accomandatario, ovvero per il liquidatore, né che vi sia stata una conforme delibera dell’assemblea dei soci prevedente detto compenso.
Errata sarebbe anche la quantificazione, posto che nelle società di persone il compenso per l’attività dei soci è dato dall’utile dell’attività sociale in proporzione alla quota sociale.
abdicato al diritto al compenso, rivendicato per la prima volta solo con l’azione giudiziale in esame:
il dott. infatti, nonostante abbia svolto le funzioni di amministratore di quale unico socio accomandatario dal 1967 al 2006 e quindi in qualità di liquidatore dal 2006 al 2012, non avrebbe mai previsto nel bilancio di esercizio di fino a quando lo ha redatto, un compenso per l’amministratore.
Si tratterebbe di un comportamento costante ed univoco del socio amministratore sufficiente a vincere la presunzione di cui all’art 1709 c.c. Ugualmente trascurata sarebbe poi l’eccezione per cui, anche a poter ammettere che l’attore avesse avuto diritto al compenso per la svolta attività di amministratore, questo non gli sarebbe comunque dovuto, avendo presentato dichiarazioni dei redditi annuali errate per avere dichiarato redditi maggiori di quelli reali in misura pari al costo del compenso non percepito e non dedotto, con pagamento di maggiori imposte, che per il principio di competenza non potrebbero essere ora deducibili, con conseguente danno per la società. Infine, e in ogni caso, il compenso non sarebbe dovuto in applicazione del principio “inadimplenti non est adimplendum”, tenuto conto dell’omessa giustificazione da parte dell’attore dei prelevamenti abusivi di risorse finanziarie della società eseguiti dal 7.1.2008 al 21.3.2011, ragione per la quale è stato revocato per giusta causa dall’incarico di liquidatore.
Il terzo motivo – sempre relativo alla spettanza all’attore del compenso di amministratore/liquidatore di – contesta ulteriormente l’inadeguata considerazione da parte del giudice dell’eccezione di prescrizione del diritto per essere ormai decorso il quinquennio dalla notifica dell’atto di citazione (avvenuta in data 16/18.7.2014), costituente il primo atto interruttivo in quanto , prima della notifica dell’atto di citazione, non aveva mai chiesto alla società il pagamento del compenso e non potendo valorizzarsi ai fini interruttivi la missiva inviata dall’avv. NOME COGNOME all’avv. NOME COGNOME il 17.1.2012 (prodotta dall’attore sub doc. 1) non essendo l’avvocato COGNOME procuratore di ***.
8.1 I motivi ora riassunti, da esaminarsi congiuntamente stante la stretta connessione, sono fondati nei limiti e con gli effetti che di seguito si espongono.
8.2 Va premesso che l’amministratore di una società commerciale, con l’assunzione dell’incarico (che nella specie coincide con la costituzione della RAGIONE_SOCIALE e la contestuale attribuzione della qualifica di socio accomandatario al dott. acquisisce il diritto ad essere compensato per l’attività svolta in esecuzione del suo mandato, che in difetto di una specifica previsione di gratuità contenuta nello Statuto, ovvero dell’attribuzione di una speciale partecipazione agli utili compensativa del diritto al (circostanze queste non allegate, né comunque provate, da alcuna delle parti) si presume oneroso (arg. ex artt. 2315, 2293, 2260 e 1709 c.c.). In questi termini, oltre alla sentenza citata dal primo giudice (Cassazione, Sez. L, sentenza n. 3236 del 28.5.1985, Rv. 440908 – 01:
“La posizione degli amministratori, che nella società in nome collettivo regolarmente costituita è soggetta, salvi gli aspetti connessi allo speciale tipo sociale, alla disciplina generale dettata per la società semplice in virtù del rinvio contenuto nell’art. 2293 cod. civ., non è dissimile nella società collettiva irregolare o di fatto, per effetto del più generale richiamo operato dall’art. 2297 dello stesso codice.
