REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Giudice del Lavoro, Dr., nella causa iscritta al n°1361/2019 R.G. TRA
XXX,
CONTRO
YYY S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore,
All’udienza del giorno 2 marzo 2022 ha pronunciato sentenza con il seguente
DISPOSITIVO
(art.16 d.l. n.228 del 2021, convertito, con modificazioni, nella legge n.15 del 2022, in relazione all’art.221 d.l. n.34 del 2020, convertito, con modificazioni, nella legge n.77/2020).
Il Tribunale di Teramo, in composizione monocratica ed in funzione di giudice del lavoro, definitivamente pronunciando, contrariis reiectis, così provvede:
accoglie il ricorso e, per l’effetto, dichiara l’avvenuto superamento da parte della Società convenuta della clausola di contingentamento del 30% prevista per legge e costituisce tra XXX e la YYY S.r.l. un rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno ed indeterminato, mai estintosi e tuttora giuridicamente in corso, con decorrenza dal 29.8.2018, con sede di lavoro a Ancarano, per lo svolgimento delle mansioni di operaio addetto officina e con inquadramento al livello 3 del CCNL Metalmeccanica Industria;
condanna quindi la Società convenuta a ripristinare anche di fatto il detto rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno e indeterminato alle indicate condizioni, richiamando e riammettendo in servizio il ricorrente nel suo posto di lavoro ed a corrispondere al ricorrente l’indennità risarcitoria di n.7 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto;
condanna la resistente a rimborsare al ricorrente le spese processuali, che liquida in complessivi € 3.400,00, oltre rimborso delle spese generali pari al 15% dell’importo di tali compensi difensivi, IVA e CAP e rimborso delle spese vive pari ad € 259,00;
fissa il termine di giorni sessanta da oggi per il deposito della motivazione.
Così deciso in Teramo in data 2 marzo 2022.
IL GIUDICE DEL LAVORO
SENTENZA n. 114/2022 pubblicata il 19/07/2022
FATTI RILEVANTI DELLA CAUSA
Con ricorso depositato il 17.07.2019, ritualmente notificato, XXX esponeva:
– che aveva lavorato nell’arco temporale dal 21.5.2015 sino al 21.12.2018, con contratti di lavoro a tempo determinato in somministrazione per la agenzia di lavoro *** S.p.a. svolgendo sempre la prestazione lavorativa presso lo stabilimento di Ancarano della impresa utilizzatrice YYY S.r.l., il tutto in virtù di altrettanti contratti di somministrazione di lavoro a tempo determinato stipulati tra le due imprese convenute;
– che, attesa la durata complessiva dei rapporti, si era verificato il superamento del tetto di ricorso al lavoro somministrato, ridotto da trentasei a ventiquattro mesi con il d.l. n.87 del 2018, convertito, con modificazioni nella legge n.96 del 2018 (c.d. decreto dignità), già per effetto del penultimo contratto cessato l’11.8.2018, con conseguente illegittimità dell’ultimo contratto a termine valido dal 29.8.2018 al 21.12.2018;
– che, quale primaria ragione d’impugnativa del ricorso alla somministrazione di lavoro a tempo determinato, veniva in considerazione, tuttavia, la mancanza della causale, con riferimento al contratto di lavoro in somministrazione a termine datato 17.8.2018 e valido per il periodo dal 29.08.2018 al 21.12.2018, poiché tale contratto di lavoro, sottoscritto inter partes ad Alba Adriatica, riportava come “motivo di ricorso” alla apposizione del termine finale (o causale giustificatrice dello stesso) la dicitura “contratto sottoscritto ai sensi dell’art. 30 e ss. D. lgs. 81/2015 e art. 1 comma 2 d.l. 87/2018 convertito con modifiche l. 96/2018”, dicitura costituente una mera clausola di stile che, attraverso il puro e semplice richiamo a determinate norme giuridiche, non consentiva di comprendere e controllare se e quali fossero le reali, concrete e specifiche motivazioni addotte da controparte per la apposizione del termine al contratto, ed eventualmente di confutarne l’esistenza;
– che, infine, l’apposizione del termine finale all’ultimo contratto di lavoro, valevole come più volte detto dal 29.8.2018, era illegittima, anche per l’avvenuto superamento, nella convenuta impresa utilizzatrice, della percentuale massima consentita di lavoratori assunti con contratti a tempo determinato in somministrazione, avendo l’art. 31, comma 2, del D. Lgs. 81/15, come sostituito dal d. l. n. 87/2018, convertito con modifiche nella l. n. 96/2018, prevede infatti che l’utilizzatore non possa impiegare lavoratori, subordinati o in somministrazione che siano, a tempo determinato per un numero che, complessivamente e cumulativamente per le due categorie di contratti a termine, superi la percentuale del 30% rispetto al totale dell’organico complessivo a tempo indeterminato in forza al primo gennaio dell’anno di stipulazione del contratto a termine contestato.
