Tribunale di SPOLETO
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
In composizione monocratica nella persona del giudice ha pronunciato la seguente
SENTENZA n. 784/2019 pubblicata il 16/10/2019
nel procedimento iscritto al n. /2016 RG
TRA
XXX S.p.A. (C.F./P.I.), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, congiuntamente e disgiuntamente tra loro, dagli avv.ti ed elettivamente domiciliata in presso lo studio dell’avv., giusta procura speciale a margine del ricorso introduttivo;
RICORRENTE
E
Comune di YYY (C.F.), in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in presso rappresentato e difeso dall’Avv., in virtù di procura rilasciata nelle forme di cui all’art. 83 c.p.c., giusto Decreto Sindacale n. e Decreto Dirigenziale n., in atti;
RESISTENTE OGGETTO: Contratto atipico
Conclusioni di parte ricorrente: “In via preliminare:
DISPORRE il richiamo del CTU affinché acquisiti i documenti dallo stesso ritenuti necessari ed elencati nell’elaborato depositato proceda ad una più esauriente ed approfondita risposta al quesito rivoltogli all’udienza del 23.01.2018.
Nel merito ACCERTARE E DICHIARARE il diritto di XXX SpA al rimborso della somma di € 963.876,76 per le motivazioni descritte negli scritti difensivi e, per l’effetto CONDANNARE il Comune di YYY, in persona del Sindaco p.t., al pagamento in favore di XXX SpA della somma di € 963.876,76, ovvero in quella che sarà ritenuta di giustizia, oltre agli interessi legali dal dovuto al saldo.
Con vittoria di spese e compensi del presente giudizio”;
Conclusioni di parte resistente: come da comparsa di costituzione e risposta.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso ex art. 702bis ritualmente notificato unitamente al decreto di fissazione udienza la XXX S.p.A. (d’ora in avanti anche solo “XXX”) ha convenuto dinanzi a questo giudice il Comune di YYY per la condanna dello stesso al pagamento di quanto dovuto in virtù di un contratto con il quale il resistente concedeva alla ricorrente la gestione dei parcheggi a pagamento della città di YYY.
In particolare, la resistente ha esposto di aver concluso nel 1991 (all’epoca la ***, poi incorporata) con l’ente locale un contratto per la gestione dei parcheggi a pagamento della durata di anni 15, poi seguito da ulteriori modifiche e ampliamenti dell’oggetto contrattuale; per quanto di interesse, nel 28/05/2007, veniva concessa alla *** la gestione del sistema di mobilità alternativa, dalla quale avrebbe dovuto ricavare le risorse per il rimborso dei finanziamenti contratti per il potenziamento del medesimo. Nello specifico, si prevedeva un canone di concessione pari al 20% dei ricavi e comunque garantito per un importo minimo di euro 300.000,00; tale canone comprendeva il pagamento delle imposte comunali. Tuttavia si esentava la *** dal pagamento del canone per l’anno 2007. Con successiva scrittura del 09/04/2008 l’esenzione si estendeva anche per l’annualità 2008. Infine, con scrittura del 06/07/2010, l’esenzione si estendeva anche alle annualità 2009 e 2010, e il canone veniva abolito a partire dal 01/01/2011; inoltre, il Comune assumeva l’obbligo di rimborsare l’eventuale disavanzo di gestione conseguito dalla concessionaria.
Alla luce di tale accordo, la XXX (che nelle more aveva incorporato la ***) chiedeva il rimborso del disavanzo per l’anno 2010, pari a complessivi euro 435.363,78; del disavanzo per l’anno 2007, pari a euro 137.931,82, oltre a quanto corrisposto a titolo di imposte comunali, pari ad euro 164.654,00; delle imposte comunali per le annualità 2008 e 2009, pari rispettivamente ad euro 119.942,00 e 125.728,00.
