N. 6276/2018 R.G.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI PERUGIA COGNOME
SEZIONE CIVILE
Il Tribunale di Perugia, in composizione monocratica, nella persona del Giudice Dott. NOME COGNOME ha pronunciato la seguente
SENTENZA N._1179_2024_- N._R.G._00006276_2018 DEL_02_09_2024 PUBBLICATA_IL_03_09_2024
Nella causa iscritta al n. 6276/2018 R.G. tra c.f. , p.i.
rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME e dall’Avv. NOME COGNOME
Opponente CONTRO c.f.
, rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME e dall’Avv. NOME COGNOME
Opposta Conclusioni per l’opponente:
come da note scritte del 16/01/2024.
Conclusioni per l’opposta:
come da note scritte del 09/01/2024.
RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO
1. Le domande delle parti e lo svolgimento del processo agiva in via monitoria nei confronti della ditta allegando di essere sua creditrice in ragione del mancato pagamento dei canoni di concessione dell’esercizio di attività commerciale di emporio/edicola interna al nuovo , stipulata con contratto del 14/11/2011.
Chiedeva dunque la condanna della debitrice al pagamento di € 63.140,51, oltre interessi e spese.
Il Tribunale di Perugia, in accoglimento della domanda, emetteva il decreto ingiuntivo n. C.F. opposizione l’ingiunta, eccependo che il mutamento dell’assetto organizzativo dei servizi offerti dalla struttura ospedaliera aveva determinato una diminuzione del bacino di utenza e, dunque, dei ricavi dell’attività commerciale.
Deduceva, in sintesi, che l’amministrazione concedente, in ragione di ciò, aveva concesso unicamente una proroga dei termini di pagamento, lasciando però invariato il canone, rifiutandosi di rinegoziare il contratto, in violazione della buona fede, e, per contro, pretendendo la prosecuzione dell’attività commerciale.
Eccepiva inoltre l’avvenuto incasso, da parte dell’amministrazione creditrice, della polizza fideiussoria rilasciata da per complessivi € 7.200,00, non conteggiati nella pretesa creditoria.
Chiedeva dunque la revoca del decreto ingiuntivo e il rigetto della domanda di pagamento, o comunque il ricalcolo del dovuto, nonché, via riconvenzionale, la condanna dell’opposta al risarcimento del danno per avere determinato, con la propria condotta illecita, l’insolvenza dell’impresa e la conseguente cessazione dell’attività economica.
Si costituiva l’opposta, contestando l’opposizione e la domanda riconvenzionale, evidenziando in particolare come l’opponente fosse rimasta inadempiente dal marzo 2012 all’aprile 2017.
Assegnati i termini ex art. 183, comma 6, c.p.c., con ordinanza ex art. 127 ter c.p.c. del 21/02/2024 la causa veniva trattenuta in decisione, con assegnazione alle parti dei termini ex art. 190 c.p.c. 2. Sull’inadempimento prevalente Nel caso di specie entrambe le domande si fondano sull’inadempimento della controparte:
la concedente lamenta il mancato pagamento del canone di concessione, mentre la concessionaria lamenta il mancato rispetto, da parte della concessionaria, dell’obbligo di buona fede contrattuale.
A fronte di tale dinamica, trova applicazione il principio di diritto affermato da una consolidata giurisprudenza di legittimità, secondo cui, nei contratti con prestazioni corrispettive, in caso di denuncia di inadempienze reciproche è necessario comparare il comportamento di ambo le parti per stabilire quale di esse, con riferimento ai rispettivi interessi ed alla oggettiva entità degli inadempimenti, si sia resa responsabile delle trasgressioni maggiormente rilevanti ed abbia causato il comportamento della controparte, nonché della conseguente alterazione del sinallagma (cfr. Cass. Civ., n. 13627/2017; Cass. Civ., n. 3455/2020). Nel caso di specie, l’inadempimento dell’opponente è senza dubbio prevalente le parti è stato infatti stipulato, a decorrere dal 01/10/2011 e per sei anni, un contratto di concessione di uno spazio pubblico destinato all’esercizio di attività commerciale, per un corrispettivo annuo di € 12.000,00 oltre Iva, da pagarsi con ratei mensili.
