REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE D’APPELLO DI ROMA
SEZ. VIII° CIVILE – II° Collegio così composta:
dott.ssa NOME COGNOME Presidente dott. NOME COGNOME Consigliere rel.
dott.ssa NOME COGNOME Consigliere ha pronunziato e pubblicato la seguente
S e n t e n z a N._5496_2024_- N._R.G._00003969_2019 DEL_02_09_2024 PUBBLICATA_IL_02_09_2024
nella causa civile di II grado iscritta al n. 3969 del ruolo generale per gli affari contenziosi dell’anno 2019, trattenuta in decisione all’udienza di discussione del 14/3/2024, vertente tra , elettivamente domiciliata in Latina, INDIRIZZO presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME che la rappresenta e difende in virtù di procura in atti;
Appellante con sede in Cerignola, in persona del legale rappresentante , elettivamente domiciliati in Aprilia (LT) INDIRIZZO presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME e rappresentata e difesa dagli Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME, in virtù di procura in atti;
Appellata
Oggetto: declaratoria di acquisto in buona fede di beni mobili registrati.
Conclusioni:
come da scritti difensivi.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione regolarmente notificato, l’ (nel prosieguo, “ ”), esercente attività di commercio di autoveicoli, adiva il Tribunale di Latina assumendo che aveva acquistato dal sig.
-con il quale intratteneva rapporti commerciali- l’autovettura TARGA_VEICOLO targata TARGA_VEICOLO al prezzo di Euro 20.000,00, di cui 16.000,00 versati a mezzo di assegno circolare non trasferibile (n. NUMERO_DOCUMENTO) emesso il 31/1/2011, tratto sul Banco di Napoli S.p.a. ed intestato al sig. ed Euro 4.000,00 pagati in contanti.
Il 27/10/2011 detta autovettura era stata sottoposta a sequestro preventivo da parte della Procura della Repubblica di Pescara, perché oggetto di truffa e ricettazione.
In data 18/11/2011, la Procura della Repubblica aveva revocato detto decreto, disponendo la restituzione del mezzo alla sig.ra quale sua proprietaria;
quindi, a seguito di reclamo da parte del sig, , legale rappresentante della società e preteso acquirente di buona fede in quanto vittima di artifizi e raggiri posti in essere dal sig.
(nei cui confronti egli aveva presentato apposita denunzia-querela), il Tribunale di Pescara accoglieva l’impugnazione, mantenendo comunque il sequestro dell’autovettura e rimettendo le parti dinanzi al giudice civile affinché fosse risolta la controversia sulla proprietà del mezzo.
Pertanto, l’ aveva deciso di adire il Tribunale di Latina nei confronti della sig.ra e, nel ribadire le suddette circostanze, concludeva chiedendo affinché, previo accertamento della propria buona fede, fosse dichiarato l’avvenuto acquisto, in proprio favore, del diritto di proprietà sull’autovettura in questione.
Costituitasi in giudizio, la sig.ra sosteneva di essere stata vittima di una truffa, in quanto in precedenza aveva venduto la vettura oggetto di causa al sig. che aveva provveduto al pagamento del relativo prezzo, concordato in Euro 31.500,00, mediante la consegna di alcuni assegni che poi erano risultato falsi;
pertanto concludeva chiedendo il rigetto della domanda dell’ , avanzata “in perfetta malafede e, annullati tutti gli atti di compravendita, in quanto frutto di reati e stipulati in mala fede”, che fosse immediatamente ordinata la restituzione dell’autovettura in proprio favore, “riconoscendo e dichiarando, in via riconvenzionale”, che lei stessa era la “unica proprietaria del mezzo, disponendo la cancellazione delle trascrizioni al PRA che intestano il mezzo al e al e quindi la cancellazione dell’intestazione alla odierna parte attrice, condannando quest’ultima al risarcimento del danno”; inoltre la convenuta insisteva per la sospensione del processo ai sensi dell’art. 295 c.p.c., in attesa della definizione del giudizio penale per i reati di truffa e ricettazione, nel quale risultavano imputati sia suo avente causa, sia i successivi acquirenti del mezzo, e lo stesso ’esito dell’istruttoria, nel corso della quale venivano anche escussi i testimoni addotti dalle parti, il Tribunale, con sentenza n. 2911/2018, accoglieva la domanda della , anche in ragione dell’intervenuta pronunzia, nelle more del giudizio, della sentenza penale che aveva assolto il sig. dal reato ascrittogli, disponendo la restituzione in suo favore dell’autovettura oggetto di sequestro;
per l’effetto, dichiarava la proprietaria dell’autoveicolo, dichiarava inammissibile la domanda di restituzione dell’autovettura avanzata dalla convenuta e respingeva nel merito la domanda riconvenzionale, condannando quest’ultima alla rifusione delle spese processuali.
