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Compenso professionale, allegazioni e prove

Compenso professionale, fornire idonee allegazioni e prove in ordine alle prestazioni rese, onere ai fini di dimostrare il proprio diritto.

Pubblicato il 09 November 2021 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE D’APPELLO DI ROMA
Sezione Lavoro e Previdenza

composto dai Sigg. Magistrati:

all’esito della trattazione scritta del 21.10.2021 ha pronunciato la seguente

SENTENZA n. 3763/2021 pubblicata il 05/11/2021

nella causa civile in grado di appello iscritta al n. 2426 del Ruolo Generale Affari Contenziosi dell’anno 2018 vertente

TRA

XXX rappresentato e difeso, come da procura in atti, dagli avvocati

APPELLANTE E APPELLATO

E

YYY rappresentata e difesa dagli avvocati

APPELLATO E APPELLANTE INCIDENTALE

OGGETTO: appello avverso la sentenza del Tribunale di Velletri n. 139 depositata in data 30/1/2018

CONCLUSIONI

Come da rispettivi atti.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con la gravata sentenza il Tribunale di Velletri, in funzione di giudice del lavoro, in parziale accoglimento del ricorso presentato da YYY accertava l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra quest’ultima e XXX nel periodo dal 1984 al 1995, accertando altresì il diritto della suddetta lavoratrice all’inquadramento, quale segretaria, al quarto livello C.C.N.L. Studi professionali con condanna dello XXX al pagamento di € 7.781,37 a titolo di differenze retributive e di € 3.932,35 a titolo di TFR oltre interessi e rivalutazione monetaria.

Rigettava altresì la domanda avanzata in via riconvenzionale da XXX di condanna della YYY al pagamento in suo favore del complessivo importo di € 25.050.

Avverso tale sentenza XXX presentava appello fondato su più motivi.

YYY si costituiva resistendo all’accoglimento del gravame e presentando appello incidentale.

Nel corso del presente giudizio di appello veniva ammessa ed espletata prova per testi.

 E’ inoltre scoppiata l’emergenza epidemiologica da COVID-19 con l’emanazione dei noti dd.ll. nn. 34/2020 conv. nella legge n. 77/2020 e, da ultimo ,del d.l. n. 137/2020.

E’ stata quindi disposta la trattazione cartolare, ferma l’udienza già fissata del 21/10/2021, sostituita dallo scambio di note scritte secondo quanto previsto dall’art. 83 cit. comma 7 lett. h) d.l. n. 18/2020.

All’esito della trattazione scritta la causa è stata decisa come da dispositivo.

YYY aveva agito in giudizio allegando di avere svolto, senza soluzione di continuità, attività di lavoro dipendente in favore di XXX, esercente la professione di psicologo, nel periodo dal 30/1/1984 al 25/8/2012 prestando, presso lo studio di quest’ultimo mansioni di segretaria (specificamente descritte nel ricorso) secondo l’orario indicato nell’atto introduttivo (dal 30/1/1984 al 15/9/1996 il martedì, mercoledì e venerdì dalle 8,45 alle 13 e dalle 15:45 alle 21 nonché il lunedì e il giovedì dalle 8:45 alle 13. Nel periodo successivo martedì e venerdì dalle 9 alle 13), con rapporto di lavoro tardivamente formalizzato in data 15/10/2001 mediante assunzione come impiegata addetta alla segreteria con inquadramento al quarto livello C.C.N.L. Studi professionali e risolto a seguito di licenziamento a decorrere dal 25/8/2012.

Lamentava l’inadempimento da parte dello XXX agli obblighi derivanti dal suddetto rapporto di lavoro chiedendone la condanna al pagamento in suo favore della somma di € 26.362,67 a titolo di differenze retributive, 13ª e 14ª mensilità, indennità per ferie non godute e TFR.

XXX si era costituito in giudizio contestando la fondatezza del ricorso e chiedendo, in via riconvenzionale, la condanna della YYY al pagamento in suo favore del complessivo importo di € 25.050 di cui € 23.050, oltre contributo previdenziale, quale compenso per l’attività di psicoterapia comportamentale eseguita in favore della stessa, € 500 per le prestazioni effettuate in favore della figlia della ricorrente YYY *** ed € 1.500 a titolo di restituzione dell’importo asseritamente versato in favore della lavoratrice a titolo di prestito.