È del tutto pacifico, perché non contestato da parte opponente, il fatto che quest’ultima abbia omesso di pagare il canone fino all’aprile 2017, allorquando cioè la concedente ha invocato la risoluzione del contratto e la concessionaria, in data 10/04/2017, ha riconsegnato i locali oggetto di concessione1.
Il mancato pagamento del canone da parte della concessionaria dapprima nel marzo 2012, ossia a distanza di pochi mesi dall’inizio della decorrenza del contratto, avvenuta in data 01/10/2011, e poi a partire dal maggio 2013 e fino alla risoluzione contrattuale, costituisce un comportamento di assoluta inottemperanza verso gli obblighi contrattuali ed è quindi di per sé idoneo ad alterare gravemente l’equilibrio sinallagmatico, in quanto la concessionaria ha comunque mantenuto la disponibilità dei locali commerciali, con ciò ricevendo la prestazione pattuita nel contratto del 14/11/2011, mentre la concedente non ha ricevuto alcuna controprestazione e ha visto integralmente frustrato il suo interesse alla prestazione pecuniaria. Tale condotta della concessionaria, la cui verificazione è pacifica, è senza dubbio prevalente rispetto alla violazione attribuita alla concedente, consista, secondo la prospettazione di parte opponente, nella omessa rinegoziazione del contratto pur a fronte della diminuzione del bacino di utenza.
Come infatti affermato dalla giurisprudenza di legittimità, sebbene in fattispecie differente, ma concettualmente assimilabile, qualora un conduttore abbia continuato a godere dell’immobile locato, pur in presenza di vizi, non è legittima la sospensione da parte sua del pagamento del canone, perché tale comportamento non sarebbe proporzionale all’inadempimento del locatore (cfr. Cass. Civ., n. 17020/2022).
Applicando il principio al caso di specie, se si afferma, come fa la parte opponente, che la diminuzione del bacino di utenza avrebbe giustificato non solo un differimento dei termini di pagamento ma la diminuzione del canone di concessione, allora ne deriva che un qualche canone, pur diminuito, avrebbe comunque dovuto essere corrisposto, essendo evidente come la disponibilità dello spazio pubblico per l’esercizio di un’attività commerciale non avrebbe potuto essere gratuita.
L’opponente, al contrario, non ha corrisposto alcunché.
Sulla scorta tali considerazioni, anche ove astrattamente si ammettesse la violazione, da parte della concedente, dell’obbligo di rinegoziare il contratto di concessione, una tale violazione sarebbe comunque recessiva rispetto all’inadempimento della concessionaria.
Conseguentemente, a fronte dei principi di diritto sopra menzionati e della valutazione necessariamente unitaria della condotta delle parti, si deve ritenere che l’eccezione di inadempimento sollevata dalla concessionaria opponente sia in ogni caso contraria a buona fede ex art. 1460, comma 2, c.c. (cfr. Cass. Civ., n. 22626/2016), avendo la medesima concessionaria, come detto, tenuto una condotta illecita ben più grave di quella addebitata alla concedente.
Pertanto, l’eccezione di inadempimento sollevata dall’opponente, e con essa il motivo di opposizione basato sulla violazione dell’obbligo di rinegoziazione, deve essere rigettato.
3.
Sul pagamento della polizza fideiussoria L’opponente ha poi eccepito l’avvenuto incasso, da parte della concedente, della polizza fideiussoria rilasciata dalla medesima concedente.
L’eccezione è fondata.
L’art. 22 del contratto del 14/11/2011 dà atto della prestazione, da parte del concessionario, di “apposita cauzione, mediante polizza fideiussoria emessa in data 08/06/2011 da , per l’importo di € 7.200,00 pari al 10% dell’importo del presente contratto”.