Il giudice, da un lato, riteneva che la sig.ra in quanto vittima di una truffa da parte del sig. avrebbe dovuto proporre domanda di annullamento del contratto di compravendita nei confronti di quest’ultimo, oppure chiedere la risoluzione del contratto per inadempimento, stante il mancato pagamento del prezzo pattuito;
pertanto, dopo aver evidenziato che nessuna di tali domande era stata proposta dalla convenuta, sottolineava che l’annullabilità del contratto di compravendita intercorso con il sig. non avrebbe potuto neanche essere fatta valere in via di eccezione nei confronti della , stante la natura costitutiva della relativa pronunzia e, quindi, la validità del contratto sino ad un’eventuale sentenza di annullamento (o di risoluzione).
Inoltre, il Tribunale, dopo aver rilevato che l’ aveva dimostrato di aver effettivamente versato il prezzo pattuito al sig.
sicché poteva ritenersi formato un consenso di entrambe le parti volto al trasferimento del diritto di proprietà sul mezzo ex art. 1376 c.c.), e che non era mai stata neanche adombrata una simulazione di tale negozio, evidenziava che tutti i passaggi di proprietà della vettura erano stati regolarmente iscritti nel P.R.A., sicché sussisteva una prova presuntiva circa l’appartenenza del veicolo in capo alla , prova che, pur essendo superabile con qualsiasi mezzo, anche testimoniale, non era stata vinta;
a ciò, poi, doveva aggiungersi che la sig.ra che si era limitata a dedurre che il sig. fosse stato partecipe o, comunque, a conoscenza della truffa da lei subita, non aveva proposto azione di annullamento del contratto da lei stipulato con il sig. con conseguente preclusione anche della possibilità di avvalersi, quale soggetto terzo rispetto agli ulteriori negozi di cessione, del disposto di cui all’art. 1445 c.c., ove se ne fossero verificati i presupposti.
Con atto di citazione regolarmente notificato, la sig.ra proponeva appello avverso la pronuncia del Tribunale di Latina, deducendo quattro distinti motivi di gravame.
In primo luogo, l’appellante lamentava la nullità della sentenza impugnata per violazione del contraddittorio e per l’omessa citazione dei litisconsorti necessari, non avendo l chiamato in giudizio il suo dante causa, , primo degli acquirenti, con conseguente violazione degli artt. 102 e/o 107 c.p.c. “sia per la domanda principale il secondo motivo di appello, la sig.ra lamentava l’omessa pronuncia del Tribunale sulla questione principale della causa, costituita dal diritto alla restituzione dell’autovettura, sostenendo che comunque l’“aspetto della proprietà controversa” era superato dal fatto che l non aveva dato alcuna prova di aver acquistato in buona fede, né di aver effettuato il pagamento della vettura. Con il terzo motivo di gravame, poi, l’appellante lamentava l’errata valutazione della domanda riconvenzionale, in quanto, a suo dire, l’espressione incidentale contenuta nella sua comparsa di risposta (“annullati tutti gli atti di compravendita perché frutto di reati e stipulati in mala fede” implicava necessariamente l’integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri acquirenti (“e cioè ), esigenza a cui il Tribunale non aveva provveduto, senza rendersi peraltro conto che anche la aveva convenuto in giudizio solo l’odierna appellante. Infine, con l’ultimo motivo di appello, la sig.ra si doleva anche per la condanna alle spese, ritenendo non sussistente il principio di soccombenza in quanto il giudizio, a suo dire, era stato incardinato contro un soggetto che sarebbe dovuto rimanere estraneo al processo.