Il Tribunale, previo espletamento di prova per testi, riteneva provata l’esistenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato solo nel periodo tra il 1984 e il 1995 con orario dal martedì al venerdì dalle 9 alle 13 e dalle 16 alle 19.30/20 quantificando le somme dovute (considerando come non contestato l’inquadramento al quarto livello C.C.N.L. di settore rivendicato dalla lavoratrice) secondo i conteggi di parte ricorrente e rigettando la domanda di pagamento di indennità sostitutiva di ferie non godute in quanto non provata e riguardante altre annualità successive al periodo di riconoscimento del rapporto di lavoro.

Rigettava inoltre la domanda riconvenzionale dello XXX ritenendo non provata l’esistenza dell’accordo intercorso tra le parti avente per oggetto la prestazione di attività professionale e la regolamentazione delle reciproche obbligazioni (in particolare, il prezzo delle prestazioni di psicoterapeuta, la frequenza delle stesse, etc.).

Affermava l’infondatezza anche della parte della domanda volta alla restituzione di somme a titolo di prestito rilevando come dall’unica prova documentale prodotta a tale proposito dallo XXX fosse emersa chiaramente l’erogazione di somme a titolo di “competenze future relative al rapporto di lavoro dipendente con lui intrattenuto”.

Si osserva, preliminarmente, che in assenza di idonea impugnazione deve ritenersi formato il giudicato interno in ordine al rigetto della domanda riconvenzionale dello XXX, limitatamente alla richiesta di condanna alla restituzione della somma di € 1.500 asseritamente versata a titolo di prestito.

Pur avendo l’appellante, reiterato tale parte della domanda nelle conclusioni rassegnate in calce al ricorso in appello, tale capo della sentenza non può infatti ritenersi validamente impugnato non essendo state oggetto di specifica censura le motivazioni poste dal Tribunale a base del rigetto di tale parte della domanda.

Com’è noto, in materia di appello, affinché un capo di sentenza possa ritenersi validamente impugnato, non è sufficiente che nel gravame sia manifestata una volontà in tal senso, occorrendo, al contrario, l’esposizione di una parte argomentativa che, contrapponendosi alla motivazione della sentenza impugnata, con espressa e motivata censura, miri ad incrinarne il fondamento logico-giuridico.

Tanto premesso ritiene la Corte che l’appello principale sia infondato.

Con un primo motivo l’appellante XXX contesta la gravata sentenza nella parte in cui aveva respinto la domanda riconvenzionale di condanna della YYY al pagamento di somme a titolo di corrispettivo delle prestazioni professionali rese in favore della suddetta lavoratrice e della figlia ***

Ribadisce a tale proposito di avere avuto in cura la suddetta lavoratrice, espletando in suo favore, nel periodo dal 29/11/1995 fino al 31/12/2011, una psicoterapia di tipo comportamentale a doppio binario con circa 150 sedute nonchè incontri terapeutici e test di controllo.

Contesta le valutazioni del giudice di prime cure ove aveva ritenuto non provata l’esistenza in proposito dell’accordo tra le parti, evidenziando le dichiarazioni rese dalla lavoratrice in sede di interrogatorio formale (ove aveva riconosciuto la veridicità di vari elaborati da lei stessa redatti nel corso delle sedute psicologiche, elaborati la cui autenticità era ulteriormente riscontrata da un parere pro veritate allegato alla comparsa di costituzione) e il contenuto della documentazione prodotta in atti.

Lamentando il mancato espletamento a tale proposito dell’istruttoria richiesta nella precedente fase del giudizio, istruttoria nel cui espletamento ha insistito.

Il motivo è infondato dovendo ribadirsi, anche all’esito dell’istruttoria espletata nella presente fase di impugnazione, le conclusioni già raggiunte dal giudice di prime cure in ordine al non essere tale domanda fornita di idonea prova.

Si osserva che, ai sensi dell’art. 2225 c.c., il corrispettivo delle prestazioni professionali “se non è convenuto dalle parti e non può essere determinato secondo le tariffe professionali o gli usi, è stabilito dal giudice in relazione al risultato ottenuto e al lavoro normalmente necessario per ottenerlo”. Grava in ogni caso sull’attore ai sensi dell’art. 2697, comma 1, c.c. l’onere, ai fini di dimostrare il proprio diritto al compenso professionale (da determinarsi alla stregua dei parametri indicati dal legislatore) di fornire idonee allegazioni e prove in ordine alle prestazioni rese, elementi questi che nel presente caso di specie non sono stati forniti con conseguente impossibilità di una quantificazione compiuta delle eventuali spettanze dello XXX.