È pacifico che tale polizza fideiussoria sia stata escussa da parte della concedente.
La riscossione della somma di € 7.200,00 costituisce, diversamente da quanto affermato dall’opposta, un fatto senza dubbio rilevante rispetto alla pretesa di pagamento, poiché la polizza in questione, diversamente da quella prevista all’art. 23, relativa invece alla responsabilità civile verso terzi, aveva la finalità di garantire, ai sensi dell’art. 22 del contratto, il rispetto “degli impegni assunti con il presente contratto o previsti negli atti da questo richiamati”, con ciò ricomprendendo nella garanzia anche il pagamento del canone.
L’escussione della polizza presso l’assicurazione ha determinato una parziale riscossione del dovuto presso il garante, con conseguente parziale soddisfazione dell’interesse creditorio.
Tale pagamento non può che determinare una decurtazione della prestazione dovuta dalla concessionaria, per l’evidente ragione che, ove la concedente ottenesse l’integrale pagamento del dovuto da parte della concessionaria in aggiunta al pagamento della somma garantita da parte della compagnia assicurativa, essa otterrebbe una somma complessiva finanche ulteriore rispetto a quella rimasta impagata, con evidente ingiustificato arricchimento.resto, l’opponente ha documentato l’esercizio della rivalsa nei suoi confronti da parte dell’assicurazione, che ha ottenuto un decreto ingiuntivo per la riscossione dell’importo pagato in garanzia2.
L’eccezione di pagamento da parte del terzo deve quindi essere accolta, per cui la pretesa creditoria deve essere decurtata di € 7.200,00.
Conseguentemente, essendo incontestata l’entità dei canoni complessivamente rimasti insoluti da parte della concessionaria, pari a € 63.140,15, tale somma va decurtata di € 7.200,00, con un risultato di € 55.940,15.
Il decreto ingiuntivo deve quindi essere revocato e l’opponente va condannata al pagamento della somma inferiore.
4. Sulla domanda riconvenzionale di risarcimento
L’opponente ha proposto domanda riconvenzionale nei confronti dell’opposta, in quanto la condotta scorretta della concedente, che avrebbe negato la rinegoziazione e preteso la continuazione dell’attività economica, avrebbe determinato la cessazione dell’impresa.
La domanda è infondata.
Quanto all’inadempimento attribuito alla concedente, si è già detto sopra circa la sua recessività rispetto all’inadempimento perpetrato dalla concessionaria, e dunque circa l’inopponibilità, ai sensi dell’art. 1460, comma 2, c.c., dell’eccezione di inadempimento.
Va poi osservato che la domanda risarcitoria è sfornita di prova in punto di causalità giuridica ex art. 1223 c.c., non essendo in alcun modo dimostrata una effettiva contrazione dei ricavi imputabile alla variazione del bacino di utenza della struttura sanitaria in cui aveva luogo l’attività economica dell’opponente.
Infatti, il contratto di concessione ha avuto inizio in data 01/10/2011 e non vi è alcuna prova di quali fossero gli effettivi ricavi ottenuti dalla concessionaria prima del momento in cui furono spostati altrove i servizi sanitari e della conseguente diminuzione del bacino di utenza.
In primo luogo, infatti, poiché l’opponente ha allegato che la variazione dell’utenza sarebbe intervenuta dopo “circa un anno” dall’inizio dell’attività3, allora ne consegue che, quanto meno per il primo anno di attività, il bacino di utenza era invariato rispetto al passato, e dunque rispondente alle aspettative contrattuali.
Sennonché, il mancato pagamento del canone ha avuto luogo già nel marzo 2012, e dunque ben prima del decorso di un anno a partire dal 01/10/2011, ciò che evidenzia come l’inadempimento della concessionaria fosse indipendente dal mutamento dell’afflusso di utenza.
