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Codice Civile
Codice Penale

Condominio, manutenzione impianto termico e risarcimento danni

La sentenza conferma la responsabilità del condominio per i danni subiti da due condomine a causa del malfunzionamento dell’impianto di riscaldamento centralizzato. Il condominio, in qualità di custode, è tenuto a rispondere dei danni derivanti da vizi o difetti dell’impianto, a meno che non provi che l’evento dannoso sia dipeso da caso fortuito o forza maggiore. Le condomine danneggiate hanno diritto al risarcimento del danno da mancato godimento dell’immobile, alle spese sostenute per l’acquisto di un impianto di riscaldamento autonomo e alla restituzione delle quote condominiali versate per il servizio non goduto.

Pubblicato il 24 September 2024 in Diritto Civile, Diritto Immobiliare, Giurisprudenza Civile

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

CORTE D’APPELLO DI ROMA V
SEZIONE CIVILE così composta da:
dott.ssa NOME COGNOME Presidente dott.ssa NOME COGNOME Consigliera rel.
dott.ssa NOME COGNOME COGNOME ha emesso la seguente

SENTENZA N._5507_2024_- N._R.G._00006648_2018 DEL_03_09_2024 PUBBLICATA_IL_03_09_2024

Nella causa civile di secondo grado iscritta al numero 6648/2018, posta in deliberazione all’udienza dell’8.02.2024 e vertente TRA , (C.F. in persona dell’amministratore pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOMERAGIONE_SOCIALE. ), presso il cui studio elettivamente domicilia, come da procura alle liti in atti PARTE APPELLANTE CONTRO (C.F. ) e (C.F. ) rappresentate e difese dall’Avv. NOME COGNOMEC.F. ), come da procura alle liti allegata alla comparsa di costituzione in appello PARTE APPELLATA

OGGETTO: Appello avverso la sentenza n. 4441/2018 emessa dal Tribunale di C.F. C.F. C.F. C.F. DI

FATTO E DI DIRITTO

Con sentenza n. 4441/2018 il Tribunale di Roma ha accolto la domanda proposta da e da che, quali comproprietarie dell’unità immobiliare sita al piano settimo, interno INDIRIZZO, scala A, dello stabile ubicato INDIRIZZO, avevano agito nei confronti del Condominio, in persona dell’amministratore pro tempore, per ottenere la condanna al pagamento della somma di € 25.000,00 a titolo di risarcimento dei danni subiti a causa del malfunzionamento dell’impianto di riscaldamento centralizzato, e ha condannato il convenuto alla rifusione delle spese. Avverso la citata sentenza il INDIRIZZO ha proposto appello e ha chiesto l’accoglimento delle conclusioni che seguono:
“Voglia l’Ill.ma Corte d’Appello adita, ogni contraria istanza ed eccezione disattesa, in riforma integrale della sentenza di primo grado:
– IN VIA PRINCIPALE E NEL MERITO: accogliere, per i motivi tutti dedotti in narrativa il proposto appello e, per l’effetto, in riforma della sentenza del Tribunale Civile di Roma, Sezione V, Giudice Dott. COGNOME, n.4441 del 21.02.2018, pubblicata in data 01.03.2018, Rg. 43635/2010, accogliere tutte le conclusioni avanzate in prime cure che qui si riportano:
a) in via principale, rigettare le domande attoree, in quanto totalmente infondate in fatto ed in diritto e comunque non provate;
b) in via riconvenzionale, accertare e dichiarare definitivamente che la soluzione tecnica di cui all’ordinanza del Tribunale medesimo (Sez. VII, R.G. n.87177/2008) e quindi di cui alla ivi richiamata consulenza tecnica d’ufficio, con particolare riferimento all’integrazione a chiarimenti del 18.2.2010, è oggettivamente nella fattispecie inattuabile.
c) in via subordinata, ridurre gli importi eventualmente riconosciuti come spettanti alle attrici nella misura ritenuta di giustizia e conseguentemente disattendere tutte le eccezioni e le istanze sollevate dalle appellate dinanzi al Tribunale per tutti i motivi meglio esposti in narrativa;
Con vittoria di spese e compensi oltre il rimborso forfettario per Instaurato il contraddittorio, si sono costituite che hanno contestato la fondatezza del gravame, di cui hanno chiesto il rigetto, con il riconoscimento delle spese.