La ricorrente ha evidenziato, inoltre, che il Comune, in un primo momento aveva liquidato tali some con 5 distinti mandati di pagamento nel 2013 per la somma complessiva, esatta, di euro 963.876,76, ma successivamente aveva trasferito tale pagamento su altra causale (acconto per disavanzo 2011 e 2012), con l’accordo della creditrice come da scrittura privata del 08/11/2013. Tale atto, in ogni caso, avrebbe rappresentato una ricognizione di debito.
Pertanto, rimasta impagata la somma relativa alle annualità 2007, 2008, 2009 e 2010 di cui sopra, la ricorrente ha chiesto la condanna del resistente al pagamento integrale di tali somme nei propri confronti. Si è costituito il Comune di YYY, evidenziando l’insussistenza dell’obbligo di rimborso dei disavanzi precedenti al 2011, in quanto la scrittura privata del luglio 2010 avrebbe avuto efficacia solo dal 01/01/2011; inoltre, ha anche contestato la richiesta di rimborso di quanto versato a titolo di imposte comunali in quanto non vi era accordo alcuno che prevedesse l’esenzione della ricorrente dal pagamento delle medesime. Nel merito delle richieste, ha altresì evidenziato come non vi fosse prova dei disavanzi relativi agli anni 2010 e 2007, né gli atti menzionati dalla ricorrente potrebbero qualificarsi quali ricognizioni di debito.
All’esito della prima udienza, il precedente istruttore ha disposto il mutamento del rito fissando la prima udienza per la comparizione delle parti; concessi i termini ex art. 183 co. 6 c.p.c., la causa è stata istruita mediante espletamento di c.t.u. contabile. Ritenuta la causa matura per la decisione, la stessa è stata rinviata per la precisazione delle conclusioni, tenutasi infine all’udienza del 13/06/2019; all’esito, della stessa, in cui i procuratori delle parti hanno precisato le conclusioni come sopra specificato, la causa è stata trattenuta in decisione, con concessione alle parti del termine ordinario per il deposito degli scritti conclusivi ex art. 190 c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
Non essendo state sollevate questioni preliminari, occorre analizzare immediatamente il merito della pretesa azionata. Si ritiene, tuttavia, opportuno affrontare le questioni controverse secondo un ordine logico-giuridico.
In primo luogo, infatti, risulta in contestazione la sussistenza o meno dell’obbligo, da parte del Comune, di rimborsare le somme pari al disavanzo registrato dalla XXX nella gestione dell’attività data in concessione non solo per le annualità 2011 e successive, ma anche per le annualità precedenti. Sul punto, si impone l’interpretazione della relativa clausola contrattuale contenuta nella scrittura del 06/07/2010 stipulata dalle parti.
Nella stessa le parti hanno infatti stabilito che “L’esenzione del pagamento del canone di concessione annuo minimo garantito già prevista nella convenzione rep. del 28/5/2007 per l’anno 2007 ed estesa all’anno 2008 con la convenzione modificativa rep. del 9/4/2008, viene estesa agli anni 2009 e 2010; tale canone non è più dovuto a far data dal 1/1/2011. Ai fini del raggiungimento dell’equilibrio del piano economico-finanziario allegato, il Comune di YYY si impegna a corrispondere alla *** S.p.A. le risorse necessarie per il ripiano dei disavanzi con erogazione a cadenza bimestrale e a ripianare a conguaglio ed in seguito a presentazione di apposito rendiconto eventuali ulteriori disavanzi connessi alla gestione oggetto del presente contratto, così come la *** S.p.A. si impegna a corrispondere al Comune di YYY gli eventuali utili netti risultanti dal rendiconto della gestione degli impianti affidati”.