Pertanto, poiché l’art. 2260 cod. civ. determina l’equiparazione degli amministratori ai mandatari, anche per quanto attiene alla presunzione di onerosità di cui all’art. 1709 cod. civ., senza possibilità di distinguere la ipotesi della nomina contenuta nell’atto costitutivo dall’ipotesi di nomina fatta successivamente, l’amministratore di società in nome collettivo – sia essa regolarmente costituita oppure irregolare o di fatto – ha diritto al compenso in entrambe le ipotesi anzidette, salvo che vi sia una pattuizione di gratuità idonea a superare l’indicata presunzione di onerosità ovvero risulti che del diritto al compenso per la prestazione dell’attività amministrativa si sia tenuto con l’attribuzione di una speciale partecipazione agli utili (5747/84; 828/55; 873/47)”) va richiamato quanto affermato da Cassazione civ., sez. 1, con la sentenza n. 21550 del 27.7.2021, inerente a una controversia relativa a una società in accomandita semplice come nel caso di specie, che in motivazione ha rilevato che “il compenso dell’amministratore di una società di persone non è regolato dalla norma sopra citata , che disciplina la remunerazione dell’amministratore di società di capitali, quanto dall’art. 2260 c.c., che dispone che i diritti e gli obblighi degli amministratori sono regolati dalle norme sul mandato.
Ne consegue che è senz’altro applicabile, al caso di specie, l’art. 1709 c.c., che prevede la presunzione di onerosità del mandato e che la misura del compenso, ove non stabilita dalle parti, può essere determinata in base alle tariffe professionali o agli usi o, in mancanza, deve essere determinata dal giudice”.
In relazione alla spettanza al dott. del compenso per l’attività di amministratore/liquidatore deve poi escludersi che questi vi abbia implicitamente rinunciato per il solo fatto di non averlo mai in precedenza richiesto.
Come si è detto, secondo i principi del sistema vigente quello di amministratore di società è un incarico che la legge presume oneroso.
Non vi è dunque ragione per ritenere che il diritto di percepire il compenso rimanga subordinato a una richiesta che l’amministratore debba rivolgere alla società amministrata durante lo comportamento inerte, atteso che è necessario un comportamento concludente del titolare che riveli in modo univoco la sua volontà abdicativa.
In altri termini, per leggere in termini di rinuncia un comportamento non sorretto da scritti o da parole o da altri codici semantici qualificati, occorre che lo stesso faccia emergere una volontà oggettivamente e propriamente incompatibile con quella di mantenere in essere il diritto (cfr., tra le altre, Cass., 14 luglio 2006, n. 16125; Cass. 3.10.2018, n. 24139.
Ebbene, il dott. non risulta aver mai posto in essere un qualsivoglia comportamento concludente univocamente interpretabile quale espressione di volontà abdicativa del suo diritto al compenso quale amministratore della società, né la società appellante ha specificamente indicato, né provato, tale preteso “comportamento concludente”.
8.3 Confermata, in termini generali, la spettanza del compenso e il difetto, nella specie, di un qualsiasi atto di rinuncia da parte dell’amministratore-attore univocamente interpretabile come tale, vanno esaminate le due ulteriori eccezioni sollevate dalla difesa della società, e cioè quella di prescrizione (in concreto disattesa dal primo giudice sul presupposto della soggezione del diritto al compenso al termine ordinario decennale) e quella di inadempimento (non esaminata ex professo in sentenza ).
Quanto al primo profilo va richiamato il disposto dell’art. 2949 c.c., che stabilisce un termine di prescrizione quinquennale per i diritti che derivano dai rapporti societari.
Secondo l’interpretazione unanime della giurisprudenza di legittimità la prescrizione quinquennale di cui all’art. 2949 c.c., comma 1, opera con riguardo ai diritti che scaturiscono dal rapporto societario, e cioè dalle relazioni che si istituiscono fra i soggetti dell’organizzazione sociale in dipendenza diretta del contratto di società, o che derivano dalle situazioni determinate dallo svolgimento della vita in società, mentre ne restano esclusi tutti gli altri diritti che trovano la loro ragion d’essere negli ordinari rapporti giuridici che la società può contrarre (ad esempio con terzi) al pari di ogni altro soggetto (Cass. n. 22574/2014; Cass. n. 21903/2013; Cass. n. 6107/1993; Cass. n. 1475/1992).
