CORTE di APPELLO di POTENZA
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
La Corte di Appello di Potenza, Sezione Civile, nelle persone dei sigg. magistrati:
ha pronunziato la seguente
SENTENZA n. 529/2021 pubblicata il 04/08/2021
nella causa iscritta al n.221 del Ruolo Generale dell’anno 2014, avente ad oggetto: appello avverso la sentenza n.1300/13 emessa dal Tribunale di Potenza in composizione monocratica il 27.10.2013 e pubblicata il 30.10.2013, e vertente tra
XXX e YYY, rappresentati e difesi entrambi dall’Avv.
APPELLANTI principali – APPELLATI incidentali
E
ZZZ, KKK, JJJ, OOO, PPP, BBB, QQQ, UUU, LLL, GGG, RRR, FFF, SSS, EEE, NNN, MMM, III, CCC, AAA, NNN, ASD, PLM e ERT, rappresentati e difesi dall’Avv.;
APPELLATI principali – APPELLANTI incidentali
trattenuta in decisione all’udienza di discussione del 29.9.2020 sulle conclusioni rassegnate alla medesima udienza dalle parti costituite e riportate nel relativo verbale in atti, da intendersi qui integralmente richiamato e trascritto.
SVOLGIMENTO del PROCESSO
Con atto di citazione spedito il 29.10.2002 per la notificazione a mezzo del servizio postale i sigg. XXX e YYY, comproprietari di un terreno in ***, distinto in catasto alla partita, fol., p.lla, sul quale avevano eretto un fabbricato per civile abitazione, lamentavano che sul fondo adiacente, distinto in catasto al fol. p.lla, fosse stato realizzato un fabbricato a distanza dal confine inferiore a quella minima prevista dalla legge e dallo strumento urbanistico vigente e, pertanto, convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale di Potenza i comproprietari dell’immobile confinante, identificati nei sigg. ZZZ, KKK, JJJ, OOO, PPP, BBB, QQQ, UUU, LLL, GGG, RRR e FFF, affinchè fosse accertata la violazione delle prescrizioni in materia di distanze e fosse pronunciata la condanna dei convenuti alla rimozione o all’arretramento del fabbricato di loro pertinenza fino al limite di cinque metri dalla linea di confine tra i due fondi.
Costituitisi in giudizio, i convenuti eccepivano il difetto di integrità del contraddittorio in ragione della mancata citazione in giudizio di altri comproprietari del fabbricato nonché la carenza di legittimazione passiva di PPP in quanto non titolare di diritti di proprietà su qualsiasi porzione del fabbricato. Nel merito, contestavano la fondatezza della domanda azionata nei loro confronti, assumendo per contro che fossero stati proprio i coniugi XXX e YYY a violare le prescrizioni in materia di distanze per avere edificato, in aderenza al loro originario corpo di fabbrica, nuovi manufatti con destinazione ad autorimessa e magazzino. Pertanto, concludevano per il rigetto della domanda attrice.
Disposta l’integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri comproprietari del fabbricato eretto sul fondo distinto in catasto al fol. p.lla, si costituivano in giudizio i sigg. SSS, EEE, NNN, MMM, III, CCC, AAA, NNN, ASD, PLM e ERT i quali aderivano alle eccezioni sollevate dagli originari convenuti ed insistevano per il rigetto della domanda attrice, ma spiegavano altresì domanda riconvenzionale volta a conseguire la condanna degli attori alla demolizione della porzione del fabbricato appartenente a questi ultimi ubicata al di sotto del limite di cinque metri dal confine nonché al risarcimento dei danni.
L’istruzione probatoria contemplava produzione documentale ed espletamento di due distinte consulenze tecniche d’ufficio a mezzo del geom. *** e del geom. ***. Con sentenza n.1300/13 emessa il 27.10.2013 e pubblicata il 30.10.2013 il Tribunale di Potenza in composizione monocratica rigettava la domanda proposta dagli attori e, in parziale accoglimento delle domande spiegate in via riconvenzionale dai convenuti, condannava XXX e YYY alla demolizione, a proprie cure e spese, della gradinata con ringhiere e paletti realizzata su una rampa di accesso insistente sul fondo in proprietà dei convenuti nonché al pagamento in solido della somma di € 1.749,13, oltre interessi e rivalutazione monetaria, a titolo di risarcimento dei danni; il tutto con compensazione delle spese giudiziali tra le parti e con addebito delle spese di c.t.u. a carico di entrambe le parti, ciascuna nei limiti di metà dell’importo complessivo.