Devesi innanzitutto rilevare come non sia meritevole di seguito la tesi interpretativa del resistente secondo la quale l’obbligo di “corrispondere alla *** S.p.A. le risorse necessarie per il ripiano dei disavanzi con erogazione a cadenza bimestrale e a ripianare a conguaglio ed in seguito a presentazione di apposito rendiconto eventuali ulteriori disavanzi connessi alla gestione oggetto del presente contratto” sia stato espressamente limitato alle gestioni post 01/01/2011. Infatti, alla luce della stessa analisi logica della disposizione superiore, si rileva come la scadenza del 01/01/2011, contenuta nel precedente periodo, non riguardi il successivo obbligo di refusione del disavanzo bensì sia esplicitamente riferibile alla cessazione dell’obbligo di corrispondere il canone originariamente previsto nella convenzione del 2007.
Viceversa, con riferimento all’obbligazione oggi in contestazione, la scrittura recita: “il ripiano dei disavanzi con erogazione a cadenza bimestrale e a ripianare a conguaglio ed in seguito a presentazione di apposito rendiconto eventuali ulteriori disavanzi connessi alla gestione oggetto del presente contratto”. Alla luce delle modalità di rimborso, dunque, appare che tale disposizione si attagli solamente per disavanzi ancora non realizzati e da verificarsi periodicamente.
Infatti, da una parte, il Comune dovrebbe rimborsare i disavanzi con erogazione a cadenza bimestrale e, dall’altra, ripianare a conguaglio ed in seguito a presentazione di apposito rendiconto, gli eventuali ulteriori disavanzi. Pertanto, tale modalità di rimborso presuppone da una parte la presentazione di documentazione periodica (con cadenza appunto bimestrale) giustificativa dell’andamento della gestione infrannuale; dall’altra la presentazione di un rendiconto annuale finale, dal quale, eventualmente, risultino rimborsabili ulteriori perdite. Non sembra, dunque, credibile che con tale disposizione il Comune potesse ritenersi vincolato al rimborso anche dei disavanzi precedenti alla stipula della scrittura, in quanto entrambe le modalità di rimborso previste (in acconto bimestrale e a conguaglio annuale) non sembrano riguardare passività ormai contabilizzate di precedenti periodi. Peraltro, seppure la limitazione temporale “a partire dal 01/01/2011”, come visto, riguardi espressamente solo l’abrogazione dell’obbligo di corrispondere il canone da parte della XXX, tuttavia appare coerente che anche la corrispondente obbligazione del Comune di rimborsare eventuali disavanzi venga fatta decorrere da tale anno o, ancor meglio, dalla data della stipula della scrittura privata medesima.
Infine, occorre anche evidenziare che, così come per le disposizioni legislative, possa ritenersi sussistente un principio generale di irretroattività del contratto e dei suoi effetti ex art. 1372 c.c.; pertanto, in assenza di una diversa previsione tra le parti, gli effetti del contratto decorrono solo dal momento della stipula, e così le obbligazioni dallo stesso derivanti. Nel caso di specie, non risulta sussistente alcuna indicazione da cui desumere una retrodatazione degli obblighi del Comune come riferibili non solo ai disavanzi futuri ma anche quelli passati.
Alla luce delle sopra esposte considerazioni, si ritiene astrattamente rimborsabile solamente la quota di disavanzo relativa al secondo semestre del 2010.
Tuttavia, dall’analisi della documentazione in atti, così compiuta dal c.t.u. e valutata anche dalla scrivente, non emerge esservi la prova di un disavanzo nel periodo in questione.
Infatti, deve rilevarsi come non sussistono contestazioni fra le parti in merito alla quantificazione dei ricavi della XXX; gli stessi, come indicati nei rendiconti sulla base dei quali si richiede il pagamento da parte della ricorrente, non sono stati in alcun modo contestati dal resistente. Viceversa, il resistente ha contestato al sussistenza delle poste passive indicate nei medesimi rendiconti, in quanto non provate documentalmente in alcun modo e in quanto non vi è la prova che le stesse siano comunque riferibili al ramo di azienda della XXX che si occupava della gestione dei parcheggi a pagamento dati in concessione.