La causa è stata riservata ex art. 127 ter c.p.c. in decisione alla scadenza del termine stabilito per le note sostitutive dell’udienza di trattazione scritta dell’8.02.2024, con concessione dei termini di cui all’art. 190 c.p.c. Per quanto attiene alla ricostruzione della vicenda si rinvia per relationem all’impugnata sentenza.

Il presente giudizio è stato preceduto dal procedimento promosso ai sensi dell’art. 700 c.p.c. da per porre riparo al malfunzionamento dell’impianto di riscaldamento centralizzato e conclusosi con l’ordinanza emessa in data 21 marzo 2010, con la quale il Tribunale di Roma ha condannato il all’esecuzione degli interventi di riparazione;
a seguito della mancata sistemazione dell’impianto, le attrici hanno agito nella presente sede – in via autonoma rispetto al precedente giudizio d’urgenza – al fine di ottenere il ristoro dei danni patiti, consistenti nella spesa sostenuta per acquistare un apparecchio a pompa di calore, nei consumi inutilmente versati e nel ridotto godimento dell’immobile.

Il Tribunale ha accolto la domanda, ravvisandone la fondatezza sulla base delle consulenze tecniche d’ufficio svolte sia nella precedente sede cautelare che nel giudizio di primo grado, e ha condannato il al pagamento della somma complessiva di € 25.000,00 a titolo di danni.

L’appello non è fondato e deve essere respinto.

La prima doglianza rubricata “sull’esatta individuazione delle cause del malfunzionamento dell’impianto di riscaldamento centralizzato e sulle altre carenze della Ctu” va disattesa.

Con tale censura, che si sostanzia nella contestazione delle risultanze della consulenza tecnica espletata dall’Arch. designata quale C.T.U. nel è stata lacunosa, in quanto fondata sulle risultanze di una precedente consulenza elaborata in sede cautelare dall’Ing.
, e, dunque, inidonea ad accertare l’effettiva causa del malfunzionamento dell’impianto di riscaldamento centralizzato.

In realtà, dall’esame della copiosa documentazione allegata in atti e, in particolare, dalle consulenze tecniche d’ufficio redatte dall’Ing. e dall’Arch. – rispettivamente – nel precedente procedimento cautelare e nel presente giudizio, emerge la prova sia dell’effettivo malfunzionamento del sistema di distribuzione del calore all’interno dell’appartamento delle appellate che delle relative cause.

In particolare, le cause del malfunzionamento sono state individuate nell’eliminazione della rete d’aria originaria dell’impianto di riscaldamento centralizzato condominiale precedentemente disposta con provvedimento giudiziale, a definizione di un ulteriore giudizio instaurato nel 2000 da un altro condòmino (proprietario dell’unità abitativa posta all’ottavo ed ultimo piano dell’edificio, ossia di quello soprastante rispetto all’immobile delle attrici) – nei confronti del per danni derivati dalle tubature obsolete dell’impianto stesso.

La rete d’aria originaria dell’impianto di riscaldamento è stata, in seguito, sostituita dal mediante il montaggio di valvole di sfogo sui termosifoni dell’ultimo piano e poi su quelli degli appartamenti costituenti il complesso condominiale ai fini dell’espletamento delle operazioni di spurgo.

Successivamente il citato condòmino (estraneo al presente contenzioso) ha ottenuto dall’assemblea l’autorizzazione al distacco dall’impianto di riscaldamento centralizzato e, per effetto della conseguente dotazione di un impianto di riscaldamento autonomo, il sottostante appartamento delle appellate è divenuto l’ultimo piano dell’edificio alimentato dal riscaldamento centralizzato, con tutte le prevedibili conseguenze che ne sono derivate.

