REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE ORDINARIO di VELLETRI
sezione lavoro 1° grado
Il Tribunale in composizione monocratica in persona della dott.ssa , quale Giudice del lavoro, all’udienza del 28/02/2023 ha pronunciato mediante pubblica lettura del dispositivo e dell’esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione la seguente
SENTENZA AI SENSI DELL’ART.429 C.P.C. n. 172/2023
pubblicata il 28/02/2023 nella causa civile di primo grado iscritta al n. 5147/2021 R.G.A.L. del Tribunale di Velletri
TRA
XXX Ricorrente Rappresentato e difeso dall’Avv.to
E
YYY S.r.l. in persona del l.r.p.t. Resistente Rappresentata e difesa dall’Avv.to
OGGETTO: Retribuzione.
P.Q.M.
Il giudice definitivamente pronunciando,
1. Accerta e dichiara che XXX nel periodo del rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno e indeterminato intercorso con la società YYY S.r.l., dal 23.10.2019 al 12.10.2021, aveva diritto ad essere inquadrato nel II livello del CCNL Parrucchieri/Barbieri/Estetica.
2. Per l’effetto, condanna la società YYY S.r.l., in persona del l.r.p.t., al pagamento in favore di XXX della somma complessiva di € 22.514,25 per i titoli di cui in motivazione, oltre rivalutazione e interessi legali dal dì del dovuto al saldo.
3. Condanna la società YYY S.r.l., in persona del l.r.p.t., a rimborsare alla ricorrente le spese processuali liquidate in complessivi € 2.800,00 oltre IVA CPA e spese generali come per legge, da distrarre in favore dell’Avv.to Celletti che se ne dichiara antistatario.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con ricorso depositato in data 27.12.2020, ritualmente notificato, il ricorrente epigarafto conviene in giudizio la società YYY S.r.l., che gestisce l’omonimo Centro di estetica e parrucchiere sito in Rocca Priora via della Pineta 60/62, di cui è stato dipendente dal 23.10.2019 al 12.10.2021 inizialmente con contratto di lavoro a tempo determinato poi trasformato a tempo indeterminato, con la qualifica di operaio di cui al IV livello del CCNL Acconciatori Estetisti Barbieri e Parrucchieri e mansioni di acconciatore. Sostiene che, diversamente da quanto formalmente previsto nel contratto di lavoro, per tutta la durata del rapporto, essendo munito di titolo idoneo, ha sempre svolto le mansioni di parrucchiere occupandosi del taglio dei capelli, delle messe in pieghe, delle acconciature, delle tecniche di colorazione e decolorazione ecc.. Precisa di avere svolto le predette mansioni sotto il potere direttivo e di controllo di ***, con obbligo di osservare l’orario impostogli da parte datoriale: dalle 9.00 alle 19,00 -con mezz’ora di pausa per il pranzo- per 5 giorni a settimana dal martedì al sabato. Ciò posto, conferma di avere ricevuto in pagamento le somme risultanti dalle buste paga, purtuttavia sostiene di non essere stato retribuito per il lavoro straordinario, di avere usufruito delle ferie in misura inferiore a quanto a lui spettante e di non aver mai usufruito di permessi retribuiti, senza ricevere in pagamento la relativa indennità sostitutiva. Sulla base di tale premessa, afferma di essere stato retribuito in misura inferiore rispetto alla qualità e quantità del lavoro prestato, avendo diritto ad essere inquadrato nel superiore II livello, anche sensi dell’art. 36 della Costituzione, per cui rivendica in questa sede un credito retributivo di € 25.653,13 per i titoli di cui ai conteggi allegati al ricorso.
La società YYY S.r.l. si costituisce in giudizio, resiste alla pretesa di parte attrice, e chiede il rigetto del ricorso per la sua infondatezza in fatto e in diritto. In via gradata. chiede che il ricorso sia dichiarato inammissibile perché nullo. Sostiene, in primo luogo, che, diversamente da quanto dedotto nel ricorso, il XXX ha sempre prestato la propria attività lavorativa dalle 9,00 alle 13,00 o dalle 14,00 alle 18,00, orario confacente sia alle sue esigenze personali sia a quelle aziendali, in quanto l’attività di parrucchiere del Centro Benessere è un mero servizio aggiuntivo offerto alla clientela. Sostiene, ancora, che il ricorrente non ha mai eseguito permanenti né applicato tinture, decolorazioni o meches anche perché allergico a tali prodotti.