Si osserva a tale proposito che, pur essendo effettivamente emerso riscontro della prestazione in favore della YYY da parte dello XXX di attività di psicoterapia, tale attività non risulta tuttavia, compiutamente quantificabile e tale da consentire una determinazione, anche solo in via equitativa, non meramente arbitraria dei compensi dovuti all’appellante XXX, essendo rimaste del tutto indeterminate, il contenuto, la frequenza e la durata delle sedute o, più in generale, delle prestazioni rese.

Non possono reputarsi sufficientemente significativi in tal senso, così come ritenuto dal Tribunale, gli appunti prodotti in atti, appunti che, pur riconosciuti quanto alla loro autenticità dalla YYY nel corso dell’interrogatorio formale reso nella precedente fase del giudizio, non sono tuttavia significativi dell’espletamento di prestazioni professionali compiutamente quantificabili consistendo in null’altro che in appunti manoscritti dalla stessa lavoratrice relativi a sensazioni dalla stessa provate durante sessioni (verosimilmente) di training autogeno.

Parimenti inidonee, sotto il profilo probatorio, in ragione della loro formazione unilaterale, risultano, sempre così come rilevato dal Tribunale, le fatture “pro forma” prodotte in atti dall’appellante (all. 4 della comparsa di costituzione di primo grado).

Parimenti generico, tanto quanto al periodo temporale in cui è stata espletata la prestazione, tanto con riferimento al numero concreto delle sedute, risulta l’esito della prova per testi espletata nella presente fase di impugnazione.

In particolare non possono reputarsi significative le deposizioni dei testi ***, *** e ***, le quali si sono limitate genericamente a riferire del fatto che lo XXX avrebbe espletato non meglio individuabili prestazioni terapeutiche in favore della YYY, senza tuttavia essere in grado di specificare il numero delle sedute, né la loro durata, né il periodo in cui si sono protratte.

In particolare ***, pur avendo astrattamente confermato il capitolo 3 del ricorso in appello (con il quale si affermava il protrarsi di tale terapia nel periodo dal 1995 al 2011), ha tuttavia poi dichiarato espressamente “…Non ricordo esattamente per quanti anni è durata la terapia, ma posso confermare per molti anni…”, dimostrando così di non essere in grado di riferire in modo specifico ed attendibile sulla terapia effettuata dall’appellante (cfr. verbale di udienza del 26/11/2020).

Del tutto generiche risultano inoltre le deposizioni delle testimoni *** (cfr. verbale di udienza del 26/11/2020) e *** (cfr. verbale di udienza del 1/7/2021), le quali si sono limitate, in sostanza, a riferire di essere a conoscenza che la YYY era paziente dello XXX, senza tuttavia essere in grado di riferire sulla durata della terapia, le caratteristiche della stessa e la frequenza delle visite.

Parimenti generiche le risultanze istruttorie relative alle prestazioni in favore di YYY ***, figlia dell’appellata, prestazioni sulle quali la teste *** ha riferito, del tutto genericamente limitandosi a riferire dell’effettuazione da parte dell’appellante di “vari incontri antiansia e di orientamento scolastico”, prestazioni che all’evidenza rimangono del tutto indeterminate.

In un tale complessivo contesto non può non costituire elemento sfavorevole per l’appellante, ai sensi dell’art. 116, comma 2, c.p.c., la genericità delle sue stesse allegazioni.

Quest’ultimo si è infatti limitato, in sostanza, nella comparsa di costituzione di primo grado, ad una mera quantificazione delle somme dovute (€ 23.050 per le prestazioni in favore direttamente della YYY ed € 500 per le prestazioni in favore della figlia della stessa) senza tuttavia indicare in modo specifico le caratteristiche delle prestazioni effettuate (ad es. in ordine alla loro durata e collocazione cronologica) ma limitandosi ad una loro apodittica quantificazione (in un lasso di tempo di circa 16 anni dal novembre 1995 al dicembre 2011) in 150 sedute totali (oltre a non meglio specificati incontri terapeutici e test di controllo) così come generiche sono anche le fatture “pro forma” prodotte dall’appellante (all. 4 della comparsa di costituzione di primo grado), consistenti nella mera quantificazione di un compenso annuale senza alcuna indicazione specifica delle prestazioni effettivamente rese.