Il ricorrente faceva presente che, nel caso di superamento della percentuale indicata, si ha somministrazione a termine irregolare e il rapporto di lavoro – su domanda del lavoratore – va convertito e costituito a tempo indeterminato con l’utilizzatore in base all’art. 38, comma 2, dello stesso D. Lgs.81/15 e, deducendo di aver motivo di ritenere che all’interno della YYY S.r.l., al momento della stipula dell’ultimo rinnovo del 29.8.2018 ed anche all’1.1.2018, vi fossero lavoratori con contratti a tempo determinato per una percentuale superiore al 30% rispetto al totale dell’organico stabile, ricordava essere noto che, in materia di clausole di contingentamento, l’onere della prova grava esclusivamente sul datore di lavoro o utilizzatore e va assolto per via documentale, ragione per cui si riservava ogni ulteriore valutazione, contestazione, deduzione o richiesta all’esito di quanto avrebbe dedotto la controparte. Chiedeva pertanto l’accoglimento delle seguenti conclusioni:
“Accertare e dichiarare l’avvenuto superamento tra le parti, in data 5.7.2018 o data diversa di giustizia, del termine massimo di 24 mesi previsto dalla normativa vigente per i rapporti di lavoro in somministrazione a tempo determinato, nonché la nullità e/o illegittimità del termine apposto al rinnovo/contratto di lavoro relativo al periodo dal 29.8.2018 al 21.12.2018, nonché l’avvenuto superamento da parte della Società convenuta della clausola di contingentamento del 30% prevista per legge e, per l’effetto, per le ragioni illustrate in narrativa, accertare e dichiarare che tra XXX e YYY S.r.l. si è costituito o comunque costituire un rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno ed indeterminato, mai estintosi e tuttora giuridicamente in corso, con decorrenza dal 5.7.2018, ovvero dal 14.7.2018, ovvero dal 29.8.2018 o data diversa di giustizia, con sede di lavoro a Ancarano, per lo svolgimento delle mansioni di operaio addetto officina e con inquadramento al livello 3 del CCNL Metalmeccanica Industria; condannare quindi la Società convenuta a ripristinare anche di fatto il detto rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno e indeterminato alle indicate condizioni richiamando e riammettendo in servizio il ricorrente nel suo posto di lavoro; condannare inoltre la detta Società convenuta a corrispondere al ricorrente l’indennità risarcitoria di cui in narrativa da determinare nella misura massima di 12 mensilità, o in quella diversa di giustizia con il minimo di 2,5 mensilità, dell’ultima retribuzione globale di fatto pari all’importo mensile lordo di € 2.000,00 o a quello diverso ed anche maggiore di giustizia e da calcolare in base al CCNL di settore; condannare la stessa Società convenuta a corrispondere al ricorrente la rivalutazione e gli interessi nella misura di legge su tutti i crediti a far data dalla maturazione e fino al saldo ed a ricostruire e regolarizzare la posizione contributiva del lavoratore […].
Si è costituita la s.r.l. YYY ed ha resistito alla domanda, con l’eccepire che il regime transitorio della nuova disciplina in materia di contratti di lavoro a termine e di somministrazione di lavoro a tempo determinato, introdotta dal d.l. n.87/2018 (conv., con modificazioni, nella legge n.96 del 2018), prevedeva il differimento al 31 ottobre 2018 dell’entrata in vigore delle disposizioni relative all’obbligatorietà dell’indicazione della causale dell’apposizione del termine di durata al rapporto di lavoro ed alla riduzione della durata massima (cd. tetto) del ricorso alla somministrazione di lavoro a tempo determinato, pari al 20% della forza lavoro complessiva dell’azienda.