La causa veniva istruita attraverso la prova documentale e testimoniale chiesta dai procuratori delle parti. All’odierna udienza, dopo la discussione, previa concessione di termine per note, sulle conclusioni rassegnate dai procuratori delle parti negli scritti difensivi e a verbale, la causa veniva decisa con lettura della sentenza con motivazione contestuale ex art. 429 c.p.c..
Preliminarmente va rigettata l’eccezione di nullità del ricorso. Ed infatti, a dell’art. 414 n. 4 c.p.c. il ricorso introduttivo del giudizio deve contenete una compiuta esposizione della causa petendi e formulazione del petitum. Detti requisiti sono previsti dalla norma codicistica al duplice scopo di consentire al convenuto di difendersi compiutamente nella memoria di costituzione e di consentire al giudice di pervenire all’udienza edotto degli esatti termini della controversia al fine di svolgere il tentativo di conciliazione (benché non obbligatorio), ammettere le prove nella coscienza della loro rilevanza o, eventualmente, di esercitare, se ne sussistono i presupposti, i poteri istruttori di ufficio. Nel caso di specie il ricorrente indica compiutamente (salvo poi dover provare) sia la causa petendi sia il petitum e ne è prova che la società eccepisce la nullità del ricorso solo in via subordinata salvo poi esercitare a pieno il proprio diritto di difesa.
Così riassunti i fatti di causa, appare utile precisare che, com’è noto, l’onere della prova incombe, ex art. 2697 c.c., sul ricorrente, per cui, nei casi in cui l’oggetto della controversia riguarda l’accertamento del diritto alla corresponsione di differenze retributive, il lavoratore deve fornire la prova dell’esistenza del rapporto di lavoro, della sua natura, durata, articolazione oraria e delle mansioni svolte in concreto, ossia dei “fatti” da cui origina il diritto alla corresponsione di ogni singola voce richiesta.
Qualora poi il lavoratore agisca per ottenere il corretto inquadramento professionale, ai sensi dell’art. 2103 c.c., ha, altresì, l’onere di provare l’effettivo svolgimento di mansioni diverse, e superiori, rispetto a quelle contrattualmente concordate.
La giurisprudenza della S.C. si è più volte espressa sul punto e, in conformità con il dettato normativo, ritiene che, al fine di individuare la categoria in cui il lavoratore deve essere inquadrato per il riconoscimento dei diritti conseguenti lo svolgimento di mansioni superiori, occorre seguire un iter logico articolato in tre fasi successive: a) accertare le mansioni concretamente svolte dal lavoratore; b) verificare le qualifiche e i gradi previsti dal contratto collettivo di categoria; c) raffrontare i risultati delle due indagini ed individuare la categoria in cui deve essere inquadrato il lavoratore in base alle mansioni svolte.
Ne discende che, nei casi in cui il lavoratore non descriva, e provi, le mansioni effettivamente svolte, al giudice è precluso il giudizio a cui è chiamato, non potendo operare il raffronto tra le mansioni in concreto svolte -che dagli atti e dai documenti di causa non è dato conoscere-, con quelle descritte nel contratto collettivo di categoria in relazione all’inquadramento professionale. Inoltre, “ove un contratto collettivo preveda una medesima attività di base in due distinte qualifiche, in scala crescente, a seconda che tale attività sia svolta in maniera elementare o in maniera più complessa, l’onere di allegazione e di prova incombe sullo stesso lavoratore, anche sull’espletamento delle più complesse modalità di prestazione, alle quali la declaratoria contrattuale collega il superiore inquadramento” (Cass. n. 6238/01; 8225/03; 11925/03; 12092/04 – Cass. Civ. n. 7007/1987 n. 7453/2002 n. 12792 del 2003; cfr. anche Cass. Civ. n. 3446 del 2004, Cass. Civ. n. 9822 del 2000, Cass. Civ. n. 3528 del 1999).
Nel caso che ci occupa, devono ritenersi pacifiche tra le parti, oltre che per essere documentalmente provate, l’esistenza, la natura e la durata del rapporto di lavoro intercorso tra XXX e la società YYY S.r.l.. Ne discende che l’oggetto dello scrutinio demandato a questo giudicante attiene alle mansioni svolte in via di fatto dal XXX, in modo prevalente e continuativo, e all’orario di lavoro osservato in concreto dal medesimo lavoratore.
