REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI CHIETI
Il Tribunale di Chieti, in funzione di Giudice del Lavoro, in persona della dott.ssa , all’udienza del 11/03/2021 ha pronunziato la seguente
SENTENZA n. 77/2021 pubblicata il 11/03/2021
a seguito di trattazione scritta, ai sensi dell’art. 221, comma 4, del D.L. 19 maggio 2020, n. 34, convertito dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, nella causa iscritta al n. /2020;
TRA
XXX, rappresentato e difeso, per procura in calce al ricorso, dall’avv. ;
RICORRENTE
E
Comune di YYY, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso, per procura in calce alla memoria difensiva di costituzione, dagli avv.ti;
RESISTENTE
RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE
Con ricorso depositato in data 11.06.2020 il ricorrente, dipendente del Comune di YYY con qualifica di Agente di Polizia Municipale, impugnava i provvedimenti del 18.03.2019 e del 19.06.2019 con i quali erano state irrogate le sanzioni disciplinari della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione per due giorni e del rimprovero scritto, chiedendo di annullare le sanzioni disciplinari. A fondamento del ricorso il ricorrente deduceva, quanto alla prima sanzione, di non aver ricevuto comunicazione della contestazione disciplinare e di non avere, pertanto, potuto esercitare il proprio diritto di difesa; deduceva in ogni caso l’infondatezza dell’addebito disciplinare, facendo rilevare di godere dei permessi per l’assistenza al familiare portatore di handicap e di non aver potuto prestare attività di lavoro straordinario nel turno serale del 30.11.2018 proprio per impegni di carattere familiare. Con riferimento alla seconda sanzione disciplinare, il ricorrente evidenziava di aver comunicato con pochi minuti di ritardo dall’inizio del turno la propria assenza dal servizio per malattia il giorno 18.04.2019 e di non averlo potuto fare prima per essersi addormentato a causa di un improvviso stato di sonnolenza; evidenziava, inoltre, che l’ufficio era a conoscenza del suo stato di malattia dal giorno precedente, in cui si era allontanato dal posto di lavoro annotando la propria indisposizione sul brogliaccio delle firme presente in ufficio.
Il Comune di YYY si costituiva in giudizio deducendo l’infondatezza del ricorso e chiedendone il rigetto.
Acquista la documentazione, concesso un termine per il deposito di note difensive e disposta la trattazione scritta del procedimento ai sensi 221, comma 4, del D.L. 19 maggio 2020, n. 34, convertito dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, la causa veniva decisa con pronuncia fuori udienza della sentenza. Il ricorso è infondato e va rigettato per le ragioni di seguito esposte.
Il ricorrente lavora alle dipendenze del Comune di YYY con qualifica di Agente di Polizia Municipale. Con lettera del 13.12.2018 l’Ufficio per i procedimenti disciplinari del Comune di YYY ha contestato al ricorrente di non aver rispettato l’orario di servizio del 30.11.2018, di essersi assentato dal lavoro nella predetta giornata senza autorizzazione e di aver posto in essere un comportamento diretto all’inosservanza di disposizioni di servizio, cagionando disservizi alla cittadinanza e al Comando di Polizia Municipale (doc. 4 fasc. res.). Con provvedimento del 21.02.2019 l’Ufficio per i procedimenti disciplinari ha applicato la sanzione della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione per giorni due per assenza ingiustificata dal servizio. (doc. 5 res.).