Come evidenziato da Cass. n. 22574/2014, la prescrizione quinquennale di cui all’art. 2949 c.c., avente carattere speciale rispetto al regime prescrizionale ordinario, ha lo scopo di assicurare maggiore certezza nella definizione dei rapporti societari (v. Cass. Sez. Lav., 5 luglio 2016, n. 13686:
“La corte capitolina ha ritenuto che il regime prescrizionale quinquennale di cui all’art. 2949 c.c. si riferisce a quei diritti che diretta con il contratto di società e delle situazioni determinate dallo svolgimento della vita sociale, escludendo, contraddittoriamente, il rapporto, squisitamente connesso al contratto societario, tra la società e l’amministratore unico.
La decisione risulta errata avendo questa Corte più volte chiarito che la prescrizione quinquennale, di cui all’art. 2949, primo comma, cod. civ., opera con riguardo ai diritti che scaturiscono dal rapporto societario, e cioè dalle relazioni che si istituiscono fra i soggetti dell’organizzazione sociale in dipendenza diretta del contratto di società o che derivano dalle situazioni determinate dallo svolgimento della vita in società, mentre ne restano esclusi tutti gli altri diritti che trovano la loro ragion d’essere negli ordinari rapporti giuridici che la società può contrarre (ad esempio con terzi) al pari di ogni altro soggetto (Cass. n. 2257414; Cass. n. 2190313; Cass. n. 610793; Cass. n. 147592).
Come evidenziato da Cass. n. 2257414, la prescrizione quinquennale di cui all’art. 2949 c.c., avente carattere speciale rispetto al regime prescrizionale ordinario, ha lo scopo di assicurare maggiore certezza nella definizione dei rapporti societari.
Essendo evidente che il diritto a compenso dell’amministratore unico di società scaturisce dal rapporto societario, e cioè dalle relazioni che si istituiscono fra i soggetti dell’organizzazione sociale in dipendenza diretta del contratto di società, la sentenza impugnata si rivela sul punto erronea e per ciò solo merita di essere cassata”).
Quanto al termine di computo, non può ritenersi circostanza idonea ad impedire la decorrenza del termine di prescrizione l’unitarietà dell’incarico:
il compenso per il ruolo di amministratore è, invero, un diritto che matura, e diviene esigibile, di anno in anno alla chiusura dei singoli esercizi sociali e dà perciò luogo a distinti diritti di credito, ciascuno dei quali è soggetto alla prescrizione quinquennale prevista dall’art. 2949 c.c. decorrente dalla data di chiusura del relativo esercizio.
Aggiungasi che l’art. 2941, n. 7 c.c., applicabile alle società in accomandita semplice in forza della sentenza della Corte Costituzionale n. 322 del 24.7.1998, nello stabilire espressamente la sospensione della prescrizione tra le persone giuridiche e i loro amministratori, finché sono in carica, per le azioni di responsabilità contro di essi, non è suscettibile di applicazione estensiva ad altri rapporti intercorrenti tra le medesime parti, in considerazione del carattere eccezionale della norma e della tassatività delle ipotesi ivi contemplate (Cass., sez. 2, 15.12.2021, n. 40104). Deve, conclusivamente, ritenersi prescritto il diritto dell’attore compenso per l’attività di liquidatore per il periodo antecedente i cinque anni decorrenti dalla notifica dell’atto di citazione (avvenuta il 16/18.7.2014), e cioè ante del compenso prima della notifica dell’atto introduttivo del presente giudizio e che, come già evidenziato, non costituisce valido atto interruttivo della prescrizione la lettera datata 17.1.2012 inviata dall’avv. NOME COGNOME all’avv. NOME COGNOME considerato, da un lato che l’avv. COGNOME non era procuratore di e dall’altro che il contenuto della missiva esclude in radice che alla stessa possa attribuirsi la portata di una diffida/intimazione ad eseguire la prestazione di riferimento, risultando così formulata: “
OGGETTO: ***.