Deduceva, pertanto, l’inapplicabilità ratione temporis, della disciplina invocata dal ricorrente con riferimento ai contratti da lui stipulati nel periodo del cd. regime transitorio definitivo, nel quale continuavano ad applicarsi le regole precedenti in tema di a-causalità del rapporto di lavoro a termine e di tetto della somministrazione. In ordine al motivo d’impugnativa del contratto per superamento del limite percentuale di contratti di lavoro subordinato a termine e di somministrazioni a tempo determinato rispetto alla forza lavoro stabilmente occupata in azienda al 1° gennaio dell’anno in corso alla data di stipula del contratto impugnato, deduceva di aver osservato una tale limitazione, come risultava dai documenti prodotti, anche in ragione dell’appartenenza di numerosi lavoratori assunti con tale tipologia di lavoro flessibile alle categorie dei lavoratori svantaggiati, esclusi dal novero di quelli computabili ai fini della verifica circa il rispetto dell’obbligo di contingentamento.
Chiedeva pertanto il rigetto del ricorso.
Così fissati i termini della controversia, la causa veniva trattata in alcune udienze e rinviata per la discussione ed all’esito veniva decisa come da dispositivo in epigrafe.
RAGIONI DELLA DECISIONE
In applicazione del principio della ragione più liquida, conviene esaminare esclusivamente la doglianza con cui il lavoratore impugna il contratto di lavoro in somministrazione con decorrenza dal 29 agosto 2018 (data di assunzione risultante dalla scheda professionale, doc.1 del ricorrente, anche se successiva di due giorni rispetto alla data di annotazione dell’assunzione in somministrazione riportata nel LUL aziendale dei lavoratori somministrati, documento che peraltro, come si dirà, non può accreditarsi del carattere di ufficialità, in quanto non previsto dalla legge).
Si antepone l’esame delle questioni di diritto a quello delle questioni di fatto, risultando dall’esito del primo più agevole comprendere su quali questioni di fatto portare l’attenzione.
In diritto
È noto che una notevole innovazione apportata dal d.l. n.87 del 2018 (conv., con mod., in L.96/2018) al d.lgs. n.81 del 2015, nella parte relativa alla disciplina dei contratti di lavoro in somministrazione, è rappresentata dall’introduzione di un limite percentuale, comprensivo dei lavoratori utilizzati dall’impresa con tale tipologia contrattuale e dei lavoratori assunti direttamente alle dipendenze della stessa con contratto di lavoro a tempo determinato, limite pari al 30% del numero complessivo dei lavoratori occupati presso l’azienda al 1° gennaio dell’anno in cui avviene l’utilizzazione del lavoratore somministrato o la stipulazione del contratto di lavoro a termine con il lavoratore assunto direttamente da essa.
Quanto alla determinazione del numero dei lavoratori occupati alla data del 1° gennaio (denominatore della frazione che deve risultare non superiore al 30%), non sussistono problemi interpretativi particolari, risolvendo la legge stessa le questioni principali, qual è quella di stabilire se debbano essere considerati i lavoratori stagionali, ovvero se debba farsi riferimento alla forza lavoro ordinaria.
Un problema si pone invece con riferimento alla determinazione del numeratore della frazione, che, come detto, non deve risultare superiore al 30%.
A prima vista, infatti, si potrebbe pensare che la disposizione dell’art.31, comma 2, d.lgs. n.81 del 2015, che ha introdotto quel limite (cd. contingentamento), faccia riferimento ai lavoratori assunti con contratto a termine o utilizzati con contratti di somministrazione a partire dal 1° gennaio dell’anno in cui si colloca l’invio in missione presso l’azienda del lavoratore in ordine al quale deve verificarsi il rispetto del limite.
La tesi secondo cui ci si trova in presenza di un limite fisso annuale, tuttavia, è contrastata da validi argomenti.