Con atto di citazione notificato in data 4.6.2014 i sigg. XXX e YYY proponevano appello avverso la suindicata sentenza assumendo che la decisione del Tribunale di Potenza fosse stata assunta sulla base della acritica adesione del giudice alle conclusioni rassegnate dal secondo c.t.u., geom. ***, senza che fossero state esplicitate le ragioni della scelta operata e senza che fossero stati confrontati tra loro gli esiti delle due consulenze tecniche d’ufficio e ne fossero state rilevate le divergenze valutative, con conseguente mancata congrua illustrazione delle motivazioni che avevano indotto il giudicante a recepire talune conclusioni e ad escluderne altre. Pertanto, i sigg. XXX e YYY convenivano dinanzi alla Corte di Appello di Potenza tutti i comproprietari del fabbricato eretto sul fondo distinto in catasto al fol., p.lla , che avevano partecipato al giudizio di primo grado affinché, previa sospensione dell’efficacia esecutiva provvisoria della sentenza impugnata e previo espletamento di nuova consulenza tecnica d’ufficio, in riforma della decisione del primo giudice fossero accolte le pretese azionate dagli stessi appellanti dinanzi al Tribunale di Potenza e fossero adottate le pronunce dichiarative scaturenti dagli esiti dell’accertamento peritale operato dal primo C.t.u., geom. ***, con vittoria di spese di lite riferite al doppio grado di giudizio.
Con comparsa depositata in cancelleria in data 7.10.2014 si costituivano nel presente giudizio di impugnazione i sigg. ZZZ, KKK, JJJ, OOO, PPP, BBB, QQQ, UUU, LLL, GGG, RRR, FFF, SSS, EEE, NNN, MMM, III, CCC, AAA, NNN, ASD, PLM e ERT, i quali, in via preliminare, eccepivano l’inammissibilità dell’appello ai sensi dell’art.348 bis c.p.c. e, nel merito, contestavano la fondatezza dei motivi articolati a sostegno del gravame e proponevano a loro volta appello incidentale avverso il capo della sentenza del primo giudice con cui era stata respinta la domanda riconvenzionale intesa ad ottenere la demolizione dei corpi di fabbrica adibiti ad autorimessa e magazzino realizzati dai sigg. XXX e YYY in aderenza all’originario edificio da essi costruito, demolizione limitata alla porzione dei corpi di fabbrica medesimi che non risultava interrata e che insisteva a distanza dal confine inferiore a quella legale. Pertanto, gli appellati concludevano per il rigetto del gravame principale e per l’accoglimento dell’impugnazione incidentale, con conseguente condanna dei sigg. XXX e YYY alla demolizione dei predetti corpi di fabbrica nei limiti della menzionata porzione nonché al pagamento delle spese processuali riferite al doppio grado di giudizio.
Con ordinanza emessa il 13.11.2014 e depositata il 18.11.2014 la Corte disponeva la sospensione dell’efficacia esecutiva dei capi della sentenza impugnata contemplanti pronuncia di condanna.
All’udienza del 29.9.2020, precisate a cura delle parti costituite le rispettive conclusioni, la Corte tratteneva in decisione la causa assegnando i termini ex art.190 c.p.c. per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica.
MOTIVI della DECISIONE
Non è valutabile in questa sede l’eccezione di inammissibilità dell’appello per violazione dell’art.348 bis c.p.c., come formulata dagli appellati con la comparsa di costituzione depositata in data 7.10.2014. Invero, come reso manifesto dal combinato disposto degli artt.348 ter co.1 e 350 c.p.c., la declaratoria di inammissibilità dell’ap-pello per insussistenza di una ragionevole probabilità che il gravame sia accolto è provvedimento che la Corte può assumere alla prima udienza di trattazione sulla base di una valutazione discrezionale. Superata la fase della prima udienza di trattazione senza che la Corte abbia assunto l’ordinanza di inammissibilità ex art.348 ter c.p.c., è preclusa nel prosieguo del giudizio di impugnazione e, a maggior ragione, nella fase decisoria l’applicazione delle norme processuali di cui agli artt. 348 bis e 348 ter c.p.c. (v. Cass.civ.sent. n. 14696/2016: “La facoltà per il giudice d’appello di rendere l’ordinanza ex art. 348 bis c.p.c. deve essere esercitata all’udienza di cui all’art. 350 c.p.c. prima di procedere alla trattazione, sicché tale facoltà è preclusa ove siano stati svolti gli adempimenti di cui al comma 2 del medesimo art. 350 […]”).
***
L’appello principale proposto dai sigg. XXX e YYY è infondato e va respinto.
1.0 Hanno sostenuto gli appellanti che la decisione del Tribunale di Potenza sia stata assunta sulla base della acritica adesione del giudice alle conclusioni rassegnate dal secondo c.t.u., geom. ***, senza che siano state esplicitate le ragioni della scelta operata e senza che siano stati confrontati tra loro gli esiti delle due consulenze tecniche d’ufficio e ne siano state rilevate le divergenze valutative, con conseguente mancata congrua illustrazione delle motivazioni che hanno indotto il giudicante a recepire talune conclusioni e ad escluderne altre.
Emerge dal tenore delle difese svolte nell’atto di impugnazione che i sigg. XXX e YYY prediligano le conclusioni rassegnate dal primo c.t.u., geom. ***, in ordine all’individuazione del confine tra le proprietà delle parti in causa, conclusioni asseritamente conformi a quelle operate dal geom. *** designato come c.t.u. in altro distinto giudizio iscritto al n.1733/2001 promosso dai coniugi Xxx/YYY dinanzi al Tribunale di Potenza, avente ad oggetto l’accertamento di uno spoglio del possesso sofferto dagli stessi coniugi e definito con sentenza n.708/2007.