Dalla consulenza tecnica dell’Arch. è emerso, infatti, che “la della parte attrice, è l’aria che si genera all’interno dell’impianto che, successivamente all’eliminazione della rete d’aria originale, non riesce più a spurgare dall’impianto…” provocando il raffreddamento dei caloriferi in quanto “… gli interventi che sono stati realizzati sull’impianto centralizzato, a cominciare dall’eliminazione della rete d’aria e all’installazione delle valvole di sfogo sui radiatori non hanno tenuto conto della tipologia e della tipicità dell’impianto preesistente”.

Lo stesso Ing. designato quale C.T.U. in sede cautelare, ha constatato che “il fluido termovettore (acqua) dell’impianto di riscaldamento centralizzato condominiale alimenta con difficoltà gli elementi radianti dell’int. 21/A (ossia delle unità immobiliari delle ricorrenti) a causa di sacche di aria che si formano a quota altimetrica superiore a quella dei radiatori e che rimangono intrappolate all’interno delle tubazioni”.

Dalle risultanze suindicate è emerso, quindi, che la mancata erogazione del calore lamentata dalle appellate all’interno dell’unità abitativa di loro proprietà, peraltro non contestata dal appellante, va ascritta al malfunzionamento dell’impianto centralizzato condominiale così come accertato dalla CTU Arch. che nell’elaborato peritale ha conclusivamente affermato che “non vi è dubbio alcuno sul fatto che le cause del malfunzionamento siano ascrivibili a parti condominiali”.

Ebbene, costituendo l’impianto di riscaldamento centralizzato un bene comune dell’edificio ai sensi dell’art. 1117 c.c. il , quale custode, è responsabile ex art. 2051 c.c. per l’inconveniente lamentato dalle parti appellate e, all’esito dell’accertamento che le cause del malfunzionamento dell’impianto di riscaldamento sono da ricondurre a pregressi interventi eseguiti dall’appellante, deve escludersi l’assunto secondo cui le condòmine avrebbero concorso alla verificazione dei danni lamentati.

La seconda doglianza rubricata “sull’inapplicabilità dell’ordinanza del detto, il appellante non ha contestato la sussistenza del malfunzionamento dell’impianto di riscaldamento centralizzato oggetto della pretesa risarcitoria delle parti appellate, bensì ha ritenuto che le cause non fossero state correttamente individuate e che l’ordinanza cautelare, con la quale il Tribunale di Roma – a conclusione del già citato precedente giudizio ex art. 700 c.p.c. instaurato dalle parti appellate – lo aveva condannato a realizzare una sotto rete d’aria, non fosse suscettibile di esecuzione. Ebbene, come condivisibilmente specificato dal giudice di prime cure, il provvedimento cautelare ottenuto dalle ricorrenti ha soddisfatto interamente la pretesa avanzata, cosicché le stesse non avevano l’onere di intraprendere il giudizio di merito, ben potendo agire separatamente (in una sede del tutto autonoma rispetto a quella cautelare) al fine di ottenere il risarcimento dei danni derivati dal malfunzionamento dell’impianto di riscaldamento centralizzato.

Il Condominio, invece, avrebbe dovuto sollevare tutte le doglianze attinenti al contenuto del provvedimento cautelare, alla sua presunta impossibilità di esecuzione e/o all’individuazione delle eventuali diverse modalità operative di ripristino dell’impianto termico nella sede cautelare, utilizzando gli strumenti giuridici previsti dalla legge, ossia il reclamo dinanzi al Collegio ai sensi dell’art. 669 terdecies c.p.c. ovvero l’instaurazione nel termine di legge del giudizio di merito ove far valere le proprie ragioni. Pertanto, le doglianze afferenti al contenuto dell’ordinanza d’urgenza e all’asserita impossibilità di esecuzione esulano dal presente giudizio e potranno piuttosto trovare ingresso nella fase esecutiva, peraltro pendente, del provvedimento ex art. 700 c.p.c..

La terza censura, rubricata “sull’erronea determinazione del danno e sull’onere della prova”, va anch’essa disattesa.