Ho parlato con il quale ritiene di vantare anche delle somme a titolo di compenso per l’attività di amministratore e liquidatore che ha sempre svolto nell’interesse di tutti.
Egli contesta anche i conteggi del tuo assistito.
In via transattiva, onde evitare anche un contenzioso avanti al G.L. l’avrei convinto a definire ogni questione con il versamento del tuo assistito dell’importo di € 60.000,00;
a quel punto egli eseguirebbe il noto accordo, eccezione fatta per gli immobili in comproprietà le cui quote rimarrebbero quelle attuali.
Resto in attesa di un riscontro”.
Ritenuto prescritto ante 16.7.2009, il diritto dell’attore alla attribuzione del compenso per l’attività di amministratore/liquidatore non è in concreto allo stesso riconoscibile neppure per il periodo compreso tra il 16.7.2009 e il 4.4.2012, data di cessazione dalla carica di liquidatore.
Riprendendo quanto già rilevato esaminando il primo motivo, il dott. risulta aver prelevato dalla cassa della società, dal 7.1.2008 al 21.3.2011, somme di denaro di cui era custode e del cui impiego e della cui destinazione per finalità proprie della società in liquidazione non ha dato conto nonostante la specifica, formale, contestazione fattagli dalla maggioranza dei soci con le missive dell’8.11.2011 e del 21.2.2012 e poi dalla società con la proposizione della domanda riconvenzionale contenuta nella comparsa di risposta di primo grado. Tali prelevamenti – rimasti, come si è detto, privi di giustificazione – in uno con la mancata presentazione delle dichiarazioni dei redditi per gli stessi anni (pur a fronte del conseguimento di ricavi lordi di € 441.927,63 nel 2007, di € 257.058,16 nel 2008, di € 9.376,04 nel 2009 e di € 71.703,18 nel 2010), integrano un grave inadempimento da parte del liquidatore agli obblighi sullo stesso gravanti e legittimano il rifiuto della società di corrispondergli il compenso per il corrispondente periodo.
Quanto al residuo periodo, compreso tra il 21.3.2011 e il 4.4.2012 (data di cessazione dalle funzioni di liquidatore per revoca disposta dall’assemblea), il compenso per l’attività liquidatoria è riconoscibile – facendo applicazione dei criteri di computo.
5), non fatti oggetto di impugnazione da parte dell’originario attore, limitatosi a gravare la sentenza con riguardo al mancato riconoscimento del credito da finanziamento – nella limitata misura di € 3.540,63, corrispondente al valore del compenso annuo calcolato dal C.T.U. 8.4
In definitiva, applicata la prescrizione quinquennale e ritenuto l’inadempimento nell’intervallo temporale indicato, all’attore, , spetta, a titolo di compenso per l’attività di liquidatore dallo stesso svolta nel periodo effettivamente compensabile e non prescritto, la somma di € 3.540,63, oltre agli interessi al tasso legale (ex art. 1284, co. 1, c.c.) dalla domanda giudiziale al saldo effettivo.
8.5 Trattandosi di due crediti liquidi ed esigibili (quello di di € 55.571,62 e quello di di € 3.540,63), può esserne disposta la compensazione, spettando, quindi, in via definitiva a per differenza, la somma di € 52.030,99, da maggiorarsi degli interessi legali al tasso previsto dall’art. 1284, co. 1, c.c. Il quarto motivo denuncia il vizio di violazione di legge sub art. 91 c.p.c. Il motivo è inammissibile per evidente difetto di specificità.
non contesta, infatti, la violazione dei criteri di liquidazione del compenso, né la misura della disposta compensazione (di due terzi, con condanna al pagamento in favore dell’attore del restante terzo), ma si limita ad invocare una diversa regolamentazione delle spese di lite in dipendenza dell’accoglimento della propria impugnazione;
diversa regolamentazione che però non dipende dall’accoglimento del motivo, quanto dalla riforma della sentenza di primo grado nei termini esposti.