In ultimo, gli appellanti hanno sollecitato l’espletamento nel presente grado di giudizio di una ulteriore consulenza tecnica d’ufficio per superare le incertezze palesate dagli elaborati tecnici redatti dagli ausiliari nominati dal Tribunale di Potenza in primo grado.
1.1 Innanzitutto, va rilevato che nell’atto di impugnazione, in sede di conclusioni, i sigg. XXX e YYY hanno formulato in dettaglio plurime domande di accertamento del tutto nuove, in quanto volte ad ottenere dalla Corte la pronuncia in merito alle esatte distanze dal confine sia del fabbricato in proprietà degli stessi appellanti, sia di quello in proprietà degli appellati nonché in merito alle distanze tra i due fabbricati, a tal fine facendo affidamento in via esclusiva alle misurazioni operate dal geom. ***.
La domanda azionata con la citazione introduttiva del giudizio di primo grado aveva ad oggetto l’accertamento della distanza dal confine del fabbricato eretto dai convenuti sul fondo distinto in catasto al fol. p.lla (già ) nonché la condanna dei convenuti alla demolizione o all’arretramento delle parti del menzionato fabbricato che non avessero rispettato la distanza minima dal confine prescritta dal PRG del Comune di Pignola e/o dal regolamento edilizio vigente. Nessuna specifica pretesa di accertamento i sigg. XXX e YYY hanno avanzato in primo grado con riguardo alla regolare distanza dal confine del fabbricato da essi edificato sul fondo in loro proprietà, né con riguardo alla distanza tra le pareti fronteggianti dei due fabbricati o tra le pareti medesime ed un muro di cinta realizzato nel 1990 dagli stessi appellanti.
Ne consegue che, in quanto nuove, le domande articolate nell’atto di impugnazione e non coincidenti con quelle formulate nella citazione introduttiva del giudizio di primo grado debbano dichiararsi inammissibili.
1.2 Come già messo in risalto, i sigg. XXX e YYY nell’atto di impugnazione, in parte motiva, hanno lasciato inequivocabilmente intendere di aderire con maggiore convinzione alle risultanze dell’accertamento peritale operato in primo grado dal geom. ***, tant’è che, in sede di conclusioni, hanno espressamente sollecitato la Corte a dichiarare che le esatte distanze dal confine sia del fabbricato in proprietà degli stessi appellanti, sia di quello in proprietà degli appellati si identifichino con quelle tratte dalle misurazioni eseguite proprio dal geom. ***.
Non può sottacersi il singolare comportamento processuale serbato dai sigg. XXX e YYY.
Costoro in primo grado hanno avversato con decisione le valutazioni e conclusioni operate proprio dal c.t.u. geom. ***, avendo cura anche di depositare in data 10.11.2009 un documento scritto contenente le “note critiche” mosse dal loro c.t.p., geom. ***, alle risultanze della relazione peritale a firma del geom. ***. In particolare, nell’elaborato tecnico il c.t.p. ha rilevato profonde imprecisioni o incongruenze – se non addirittura errori – della consulenza tecnica d’ufficio riguardanti già la “descrizione dei luoghi” ed i contenuti della documentazione acquisita presso i competenti uffici amministrativi, giungendo a sostenere che le risultanze della c.t.u. possono risultare distanti dalla realtà dei fatti e, comunque, non rispondenti al quesito formulato dal giudice perché “lacunose, ambigue e oscure, e per nulla risolutive, oltre che non conformi allo stato dei luoghi ed alla realtà documentalmente rappresentata” (v. pag.9 delle “note critiche” del geom. *** depositate in data 10.11.2009).
I rilievi critici mossi dal c.t.p. geom. *** alla relazione peritale resa dal geom. *** sono stati fatti propri dalla difesa dei sigg. XXX e YYY, la quale, proprio in forza delle valutazioni espresse dal tecnico di fiducia, a partire dall’udienza del 13.11.2009 ha ripetutamente sollecitato il giudice a disporre una nuova c.t.u. ovvero a convocare a chiarimenti lo stesso geom. (v. verbali di udienza del 13.11.2009 e del 23.12.2009).
Convocato in udienza dal giudice, il c.t.u. ha assunto l’impegno di rendere i chiarimenti richiesti, ma non ha mai assolto al proprio compito, così obbligando il giudice ad affidare un nuovo incarico peritale al geom. ***.
Orbene, è alquanto singolare che nell’atto di impugnazione i sigg. XXX e YYY abbiano aderito alle risultanze dell’accertamento peritale operato in primo grado dal geom. *** ed in sede di conclusioni abbiano espressamente chiesto alla Corte territoriale di pronunciarsi sulle esatte distanze dal confine dei fabbricati in proprietà delle parti in causa facendo applicazione delle misurazioni eseguite proprio dal geom. ***.