Al riguardo i testimoni esaminati nel corso dell’istruttoria hanno dichiarato quanto segue:
***, teste di parte ricorrente, ha dichiarato di essere stata cliente del Salone di Parrucchiere e Centro Estetico gestito dalla società convenuta dal 2018 al 2021 che frequentava all’incirca ogni 25 giorni per la tinta dei capelli. Ha riferito che nel settore Parrucchiere lavorava solo il ricorrente che, quindi, si occupava di tutti i trattamenti richiesti ad iniziare dal lavaggio dei capelli, per finire alla messa in piega, meches, tinture, taglio e varie tecniche di colorazione. Ha riferito, ancora, che le capitava di recarsi in negozio sia la mattina sia di pomeriggio in uno qualsiasi dei giorni infrasettimanali e di aver sempre trovato il XXX al lavoro, precisando che lo vedeva al lavoro anche le volte in cui si recava presso il Centro unicamente per sottoporsi ai trattamenti estetici. Ha riferito, infine, che il negozio rimaneva chiuso all’incirca una settimana nel mese di agosto e che le è capitato di terminare la messa in piega anche intorno alle 19,00.
***, teste di parte ricorrente, ha reso una dichiarazione testimoniale del medesimo tenore di quella resa dalla signora *** in quanto anche lei ha riferito che è stata cliente del Centro Estetico e Parrucchiere gestito dalla società resistente dal 2018 al 2021 che frequentava all’incirca ogni 20 giorni per la tinta dei capelli o anche solo perché vi accompagnava la figlia, anche lei cliente. Ha confermato che il XXX era l’unico parrucchiere e che si occupava di tutti lavori tecnici oltre che di lavare i capelli e fare la messa in piega. Ha riferito, ancora, che le capitava di recarsi presso il Centro Estetico sia di mattina che di pomeriggio senza avere un giorno fisso e che via sempre riscontrato la presenza del ricorrente. Ha riferito, infine, che anche lei è capitato di finire la messa in piega intorno alle 19,00 e che il negozio rimaneva chiuso nel mese di agosto all’incirca per una settimana.
***, fratello della l.r. della società resistente, premesso di avere lavorato alle dipendenze della società amministrata dalla sorella da settembre 2019 fino a febbraio 2021 ha riferito che, per quanto a sua conoscenza, il ricorrente seguiva i lavori tecnici di tintura dei capelli e trattamenti simili, oltre che taglio e messa in piega ai clienti del centro. Ha precisato che il XXX lavorava solo su appuntamento in quanto i clienti del Parrucchiere erano pochi rispetto a quelli del Centro Estetico. Ha riferito, ancora, che il negozio dall’8 marzo al 18 maggio del 2020 è stato chiuso per il lockdown e che nel mese di agosto restava chiuso per una settimana 10 giorni anche se non è stato in grado di riferire se in tale periodo il ricorrente venisse pagato. Ha dichiarato, infine, che il negozio apriva alle ore 9,00 e chiudeva alle ore 19,00 dal martedì al sabato.
***, figlio di una delle socie della convenuta, ha reso, invece, una testimonianza del tutto generica in quanto negli anni 2020 e 2021, essendo disoccupato, si recava presso il negozio gestito dalla società resistente all’incirca due o tre volte a settimana e vi si tratteneva solo per un paio di ore.
A parere di questo giudicante, le emergenze istruttorie di cui innanzi, valutate alla luce dei richiamati principi di diritto, che costituiscono la cornice ermeneutica entro cui inquadrarle, può ritenersi che il ricorrente ha fatto fronte, in modo serio e rigoroso, all’onere probatorio di cui era gravato sia con riferimento alle mansioni svolte il periodo in cui è stato dipendente della società YYY S.r.l. (ossia quelle di parrucchiere di cui al II livello del CCNL del Settore) sia con riferimento all’orario di lavoro effettivamente osservato, sia infine, in relazione alla mancata fruizione delle ferie nella misura spettante.
Ed infatti, precisato che la prova orale rientra nel novero delle prove liberamente valutabili dal giudice, a giudizio della scrivente, va attribuita la massima attendibilità soggettiva e oggettiva alle due testimoni di parte ricorrente che, del tutto estranee ai fatti di causa, hanno preso delle dichiarazioni precise e circostanziate, sia pure nei limiti fisiologici della conoscenza personale dei fatti, che hanno trovato pieno riscontro reciproco.