Tutto ciò premesso, l’appellante concludeva chiedendo, in via principale, la declaratoria della nullità dell’impugnata sentenza per violazione dell’art. 102 c.p.c., essendo stati pretermessi “soggetti litisconsorti necessari”;
inoltre, in via subordinata, chiedeva la totale riforma dell’impugnata sentenza e, per l’effetto, il rigetto della domanda originariamente proposta dalla , con condanna di quest’ultima al risarcimento del danno ed alla rifusione delle spese processuali per entrambi i gradi di giudizio;
infine, per il caso in cui fosse stato rigettato l’appello, chiedeva che le spese di lite fossero liquidate in misura pari al minimo tariffario.
Costituitasi in giudizio, la RAGIONE_SOCIALE in via preliminare, eccepiva l’inammissibilità del gravame per l’asserita violazione del disposto dell’art. 342 c.p.c., nuova formulazione;
inoltre, nel merito, chiedeva il rigetto del gravame, con condanna dell’appellante al pagamento delle spese del grado.
All’udienza del 14.03.2024, dopo la precisazione delle conclusioni, la causa era trattenuta in decisione, con assegnazione dei termini di cui all’art.190 c.p.c. per il deposito delle memorie conclusionali e di replica.
MOTIVI DELLA DECISIONE
deve essere disattesa l’eccezione di inammissibilità dell’appello sollevata dall’ ai sensi dell’art. 342 c.p.c., nuova formulazione.
Infatti, dall’esame dell’appello si possono evincere non solo le specifiche censure che la sig.ra ha inteso muovere nei confronti dell’impugnata sentenza, sia sotto il profilo dell’operata ricostruzione dei fatti, sia sotto il profilo della relativa valutazione giuridica, ma anche le argomentazioni giuridiche che l’appellante ha inteso contrapporre a quelle poste dal giudicante di prime cure a fondamento della decisione.
Nel merito, i primi tre motivi di appello, stante la loro stretta connessione, possono essere trattati congiuntamente.
In relazione al preteso difetto di contraddittorio, è sufficiente osservare che la domanda proposta in primo grado dall’ era stata formulata esclusivamente nei confronti della sig.ra unico soggetto che, assumendo di essere stata vittima di una truffa, contestava l’avvenuta restituzione dell’autovettura alla società attrice, assumendo, al contrario, di esserne l’unica proprietaria;
pertanto, essendo la vertenza in essere unicamente tra la e la sig.ra la società attrice, che poteva anche avvalersi delle risultanze delle iscrizioni al P.R.A. “medio tempore” intervenute, non aveva alcun interesse a convenire in giudizio né il suo diretto dante causa , né il dante causa di costui, non avendo alcuna ragione per far dichiarare l’annullamento e/o la nullità dei contratti di compravendita intermedi, essendo mossa unicamente a far accertare, in proprio favore, l’avvenuto acquisto in buona fede della vettura oggetto di causa. Ne conseguiva che, se del caso, sarebbe stata la sig.ra a dover chiedere l’integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri soggetti.
Sul punto giova osservare che, al contrario, la convenuta, nel costituirsi in giudizio, dopo aver inizialmente contestato la fondatezza della domanda della e dopo aver inserito il generico inciso “annullati tutti gli atti di compravendita perché frutto di reati e stipulati in mala fede”, in via riconvenzionale si limitò a chiedere solo l’accertamento del suo diritto di proprietà sull’autovettura e il risarcimento dei danni, con la conseguenza che va condivisa la valutazione del Tribunale (peraltro neanche espressamente contestata dall’appellante con il presente gravame) secondo cui la sig.ra non propose mai una rituale domanda riconvenzionale volta all’annullamento del contratto di compravendita intercorso tra lei ed il suo avente causa, sig. a ciò, poi, aggiungasi che detta domanda non avrebbe mai potuta essere da lei proposta nei confronti dei successivi aventi causa, rivestendo ella la qualità di soggetto terzo, mentre l’art. 1427 c.c. riserva espressamente tale possibilità solo alla parte contraente.