Improvvisamente, senza nessuna giustificazione apparente, le risultanze della c.t.u. a firma del geom. ***, che in primo grado i sigg. XXX e YYY, aderendo alle “note critiche” del proprio c.t.p., non hanno esitato a riconoscere distanti dalla realtà dei fatti e non rispondenti al quesito formulato dal giudice perché “lacunose, ambigue e oscure, e per nulla risolutive, oltre che non conformi allo stato dei luoghi ed alla realtà documentalmente rappresentata”, sono divenute, nell’atto di appello, attendibili e condivisibili al punto da poter senz’altro fondare una decisione di riforma della sentenza pronunciata dal Tribunale di Potenza sulla base degli esiti dell’altra consulenza tecnica d’ufficio, quella redatta dal geom. ***.
1.3 Ad ogni modo, le ragioni sulle quali i sigg. XXX e YYY hanno fondato il gravame non sono meritevoli di essere condivise.
Effettivamente nel corpo della sentenza n.1300/13 emessa il 27.10.2013 e pubblicata il 30.10.2013 il Tribunale di Potenza non ha reso in modo esplicito una giustificazione della scelta operata in favore degli esiti della consulenza tecnica d’ufficio redatta dal geom. ***.
È ben vero che, qualora nel corso del giudizio di merito vengano espletate più consulenze in tempi diversi con risultati difformi, il giudice possa seguire il parere che ritiene più congruo o discostarsene, purché dia adeguata e specifica giustificazione del suo convincimento; in particolare, quando intenda uniformarsi alla seconda consulenza, non può limitarsi ad una adesione acritica ma deve giustificare la propria preferenza indicando le ragioni per cui ritiene di disattendere le conclusioni del primo consulente (cfr. Cass. civ.sez.lav., 26 agosto 2013 n.19572; Cass.civ.sez.2, 30 ottobre 2009 n.23063; Cass.civ.sez. lav., 15 marzo 2001 n.3787).
È altrettanto vero, tuttavia, che il giudice dell’impugnazione possa senza violare il principio dispositivo, anche d’ufficio, modificare o integrare la motivazione della sentenza impugnata, purchè la modifica o integrazione non concerna statuizioni adottate dal giudice di grado inferiore non impugnate dalla parte interessata e non si basi su elementi probatori che non siano già acquisiti al processo (arg. ex Cass.civ.sez.1, 27 giugno 2011 n.14127; Cass.civ. sez.3, 22 gennaio 2002 n.696; Cass.civ.sez.1, 6 giugno 1987 n.4945).
Ne consegue che in questa sede possa senz’altro provvedersi ad integrare la motivazione resa dal Tribunale di Potenza in ordine alla preferenza da accordarsi agli esiti della consulenza tecnica d’ufficio redatta dal geom. *** invece che a quelli della consulenza tecnica d’ufficio effettuata dal geom. ***.
Innanzitutto, già la scelta del giudice in primo grado di convocare il geom. *** per rendere i chiarimenti sollecitati dagli attori rende palese come la relazione scritta depositata da quel c.t.u. si presti ad interpretazioni tra loro contrastanti e non offra una risposta chiara al quesito formulato in sede di conferimento dell’incarico peritale, quesito avente il seguente contenuto: accertare la distanza dei manufatti delle parti secondo le rispettive prospettazioni (citazione e memorie di costituzione).
Nonostante la poco felice formulazione del quesito, non può revocarsi in dubbio che, in considerazione dell’oggetto della domanda principale avanzata dagli attori e di quella riconvenzionale spiegata dai convenuti, all’ausiliare sia stato, in sostanza, richiesto di determinare la esatta linea di confine tra le proprietà delle parti in causa e, successivamente, di accertare che le costruzioni realizzate dalle parti nei rispettivi fondi in proprietà rispettassero le distanze legali dalla individuata linea di confine.
La lettura dell’elaborato tecnico redatto dal geom. *** e depositato il 5.5.2008 evidenzia profili di estrema genericità al punto da impedire di attribuire alle conclusioni rassegnate dall’ausiliare la consistenza di un reale contributo tecnico adeguato a sciogliere le incertezze sussistenti tra le parti in ordine alla linea di confine tra le proprietà.
È significativo che il c.t.u. *** abbia sostenuto che alla stregua delle misurazioni effettuate la linea confinaria tra la proprietà dei litiganti, così come indicata nella mappa catastale, coincide pressoché con la delimitazione in paletti metallici realizzata dai ricorrenti nell’anno 2001 (v. pag. 7 della relazione scritta).
Da questa affermazione si desume, innanzitutto, che l’ausiliare, al fine di accertare il confine esatto tra i fondi in proprietà delle parti, si sia affidato esclusivamente alle risultanze della mappa catastale senza attingere informazioni al riguardo da altri atti o strumenti utili, come ad esempio i titoli di proprietà e la documentazione versata presso gli uffici pubblici in occasione della domanda di rilascio della concessione edilizia riferita a ciascuna delle costruzioni erette sui fondi.