Ma ciò che più vale è che le allegazioni del ricorrente sono state pienamente confermate anche da ***, teste della società resistente e fratello della l.r. della stessa, peraltro indicato del XXX come suo superiore gerarchico, che non può ritenersi che avesse alcun tipo di interesse a dichiarare il falso.
Quanto al diritto al pagamento del compenso per il lavoro straordinario, è opportuno precisare che è nota l’affermazione, reiteratamente e correttamente ripetuta nelle massime giurisprudenziali, secondo cui spetta al lavoratore, che chiede il riconoscimento del compenso per lavoro straordinario – ma il discorso vale anche per le ferie e i permessi non goduti –, fornire la prova positiva dell’esecuzione della prestazione lavorativa oltre i limiti, legalmente o contrattualmente previsti. Tale affermazione costituisce la proiezione del principio guida del citato art. 2697 c.c., configurandosi lo svolgimento di lavoro “in eccedenza” rispetto all’orario normale quale fatto costitutivo della pretesa azionata. Peraltro, la Suprema Corte ha avuto cura di precisare che è del tutto irrilevante il maggiore agio che potrebbe avere il datore di lavoro a provare il fatto in questione, non potendo questa circostanza, da sola, costituire una valida ragione per sovvertire le regole probatorie generali. In altri, termini, l’obbligazione di pagamento del compenso aggiuntivo e/o dell’indennità sostitutiva sorge per effetto e quale conseguenza di un fatto storico costitutivo, ossia lo svolgimento di attività lavorativa eccedente quella dovuta da parte del lavoratore (cfr., di recente, Cass. n. 26985 del 22 dicembre 2009), sicché soltanto ove sia provata la sussistenza dell’obbligazione di pagamento questi potrà limitarsi ad allegare l’inadempimento datoriale, a fronte del quale la parte resistente avrebbe a sua volta l’onere di provare l’esatto adempimento. Da ultimo la giurisprudenza della S.C. di Cassazione è tornata sul punto precisando che: “Sul lavoratore che chieda in via giudiziale il compenso per lavoro straordinario grava un onere probatorio rigoroso, che esige il preliminare adempimento dell’onere di una specifica allegazione del fatto costitutivo, senza che al mancato assolvimento di entrambi possa supplire la valutazione equitativa del giudice. (cfr. Sent. n. 13150/2018 Nella specie, è stata ritenuta generica la deduzione di aver “lavorato oltre l’orario di lavoro” senza percepire “quanto dovuto a titolo di lavoro straordinario” nonché la richiesta di liquidazione equitativa ai sensi dell’art. 36 Cost.).
Come sottolineato dalla successiva e più recente giurisprudenza, infatti, la minore o maggiore facilità nell’acquisizione della prova non può costituire criterio per l’addebito dell’onere probatorio quale previsto dalla norma generale di cui al citato art. 2697 c.c., atteso che questa norma ripartisce l’onere suddetto facendo esclusivo riferimento alla posizione processuale assunta dalle parti in causa, e cioè ponendolo a carico di chi intende far valere giudizialmente il suo diritto ovvero di chi, all’opposto, ne contesti l’esistenza o ne deduca la estinzione o la modifica, senza specificamente considerare se, in pratica, sia più o meno agevole, per l’una o per l’altra parte, offrire la chiesta dimostrazione (ed anche se, in realtà, la possibilità dell’agevole acquisizione della prova può normalmente ritenersi coincidente, di fatto, con le anzidette posizioni processuali (Cass. 12311/2003).
Deve, quindi, ritenersi definitivamente accertato che dal 23.10.2019 al 12.10.2021 XXX, avendone l’esperienza ed avendo conseguito attestati di professionalità, ha svolto, in modo prevalente continuativo, per circa 47 ore settimanali fisse e senza fruire delle ferie annuali spettanti, mansioni riconducibili al II livello del CCNL del settore a cui appartengono: “I lavoratori in grado di eseguire: permanenti su capelli lunghi e corti, nei diversi sistemi di uso, applicazione di tinture e decolorazioni, meches, pettinature fantasia su capelli lunghi e corti, ondulazioni a ferro e ad acqua, acconciature a phon, piega fissa, messa in piega, ricci piatti, su capelli di diversa lunghezza, lavatura dei capelli, massaggio normale della cute, taglio e frizione”.