Pertanto, va già scartata la prima ipotesi ricostruttiva del c.t.u., in cui si ritengono i ricavi pari a 0 per tutte le annualità, dovendo coordinare l’accertamento tecnico con il principio di non contestazione ex art. 115 c.p.c. e, ancor meglio, trattandosi di circostanza sfavorevole alla XXX, alla confessione giudiziale derivante dalla dichiarazione dei ricavi medesimi effettuata in sede di ricorso introduttivo e non più ritrattata nel corso del giudizio.
Non può, inoltre, ritenersi applicabile il disposto di cui all’art. 2709 c.c., il quale dispone che chi intende avvantaggiarsi delle emergenze delle scritture contabili non può scinderne il contenuto. La norma in esame fa implicitamente rinvio ad altre fonti normative per quanto riguarda la tipologia e la tenuta di siffatti libri e scritture; è, quindi, necessario il coordinamento dell’art. 2709 c.c. con gli articoli del codice civile che disciplinano la tenuta delle scritture contabili in generale (artt. 2195 e 2214 ss., 2302, 2421, 2490, etc. c.c.), nonché con le altre norme di legge che impongono speciali prescrizioni in materia a determinate categorie di imprese. Va, inoltre, sottolineato che il riferimento dell’art. 2709 c.c. è fatto alla generalità dei libri e delle scritture contabili, senza distinguere i libri obbligatori per legge e quelli richiesti dalla natura o dalle dimensioni dell’impresa da quelli meramente facoltativi. A questo proposito, è pacifico che la norma si applichi ai libri obbligatori indicati dall’art. 2214, 1° co. c.c., ossia al libro giornale e al libro degli inventari nonché ai medesimi libri tenuti per obbligo di legge dalle società commerciali.
Nel caso di specie, invece, si fa riferimento a degli schemi unilateralmente predisposti dalla XXX, e trasmessi al Comune solo ai fini in questione, mai approvati dalla società e non allegati ai bilanci e che, pertanto, non hanno natura di scrittura contabili in senso proprio. Né dal bilancio relativo all’anno 2010 della XXX, società che si rammenta svolge attività di gestione dei trasporti per diverse realtà cittadine, è possibile capire quali siano i ricavi e le spese inerenti alla sola gestione dei parcheggi a pagamento concessi dal Comune di YYY.
In ogni caso, nella fattispecie in esame non ricorre l’ipotesi in cui il resistente vuole avvantaggiarsi solamente di una parte della scrittura in questione e contestare le altre; infatti, l’imprenditore in questione (la XXX) espressamente riconosce come i ricavi indicati nel ricorso siano stati effettuati, di tal che la valenza probatoria delle scrittura contabili con riferimento agli stessi è recessiva rispetto a quanto confessato giudizialmente dall’imprenditore medesimo. Diverso sarebbe stato il caso in cui l’imprenditore, contestando la valenza probatoria contra se del prospetto in questione, avesse ritenuto lo stesso non utilizzabile ad alcun fine (e quindi anche per dimostrare i ricavi) mentre il Comune volesse avvalersi dei medesimi solo per dimostrare i ricavi. Nel caso di specie, infatti, appare circostanza pacifica tra le parti quella inerente i ricavi per il periodo in questione; ciò che risulta contestato (e in relazione al quale la ricorrente ritiene avere valenza probatoria i prospetti in atti) sono le spese sostenute dall’azienda. Pertanto, la prova dei ricavi non deriva dalla loro menzione nei prospetti in questione (che come detto non rilevano ai fini probatori) bensì dalla confessione giudiziale fatta dalla XXX; viceversa, le spese avrebbero dovuto essere provate nel corso del presente giudizio, stante la puntuale contestazione del Comune.
Posto, quindi, che i ricavi sono, ai presenti fini processuali, quelli indicati nel prospetto del ricorrente, non risultano viceversa provate le spese così come indicate nel prospetto medesimo.