In secondo luogo, si desume che l’opera di determinazione del confine alla stregua delle risultanze della mappa catastale non abbia condotto a conclusioni sicure giacchè l’ausiliare ha esplicitamente riconosciuto che la linea confinaria … coincide pressoché con la delimitazione in paletti metallici realizzata dai ricorrenti nell’anno 2001, lasciando intendere con quel “pressoché” che non possa nutrirsi certezza al riguardo.
Del resto, lo stesso c.t.u. geom. *** verso la fine della relazione scritta, alle pagine 9 e 10, ha prospettato soluzioni alternative alla questione oggetto del dibattito processuale, giacché, in sede di indicazione delle esatte distanze dal confine delle costruzioni realizzate da ciascuna parte sul fondo in proprietà, egli ha offerto due distinte serie di valori a seconda che la linea di confine venga individuata nel muro di cinta ovvero nel filare di paletti metallici, realizzati l’uno e l’altro dagli stessi attori in epoche diverse.
È evidente che con siffatta conclusione l’ausiliare si sia sottratto al compito affidatogli, cioè di accertare quale tra le due prospettazioni rese dalle parti in ordine al confine fosse corrispondente alla esatta linea di confine tra le proprietà.
Coglie, dunque, nel segno il c.t.p., geom. ***, quando nelle “note critiche” depositate in data 10.11.2009 ha sostenuto che le risultanze della c.t.u. non siano rispondenti al quesito formulato dal giudice perché “lacunose, ambigue e oscure, e per nulla risolutive, oltre che non conformi allo stato dei luoghi ed alla realtà documentalmente rappresentata”.
Per converso, l’accertamento peritale operato dal secondo c.t.u., geom. ***, risulta condotto, oltre che attraverso accurati rilievi dei luoghi, sulla base non solo delle mappe catastali, ma anche dei contenuti dell’atto pubblico per notar *** del 12.8.1975 (atto di acquisto della proprietà da parte dei coniugi XXX e YYY), dell’atto per notar *** del 26.10.1973 e del tipo di frazionamento allegato a quest’ultimo atto nonché sulla base di ulteriore documentazione acquisita dall’ausiliare presso l’Ufficio tecnico del Comune di .
Gli esiti dell’indagine peritale espletata dal c.t.u., geom. ***, confluiti nella relazione scritta depositata il 3.10.2012 e accompagnata da ampia produzione fotografica e da elaborati grafici, si connotano per la loro precisione e per la corretta applicazione di criteri tecnici oggettivi, offrendo all’attenzione delle parti e del giudice risposte univoche e puntuali in merito ai profili problematici della controversia e, segnatamente, in merito alla linea di confine esatta tra le proprietà delle parti in causa.
Non può revocarsi in dubbio che l’accertamento tecnico condotto dal c.t.u., geom. ***, sia stato approfondito e completo ed abbia costituito per il giudice di primo grado un valido ed autorevole supporto ai fini della decisione della controversia.
Tali considerazioni di valore espresse sull’elaborato tecnico redatto dal c.t.u., geom. ***, escludono che nel presente giudizio di impugnazione sia necessario, ai fini della decisione del gravame, procedere alla rinnovazione della consulenza tecnica d’ufficio.
1.4 È noto che, in ipotesi di contestazione dei risultati della consulenza tecnica d’ufficio a cui il giudicante abbia aderito, è necessario che siano allegati pertinenti rilievi critici non risultando affatto sufficiente la generica censura riferita all’adozione di criteri di valutazione inadeguati. In considerazione del principio della specificità dei motivi di impugnazione, l’appellante ha l’onere di indicare quali siano le circostanze e gli elementi rispetto a cui invochi il controllo del giudice di appello, richiamando in via espressa le pertinenti parti della consulenza tecnica ritenute insufficientemente o erroneamente valutate e svolgendo concrete e puntuali critiche alla contestata valutazione, onde consentire l’apprezzamento dell’incidenza causale sulla motivazione della sentenza dei rilievi svolti avverso l’elaborato tecnico.
Nell’atto di impugnazione i sigg. XXX e YYY hanno lamentato che la decisione del Tribunale di Potenza sia stata assunta sulla base della acritica adesione del giudice alle conclusioni rassegnate dal secondo c.t.u., geom. ***, senza che siano state esplicitate le ragioni della scelta operata. A tanto gli appellanti hanno fatto seguire argomentazioni a sostegno delle conclusioni rassegnate dal primo c.t.u., geom. ***, in ordine all’individuazione del confine tra le proprietà delle parti in causa, argomentazioni in parte ancorate alle risultanze di altro accertamento peritale espletato dal geom. Cerone in un distinto giudizio iscritto al n.1733/2001, promosso dai coniugi Xxx/YYY dinanzi al Tribunale di Potenza e definito con sentenza n.708/2007, e in parte fondate sulla dedotta impossibilità di desumere dal tipo di frazionamento operato il 17.10.1973 dal geom. *** elementi di valutazione utili ai fini dell’accertamento della distanza delle costruzioni dal confine tra i fondi in proprietà delle parti in causa, non essendo stati a quell’epoca ancora realizzati i fabbricati.