Innanzi tutto, dal punto di vista letterale, essa non trova alcun addentellato nella disposizione dell’art.31, comma 2, d.lgs. n.81 del 2015, nella dizione risultante dall’art.2, comma 02, del d.l. n.87 del 2018 (conv. con mod., in L.96/2018), che stabilisce quanto segue:
“Salva diversa previsione dei contratti collettivi applicati dall’utilizzatore e fermo restando il limite disposto dall’articolo 23, il numero dei lavoratori assunti con contratto a tempo determinato ovvero con contratto di somministrazione a tempo determinato non può eccedere complessivamente il 30 per cento del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza presso l’utilizzatore al 1° gennaio dell’anno di stipulazione dei predetti contratti, con arrotondamento del decimale all’unità superiore qualora esso sia eguale o superiore a 0,5. Nel caso di inizio dell’attività nel corso dell’anno, il limite percentuale si computa sul numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al momento della stipulazione del contratto di somministrazione di lavoro. E’ in ogni caso esente da limiti quantitativi la somministrazione a tempo determinato di lavoratori di cui all’ articolo 8, comma 2, della legge 23 luglio 1991, n.223, di soggetti disoccupati che godono da almeno sei mesi di trattamenti di disoccupazione non agricola o di ammortizzatori sociali e di lavoratori svantaggiati o molto svantaggiati ai sensi dei numeri 4) e 99) dell’articolo 2 del regolamento (UE) n.651/2014 della Commissione, del 17 giugno 2014, come individuati con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali”.
Va rilevato che nessuna contestazione sussiste circa l’applicabilità ratione temporis nel caso concreto della disposizione citata nel testo risultante a seguito del d.l. n.87/2018, come modificato, con la legge di conversione n.96/2018. Infatti la legge di conversione, che ha inserito il comma 02 nell’art.2 d.l. n.78/2018, è entrata in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta ufficiale, ossia il 10 agosto 2018, data, questa, precedente alla stipulazione del contratto di somministrazione impugnato dal ricorrente (del 27 – 29 agosto 2018).
Quanto al contenuto della disposizione, essa stabilisce un limite percentuale del numero dei contratti di somministrazione e di lavoro subordinato stipulati dall’impresa, prevedendone la misura con riferimento al numero complessivo di quelli in essere ad una determinata data (il 1° gennaio dell’anno in cui il nuovo contratto viene stipulato).
Ciò non significa, all’evidenza, che la disposizione preveda l’esclusione dal computo (cioè dal numeratore della frazione) di tutti i contratti di somministrazione e di lavoro a tempo determinato stipulati dall’impresa nell’anno precedente alla data della somministrazione o del contratto a tempo determinato di cui occorre stabilire se sia rispettosa del limite del 30%.
Inoltre, dal punto di vista teleologico, posto che la disposizione introduce un limite quantitativo al ricorso alla somministrazione ed al contratto di lavoro a tempo determinato, essa, se intesa nel senso di escludere dal computo (nel numeratore della frazione) i suddetti contratti stipulati in anno precedente, finirebbe per legittimare il superamento del limite percentuale rispetto al numero dei contratti di somministrazione e di lavoro a termine in essere al 1° gennaio dell’anno in corso alla data di stipulazione del contratto di somministrazione o di lavoro a tempo determinato di cui si discute.
Infatti, seguendo tale interpretazione, un’impresa che avesse cento dipendenti al 1° gennaio dell’anno in corso alla data di stipulazione del contratto di somministrazione o di lavoro a tempo determinato di cui si discute, di cui ventinove in somministrazione e/o assunti con contratto di lavoro a termine in tale anno (prima della stipula del contratto di lavoro a termine o del contratto di somministrazione di lavoro a termine contestato), potrebbe ricorrere alla somministrazione (e/o stipulare ulteriori contratti di lavoro a termine), anche se nell’anno precedente avesse stipulato contratti di lavoro a termine e/o di somministrazione che continuino a produrre i loro effetti alla data della stipulazione della nuova somministrazione a tempo determinato (o del nuovo contratto a termine).