, deve essere condivisa la valutazione effettuata dal giudicante di prime cure, che ha affermato che, ove correttamente proposta, la domanda di annullamento avrebbe dovuto essere posta in via riconvenzionale dalla sig.ra nei confronti del sig.
(anche in vista della possibilità di avvalersi, ove si fossero verificati i presupposti, della previsione di cui all’art. 1445 c.c.);
il che, invece, non è avvenuto.
Ne consegue che, in ragione dell’originaria impostazione della lite e delle contrapposte domande formulate da entrambe le parti, la partecipazione al giudizio dei sigg.
non era necessaria ai fini del decidere, mentre l’eventuale estensione del contraddittorio nei confronti di costoro doveva reputarsi rimessa unicamente alle valutazioni della convenuta che, al contrario, non intese mai formulare alcuna domanda in tal senso, né chiedere alcuna autorizzazione al giudicante per la loro chiamata in giudizio.
Riguardo, poi, alla pretesa omessa pronuncia del Tribunale sul diritto alla restituzione dell’autovettura, è sufficiente osservare che, atteso l’avvenuto riconoscimento del diritto di proprietà in capo alla , la restituzione dell’autovettura non può che seguire il “decisum”, con conseguente integrale conferma di quanto già disposto sulla restituzione da parte del Tribunale penale.
Pertanto, alla luce anche di quanto emerso in sede penale, deve ritenersi che l che ha dimostrato -sia in via documentale, sia in via testimoniale (vedi la deposizione del teste , della cui genuinità non vi è motivo di dubitare)- di aver versato al sig.
prezzo per l’acquisto dell’autovettura (peraltro in misura congrua, tenuto conto dei valori medi di mercato stabiliti dalle riviste specializzate di settore per tale tipologia di vettura usata), abbia dato effettivamente prova di aver acquistato in buona fede, sicché la sentenza di primo grado, anche alla luce della regolarità delle iscrizioni succedutesi nel tempo, merita di essere confermata.
Per quanto concerne, infine, l’ultimo motivo di censura, con il quale la sig.ra ha lamentato l’erronea sua condanna alla rifusione delle spese processuali, esso è infondato, tenuto conto che ha regolarmente incardinato il giudizio nei confronti dell’effettiva resistente, che è risultata pienamente soccombente.
Da quanto premesso deriva che l’appello, totalmente infondato, deve essere rigettato.
La domanda di risarcimento danni reiterata dall’appellante in questo grado di giudizio, ovviamente, deve intendersi assorbita nel rigetto dello spiegato gravame.
Le spese del grado seguono la soccombenza e, stante la non particolare difficoltà delle questioni giuridiche affrontate, sono liquidate nel minimo, come da dispositivo.
di causa iscritta a ruolo successivamente al 31/01/2013, occorre dare atto che sussistono i presupposti di cui all’art. 13, comma 1 quater del d. P. R. n. 115/2002, come introdotto dall’art. 1, comma 17, L. n. 228/2012, per il versamento, da parte dell’appellante, dell’ulteriore importo indicato nella citata disposizione a titolo di contributo unificato.
La Corte rigetta l’appello proposto da nei confronti della avverso la sentenza del Tribunale di Latina n. 2911/2018, che conferma;
condanna al pagamento, in favore dell delle spese del grado di appello, che vengono liquidate in Euro 150,00 per esborsi e in Euro 2.906,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge;
dà atto della sussistenza dei presupposti di cui all’art. 13, comma 1 quater del d. P. R. n. 115/2002, come introdotto dall’art.1, comma 17, L. n. 228/2012, per il versamento, da parte dell’appellante, dell’ulteriore importo indicato nella citata disposizione a titolo di contributo unificato.
Così deciso in Roma, lì 25/7/2024 Il Consigliere est. Dott. NOME COGNOME Il Presidente Dott.ssa NOME COGNOME
La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di
Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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