Il fatto stesso dell’espletamento di tali prestazioni in un arco di tempo di circa 16 anni senza percepire alcun corrispettivo (unito all’assenza di allegazioni specifiche da parte dell’appellante in ordine a pattuizioni sul compenso dovuto e alla mancanza di formali richieste di pagamento sino all’invio della lettera raccomandata del 11/2/2013 prodotta in atti) risulta del resto inevitabilmente in contraddizione con il loro essere state rese, a titolo oneroso, nell’ambito di un vero e proprio rapporto di natura professionale (risulta pertanto meritevole di conferma all’esito del presente giudizio di appello anche quanto affermato dal Tribunale in ordine all’assenza di prova di un accordo avente per oggetto la prestazione di attività professionale).

Trattasi quindi, in definitiva, di risultanze istruttorie che non risultano per la loro genericità tali da consentire una compiuta quantificazione, ai sensi dell’art. 2225 c.c., dei crediti dello XXX.

Il motivo risulta pertanto infondato e dovrà essere respinto, assumendo le considerazioni che precedono valore pienamente assorbente rispetto all’esame dei motivi di appello incidentale presentati dalla YYY (da qualificarsi entrambi come condizionati all’accoglimento dell’appello principale) con i quali si contesta il rigetto dell’eccezione di inammissibilità della domanda riconvenzionale presentata dallo XXX (per violazione delle previsioni degli artt. 34, 35 e 36 c.p.c.) nonché l’omesso esame della eccezione di prescrizione del relativo credito.

Con un’ulteriore secondo motivo l’appellante contesta la gravata sentenza nella parte in cui aveva ritenuto sufficientemente dimostrato lo svolgimento da parte dell’appellata di attività di lavoro subordinato per il periodo dal 1984 al 1995, con l’orario indicato nella parte motiva della predetta sentenza (dal martedì al venerdì negli orari dalle 9 alle 13 e dalle 16 alle 19. 30/20).

Sostiene a tale proposito l’inidoneità delle dichiarazioni rese nella precedente fase del giudizio dalle testimoni ***, *** e ***, evidenziando come le stesse non fossero significative dello svolgimento di tale attività per l’intero periodo riconosciuto dal Tribunale (***) o comunque rappresentative, in ragione della genericità del loro contenuto, dei giorni e degli orari svolti dalla lavoratrice, evidenziando inoltre la contraddittorietà di tali dichiarazioni con le allegazioni di parte attrice in ordine ai giorni lavorati e agli orari osservati.

Con un ulteriore terzo motivo l’appellante contesta la gravata sentenza nella parte in cui aveva posto, a fondamento della quantificazione delle somme dovute alla lavoratrice, i conteggi allegati al ricorso introduttivo in quanto non specificamente contestati.

Sostiene a tale proposito l’irrilevanza della mancata contestazione specifica dei conteggi in ragione della radicale contestazione effettuata nella precedente fase del giudizio in ordine all’an debeatur.

Entrambi tali motivi, che si ritiene di esaminare congiuntamente in ragione della loro reciproca connessione, sono infondati alla stregua delle considerazioni che seguono.

Premesso che, così come rilevato dall’appellata YYY, non risulta più oggetto di contestazione la natura subordinata dell’attività svolta dalla suddetta lavoratrice, ritiene la Corte anche in questo caso meritevoli di conferma le statuizioni del giudice di prime cure sia in ordine al protrarsi ininterrottamente dell’attività lavorativa della YYY sino al 1995, sia in ordine alla quantificazione delle somme dovute, sulla base dell’orario indicato nella parte motiva della sentenza.

Le dichiarazioni rese dai testi escussi nella precedente fase del giudizio (***, *** e ***), rese da soggetti in grado di riferire per loro conoscenza diretta e le cui dichiarazioni si ritengono attendibili in quanto non idoneamente inficiate da ulteriori emergenze istruttorie, risultano infatti sufficientemente significative, nel loro complesso, dello svolgimento da parte della YYY, in favore dello XXX, con mansioni di segretaria, per l’intero periodo riconosciuto dal giudice di prime cure.

Tutti i testi precedentemente menzionati (cfr. verbali di udienza del 2/2/2016 e del 12/7/2016) hanno infatti riscontrato lo svolgimento continuativo da parte dell’appellata, all’interno dello studio professionale dell’appellante, di attività lavorativa con mansioni di segretaria (la cui riconducibilità alla quarto livello C.C.N.L. di settore, riconosciuta dal Tribunale, non risulta oggetto di contestazione) con l’orario indicato in sentenza (orario conforme, in particolare, alle dichiarazioni specificamente rese a tale proposito dalla teste Feligetti dichiarazioni che, in assenza di allegazioni specifiche ed elementi di prova in tal senso in ordine al mutamento dello stesso, possono ritenersi significative dell’orario osservato dalla YYY durante l’intero lasso di tempo oggetto della statuizione impugnata) tanto in ordine al protrarsi di tali attività sino al 1995 così come riferito in particolare dalla teste ***.