Per converso, sempre seguendosi l’interpretazione qui criticata, l’impresa, che al 1° gennaio dell’anno in cui intende far ricorso ad un contratto di somministrazione di lavoro o ad un’assunzione con contratto di lavoro subordinato a tempo determinato avesse già fatto ricorso a contratti di somministrazione o a contratti di lavoro subordinato a termine per un numero di lavoratori complessivamente pari al 30% della sua forza lavoro alla data del 1° gennaio stesso, dovrebbe astenersi dal ricorrere ad un nuovo contratto di somministrazione o di lavoro subordinato a tempo determinato, anche se fosse, nelle more, rientrata nei limite del contingentamento, per la cessazione intervenuta di uno di quei rapporti di somministrazione o di lavoro a tempo determinato. In altri termini, non potrebbe sostituire i lavoratori somministrati, o con contratto di assunzione diretta a tempo determinato, che cessino durante l’anno, assumendone altrettanti con la medesima tipologia contrattuale.
Da ultimo, l’interpretazione estensiva dell’ambito di verifica del rispetto della clausola di contingentamento a tutti i contratti in essere alla data di stipulazione di quello nuovo, indipendentemente dall’anno in cui essi sono stati stipulati, trova riscontro nell’interpretazione data dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali nella circolare n.18 del 18 luglio 2014, relativa al D.L. n. 34/2014 (conv. con L. n. 78/2014) recante “disposizioni urgenti per favorire il rilancio dell’occupazione e per la semplificazione degli adempimenti a carico delle imprese” contratto a tempo determinato, somministrazione di lavoro e contratto di apprendistato”.
Nel fornire indicazioni al personale ispettivo per l’applicazione delle disposizioni contenute in tale decreto-legge, che conteneva – al pari del d.l. n.78/2018 (come modificato con la legge di conversione n.96 del 2018) – una disposizione in materia di contingentamento (che stabiliva la percentuale nel 20% anziché nel 30%), seppur riferita ai soli contratti di lavoro diretto a tempo determinato, il Ministero aveva chiarito che “La verifica concernente il numero dei lavoratori a tempo indeterminato andrà effettuata in relazione al totale dei lavoratori complessivamente in forza, a prescindere dall’unità produttiva dove gli stessi sono occupati, ferma restando la possibilità di destinare i lavoratori a tempo determinato presso una o soltanto alcune unità produttive facenti capo al medesimo datore di lavoro. Ciò premesso, a titolo esemplificativo, qualora il datore di lavoro alla data del 1° gennaio abbia in corso 10 rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato, potrà assumere sino a 2 lavoratori a termine, a prescindere dalla durata dei relativi contratti e ciò anche se, nel corso dell’anno, il numero dei lavoratori “stabili” sia diminuito”.
In altri termini, se il denominatore della frazione (il cui numeratore, nel caso qui in esame, è pari al 30%) è fisso (dovendosi aver riguardo al numero dei lavoratori in somministrazione o assunti con contratto di lavoro a termine alla data del 1° gennaio dell’anno in corso alla data di stipula del nuovo contratto), invece il numero dei lavoratori somministrati a tempo determinato e quello dei lavoratori assunti direttamente dall’impresa con contratto a termine va calcolato con riferimento a tutti i rapporti in essere, e ciò sia a favore del lavoratore (di modo che non sfuggano i contratti risalenti all’anno precedente ed ancora in corso), sia a favore del datore di lavoro (di modo che non siano computati come in forza presso l’azienda lavoratori che lo erano al 1° gennaio dell’anno in corso alla data di stipulazione del nuovo contratto di somministrazione a tempo determinato o di assunzione diretta a termine, in base a contratti risalenti all’anno precedente, e che, alla data della stipulazione del nuovo contratto, non lo erano più, e potevano dunque essere sostituiti con la stessa tipologia di lavoro flessibile).