Per converso, nessuna concreta critica, adeguatamente sorretta da argomentazioni tecniche e da riscontri probatori certi, risulta mossa dagli appellanti nell’atto di impugnazione avverso le risultanze della c.t.u. resa dal geom. ***.
Invero, nell’atto di appello, alla pagina 10, si legge soltanto: “Inopinatamente, però, il C.T.U. *** altera lo stato descrittivo del grafico catastale, lo arretra a monte della servitù di passaggio – in prossimità dell’inizio della gradinata/passamano – e riprende l’allineamento rettilineo a ridosso del muro di contenimento della proprietà dei coniugi Xxx”.
L’esposta censura è, tuttavia, disancorata da apprezzabili e riscontrabili supporti argomentativi.
Infatti, i sigg. XXX e YYY sembrano fondare il loro convincimento, innanzitutto, sulle risultanze del tipo di frazionamento operato il 17.10.1973 dal geom. ***, vale a dire sui contenuti di un documento che gli stessi appellanti, all’esordio del percorso argomentativo svolto, hanno riconosciuto non offrire elementi di valutazione utili ai fini dell’accertamento della distanza delle costruzioni dal confine tra i fondi in proprietà delle parti in causa, anche perché la p.lla n. appartenente ai coniugi Xxx/YYY aveva subito negli anni successivi un ulteriore frazionamento.
Sennonché è agevole obiettare che, come sopra rimarcato, l’accertamento peritale operato dal secondo c.t.u., geom. ***, è stato condotto, oltre che attraverso accurati rilievi dei luoghi, anche sulla base dei contenuti dell’atto pubblico per notar *** del 12.8.1975 (atto di acquisto della proprietà da parte dei coniugi XXX e YYY), dell’atto per notar *** del 26.10.1973 e di ulteriore documentazione acquisita dall’ausiliare presso l’Ufficio tecnico del Comune di . Ne consegue che gli appellanti avrebbero dovuto allegare ed illustrare le ragioni per le quali le conclusioni rassegnate dal geom. *** non siano coerenti neppure con le emergenze della richiamata documentazione e con le risultanze delle mappe catastali e dei rilievi topografici effettuati dall’ausiliare. In altre parole, ove anche – in via di mera ipotesi – si ammettesse che il geom. *** non abbia saputo ben interpretare i contenuti del tipo di frazionamento operato il 17.10.1973 dal geom. ***, comunque le conclusioni a cui l’ausiliare è pervenuto possono rinvenire adeguato supporto tecnico giustificativo nella ulteriore documentazione acquisita nel corso delle operazioni peritali e valutata in sede di redazione della relazione scritta.
In secondo luogo, gli appellanti hanno fondato il loro convincimento, sopra espresso, addirittura sulle valutazioni operate dal primo c.t.u., geom. ***, vale a dire sugli esiti di un accertamento peritale che in primo grado gli stessi sigg. XXX e YYY, aderendo alle “note critiche” del proprio c.t.p., non hanno esitato a riconoscere distanti dalla realtà dei fatti e non rispondenti al quesito formulato dal giudice perché “lacunose, ambigue e oscure, e per nulla risolutive, oltre che non conformi allo stato dei luoghi ed alla realtà documentalmente rappresentata”.
È contraddittorio – e, in verità, paradossale – che gli appellanti pretendano di far valere una presunta inconsistenza dell’indagine tecnica condotta dal geom. *** facendo perno sui risultati delle misurazioni effettuate dall’altro c.t.u., geom. ***, di cui hanno ripetutamente censurato l’operato.
In conclusione, deve escludersi che nell’atto di impugnazione i sigg. XXX e YYY abbiano assolto all’onere di indicare in dettaglio le censure mosse avverso l’elaborato tecnico redatto dal geom. *** e, in particolare, di indicare quali siano le circostanze e gli elementi dell’elaborato dell’ausiliare rispetto a cui è invocato il controllo del giudice dell’impugnazione, riportando per esteso le pertinenti parti della consulenza tecnica d’ufficio ritenute insufficientemente o erroneamente valutate dal primo giudice e svolgendo concrete e puntuali critiche alla contestata valutazione.
Pertanto, l’appello principale proposto da XXX e YYY è radicalmente infondato e, sotto l’aspetto da ultimo evidenziato, addirittura inammissibile per violazione dell’onere di specificazione del motivo di gravame.
***
2.0 Con la comparsa di costituzione in giudizio depositata il 7.10.2014 gli appellati hanno proposto appello incidentale avverso il capo della sentenza del primo giudice con cui è stata respinta la domanda riconvenzionale intesa ad ottenere la demolizione dei corpi di fabbrica adibiti ad autorimessa e magazzino realizzati dai sigg. XXX e YYY in aderenza all’originario edificio da essi costruito, demolizione limitata alla porzione dei corpi di fabbrica medesimi che non risulta interrata e che insiste a distanza dal confine inferiore a quella legale.