Il ricorrente ha dedotto l’illegittimità della sanzione per omessa comunicazione della contestazione disciplinare. L’assunto non può condividersi alla luce delle considerazioni che seguono. Secondo il condivisibile orientamento della giurisprudenza di legittimità, “la produzione in giudizio di un telegramma, o di una lettera raccomandata, anche in mancanza dell’avviso di ricevimento, costituisce prova certa della spedizione, attestata dall’ufficio postale attraverso la relativa ricevuta, dalla quale consegue la presunzione dell’arrivo dell’atto al destinatario e della sua conoscenza ai sensi dell’art. 1335 c.c., fondata sulle univoche e concludenti circostanze della suddetta spedizione e sull’ordinaria regolarità del servizio postale e telegrafico” (Cass. Civ., sez. lav., sent. n. 24015/17; Cass. Civ. sent. n. 17204/16). Si è, inoltre, affermato che “in tema di licenziamento individuale, qualora la contestazione degli addebiti e la comunicazione del provvedimento di licenziamento vengano effettuate al dipendente mediante lettere raccomandate spedite al suo domicilio, esse, a norma dell’art. 1335 cod. civ., si presumono conosciute dal momento in cui giungono al domicilio del destinatario, ovvero, nel caso in cui la lettera raccomandata non sia stata consegnata per assenza del destinatario e di altra persona abilitata a riceverla, dal momento del rilascio del relativo avviso di giacenza presso l’ufficio postale” (Cass. Civ., sez. lav. sent. n. 6527/03; Cass. Civ., sez. lav., sent. n. 23589/18). Nella specie, il Comune di YYY ha dato prova, depositando la relativa ricevuta, di aver spedito la lettera di contestazione disciplinare presso l’indirizzo di residenza del ricorrente il 14.12.2018 (doc. 4 fasc. res). Dalla medesima documentazione e, in particolare, dall’attestazione di compiuta giacenza apposta dall’ufficio postale sulla busta restituita al mittente, si evince tanto il deposito dell’avviso di giacenza presso l’ufficio postale quanto il mancato ritiro del plico da parte del ricorrente.
Va poi precisato che il Comune di YYY non era tenuto a comunicare via pec la contestazione disciplinare in quanto tale tipo di comunicazione, come esattamente dedotto dalla difesa del Comune, è alternativa alla raccomandata con avviso di ricevimento.
Quanto al merito della contestazione disciplinare, deve evidenziarsi come i fatti contestati siano pacifici e documentali. Il 29.11.2018 la Questura di *** ha richiesto al Comando di Polizia Locale del Comune di YYY di predisporre i servizi di viabilità a partire dalle ore 18.30 in occasione dell’incontro di calcio a 5 presso il “***” di Viale *** a ***, programmato per le ore 20.30 (doc. 4 fasc. res.) Con la medesima richiesta inviata alla polizia di Stato e ai Carabinieri è stato disposto di creare un servizio di vigilanza e di sicurezza pubblica a partire delle ore 18.30. Con ordine di servizio del 29.11.2018 al ricorrente è stato assegnato il turno dalle 14.20 alle fine, con lo specifico incarico di predisporre il servizio di viabilità in occasione dell’incontro di calcio a 5 presso il ***. Nella stessa giornata del 29.11.2018 il ricorrente ha comunicato di non avere intenzione di prestare servizio oltre l’ordinario turno di lavoro (ore 21,00) per non essere stato avvisato con congruo anticipo e per avere già assunto degli impegni di carattere privato e familiare. Il 30.11.2018 il ricorrente ha lasciato il servizio alle ore 20.50. Risulta, dunque, documentalmente provato che il ricorrente ha disatteso una specifica disposizione di servizio, abbondonando il posto di lavoro prima della fine del turno assegnato, senza alcuna autorizzazione, comportamento di particolare gravità ove si consideri che l’attività da espletare nel turno era stata assegnata nell’ambito di un servizio di vigilanza e sicurezza pubblica disposto da un’autorità di pubblica sicurezza. Del tutto irrilevante è che non via sia stato il previo consenso del ricorrente allo svolgimento di lavoro straordinario in quanto, come esattamente dedotto dal Comune di YYY, nella specie non si applica l’art. 5, comma 3, del d.lgs. n. 66/2003 secondo il quale “il ricorso al lavoro straordinario è ammesso soltanto previo accordo tra datore di lavoro e lavoratore per un periodo che non superi le duecentocinquanta ore annuali”. L’art. 2, comma, 3 del citato decreto legislativo prevede, infatti, che “le disposizioni del presente decreto non si applicano….al personale delle Forze di polizia, delle Forze armate, nonché agli addetti al servizio di polizia municipale e provinciale, in relazione alle attività operative specificamente istituzionali e agli addetti ai servizi di vigilanza privata”. Quanto, infine, alla dedotta violazione dell’art. 27 del CCNL comparto ed enti locali, essa non si riscontra nella specie. La citata disposizione prevede unicamente che l’Amministrazione favorisca, ove possibile e compatibilmente con le esigenze di servizio, l’utilizzo dell’orario di lavoro flessibile, non certo l’esonero dallo svolgimento del lavoro straordinario. Peraltro, nel caso di specie, nella comunicazione del 29.11.2019 il ricorrente non ha fatto alcun riferimento ad esigenze di cura o di assistenza del familiare disabile.