Infatti, con riferimento al secondo semestre del 2010, dall’esame della documentazione giustificativa depositata in giudizio, così come analizzata dal c.t.u. nominato, risultano documentate spese solo per la cifra di 108.035,62; anche a voler ritenere provate le spese inerenti le rate e gli interessi dei mutui contratti per la realizzazione degli impianti, comunque la somma delle spese non raggiunge quella dei ricavi, con la conseguenza che alcun disavanzo può ritenersi provato per il lasso temporale in questione.
Peraltro, non risulta attendibile la censura della ricorrente in merito alla mancata acquisizione da parte del c.t.u. di documentazione ulteriore né quella relativa alla mancata considerazione di spese che risulterebbero da altri prospetti sottoscritti dalle parti.
Quanto al primo punto, infatti, si ritiene che la c.t.u. costituisce un mezzo di ausilio per il giudice, volto alla più approfondita conoscenza dei fatti già provati dalle parti, la cui interpretazione richiede nozioni tecnicoscientifiche, e non un mezzo di soccorso volto a sopperire all’inerzia delle parti; essa, tuttavia può eccezionalmente costituire fonte oggettiva di prova, per accertare quei fatti rilevabili unicamente con l’ausilio di un perito. Ne consegue che, qualora la c.t.u. sia richiesta per acquisire documentazione che la parte avrebbe potuto produrre, l’ammissione da parte del giudice comporterebbe lo snaturamento della funzione assegnata dal codice a tale istituto e la violazione del giusto processo, presidiato dall’art. 111 Cost., sotto il profilo della posizione paritaria delle parti e della ragionevole durata (cfr Cass. civ. Sez. I Ord., 15/09/2017, n. 21487). Nel caso di specie, la documentazione che sarebbe stata utile e necessaria al c.t.u. per la ricostruzione del complesso delle spese sostenute dalla XXX per la gestione dell’attività in esame è tutta documentazione nella disponibilità della ricorrente medesima; pertanto, sarebbe stato onere della ricorrente reperire la stessa, depositarla in giudizio sottoponendola al contraddittorio delle parti, nel rispetto delle preclusioni processuali stabilite dal codice di rito e derivanti dal principio costituzionale del giusto processo e ragionevole durata del medesimo. Per tali ragioni, peraltro, non risulta applicabile al caso di specie il principio espresso dalla giurisprudenza di legittimità e invocato dalla ricorrente per cui il c.t.u. avrebbe la possibilità di acquisire d’ufficio documentazione rilevante per il suo accertamento peritale. Infatti, “il divieto per il consulente tecnico di ufficio di compiere indagini esplorative può essere superato soltanto quando l’accertamento di determinate situazioni di fatto possa effettuarsi soltanto con l’ausilio di speciali cognizioni tecniche, essendo, in questo caso, consentito al consulente di acquisire anche ogni elemento necessario a rispondere ai quesiti, sebbene risultante da documenti non prodotti dalle parti, sempre che si tratti di fatti accessori e rientranti nell’ambito strettamente tecnico della consulenza. Al contrario, il divieto è pienamente operante quando l’onere della prova sia a carico di una parte e non si rientri nella sopraindicata fattispecie eccezionale e derogatoria” (Cass. civ. Sez. I Ord., 15/06/2018, n. 15774). Nel caso di specie, essendo la prova documentale delle spese elemento costituivo della pretesa azionata, come sopra detto, si ritiene che fosse pienamente vigente il divieto di acquisizione documentale.
Quanto al secondo punto, la ricorrente ha sostenuto che il perito avrebbe potuto accertare la sussistenza delle spese allegate, relative all’anno 2010, mediante l’analisi dei piani economici allegati alle scritture private n. 5857/2008 e 7025/2010. Tali piani, in quanto allegati a tali scritture, sarebbero stati approvati dal Comune firmatario, e quindi sarebbero stati da considerare non contestati ed eventualmente il c.t.u. avrebbe dovuto analizzare solo eventuali spese ulteriori rispetto a quanto indicato nei suddetti piani economici preventivi.
