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Codice Penale

Competenza in materia di attuazione di piani per il lavoro

La sentenza chiarisce che la mancata attuazione di un piano per il lavoro da parte di una pubblica amministrazione non configura la lesione di un diritto soggettivo, ma la mancata soddisfazione di un interesse legittimo pretensivo. Di conseguenza, la giurisdizione spetta al giudice amministrativo, non a quello ordinario.

Udienza del 01.07.2024 nella causa iscritta al n. di r.g. 16186 del 2023.
Alle ore 11.00, è presente per la regione Campania l’Avv. NOME COGNOME per delega dell’Avv. COGNOME la quale conclude per l’accoglimento dell’appello, con vittoria di spese di lite.
L’Avv. COGNOME illustra i motivi alla base dell’appello.
Il Giudice si ritira in camera di consiglio e l’Avv. COGNOME si allontana dall’aula.
All’esito, il Giudice del

Tribunale di Napoli, X sez.,

dott. NOME COGNOME in funzione di giudice di appello, esaminati gli atti della causa n. 16186/2023 R.G., lette le conclusioni delle parti, udita la discussione orale, decide la controversia ex artt. 350 bis e 281 sexies c.p.c. mediante lettura in pubblica udienza del dispositivo e delle ragioni di fatto e di diritto della presente

SENTENZA N._6650_2024_- N._R.G._00016186_2023 DEL_01_07_2024 PUBBLICATA_IL_01_07_2024

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

nella causa di appello iscritta a ruolo in data 19.07.2023 e introdotta con atto di citazione in appello notificato in data 18.07.2023 , in persona del Presidente pro tempore della elettivamente domiciliata in Napoli, INDIRIZZO (Avv. NOME COGNOME , nato a Napoli in data 02/03/1962, codice fiscale elettivamente domiciliato in Napoli, INDIRIZZO presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME (Avv. NOME COGNOME)
APPELLATO resa sulla base dei seguenti

MOTIVI DELLA DECISIONE

§ 1. Con sentenza n. 4032/2023, pubblicata in data 23/01/2023 e non notificata, il giudice di pace di Napoli ha condannato la a pagare, in favore di , € 900,00 (oltre interessi e spese di lite), a titolo di risarcimento del danno causato dalla tardiva attuazione della delibera regionale n. 690/2010 con conseguente “lesione delle legittime aspettative dell’istante all’inserimento nel mondo del lavoro per circa nove anni, con conseguente altrettanto evidente perdita di chance”.

Avverso la predetta sentenza, la ha proposto appello, sollevando le seguenti doglianze:
– sussistenza della giurisdizione amministrativa, atteso che, quand’anche fosse possibile individuare una posizione giuridica differenziata e tutelabile in capo all’istante, la stessa non potrebbe che essere qualificata di interesse legittimo, essendo le doglianze C.F. ;
– omesso rilievo della nullità della citazione;
– “inammissibilità della domanda secondo equità”;
– infondatezza della domanda;
– difetto assoluto di motivazione;
– violazione dei principi regolatori in materia di illecito contrattuale ed extracontrattuale.

Ciò dedotto, ha chiesto l’accoglimento delle seguenti conclusioni:
“- in via pregiudiziale dichiarare il difetto di giurisdizione del Giudice adito in favore del Giudice amministrativo (TAR CAMPANIA);
– in via preliminare nel merito dichiarare la nullità della domanda;
– in subordine nel merito, rigettare la domanda nei confronti della in quanto inammissibile per carenza dei presupposti di cui all’art.113 cpc;
– in ogni caso, disattendere la richiesta dell’attore in quanto del tutto infondata.
– Vittoria di spese del doppio grado di giudizio”.
si è costituito, eccependo in via preliminare e per quel che qui interessa:
– l’inammissibilità dell’appello, atteso che il Giudice di Pace aveva deciso secondo equità ai sensi dell’art. 113, comma 2, c.p.c. e le censure formulate dalla non rientravano tra quelle previste dall’art. 339, ultimo comma, c.p.c.;
– l’inammissibilità dell’appello per difetto di specificità dei motivi;
– la sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario, posto che il petitum sostanziale consisteva “nella denuncia di una ipotesi di mera inerzia della pubblica amministrazione nell’adozione di provvedimenti doverosi a tutela di soggetti socialmente svantaggiati”.