Le considerazioni che precedono portano ad affermare la piena legittimità della sanzione disciplinare irrogata al ricorrente con provvedimento del 21.02.2019. Parimenti legittima è la sanzione disciplinare irrogata con provvedimento del 19.06.2019. Con comunicazione del 16.05.2019 al ricorrente è stato contestato di aver dato comunicazione dell’assenza dal servizio il giorno 18.04.2019 alle 14.35, nonostante l’inizio del turno di lavoro fosse previsto per le ore 14.00, e di aver violato l’art. 36 del CCNL nella parte in cui prevede l’obbligo di comunicare all’ufficio di appartenenza l’assenza dal servizio per malattia tempestivamente e comunque all’inizio del turno di lavoro. Il fatto contestato è pacifico, in quanto il ricorrente ha espressamente riconosciuto di aver comunicato la propria assenza dal servizio alle ore 14.35, ossia 35 minuti dopo l’inizio del suo turno di lavoro. Il ricorrente sostiene a propria discolpa di non aver potuto avvisare per essersi addormentato a causa di un improvviso stato di sonnolenza. La giustificazione offerta dal ricorrente non può ritenersi fondata. Egli stesso ha allegato di essersi recato dal proprio medico curante la mattina del 18.04.2019, per cui egli avrebbe potuto e dovuto diligentemente avvisare l’ufficio della propria assenza per malattia subito dopo la visita dal medico, ancor prima di fare rientro nella propria abitazione. Una volta avuta certezza del proprio stato di salute e dell’impossibilità di recarsi al lavoro, riscontrata anche dal medico, non vi era alcuna necessità di attendere oltre per fare la comunicazione al proprio ufficio. Più la comunicazione è tempestiva e minori sono i disagi per il datore di lavoro, che dispone di un più ampio lasso di tempo per sopperire alla mancanza del lavoratore ammalato. Il ricorrente ha dimostrato, invece, di non avere alcuna considerazione per le esigenze organizzative e di funzionalità dell’ufficio al quale appartiene, per cui la sanzione del rimprovero scritto è pienamente legittima e proporzionata al fatto commesso, mentre non ha alcuna rilevanza che prima del turno di lavoro risultasse già una variazione del servizio.
Le considerazioni che precedono portano all’integrale rigetto del ricorso.
Le spese di lite seguono la soccombenza e sono poste a carico del ricorrente nella misura liquidata in dispositivo secondo le previsioni di cui al D.M. n. 55/14 (cause di lavoro di valore compreso tra € 26.000,01 e € 52.000,00 in considerazione del valore indeterminabile della causa-valore medio per ciascuna fase con esclusione di quella istruttoria con riduzione del 50%).
P.Q.M.
Il Giudice del Lavoro, definitivamente pronunciando, così provvede:
rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al rimborso in favore della parte resistente delle spese di lite, liquidate in € 3.512,50 per compensi professionali, oltre rimborso spese forfettarie nella misura del 15%, iva e cpa se dovuti come per legge.
Manda alla cancelleria per la comunicazione alle parti della presente sentenza. Chieti, 11.03.2021
Il giudice del lavoro dott.ssa
La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di
Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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