In verità, tuttavia, deve rilevarsi come i piani in questione costituiscano meramente dei prospetti di previsione sulle presunte spese da sostenere per il periodo venturo, in quanto riferibili ad annualità (rectius, per quanto di interesse, un semestre) successive alla data della stipula. Né può ritenersi che le stesse siano da considerare alla stregua di liquidazione forfettaria ex ante di spese future, in quanto se così fosse sarebbe stato sufficiente depositare la documentazione da cui emergeva che tali spese erano state effettivamente sostenute in tale misura. Invece, appare che tali indicazioni fossero solamente, appunto, una previsione dei futuri costi e ricavi della gestione, dai quali alcun indicazione può trarsi in merito al concreto disavanzo conseguito all’esito del periodo in esame.
Pertanto, alcuna prova in ordine al concreto sostenimento di spese di gestione può trarsi dagli stessi, se non con riferimento, eventualmente, alle spese per il rimborso dei mutui (costi già preventivabili con certezza ex ante) delle quali, tuttavia, il c.t.u. ha tenuto conto nelle ipotesi ricostruttive n. 2 e 3. A ben vedere, infatti, dalla pattuizione di cui alla scrittura del 06/07/2010 il disavanzo poteva essere rimborsato dietro presentazione di apposito rendiconto; dunque, qualora lo stesso sia oggetto di contestazione in relazione alle spese ivi indicate, sarebbe stato onere della ricorrente conservare ed esibire la documentazione giustificativa dalla quale desumere con certezza la sussistenza di tali spese vive. Ciò a maggior ragione trattandosi di contrattazione con una pubblica amministrazione e alla luce dell’ingente importo in esame.
Tale onere probatorio, tuttavia, non è stato assolto da parte istante.
In secondo luogo, non risulta neppure sussistente il presunto riconoscimento del debito evidenziato da parte ricorrente.
Infatti, la XXX ha sostenuto che atti ricognitivi ex art. 1988 c.c. sarebbero da considerarsi i mandati di pagamento emessi nel 2013 con riferimento alla somma esatta richiesta nella presente sede, e che tale conclusione sarebbe altresì avvalorata dalla comunicazione del direttore generale del Comune di YYY del 23/10/2013, dalla scrittura privata 140/2013 e dai bilanci societari.
Con riferimento ai mandati di pagamento, devi ritenersi come l’avvenuta liquidazione di somme corrispondenti a quanto richiesto nella presente sede sia in effetti comportamento ambiguo. Tuttavia, occorre analizzare tale circostanza alla luce delle seguenti considerazioni.
In primo luogo, posto che l’interpretazione assolutamente prevalente configura la ricognizione di debito quale atto di volontà, si ritiene che la ricognizione di debito può risultare anche da un comportamento tacito; tuttavia, lo stesso deve anche essere inequivoco, tale essendo il contegno che nessuno terrebbe se non al fine di riconoscersi debitore, e senza altro scopo se non quest’ultimo (cfr Cass. civ. Sez. III, 21-072016, n. 14993). In secondo luogo, tale affermazione deve anche conciliarsi con la disciplina dei contratti della p.a., la quale impone la forma scritta ad substantiam; infatti, seppur l’art. 1988 c.c. non imponga uno specifico onere formale per la ricognizione di debito, si ritiene in giurisprudenza che “in tema di ricognizione di debito, la disciplina dettata dall’art. 1988 cod. civ. è applicabile anche agli atti della P.A., nel concorso dei requisiti formali e procedimentali che ne condizionano la validità e l’efficacia, a cominciare dal requisito della forma scritta ad substantiam che, a norma degli artt. 1350 e 2725 cod. civ., costituisce un elemento essenziale della ricognizione stessa avendo natura costitutiva e non dichiarativa, cosicché la prova dell’esistenza e del contenuto di tale negozio, segnatamente per quanto attiene alle obbligazioni a carico della medesima amministrazione, non può essere fornita né attraverso la confessione (non importa se, ove resa in giudizio ex art. 2733 cod. civ., spontanea o provocata mediante interrogatorio formale, ai sensi dell’art. 228 cod. proc. civ.) né attraverso la testimonianza” (Cass. civ. Sez. I Sent., 06/12/2007, n. 25435).