Sempre con riferimento ai fatti costitutivi della pretesa, l’appellato ha replicato che:
– la causa petendi risiedeva, “non nella illegittimità dell’omessa adozione di un qualsivoglia provvedimento discrezionale (non residuando più alla alcun margine di discrezionalità nei confronti degli attori, in quanto già riconosciuti, come sopra detto, titolari di un diritto all’avviamento al lavoro in modo immediato e diretto), ma, secondo quanto è sostanzialmente dedotto con l’atto di citazione, nell’abbandono, da parte delle autorità pubbliche, di una posizione di garanzia, ovvero nel loro mancato attivarsi a protezione del diritto fondamentale al lavoro, in termini di avviamento al lavoro e non di assunzione”; – non era in discussione “la legittimità dell’adozione o meno di questo o di quel provvedimento amministrativo”, ma la pretesa era fondata su di “un illecito comportamento materiale della P.A., nella concreta fattispecie consistente nella colpevole inerzia, nella non-attività, nella mancata adozione delle pur dovute misure rivolte ad avviare al lavoro i disoccupati in questione”.

Ciò dedotto, ha concluso per l’inammissibilità dell’appello o comunque per il suo rigetto nel merito.
***** § 2.

La controversia appartiene alla giurisdizione del giudice amministrativo.

Si tratta di questione ammissibile ai sensi dell’art. 37 c.p.c., trattandosi di eccezione già sollevata in primo grado e oggetto di specifico motivo di gravame.

Inoltre, la censura integra una violazione di norme sul procedimento e, come tale, rientra tra i motivi contemplati dall’ultimo comma dell’art. 339 c.p.c..

Inoltre, a fronte della apodittica e sintetica motivazione esposta nella sentenza, il motivo di appello soddisfa i requisiti previsti dall’art. 342 c.p.c..
attore non impugna alcun atto amministrativo che, anzi, ritiene integralmente valido e proprio su tale atto fonda le proprie istanze risarcitorie”.

Nel censurare tale statuizione, la richiama l’art. 7 del codice del processo amministrativo e sostiene che la posizione azionata dal debba essere qualificata in termini di interesse legittimo, atteso che la domanda risarcitoria si fonda su di un atto, il piano per il lavoro, per la cui attuazione era necessario adottare ulteriori provvedimenti amministrativi, con la conseguenza che le doglianze di controparte si fondano sul mancato esercizio di poteri di stampo pubblicistico.

Il motivo è fondato.

In via preliminare, va richiamato il noto principio secondo cui la regola di riparto della giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo non si basa sul criterio del petitum formale, individuato in base all’oggetto del dispositivo che si invoca, bensì su quello del petitum sostanziale, da individuarsi con riguardo alla causa petendi ed al rapporto dedotto in giudizio, oggetto di accertamento giurisdizionale (in tal senso, da ultimo, Cass., sez. un., ordinanza n. 2368 del 24/01/2024).

In ragione di ciò, occorre partire dall’individuazione della fattispecie di illecito alla base della domanda, impresa non agevole stante le modalità, involute e confusionarie, con cui è stato redatto l’atto di citazione introduttivo del giudizio di I grado.

Al fine di facilitare l’operazione interpretativa, è opportuno riportare alcuni passaggi testuali del suddetto atto (l’enfasi è, di volta in volta, aggiunta dallo scrivente).

A p. 2, dopo aver allegato di aver partecipato al progetto di “RAGIONE_SOCIALE” denominato RAGIONE_SOCIALE e al successivo progetto RAGIONE_SOCIALE, con il quale gli era stato riconosciuto un sostegno al reddito durante un percorso di inserimento lavorativo, l’attore ha richiamato la delibera della Giunta regionale n. 690 del 08.10.2010 di approvazione del piano d’azione denominato “RAGIONE_SOCIALE al RAGIONE_SOCIALE”, per poi aggiungere che:
– con tale atto, “venne previsto, a favore dell’istante proprio perché appartenente alla platea Isola/Bros, un piano di azione per il lavoro attraverso tre tipologie di azione:
– 1. sostegno al reddito, – 2. sviluppo dell’occupabilità, – 3. azione di sistema”;
– “il non aver attuati colposamente tali 3 obblighi (obiettivi) qualifica l’azione risarcitoria e/o indennitaria in punto di petitum ex artt. 2 e 3 Cost.”.