Diversamente il lavoratore non ha provato la mancata fruizione dei permessi retribuiti e/o la loro mancata indennizzazione (richiesta per la somma di € 678,17).
Inoltre, premesso che il ricorrente non ha contestato che nel periodo del cd lockdown, in virtù del DPCM dell’11 marzo 2020 co. 3, che ha disposto la sospensione delle attività inerenti i servizi alla persona (fra cui parrucchieri, barbieri, estetisti), il rapporto di lavoro sia stato sospeso.
La sospensione ha comportato l’impossibilità giuridica totale e temporanea, da parte dell’impresa datrice di lavoro, di svolgere la propria attività. Conseguentemente, nello stesso periodo, le prestazioni lavorative dei dipendenti sono configurabili come oggettivamente impossibili, in quanto la società non avrebbe potuto riceverle, poiché interdetta normativamente nella propria attività di impresa. Le aziende, quindi, durante il periodo di sospensione ex lege dell’attività d’impresa non erano obbligate alla controprestazione retributiva a loro carico e, rientrando il contratto di lavoro subordinato nei contratti a prestazioni corrispettive (art. 1463 c.c.), il lavoratore non potrebbe chiedere la controprestazione.
Non è quindi dovuta la somma di € 2.460,01 pari alla differenza tra la retribuzione chiesta in relazione al suddetto periodo e quanto corrisposto dalla società al lavoratore.
In definitiva, la YYY S.r.l., in persona del l.r.p.tp, deve essere condannato a corrispondere in favore di XXX la somma complessiva di € 22.514,95 per i titoli di cui ai conteggi allegati al ricorso che appaiono immuni da vizi con riferimento sia ai criteri sulla cui base sono stati sviluppati sia alle singole operazioni di calcolo.
Alla stregua dell’indirizzo ormai pacifico nella giurisprudenza della Corte di Cassazione, da cui non sussistono ragioni per discostarsi, la liquidazione delle differenze retributive va operata detratto dal lordo dovuto il netto percepito. Ed infatti i Supremi Giudici affermano che “l’accertamento e la liquidazione dei crediti pecuniari del lavoratore per differenze retributive debbono essere effettuati al lordo delle ritenute contributive e fiscali, tenuto conto, quanto alle prime, che la trattenuta, da parte del datore di lavoro, della parte di contributi a carico del lavoratore è prevista, dall’art. 19, legge 4 aprile 1952, n. 218, in relazione alla sola retribuzione corrisposta alla scadenza, ai sensi dell’art. 23, comma primo, medesima legge; e che il datore di lavoro, che non abbia provveduto al pagamento dei contributi entro il termine stabilito, è da considerare – salva la prova di fatti a lui non imputabili – debitore esclusivo dei contributi stessi (anche per la quota a carico del lavoratore); ed atteso, quanto alle ritenute fiscali, che il meccanismo di queste inerisce ad un momento successivo a quello dell’accertamento e della liquidazione delle spettanze retributive e si pone in relazione al distinto rapporto d’imposta, sul quale il giudice chiamato all’accertamento ed alla liquidazione predetti non ha il potere d’interferire” (cfr., per tutte, Cass. 11 luglio 2000, n. 9198, Cass. 15 luglio 2002, n. 10258 e Cass., n. 18584 del 7 luglio 2008, Cass. n. 19790 del 28 settembre 2011 e Cass., sez. lav., n. 3525 del 13 febbraio 2013, nelle quali ultime viene precisato che dall’importo lordo dovuto va detratto quello netto percepito nonché, più di recente, Cass., sez. lav., n. 12566 del 29 maggio 2014).
Sui crediti del lavoratore spettano, inoltre, la rivalutazione monetaria e gli interessi legali sul capitale annualmente rivalutato dalle singole maturazioni al saldo (Corte Cost., 2 novembre 2000, n. 459 e Cass., Sez. Un., 29 gennaio 2001, n. 38).
Il ricorso è, quindi, in parte fondato e merita di essere accolto nei limiti innanzi precisati.
Le spese di lite, regolate secondo il principio della soccombenza, ex art. 91 c.p.c., vengono liquidate come in dispositivo, con distrazione in favore dei procuratori che se ne dichiarano antistatari ai sensi dell’art. 93 c.p.c..
Velletri, 28 febbraio 2023
Il Giudice del Lavoro
La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di
Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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