L’appello di [appellante principale nel procedimento n. 1992/2022 R.G. e appellante incidentale nel procedimento n. 1954/2022 R.G.].
10. Va in primo luogo affermata la tempestività dell’appello principale proposto da , scadendo il termine di proposizione del gravame nella giornata di sabato 15.10.2022 (tenuto conto della sospensione feriale di 31 giorni), con conseguente “slittamento” del dies ad quem alla giornata di lunedì 17.10.2022, quando l’atto d’appello è stato effettivamente notificato.
Il computo, infatti, deve essere effettuato “ex numerazione dierum” per quanto riguarda il termine di cui all’art. 327 c.p.c., da calcolare “a mesi”, e deve essere aggiunto il periodo di 31 giorni di sospensione previsto dall’art. 1 L. 742/1969, nella formulazione novellata dalla legge n. 162/2014 (cfr. al riguardo cfr. Cass. 11491/2012; Cass. 22699/2013).
E’ appena il caso di aggiungere che ha altresì proposto appello incidentale tardivo nel procedimento n. 1954/2022 R.G. promosso da con riguardo alle Passando all’esame dei (due) motivi di impugnazione, con il primo motivo viene denunciata l’erroneità della sentenza per non aver correttamente valutato il compendio probatorio disponibile per la decisione (comprendente in realtà tutti i “bilanci” della estratti dal libro degli inventari, dal 2003 al 2012 compreso, prodotti dalla stessa società in adempimento dell’ordine di esibizione emesso dal giudice e quindi esaminati nel corso delle operazioni peritali) e conseguentemente ingiustamente rigettato la domanda di condanna di a rimborsare al socio accomandatario la somma di € 23.807,97, corrispondente ai finanziamenti da questi erogati alla società. Chiede, quindi, che la Corte, in riforma della gravata sentenza, condanni alla restituzione del credito da finanziamento soci al medesimo spettante di € 23.807,97, risultante nel bilancio 2012 prodotto da nel presente giudizio, come richiesto da C.T.U., rag. in sede di consulenza tecnica e come confermato nei successivi bilanci della società al 31 dicembre 2018 e al 31 dicembre 2019, non residuando più debiti che rendano il credito postergato.
11.1 Il motivo è infondato per le ragioni di seguito esposte, ma la motivazione adottata in sentenza in parte qua va modificata.
11.2 Il giudice ha respinto la domanda attorea sub 3) ritenendola genericamente dedotta e priva di supporto nella documentazione in atti.
In realtà, alla luce della documentazione acquisita agli atti e di quanto dedotto dalla società controparte, non è così.
Il credito da finanziamento spettante a – così come peraltro quelli degli altri soci finanziatori – risulta invero presente nella contabilità della società nella misura richiesta di € 23.807,97 fin dal bilancio chiuso al 31.12.2008, acquisito agli atti di causa per il tramite del C.T.U., al quale veniva trasmesso unitamente a quelli fino al 31.12.2012 dalla stessa difesa di (v. nota del C.T.U., rag. in data 23.2.2018:
“2. La questione sulla documentazione a disposizione e necessaria all’evasione dell’incarico peritale.
Ad oggi è a disposizione dello scrivente CTU la seguente documentazione contabile:
1) Dichiarazione dei redditi della società anni di imposta dal 2007 al 2011 compresi;
2) Dichiarazioni IVA della società anni di imposta dal 2007 al 2012 compresi;
3) Bilanci dal libro degli inventari degli esercizi dal 2003 al 2012 compresi.
Si tratta di documentazione inviata dall’avv. COGNOME per la parte convenuta giusta mail del 02/12/2017”).