Parimenti infondate le doglianze dell’appellante in ordine alla quantificazione delle spettanze retributive della lavoratrice, dovendo ritenersi che la stessa sia stata correttamente effettuata sulla base dei conteggi allegati al ricorso di primo grado in quanto non specificamente contestati, sotto il profilo contabile, dallo XXX (in quale, a fronte degli analitici conteggi allegati al ricorso di primo grado, nulla ha contestato sotto tale profilo in sede di costituzione nella precedente fase del giudizio) e non potendo attribuirsi rilievo, a tale proposito, contrariamente a quanto sostenuto da tale parte, alla radicale contestazione da questi effettuata, nella precedente fase del giudizio, in ordine all’an debeatur.

Devono ribadirsi a tale proposito i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità alla cui stregua nel rito del lavoro grava sul convenuto l’onere della specifica contestazione dei conteggi elaborati dall’attore, ai sensi degli artt. 167, comma 1, e 416, comma 3, c.p.c., e tale onere opera anche quando il convenuto contesti in radice la sussistenza del credito, poiché la negazione del titolo degli emolumenti pretesi non implica necessariamente l’affermazione dell’erroneità della quantificazione, mentre la contestazione dell’esattezza del calcolo ha una sua funzione autonoma, sia pure subordinata, in relazione alle caratteristiche generali del rito del lavoro, fondato su un sistema di preclusioni diretto a consentire all’attore di conseguire rapidamente la pronuncia riguardo al bene della vita reclamato. Ne consegue che la mancata o generica contestazione in primo grado rende i conteggi accertati in via definitiva, vincolando in tal senso il giudice, e la contestazione successiva in grado di appello è tardiva ed inammissibile (in tal senso Cass. n. 4051 del 18/02/2011, n. 945 del 19/01/2006 e n. 9285 del 10/06/2003).

Risulta infine infondato anche l’ulteriore profilo di contestazione relativo alle spese di lite, con il quale l’odierno appellante contesta la gravata sentenza la parte in cui, nonostante il solo parziale accoglimento della domanda della lavoratrice (con realizzazione delle ipotesi della soccombenza reciproca) lo aveva integralmente condannato al pagamento delle spese di lite.

Trattasi, infatti, di statuizione che non si ritiene censurabile in quanto corretta applicazione del criterio della soccombenza, da attribuirsi quest’ultima all’odierno appellante.

La mancata effettuazione della compensazione parziale (determinazione comunque rimessa, anche nel caso di soccombenza reciproca, alla discrezionalità del giudice) non appare infatti manifestamente irragionevole alla luce dell’esito complessivo della lite che oltre al riconoscimento parziale della fondatezza delle rivendicazioni retributive della lavoratrice (comunque fondate sul riconoscimento della natura subordinata per la maggior parte del periodo “non regolarizzato”) aveva visto anche l’accertamento della integrale infondatezza della domanda riconvenzionale dell’odierno appellante, avanzate per l’importo complessivo di € 25.050, di poco inferiore a quello richiesto dalla lavoratrice.

Alla stregua delle considerazioni che precedono dovrà essere respinto l’appello principale mentre dovrà reputarsi assorbito l’appello incidentale presentato dalla YYY.

La regolamentazione delle spese di lite del presente grado di giudizio, liquidate come in dispositivo, segue la soccombenza.

Stante il tenore della decisione deve trovare applicazione, nei confronti dell’appellante principale, l’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115/2002, come modificato dall’art. 1 comma 17 L. 24.12.2012 n. 228, per il raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte, definitivamente pronunciando, rigetta l’appello principale e dichiara assorbito quello incidentale.

Condanna l’appellante XXX al pagamento in favore dell’appellata YYY delle spese del presente grado di giudizio che liquida in complessivi € 3.118 oltre rimborso spese forfettarie nella misura del 15%, Iva e Cpa come per legge.

Dà atto che sussistono nei confronti dell’appellante principale le condizioni oggettive richieste dall’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115/2002 per il raddoppio del contributo unificato.

Roma, 21.10.2021

IL CONSIGLIERE ESTENSORE

IL PRESIDENTE

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