Hanno sostenuto gli appellati/appellanti incidentali che il Tribunale di Potenza, una volta accertata l’oggettiva violazione delle distanze legali dei due predetti manufatti in proprietà dei coniugi Xxx/YYY, avrebbe dovuto ordinare la demolizione dei manufatti medesimi limitatamente alla porzione degli stessi esorbitante dai limiti imposti dalle prescrizioni in tema di distanze contenute nel PRG del Comune di Pignola; tanto in ossequio al consolidato principio secondo il quale le distanze tra costruzioni devono essere osservate anche se in concreto non esista un effettivo pericolo o pregiudizio.
Quindi, gli appellanti incidentali hanno censurato la motivazione resa dal primo giudice a tenore della quale i predetti manufatti, pur non essendo completamente interrati, non risulterebbero, di fatto, idonei a compromettere l’afflusso di aria e luce per la proprietà dei vicini. Tale motivazione, ad avviso degli appellanti incidentali, non sarebbe condivisibile giacché, come fatto palese dalle fotografie dei luoghi allegate alla relazione scritta del c.t.u. geom. ***, gli immobili in questione, solo parzialmente interrati, sporgono per oltre un metro al di sopra del piano stradale della rampa di accesso.
2.1 L’impugnazione incidentale, come formulata, è inammissibile o, comunque, infondata.
Nella sentenza impugnata il Tribunale di Potenza ha operato una articolata motivazione a supporto della pronuncia di rigetto della domanda riconvenzionale riferita alla demolizione dei corpi di fabbrica adibiti ad autorimessa e magazzino realizzati dai sigg. XXX e YYY in aderenza all’originario edificio da essi costruito.
Il primo giudice ha, innanzitutto, effettuato una ricognizione delle più significative pronunce della giurisprudenza di legittimità in tema di art.873 c.c. e di finalità perseguite dalla disciplina codicistica in materia di distanze tra costruzioni. Quindi, pur dando atto del principio secondo il quale le distanze tra costruzioni devono essere osservate anche se in concreto non esista un effettivo pericolo o pregiudizio, ha messo in risalto – evocando al riguardo specifiche pronunce della giurisprudenza di legittimità – che l’esposto principio non esclude il potere del giudice del merito di verificare l’oggettiva idoneità di un’opera seminterrata a determinare, per la sua sporgenza al di sopra del suolo, intercapedini che siano fonti di danno o pericolo e al solo scopo di accertare se a quell’opera possa attribuirsi la natura di “costruzione” nel senso e ai fini dell’art.873 c.c.
Quindi, il Tribunale di Potenza ha ritenuto che l’esigua altezza del manto di copertura (dei due predetti manufatti) al di sopra del piano di calpestio (che coincide con il livello inclinato del piano stradale della rampa di accesso) rispetto ai locali interrati non consente di apprezzarne l’idoneità a compromettere l’afflusso di aria e luce per la proprietà dei vicini (v. pag.10 della sentenza impugnata).
Orbene, gli appellanti incidentali si sono limitati a ribadire il principio generale in materia di distanze tra costruzioni – principio generale di cui pure il primo giudice ha dato contezza in motivazione -, ma nulla hanno dedotto o argomentato in merito all’ulteriore sviluppo del ragionamento operato dal Tribunale di Potenza e parimenti ancorato ad arresti della giurisprudenza di legittimità. In altre parole, gli appellanti incidentali non si sono proprio pronunciati sull’assunto che il menzionato principio non esclude il potere del giudice del merito di verificare l’oggettiva idoneità di un’opera seminterrata a determinare, per la sua sporgenza al di sopra del suolo, intercapedini che siano fonti di danno o pericolo e al solo scopo di accertare se a quell’opera possa attribuirsi la natura di “costruzione” nel senso e ai fini dell’art.873 c.c. Essi non hanno fatto valere puntuali argomentazioni in contrapposizione a quella esposta dal primo giudice, né hanno prospettato l’operatività nel caso di specie di principi di diritto alternativi a quelli enucleati dalla giurisprudenza di legittimità evocata sul punto specifico dal Tribunale di Potenza ed adeguati a privare di giuridica consistenza questi ultimi.
Ne consegue che, sotto il profilo in esame, il motivo di gravame difetti di specificità e non sia adeguato ad attaccare la ratio decidendi a base della pronuncia impugnata. E’ noto, infatti, che, nell’atto di appello, ossia nell’atto che, fissando i limiti della controversia in sede di gravame consuma il diritto potestativo di impugnazione, alla parte volitiva debba sempre accompagnarsi, a pena di inammissibilità del gravame, rilevabile d’ufficio e non sanabile per effetto dell’attività difensiva della controparte, una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, al qual fine non è sufficiente che l’atto di appello consenta di individuare le statuizioni concretamente impugnate, ma è altresì necessario, pur quando la sentenza di primo grado sia censurata nella sua interezza, che le ragioni sulle quali si fonda il gravame siano esposte con sufficiente grado di specificità da correlare, peraltro, con la motivazione della sentenza impugnata (cfr. Cass.civ.sez.III, 18 aprile 2007 n.9244).