Sempre a p. 2 dell’atto di citazione, l’attore ha descritto l’illecito nel seguente modo:

“A fronte di questo reiterato e perseverante comportamento omissivo della durata di circa 10 anni posto in essere dalla si configura un’indiscutibile lesione della legittima aspettativa dell’istante nella qualità di appartenente alla detta platea così come singolarmente individuato dai provvedimenti in esame.

L’istante ha, difatti, inutilmente per circa dieci (10) anni dal 2010 all’ottobre 2019, atteso di vedere attuato:
il sostegno al reddito, lo sviluppo dell’occupabilità, l’azione di sistema (causa petendi).

Sono aver elencato, in maniera confusa, una serie di atti amministrativi che dimostrerebbero la mancata attuazione del piano d’azione per il lavoro (vedi pp. 3, 4 e 5), per giustificare l’attrazione della controversia nell’ambito della giurisdizione ordinaria, l’attore ha precisato che la domanda da lui avanzata ha ad oggetto “non già la lesione di un interesse legittimo pretensivo, bensì una situazione di diritto soggettivo rappresentata dalla conservazione e successivo incremento dell’integrità del patrimonio (borsa formativa) e/o della propria sfera giuridica, pregiudicato/a dalle scelte compiute- la partecipazione ai – confidando sulla legittimità del provvedimento amministrativo/i poi di fatto caducato/i (vedi anche Cass. 6885/19). È mancato difatti dalla delibera 690/2010 e sino, quantomeno all’ottobre 2019, quando si è iniziato a dare attuazione al progetto di manutenzione delle strade regionali sorto, come in precedenza detto, con delibera 394/2018, sia:
1. il sostegno al reddito, sia 2. lo sviluppo dell’occupabilità, sia 3. l’azione di sistema.

Tale enorme lesione del diritto soggettivo dell’istante ex art. 3 Cost. è già provata documentalmente atteso che dopo il 2010 e quantomeno sino all’ottobre 2019 l’istante:
a) non ha ricevuto più alcun sostegno al reddito;
b) non ha ricevuto più alcun sostegno all’occupabilità (essendo rimasto disoccupato come si dimostra dalla sua iscrizione – cfr. all.19-nell’elenco dei disoccupati della platea bros), c) non ha visto attuarsi alcuna azione di sistema efficace nel periodo di riferimento” (cfr. pp. 6 e 7).

Ancora, secondo la costruzione difensiva, “La deliberazione regionale del 2010 ha determinato (alla luce dell’art. 3 della Costituzione) l’insorgere di una specifica obbligazione, dotata di opportuna copertura finanziaria, nei confronti dei soggetti individuati come l’istante.

In sostanza, la favorevole determinazione dell’organo deliberante ha segnato l’apertura di una fase procedimentale diretta alla conclusione dei contratti di avviamento al lavoro.

L’esaurimento della fase di competenza della (delibera 690/2010) ha avviato una sequenza procedimentale finalizzata alla stipula dei contratti di lavoro, che ha determinato l’insorgenza degli specifici doveri di informazione e protezione” (cfr. p. 8).

Infine, il ha chiesto l’accoglimento delle seguenti conclusioni:
“in via del tutto preliminare accertare e dichiarare che l’art. 2 e l’art. 3 della Costituzione impongono alle istituzioni, anche regionali, di farsi carico di garantire il principio di eguaglianza ed accertare e dichiarare applicando in primis l’art. 2 e 3 della Costituzione con norma di equità cd. FORMATIVA e/o sostitutiva fondata sul giudizio intuitivo e non sillogistico, ai sensi e per gli effetti di Cassazione Civile Sez. U. n. 716/1999, che l’istante figura nell’elenco (doc. 19) degli appartenenti alla platea Bros e per l’effetto accertare e dichiarare che è mancato colposamente dalla delibera 690/2010 (08/10/2010) e sino all’ottobre 2019 quando si è iniziato a dare attuazione al progetto di manutenzione delle strade regionali, sia:

1. il sostegno al reddito, sia 2. lo sviluppo dell’occupabilità, sia 3. l’azione di sistema accertando e dichiarando, con pronuncia di sola equità, che tale efficacia di giudicato che non risultano, anche intuitivamente, rimossi nell’arco temporale dedotto in lite, tempestivamente gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dell’istante ne hanno, anche intuitivamente, impedito il pieno sviluppo della persona umana per circa dieci anni e limitandone l’effettiva partecipazione all’organizzazione del Paese con irreparabile danno al suo diritto fondamentale alla eguaglianza ed alla dignità costituente danno patrimoniale e/o non patrimoniale e, per tutto quanto sopra esposto: Condannare con pronuncia normativa di equità cd.
formativa e/o sostitutiva per gli esposti motivi e di cui ai capi che precedono, la persona del suo legale rapp.te p.t.
, al pagamento, anche a titolo risarcitorio ovvero indennitario e di equità, e comunque per i principi informatori sopra dedotti filtrati dall ’ art. 1337 c.c.e/o ex art. 2043 c.c. per danno cd. non patrimoniale e/o patrimoniale, in favore dell’istante della complessiva somma di € 1.099,00 (millenovantanove) oltre interessi dalla domanda”.

§ 2.1.
Orbene, il piano per il lavoro approvato con la delibera 690/2010, oltre a non menzionare affatto i partecipanti ai progetti ISOLA e BROS, aveva una valenza meramente programmatica;
da esso, quindi, non poteva sorgere alcun diritto soggettivo, né alcun tipo di affidamento individuale in capo al. Il piano individuava, in via generale, una serie di azioni, per la cui attuazione era necessaria un’ulteriore attività amministrativa, attraverso la quale le varie misure di intervento ipotizzate sarebbero state via via implementate.

Pertanto, quando si duole della mancata attuazione del piano per circa 9 anni, l’attore lamenta il mancato esercizio dei poteri autoritativi con i quali la avrebbe dovuto dare concretezza alle singole misure previste in sede programmatica.

La causa petendi dell’azione intrapresa non ha quindi ad oggetto la lesione di un inesistente diritto soggettivo, bensì la mancata soddisfazione di un interesse legittimo pretensivo, posto che, secondo la tesi difensiva, il patrimonio dell’attore si sarebbe incrementato laddove il programma fosse stato effettivamente attuato.

Stando così le cose, la giurisdizione non può che appartenere al giudice amministrativo in base all’art. 7, comma 1, del codice del processo amministrativo (d.lgs. n. 104 del 2010), a mente del quale “sono devolute alla giurisdizione amministrativa le controversie, nelle quali si faccia questione di interessi legittimi e, nelle particolari materie indicate dalla legge, di diritti soggettivi, concernenti l’esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo, riguardanti provvedimenti, atti, accordi o comportamenti riconducibili anche mediatamente all’esercizio di tale potere, posti in essere da pubbliche amministrazioni” (l’enfasi è dello scrivente). Inoltre, in base al successivo comma 4, “sono attribuite alla giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo le controversie relative ad atti, provvedimenti o omissioni delle pubbliche amministrazioni, comprese quelle relative al risarcimento del danno per lesione di interessi legittimi e agli altri diritti patrimoniali consequenziali, pure se introdotte in via autonoma”.
al fine di ottenere il risarcimento del danno conseguente all’omesso esercizio, da parte della P.A., del potere autoritativo discrezionale, ai sensi dell’art.7 del d.lgs. n.104 del 2010, rispetto al quale la posizione soggettiva vantata dal privato non assume la natura di diritto soggettivo ma quella di interesse legittimo pretensivo;
in tal caso, infatti, non viene considerazione l’incolpevole affidamento del privato provvedimento amministrativo ampliativo legittimamente annullato in sede di autotutela (con conseguente lesione del diritto soggettivo alla conservazione dell’integrità del patrimonio), e neppure l’affidamento, circa l’emanazione di un provvedimento ampliativo, ingenerato da un comportamento della P.A. che si assume difforme dai canoni di correttezza e buona fede, essendo, al contrario, fondata la pretesa risarcitoria esclusivamente sull’omesso compimento dell’attività provvedimentale necessaria ad evitare l’insorgenza del dedotto pregiudizio” (cfr. Cass., sez. un., 12/11/2021, n. 33851; in senso conforme: Cass., sez. un., 23/11/2022 n. 34555; Cass., sez. un., 31/10/2023, n. 30175).