Poste tali coordinate interpretative, occorre ora verificare l’estensione dell’onere della prova gravante sul datore di lavoro che resiste all’azione del lavoratore tendente ad ottenere l’accertamento del superamento del limite percentuale di lavoratori somministrati e/o assunti dall’impresa con contratto di lavoro a tempo determinato alla data in cui il lavoratore stesso è stato utilizzato presso l’azienda in forza di un nuovo contratto di somministrazione oppure mediante un contratto di lavoro a termine. In materia di prova del rispetto della clausola di contingentamento, in generale, la giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di esprimersi con riferimento al regime causale del contratto di lavoro a tempo determinato ed ha affermato il principio secondo il quale, in tema di clausola di contingentamento dei contratti di lavoro a termine di cui all’art. 23 della legge 28 febbraio 1987, n. 56, l’onere della prova dell’osservanza del rapporto percentuale tra lavoratori stabili e a termine previsto dalla contrattazione collettiva, da verificarsi necessariamente sulla base dell’indicazione del numero dei lavoratori assunti a tempo indeterminato, è a carico del datore di lavoro, sul quale incombe la dimostrazione, in forza dell’art. 3 della legge 18 aprile 1962, n. 230, dell’oggettiva esistenza delle condizioni che giustificano l’apposizione di un termine al contratto di lavoro (cfr. Cass. 10 marzo 2015, n.4764).
A parere del giudicante, mutatis mutandis, l’onere della prova del rispetto del limite percentuale deve ritenersi applicabile anche in relazione a contratti di lavoro stipulati sotto il vigore del regime di a-causalità del contratto di lavoro a termine e del regime di libero ricorso alla somministrazione di lavoro a tempo determinato, regimi in vigore nel periodo in cui si colloca la somministrazione per cui è causa (agosto 2018).
L’estensione dell’onere probatorio datoriale al complesso delle condizioni legittimanti il ricorso alla somministrazione di lavoro a tempo determinato, infatti, si collega alla natura di forma comune del contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato ed alla conseguente natura di eccezione a tale regola, che è propria del ricorso a tipologie contrattuali flessibili, quale la somministrazione di lavoro a termine (ai sensi dell’art.1 d.lgs. n.81 del 2015, infatti, “Il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato costituisce la forma comune di rapporto di lavoro”).
Il datore deve dunque provare di non aver superato il limite del 30% anche per effetto di contratti precedenti all’anno in corso alla data della stipulazione di quello contestato.
In fatto
La YYY deduce che al 29 agosto 2018 aveva in forza n.20 dipendenti computabili nel tetto dei 53 (pari al 30% di 177, totale della forza lavoro a tempo indeterminato esistente all’01.01.2018), computati sia i lavoratori assunti con contratto a tempo determinato sia i somministrati, categorie entrambe che vanno prese in considerazione ai fini del computo del limite, pari al 30% della forza lavoro complessiva all’01.01.2018, di cui l’art.31, comma 2, d.lgs. n.81 del 2015.
A dimostrazione di tale assunto la società produce, innanzi tutto, il LUL dei lavoratori somministrati di agosto 2018, da cui risultano n.14 nominativi (tra i quali l’attore). Tale documento non reca (a differenza della denuncia mensile ai fini contributivi, che è stata prodotta solo per i lavoratori assunti alle dirette dipendenze dall’impresa e quindi per dimostrare il numero dei contratti a termine) elementi sufficienti a consentire di determinare il numero complessivo dei lavoratori somministrati alle dipendenze dell’impresa al 29 agosto 2018 (o al 17 agosto 2019, data di stipula dell’ultimo contratto di somministrazione di lavoro a termine intercorso tra le parti e contestato dall’attore). Va, in proposito, rilevato che l’art.39 d.lgs. n.112 del 2008 (L. n.138/2008) non prevede che nel libro unico del lavoro si debbano indicare i lavoratori somministrati, sicché non può ritenersi utilizzabile nella specie l’indicazione dei lavoratori somministrati operata in un LUL aziendale apposito, costituente, in realtà, una scrittura di comodo e non suscettibile di esame in sede di controlli ispettivi, in quanto non prevista per legge.