In secondo luogo, l’opponente non ha in alcun modo dimostrato l’effettiva contrazione dei ricavi in dipendenza della variazione del bacino di utenza.
La parte opponente ha infatti prodotto le dichiarazioni dei redditi a partire dall’anno d’imposta 20144, laddove tuttavia la decorrenza contrattuale aveva avuto luogo sin dal 01/10/2011, mentre non vi è alcuna documentazione relativa agli anni precedenti al 2014, nonostante, secondo quanto detto sopra, le condizioni di afflusso sarebbero mutate dopo un anno dall’inizio dell’attività, e dunque nel 2012.
È dunque rimasto ignoto quale fosse l’effettivo ricavo nel periodo non documentato e non è quindi possibile affermare, in modo razionale e oggettivamente verificabile, una effettiva variazione dei ricavi causalmente riconducibile alla variazione del bacino di utenza dopo un anno dall’inizio dell’attività, per l’evidente ragione che non è noto quale fosse il ricavo anteriore alla lamentata variazione di afflusso di utenza.
Né sul punto è ammissibile la CTU richiesta da parte opponente, trattandosi della prova dei fatti costituitivi il cui difetto non può essere supplito dall’attività dell’ausiliario (cfr. Cass. Civ., S.U., n. 3086/2022).
Per tale assorbente ragione, che costituisce la ragione più liquida in quanto, anche laddove sussista un danno evento, non sussiste diritto al risarcimento ove manchi un danno- conseguenza (cfr. Cass. Civ., S.U., n. 33645/2022), la domanda risarcitoria riconvenzionale è infondata e va rigettata.
5. Conclusioni e spese In conclusione, l’opposizione deve essere accolta limitatamente alla minore entità del credito, pari a € 55.940,15, oltre interessi legali di mora al tasso ex D.Lgs 231/2002 ratione temporis vigente dalla scadenza al saldo, mentre va rigettata per il resto, unitamente alla domanda riconvenzionale.
Le spese di lite devono essere parzialmente compensate, nei limiti della metà, ricorrendo gravi ed eccezionali ragioni, ai sensi dell’art. 92, comma 2, c.p.c. come risultante all’esito della sentenza n. 77/2018 della Corte Costituzionale, date in particolare dalla parziale fondatezza dell’opposizione in relazione all’entità del credito e dalla condotta processuale dell’opposta, che ha agito in giudizio per la riscossione dell’intera somma nonostante avesse già riscosso la garanzia presso la compagnia assicurativa. Per il resto, le spese seguono la soccombenza sostanziale, ai sensi dell’art. 91 c.p.c., atteso che il credito dell’opposta, sebbene in misura inferiore rispetto a quella dedotta in fase monitoria, è risultato comunque esistente, con conseguente impossibilità di configurare l’opposta come totalmente soccombente (cfr. Cass. Civ., n. 9587/2015).
Il valore della causa è pari a € 55.940,15.
Segue l’applicazione del corrispondente scaglione ex DM 55/2014, tenuto conto della non complessità della causa e dell’assenza di fase monitoria in senso stretto.
Il Tribunale di Perugia, definitivamente pronunciando sulla causa in epigrafe, disattesa ogni diversa domanda o eccezione, così provvede:
In parziale accoglimento dell’opposizione, revoca il decreto ingiuntivo n. 1473/2018 RG 3705/2018 e condanna al pagamento, in favore dell’ , di € 55.940,15, oltre interessi legali di mora al tasso ex D.Lgs 231/2002 ratione temporis vigente dalla scadenza al saldo;
Rigetta la domanda riconvenzionale;
Condanna l’opponente al pagamento delle spese di lite in favore dell’opposta, che si liquidano, già dimidiate della quota compensata, in complessivi € 3.530,00, oltre spese generali al 15%, oneri fiscali e previdenziali come per legge;
Compensa le spese di lite per la restante metà.
Perugia, 02/09/2024 Il Giudice Dott. NOME COGNOME
La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di
Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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