Né la giurisdizione ordinaria può essere ricondotta all’allegazione secondo cui l’adozione del piano per il lavoro avrebbe “segnato l’apertura di una fase procedimentale diretta alla conclusione dei contratti di avviamento al lavoro”.

Si tratta infatti di una prospettazione difensiva non veritiera, in quanto, lo si ripete, il detto piano aveva una valenza programmatica, restando affidata alla successiva attività amministrativa l’individuazione dei tempi e dei modi attraverso cui dare concretezza alle politiche attive del lavoro in esso delineate.

La giurisdizione ordinaria non può essere ricondotta nemmeno alla fuorviante affermazione dell’attore secondo cui sarebbe stato leso il suo legittimo affidamento, perché la suddetta lesione, secondo la stessa ricostruzione attorea, non discende dall’annullamento in sede di autotutela o giurisdizionale di un atto amministrativo ampliativo della sua sfera giuridica, né discende da una condotta materiale della P.A., posto che nessun contatto sociale qualificato è sorto tra la e il.

È vero che, in alcuni fugaci passaggi della citazione, si fa riferimento alla caducazione o annullamento di “tutte le delibere sopra richiamate” (cfr. p. 6) o alla “revoca parziale dei finanziamenti stanziati a favore dell’attore” (cfr. p. 7), ma si tratta di prospettazioni difensive prive di riscontro fattuale (non risultano finanziamenti specificamente stanziati a favore dell’attore, né annullamenti di bandi a lui rivolti) ed ininfluenti ai fini dell’individuazione della posizione giuridica azionata in giudizio, perché, come in precedenza evidenziato, la fattispecie illecita alla base della domanda riguarda, nella sua sostanza, la mancata adozione di atti amministrativi discrezionali destinati ad attuare il piano per il lavoro, con la conseguenza che la giurisdizione appartiene al giudice amministrativo (vedi la giurisprudenza della Corte di Cassazione in precedenza citata). Nella comparsa di costituzione in appello, il ha elencato nuovamente i vari atti amministrativi n. 690/2010.

Il Giudice di Pace ha dunque errato nel ritenere sussistente la giurisdizione ordinaria sol perché l’attore non aveva impugnato alcun atto amministrativo:
come in precedenza evidenziato, le doglianze del riguardano essenzialmente il mancato esercizio di poteri autoritativi, con conseguente sussistenza della giurisdizione amministrativa ex art. 7 del codice del processo amministrativo.

In conclusione, in accoglimento dell’appello e in riforma della sentenza di I grado, la domanda va dichiarata inammissibile in sede ordinaria, in quanto devoluta alla giurisdizione amministrativa.

Le spese di lite del doppio grado di giudizio seguono la soccombenza e, in mancanza di apposita nota, si liquidano come da dispositivo in base ai parametri stabiliti dal decreto del Ministero della Giustizia n. 55 del 10.03.2014 (come modificati dal d.m. n. 147 del 2022), tenuto conto del valore della controversia (€ 900,00) e dell’attività difensiva in concreto prestata.

Il Tribunale di Napoli, X sez. civile, definitivamente pronunciando, così provvede:
a) in accoglimento dell’appello e in riforma della sentenza del giudice di pace di Napoli n. 4032/2023, dichiara l’inammissibilità della domanda proposta da nei confronti della per difetto di giurisdizione del giudice ordinario ed assegna alle parti il termine di mesi tre dal passaggio in giudicato della presente sentenza per la riassunzione della causa dinanzi al giudice amministrativo;
b) condanna al rimborso delle spese di lite affrontate dalla nel corso del I grado del giudizio, spese liquidate in € 346,00 per compenso del difensore (di cui € 68,00 per la fase di studio, € 68,00 per la fase introduttiva, € 68,00 per la fase di trattazione/istruttoria, € 142,00 per la fase decisoria), oltre rimborso spese generali in misura pari al 15% del compenso e accessori di legge se dovuti;
c) condanna al rimborso delle spese di lite affrontate dalla con riferimento al presente grado del giudizio, spese liquidate in € 64,50 esborsi ed € 600,00 per compenso del difensore (di cui € 150,00 per la fase di studio, € 150,00 per la fase introduttiva, € 100,00 per la fase di trattazione/istruttoria, € 200,00 per la fase decisoria), oltre rimborso spese generali in misura pari al 15% del compenso e accessori di legge se dovuti.
Napoli, 01.07.2024 Il Giudice

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