Inoltre, il documento che la resistente indica quale “LUL somministrati 29 agosto 2018”, consiste di una serie di schede anagrafico-lavorative relative ai lavoratori che prestavano servizio nell’agosto 2018 presso l’azienda in forza di contratti di somministrazione stipulati tutti nel mese di agosto 2018, schede da ritenersi redatte sulla base degli elenchi dei lavoratori inviati in somministrazione in tale mese all’azienda e trasmessile dalle rispettive agenzie, che invece dovevano aggiornare i rispettivi LUL con i lavoratori assunti alle proprie dipendenze e destinati ad essere inviati in missione presso le aziende clienti.
La resistente ha, infatti, prodotto anche gli elenchi in questione, sottoscritti dai rappresentanti delle agenzie *** e ***, vale a dire dalle agenzie dalle quali, nelle schede del LUL della YYY dei lavoratori somministrati, risultano provenire i lavoratori in esse citati. Sennonché gli elenchi *** e *** sono privi di indicazioni che consentano di stabilire se quelli in essi indicati siano, in effetti, tutti i contratti di somministrazione in essere con la YYY al 29 agosto 2018, oppure siano solo quelli stipulati con tale società nel mese di agosto 2018, con esclusione, quindi, di eventuali altri contratti stipulati in precedenza e relativi ad altri lavoratori ancora in somministrazione presso la stessa YYY nell’agosto del 2018. Tale seconda interpretazione è, peraltro avvalorata dalla circostanza del ricorrere più volte, nella dichiarazione della ***, i nomi di alcuni dei lavoratori somministrati, a dimostrazione del fatto che l’agenzia ha inteso fornire con tale documento il resoconto di tutti i contratti di somministrazione stipulati per il mese di agosto 2018 con la YYY, anziché rilasciare un’attestazione riferita a tutti i contratti stipulati con la YYY ed in corso alla data del 29 agosto 2018.
In conclusione, quanto ai due documenti in commento, rivisti insieme – LUL aziendale dei lavoratori somministrati e dichiarazioni delle agenzie di somministrazione -, mentre il primo di essi – in cui la società ha indicato il gruppo di lavoratori in forza presso di sé ad agosto 2018 in base a contratti di somministrazione – è un documento inidoneo per la sua natura atipica (e non per il contenuto) a fornire la prova richiesta, il secondo documento, ossia la dichiarazione della *** è inidoneo per il suo contenuto. Da tale dichiarazione, per quanto già rilevato, non risulta che i lavoratori somministrati indicati in essa fossero i soli lavoratori presenti in somministrazione presso la YYY ed inviati dalla stessa agenzia anche in periodi precedenti all’agosto 2018.
Invece le dichiarazioni rilasciate dalle agenzie di somministrazione *** e *** contengono l’indicazione (quanto alla prima, relativa ad un solo lavoratore, e quanto all’altra agenzia, relativa a n.15 lavoratori, alcuni inviati a più riprese in somministrazione presso la YYY) dei periodi complessivi di somministrazione, da cui si evince che i lavoratori, i cui periodi di somministrazione iniziati prima della data di assunzione del ricorrente ed in corso ancora a tale data, erano pari a cinque.
Per tali motivi, deve ritenersi che la società resistente sia venuta meno all’onere della prova del rispetto del limite percentuale, pari al 30% del totale dei lavoratori assunti in modo stabile all’01.01.2018, nel momento in cui ha fatto ricorso al contratto di somministrazione con il ricorrente, poiché la citata situazione di incertezza probatoria in ordine al numero complessivo dei contratti di somministrazione attivi a tale data non può che risolversi in danno della parte che è maggiormente vicina alla fonte di prova. Va aggiunto che non si tratta di prova impossibile a fornirsi, quanto alle somministrazioni a tempo determinato, poiché la società era tenuta ad inviare le dichiarazioni ex art.24 d.lgs. n.276 del 2003 alle OO.SS. (comunicazioni di cui, per come ora si dirà, è stata prodotta solo quella relativa al 2018) relativamente sia ai contratti di somministrazione a termine vigenti alla data di ricorso alla nuova somministrazione a termine contestata, sia nell’anno precedente.