Ciò posto, deve rilevarsi come l’emissione di mandati di pagamento per tale somma, dunque, non sia considerabile come ricognizione di debito sia in virtù del fatto che la stessa non avrebbe potuto ritenersi ammissibile nella presente fattispecie per facta concludentia, sia perché avrebbe di conseguenza dovuto consistere in una manifestazione in forma scritta di riconoscere o di essere a conoscenza della sussistenza del debito.
Già per tale ragione tale condotta non sarebbe considerabile come riconoscimento di debito.
In ogni caso, vale anche evidenziare, per amore di completezza, come comunque non emerga una volontà ricognitiva inequivoca (anche a volerla desumere dal comportamento) in tal senso.
Infatti, tali mandati di pagamento devono essere analizzati in considerazione della successiva scrittura privata dell’08/11/2013. Con la stessa, le parti, lungi dall’accertare la sussistenza del credito oggi in contestazione, hanno dato atto che il pagamento suddetto era avvenuto “in assenza di un regolare procedimento contabile”, ma, elemento più importante ai nostri fini, entrambi hanno preso atto dell’erroneità del pagamento. E ciò non tanto e non solo per ragioni formali di mancato rispetto del procedimento amministrativo di liquidazione delle somme, quanto piuttosto perché tali pagamenti avrebbero dovuto riguardare il rimborso dei disavanzi per le annualità 2011 e 2012, motivo per cui tali somme erano state stanziate dall’ente locale. Nessun riconoscimento di debito è contenuto nella scrittura in esame; nei passi dell’atto in cui si afferma che “il trasferimento del pagamento effettuato su altra causale (quale quella ora indicata) comporta il ripristino dell’altra posizione debitoria di euro 963.876,76 nei confronti di codesto Ente per le causali documentate, posizione creditoria per il cui recupero la società attiverà tutte le necessarie e più opportune azioni” e che “pur confermando la pretesa di pagamento di euro 963.876,76 per la gestione della mobilità alternativa per gli anni 2007-2010 illustrate in specifica nota…”, non si è in presenza di pattuizioni delle parti ma di premesse di fatto in cui si riportano le pretese della XXX. Anzi, nella parte “dispositiva”, il Comune espressamente si impegnava a “avviare le procedure previste dall’ordinamento contabile degli enti locali per verificare la necessità di riconoscimento dell’importo complessivo di euro 963.876,76…”.
Alla luce di tale scrittura privata, in cui le parti concordemente prendono atto dell’erroneità dell’imputazione del pagamento, riservandosi parte resistente di verificare se le somme per le annualità 2007-2010 sono dovute, non può ritenersi che la precedente emissione dei mandati di pagamento sia considerabile comportamento inequivocamente dimostrante la volontà di riconoscere il credito, così come ritenuto necessario dalla giurisprudenza.
Infine, alcuna ricognizione può ritenersi effettuata per mezzo della comunicazione del direttore generale del Comune di YYY del 23/10/2013. Dalla lettura della stessa, infatti, emerge come il direttore faccia riferimento ai mandati di pagamento in esame come riguardanti i rimborsi spettanti per gli anni 2011 e 2012, non facendo in alcun passo della missiva riferimento alle annualità 2007/2010. Anzi, il direttore parla esclusivamente dei mandati di pagamento come emessi in via d’urgenza in virtù della situazione finanziaria della ricorrente, ma per coprire quanto richiesto a titolo di rimborsi per il 2011 e 2012; pertanto, l’espressione evidenziata dalla XXX “in quanto supportati da un’obbligazione giuridicamente perfezionata” deve riferirsi all’obbligo di rimborsare i disavanzi del 2011 e 2012, come rendicontati dalla XXX stessa. Nessun riconoscimento vi è stato in merito alla decenza di somme per il periodo 2007/2010.