A tanto si aggiunga che, contrariamente a quanto opinato dagli appellanti incidentali, i rilievi fotografici allegati alla relazione scritta del c.t.u. *** non documentano affatto che gli immobili in questione, solo parzialmente interrati, sporgano per oltre un metro al di sopra del piano stradale della rampa di accesso. Invece, detti rilievi fotografici, oltre a confermare che il piano di calpestio ha un andamento inclinato che coincide con il livello inclinato del piano stradale della rampa di accesso, evidenziano in maniera incontrovertibile che i due manufatti in questione siano completamente interrati e soltanto una parte minima del loro solaio di copertura sporga al di sopra del piano di calpestio per una altezza veramente esigua, stimabile nell’ordine di poche decine di centimetri.
Restano, quindi, sostanzialmente incontrastate le considerazioni in diritto ed in fatto operate dal Tribunale di Potenza nella motivazione della sentenza impugnata a supporto della pronuncia di rigetto della domanda riconvenzionale riferita alla demolizione dei corpi di fabbrica adibiti ad autorimessa e magazzino realizzati dai sigg. XXX e YYY in aderenza all’originario edificio da essi costruito. L’appello incidentale, dunque, va respinto.
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Quanto alla regolamentazione delle spese processuali relative al presente giudizio di impugnazione, atteso il rigetto sia dell’appello principale che dell’appello incidentale, appare giustificato compensare tra le parti le spese in questione.
Va rilevato, in ultimo, che, per effetto dell’art.1 co.17 della Legge 24.12.2012 n.228, è stato introdotto il comma 1 – quater all’art.13 del D.P.R. 30.5.2002 n.115 (T.U. spese di giustizia) che così recita: “1 – quater. Quando l’impugnazione, anche incidentale, è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l’ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma del comma 1-bis. Il giudice dà atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente e l’obbligo di pagamento sorge nel momen-to del deposito dello stesso”. Ai sensi dell’art.1 co.18 della Legge 24.12.2012 n.228, la suindicata disposizione si applica ai procedimenti iniziati dal trentesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore della L.n.228/12, sicchè, risalendo all’1.1.2013 l’entrata in vigore del richiamato testo normativo, la disposizione mede-sima è operativa per tutti i procedimenti in grado di appello iscritti a ruolo a partire dal giorno 31 gennaio 2013.
Pertanto, essendo stato il presente giudizio di appello iscritto a ruolo il 12.6.2014, sussistono nel caso di specie i presupposti per l’applicazione dell’art.13 co.1 – quater del D.P.R. 30.5.2002 n.115 (T.U. spese di giustizia), introdotto dall’art.1 co.17 della Legge 24.12.2012 n.228.
Ne consegue che parte appellante principale e parte appellante incidentale, i cui gravami sono stati integralmente respinti, siano tenute a versare, ciascuna, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la impugnazione da ognuna di esse proposta.
P.Q.M.
La Corte di Appello di Potenza – Sezione Civile, definitivamente pronunciando sull’appello principale avverso la sentenza n.1300/13 emessa dal Tribunale di Potenza in composizione monocratica il 27.10.2013 e pubblicata il 30.10.2013, proposto da XXX e YYY con atto di citazione notificato in data 4.6.2014 nei confronti di ZZZ, KKK, JJJ, OOO, PPP, BBB, QQQ, UUU, LLL, GGG, RRR, FFF, EEE, NNN, MMM, III, CCC, AAA, NNN, ASD, PLM e ERT nonché sull’appello incidentale proposto dagli appellati con comparsa di costituzione depositata in data 7.10.2014, uditi i procuratori delle parti costituite, ogni altra istanza, difesa, eccezione e deduzione respinta, così provvede:
– Rigetta l’appello principale proposto da XXX e YYY con atto di citazione notificato in data 4.6.2014;
– Rigetta l’appello incidentale proposto da ZZZ, KKK, JJJ, OOO, PPP, BBB, QQQ, UUU, LLL, GGG, RRR, FFF, SSS, EEE, NNN, MMM, III, CCC, AAA, NNN, ASD, PLM e ERT con comparsa di costituzione depositata in data 7.10.2014;
– Conferma la sentenza n.1300/13 emessa dal Tribunale di Potenza in composizione monocratica il 27.10.2013 e pubblicata il 30.10.2013;
– Dichiara interamente compensate tra le parti le spese processuali relative al presente giudizio di impugnazione.
Si dà atto della sussistenza, ai sensi dell’art.13 co.1-quater del D.P.R. 30.5.2002 n.115 come introdotto dall’art.1 co.17 della Legge 24.12.2012 n.228, dei presupposti perché parte appellante principale e parte appellante incidentale siano tenute a versare, ciascuna, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la impugnazione da ciascuna parte proposta.
La presente sentenza per legge è provvisoriamente esecutiva tra le parti. Così deciso in Potenza, nella camera di consiglio del 28 luglio 2021.
Il Consigliere estensore Il Presidente
La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di
Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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