Accertata la sussistenza del malfunzionamento dell’impianto centralizzato di riscaldamento, la quantificazione dei danni effettuata dal giudice di prime cure, alla criteri di calcolo che non vi è motivo di disattendere, merita piena condivisione, con riguardo ai vari profili lamentati, ossia al godimento parziale dell’immobile, alle quote condominiali versate per i consumi non fruiti dell’impianto termico centralizzato e, infine, alle spese di acquisto di sistemi di riscaldamento alternativi.

In particolare, l’individuazione del dies a quo nella data 22.11.2007 – allorché le appellate hanno lamentato il malfunzionamento dell’impianto – merita condivisione atteso che le doglianze hanno trovato, poi, piena conferma in sede cautelare;
la mancata fruizione di parte del servizio di riscaldamento ha determinato il godimento parziale dell’immobile, inteso quale lesione del diritto al pieno utilizzo dell’appartamento nei mesi invernali, e la relativa quantificazione è stata correttamente ancorata alla percentuale del valore locativo dell’immobile per il tempo trascorso dal predetto dies a quo, pari a 10 anni ( € 1.894.86 all’anno x 10 = € 18.984,86).

Per quanto riguarda, invece, la quota condominiale relativa ai contributi imputabili ai consumi dell’impianto di riscaldamento centralizzato, si sottolinea come – nonostante i vari interventi tecnici operati nell’unità abitativa delle appellate consistenti nello smontaggio e nelle operazioni di spurgo dei termosifoni – anche nel pieno funzionamento dell’impianto della caldaia centralizzata i caloriferi non hanno comunque erogato calore, come del resto acclarato nelle consulenze tecniche d’ufficio, e dunque le appellate hanno diritto a ripetere le quote percentuali dei consumi per un servizio di cui sostanzialmente non hanno usufruito, nella misura complessiva pari per il periodo suindicato a € 5.400,00. Al riguardo, non può essere condiviso l’assunto sostenuto dal ordine alla natura contrattuale del rapporto che intercorre con i condomini, atteso che la fattispecie in esame rientra nella responsabilità extracontrattuale di cui all’art. 2051 c.c. e il , quale custode del bene comune, non può pretendere il pagamento dei consumi di un servizio non erogato per causa allo stesso imputabile, è stata, infine, accordata la parziale restituzione della spesa sostenuta per l’acquisto di sistemi alternativi al riscaldamento centralizzato, ossia per l’installazione di una pompa di calore; la circostanza che l’apparecchio sia rimasto nel godimento delle appellate non dà luogo al dedotto ingiustificato arricchimento poiché il Tribunale ha quantificato l’importo spettante alle condòmine riconoscendo in concreto poco più della metà della spesa sostenuta per l’acquisto, ossia € 615,14 a fronte di un esborso di € 1.200,00.

L’appello va, quindi, respinto.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo nella misura tariffaria minima, in relazione alla corrispondente complessità della controversia e alle questioni trattate, con esclusione della fase trattazione/istruttoria, in quanto la prima è consistita in meri rinvii e la seconda non si è tenuta affatto.

Sussistono i presupposti di cui all’art. 13, comma 1-quater, DPR 115/2002 per il versamento dell’ulteriore contributo unificato previsto dall’art. 1, comma 17, della L. 228/2012 a carico della parte appellante.

La Corte, definitivamente pronunciando, ogni altra contraria istanza disattesa, così provvede:
1) rigetta l’appello;
2) condanna la parte appellante alla rifusione in favore della parte appellata delle spese del grado, che liquida in complessivi € 1.984,00 oltre accessori di legge e spese generali nella misura forfettaria del 15%;
3) Dà atto che per effetto della odierna decisione sussistono i presupposti di cui all’art. 13, comma 1-quater, DPR 115/2002 per il versamento dell’ulteriore contributo unificato previsto dall’art. 1, comma 17, della L. 228/2012 a carico della parte appellante.
Roma, così deciso nella camera di consiglio del 31 luglio 2024 La Consigliera est. La Presidente

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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