Alla luce di tali considerazioni, non risultando esservi prova di un disavanzo per il secondo semestre del 2010, né risultando dagli atti un riconoscimento di debito giuridicamente rilevante, deve ritenersi che la presente pretesa non sia meritevole di accoglimento.
Infine, quanto alla richiesta di restituzione di quanto indebitamente corrisposto a titolo di pagamento di imposte comunali per gli anni 2007, 2008 e 2009, deve ritenersi anche tale domanda infondata.
La ricorrente, infatti, sostiene che tali somme dovevano ricomprendersi nel canone; pertanto, essendo prevista l’esenzione dal pagamento del canone suddetto per gli anni 2007/2010, le somme versate a tale titolo avrebbero dovuto ripetersi. La tesi non convince alla luce di quanto stabilito nella scrittura privata del 28/05/2007.
Tale pattuizione prevedeva, prima dell’abrogazione nel 2010 dell’obbligo di pagamento del canone, che “tale canone sarà versato entro mesi due dalla fine dell’anno di riferimento e sarà comprensivo di quanto dovuto dalla *** s.p.a. al Comune a titolo di TARSU, TOSAP e qualsivoglia altra tassa o imposta comunale; tali tributi verranno per ciascuna annualità regolarmente versati dalla *** s.p.a. nei termini di legge ed il loro importo totale verrà sottratto dal canone dovuto al Comune”. Dunque, è vero che il canone (che, si ricorda, secondo le previsioni contrattuali era pari al 20% degli introiti e comunque non inferiore a 300.000,00 euro) era da considerarsi comprensivo delle imposte comunali, ma ciò non significa che le medesime non fossero dovute. Infatti, alla luce delle modalità di sconto del canone e dell’obbligo permanente di pagamento delle imposte, deve ritenersi che la disposizione contrattuale in esame prevedeva uno mero sconto sul canone parametrato all’importo di imposte comunali pagato durante l’anno.
Ciò significa, dunque, non che le imposte non erano dovute in quanto incluse nel canone da corrispondere, ma che gli eventuali importi che dovevano necessariamente essere corrisposti dalla XXX a titolo fiscale si sarebbero potuti scalare dal quantum del compenso come liquidato alla fine dell’anno. Pertanto, le scritture private successive, con cui si esonerava la XXX dal pagamento del canone, non esoneravano quest’ultima anche dal pagamento dei tributi che erano comunque dovuti. Infatti, si dispone solamente che il canone non sarà dovuto se non nei limiti dell’utile conseguito, ma nulla si dice in merito alla debenza o meno delle imposte che, alla luce dell’eccezionalità di tale deroga, dovranno ritersi dovute in assenza di esplicita esenzione in tal senso.
In definitiva, si ritiene che la XXX fosse sempre obbligata al pagamento delle imposte, ma che tali somme potevano scomputarsi dall’eventuale canone corrisposto o da corrispondere al Comune; canone che, tuttavia, mai è stato corrisposto al Comune per le esenzioni via via pattuite. Pertanto, alcun titolo ha la ricorrente per richiedere la restituzione di tali somme.
Alla luce delle sopra esposte considerazioni, la domanda di parte ricorrente merita integrale rigetto. Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo ai sensi del d.m. 55/14, così come aggiornato dal d.m. 37/18.
P.Q.M.
Il Tribunale in composizione monocratica definitivamente pronunciando respinta ogni contraria domanda, eccezione e difesa
§ Rigetta la domanda di parte ricorrente;
§ condanna la società XXX S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, al pagamento delle spese processuali in favore del Comune di YYY, liquidate in euro 23.937,00 per compenso professionale, oltre alle spese generali in ragione del 15,00% su diritti ed onorari ed IVA e CPA come per legge.
Spoleto, 16/10/2019
Il giudice
La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di
Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?
Prenota un appuntamento.
La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.
Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.
Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.
Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.