Peraltro, la stessa difesa della società non ha negato l’esistenza di detto credito, limitandosi a dedurre che la relativa domanda sarebbe inammissibile ai sensi dell’art. domanda n° 3. “3) Condannare la società al pagamento e/o restituzione in favore di di tutte le anticipazioni, versamenti, finanziamenti pagamenti anche in forma contante che risultino documentazione nel corso di causa come effettuate dal medesimo sig. a favore di anche per tramite del socio , ed anche a titolo di finanziamento societario, incluso il credito da finanziamento soci del sig. di € 23.807,97 risultante dal bilancio 2012 prodotto da nel presente giudizio, come richiesto dal CTU in sede di consulenza tecnica”. La domanda è inammissibile ex art.lo 2280 c.c. il quale dispone che “I liquidatori non possono ripartire tra i soci, neppure parzialmente, i beni sociali, finché non siano pagati i creditori della società o non siano accantonate le somme necessarie per pagarli.
Se i fondi disponibili risultano insufficienti per il pagamento dei debiti sociali, i liquidatori possono chiedere ai soci i versamenti ancora dovuti sulle rispettive quote e, se occorre, le somme necessarie, nei limiti della rispettiva responsabilità e in proporzione della parte di ciascuno nelle perdite.
Nella stessa proporzione si ripartisce tra i soci il debito del socio insolvente”.
Allo stato la convenuta è in liquidazione e non vi sono fondi per pagare integralmente i creditori.
I crediti dei soci nei confronti della società di persone sono postergati ex lege”).
Accertata l’esistenza del credito in capo all’attore, deve tuttavia escludersi che questi possa ottenere in questa sede un corrispondente titolo condannatorio nei confronti della società che gli consenta di pretenderne l’immediato pagamento.
Si tratta, infatti, di un credito da finanziamento da ritenersi postergato ex art. 2467, co. 2, c.c. (esprimente un principio applicabile per analogia anche alle società di persone commerciali), siccome formatosi quando la società si trovava già in liquidazione e in una situazione di perdita stabile (v. C.T.U. tabella a pag. 5), situazione che non vi è evidenza apprezzabile in atti che sia nelle more effettivamente mutata in maniera tale da consentire l’immediata soddisfazione del credito pretesa dall’attore. Invero, dal bilancio chiuso al 31.12.2019 (l’ultimo disponibile) risulta l’esistenza di debiti ulteriori rispetto a quello da finanziamento di spettanza del dott. che richiedono, pertanto di essere gestiti nell’ambito della procedura di liquidazione, solo in tale ambito, e per iniziativa dell’organo liquidatorio a ciò preposto, potendo avvenirne la soddisfazione, ovviamente subordinatamente all’esistenza di adeguate risorse finanziarie e tenendo conto di tutti i crediti ancora non soddisfatti, in primis quello di analoga natura (credito da finanziamento) di 32.282,83 € spettante all’altro , né rinunciato, donde la necessità di operarne la soddisfazione in maniera concorsuale e proporzionata. E’ peraltro lo stesso attore-appellante a darne atto, laddove, in memoria di replica (a pag. 17) ammette la necessità che la soddisfazione del proprio credito da finanziamento avvenga nell’ambito della procedura di liquidazione volontaria e nel rispetto della graduazione con gli altri crediti verso la società (“2.11.
Inoltre, il richiamo formulato da controparte all’art. 2280 c.c. risulta del tutto inconferente.
Invero, nel caso di specie il dott. non agiva quale socio al fine di ottenere la ripartizione dei beni sociali in proprio favore prima che venissero pagati i creditori sociali;
al contrario, nel caso di specie, il dott. agiva quale creditore della Società chiedendo la restituzione di un finanziamento eseguito nei confronti della Società medesima, la cui sussistenza mai è stata messa in dubbio da controparte ed anzi emerge pacificamente dai bilanci sociali.
Ciò detto, in assenza di una situazione di squilibrio patrimoniale della Società, mai allegata né tantomeno dimostrata da controparte, il credito vantato dal dott. deve essere immediatamente onorato al pari e nello stesso grado degli altri debiti sociali, se effettivamente esistenti, con la liquidazione del patrimonio sociale;
fermo restando il diritto del dott. a vedersi liquidata la propria quota di partecipazione nella Società una volta conclusa la procedura di liquidazione”).