L’esistenza di contratti di somministrazione attivi risalenti a periodi anteriori non può ritenersi esclusa, come si accennava sopra, sulla base della dichiarazione inviata dalla società ai Sindacati (doc.4) in data 24 gennaio 2019, circa il numero dei lavoratori somministrati in forza presso di sé nel 2018. Tale comunicazione si riferisce, infatti, alle assunzioni effettuate nel 2018, appunto, di lavoratori tramite agenzie di somministrazione, senza estendersi ad eventuali assunzioni avvenute nel 2017 (che avrebbero dovuto essere comunicate ai Sindacati nel gennaio 2018).
Nella comunicazione si specifica infatti che “L’azienda utilizzatrice YYY SRL /Partita IVA …, comunica i seguenti dati relativi ai contratti di somministrazione conclusi nell’anno 2018”.
Nulla autorizza ad escludere la possibilità che somministrazioni di lavoratori effettuate a favore della YYY nel 2017 potessero avere ad oggetto missioni da espletarsi tra il 2017 ed il 2018 ed ancora in corso alla data del 29 agosto 2018, ove si consideri la vigenza sin dal 2017 del regime a-causale dell’invio di lavoratori in somministrazione a termine di cui d.lgs. n.81 del 2015; nell’ambito di tale regime è ipotizzabile il ricorso alla somministrazione per esigenze di sostituzione di lavoratori assenti per lungo periodo, ovvero anche il ricorso alla somministrazione motivato da maggiori esigenze occupazionali collegate alla realizzazione di programmi di attività con ampio orizzonte temporale.
Circa le conseguenze dell’illegittimo ricorso alla somministrazione, il d.lgs. n.81 del 2015, all’art.38, comma 2, dispone quanto segue:
“2. Quando la somministrazione di lavoro avvenga al di fuori dei limiti e delle condizioni di cui agli articoli 31, commi 1 e 2, 32 e 33, comma 1, lettere a), b), c) e d), il lavoratore può chiedere, anche soltanto nei confronti dell’utilizzatore, la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze di quest’ultimo, con effetto dall’inizio della somministrazione”.
Per l’effetto, va dichiarato l’avvenuto superamento da parte della Società convenuta della clausola di contingentamento del 30% prevista per legge e, per l’effetto, per le ragioni illustrate, va dichiarato che tra XXX e YYY S.r.l. si è costituito un rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno ed indeterminato, mai estintosi e tuttora giuridicamente in corso, con decorrenza dal 29.8.2018 La società resistente va pertanto dichiarata tenuta e condannata alla riammissione in servizio del lavoratore.
Circa le conseguenze risarcitorie, ai sensi dell’art.39 d.lgs. n.81 del 2015, “Nel caso in cui il giudice accolga la domanda di cui al comma 1, condanna il datore di lavoro al risarcimento del danno in favore del lavoratore, stabilendo un’indennità onnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo di 2,5 e un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, avuto riguardo ai criteri indicati nell’articolo 8 della legge n.604 del 1966. La predetta indennità ristora per intero il pregiudizio subito dal lavoratore, comprese le conseguenze retributive e contributive, relativo al periodo compreso tra la data in cui il lavoratore ha cessato di svolgere la propria attività presso l’utilizzatore e la pronuncia con la quale il giudice ha ordinato la costituzione del rapporto di lavoro”.
Valutati l’anzianità di servizio notevole maturata dal ricorrente presso la società resistente al 29 agosto 2018, prossima al limite (cd. tetto) di ricorso alla somministrazione di lavoro, considerata le dimensioni dell’attività aziendale, desunte dalla consistenza dell’organico, pari a ben n.177 unità lavorative a tempo indeterminato alla data del 1° gennaio 2018, valutati, altresì, il comportamento delle parti – che è risultato ispirato alla regola di correttezza da parte del lavoratore, che non ha lasciato trascorrere tempo tra la cessazione dell’ultimo rapporto di lavoro e la proposizione dell’istanza stragiudiziale, con messa a disposizione delle proprie energie lavorative a favore dell’azienda, astenutasi dal dare riscontro all’offerta -, si stima equo determinare l’indennità risarcitoria nella misura di n.7 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.
Le spese processuali, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza della convenuta. Così deciso in Teramo il 2 marzo 2022
IL GIUDICE DEL LAVORO
La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di
Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.
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