11.3 In definitiva, pur dovendosi dare atto dell’esistenza di un credito da finanziamento di 23.807,97 € a favore dell’attore, dott. non può, per le esposte ragioni, essere pronunciata condanna a carico di pagamento dello stesso.
12.
Con il secondo motivo viene, infine, dedotta l’erroneità della decisione in punto di spese legali, compensate dal primo giudice nella misura di due terzi, con condanna della società al rimborso della sola residua quota di un terzo, mentre avrebbe dovuto essere condannata al pagamento dell’intero essendo risultata interamente soccombente, essendo stata accolta (seppure non completamente) la domanda attorea e respinta (integralmente) la domanda riconvenzionale.
12.1 Il motivo – in disparte la sua infondatezza, costituendo la decisione del giudice di compensare le spese di lite l’esito di una valutazione ampiamente discrezionale, e nella specie comunque non contraria alla disposizione di legge di riferimento (art. 92, co. 2, c.p.c.), tenuto conto che delle originarie pretese azionate in causa dall’attore è stata accolta (e solo in parte) quella di condanna della società al pagamento del compenso per l’attività di liquidatore e per contro interamente respinta quella di condanna al rimborso del finanziamento – resta assorbito dalla necessità di effettuare Le spese di lite. Considerato l’esito complessivo del giudizio, con vittoria prevalente di , le spese di lite, del primo e del secondo grado, possono compensarsi nella misura di un terzo, ponendosi i restanti due terzi a carico nella misura liquidata in dispositivo con riferimento al D.M. n. 55/2014 e succ. mod. e int. [parametro normativo di riferimento da utilizzare per tutte le liquidazioni successive alla sua entrata in vigore, così come previsto dall’art. 28], tenendo a mente un valore prossimo a quello minimo per ciascuna delle fasi (quattro per il primo grado e tre per il secondo) in cui si sono in concreto sviluppati i giudizi di primo e di secondo grado, nell’ambito dello scaglione di riferimento da € 52.001 a € 260.000. Le spese della C.T.U. svolta in primo grado vanno invece poste in via definitiva a carico delle parti in pari misura.
la Corte, definitivamente pronunciando sulle cause riunite di II° grado n. 1954/2022 + n. 1922/2022 R.G., in parziale accoglimento, per le ragioni di cui in motivazione, dell’appello proposto da dell’appello proposto da , in parziale riforma della impugnata sentenza n. 425/2022 del Tribunale di Vicenza, disattesa e/o comunque assorbita ogni contraria domanda, deduzione ed eccezione, così provvede:
accerta in favore di il diritto al compenso per l’attività di liquidatore dallo stesso svolta in favore della società nella misura di € 3.540,63;
accerta in favore di il diritto di ottenere da la restituzione della complessiva somma di € 55.571,62;
per l’effetto, operata la compensazione tra i crediti indicati sub a) e sub b), condanna a pagare a l’importo differenziale di € 52.030,99, da maggiorarsi degli interessi legali al tasso previsto dall’art. 1284, co. 1, c.c. dalla domanda giudiziale al saldo effettivo;
accerta in favore di il credito da finanziamento di € 23.807,97 di cui al § 11 di parte motiva nei confronti di compensa nella misura di un terzo le spese di lite del primo e del secondo grado favore di nella misura così liquidata per l’intero:
quanto al primo grado € 7.500,00 – oltre al rimborso forfetario spese generali, iva, se dovuta, e cpa come per legge – per compensi ed € 518 per rimborsi;
quanto al secondo grado € 5.000,00 – oltre al rimborso forfetario spese generali, iva, se dovuta, e cpa come per legge – per compensi ed € 1.165 per rimborsi;
pone in via definitiva le spese di C.T.U. a carico delle parti in misura pari al 50% ciascuna.
Così deciso in Venezia nella camera di consiglio del 26.9.2024 Il Consigliere estensore dott. NOME COGNOME Il Presidente dott.ssa NOME COGNOME
La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di
Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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